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Lavoro pratico e percorso valutativo

Nel documento CITTADINANZA E FRATERNITÀ 7 20 15 (pagine 103-107)

Per conoscere da vicino l’arte pa-leocristiana, una proposta interes-sante – anche se molto impegnativa – è quella di realizzare un mosaico. Dopo aver illustrato la tecnica del mosaico e guardato insieme ai ragazzi le opere di Ravenna o Roma già in parte citate, l’insegnante prov-vederà ad assegnare il lavoro ai vari gruppi da lui formati.

Il lavoro di gruppo è molto educa-tivo: sia perché attualizza la vera dimensione in cui erano compiute le opere paleocristiane, come lavoro di equipe, di comunità, mai come espressione della sensibilità del sin-golo avulsa da un contesto, ma an-che per favorire i rapporti tra i ra-gazzi nella classe attraverso una sana competizione tra squadre. Il lavoro sarà quindi di grandi dimensioni e destinato ad una sistemazione pub-blica all’interno della scuola (come decorazione degli spazi comuni). I ragazzi si confronteranno con una vera commissione ed è uno scopo interessante quello di rendere più bello e signifi cativo l’ambiente che vivono tutti i giorni; così il respiro del lavoro sarà più ampio della capacità

personale e potrà far capire (nella sua diffi coltà) come ciò che è fatto insieme supera ciò che può essere fatto singolarmente.

Il supporto scelto è quello del com-pensato che deve essere piuttosto spesso (almeno 1 cm e mezzo/2 cm), per poter accogliere il peso delle tes-sere che saranno ricavate da normali piastrelle da pavimento spezzate e tagliate secondo forma. Dividendo ogni squadra in gruppi di 2/3, as-segneremo compiti diversi da svol-gere contemporaneamente: ad alcuni sarà chiesto di impostare il lavoro ricalcando i contorni dall’immagine proiettata, altri intanto taglieranno le piastrelle in forma più o meno regolare (basta che la dimensione media sia costante, martelli, pinze e cacciavite sono strumenti più che adeguati); altri ancora coloreranno le tessere con acrilici o smalti. Tutti poi dovranno riempire ogni spazio incollandole con Vinavil.

Sceglieremo immagini semplici ma signifi cative, facendo osservare come nell’arte cristiana delle origini faccia la sua comparsa in modo nuovo la

vita quotidiana e la realtà materiale non più come semplice decorazione, ma come espressione della bellezza della creazione in cui si manifesta la bontà di Dio. È quindi un’arte poten-temente simbolica: fa trasparire in forme sempre sorprendenti lo stesso identico contenuto, cioè la volontà di redenzione del mondo tramite l’incarnazione stessa di Dio. Negli esempi pubblicati il pavone, ad esem-pio, le cui carni erano ritenute incor-ruttibili è perciò stato assunto come simbolo della resurrezione, oppure il delfi no, che per essere riconosciuto – anche attraverso la mitologia – come l’aiuto dei naufraghi, l’estremo aiuto di chi non ha più nessun aiuto è stato assunto come un simbolo di Cristo, la colomba (dal Mausoleo di Galla Placidia) che si abbevera alla fonte è simbolo della purezza dell’anima assetata della vita... questi animali sono tanto concreti quanto espres-sione di un signifi cato eterno. In una breve verifi ca, chiederemo di com-mentare il soggetto e di dare il signi-fi cato di immagini mute, anche non viste in classe.

Delfi no, mosaico su compensato, cm 80x55, 2014

Pavone, mosaico su compensato,

cm 80x55, 2014

Colomba alla fonte, mosaico su

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cuola in atto

ARTE E IMMAGINE

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Lo scopo del lavoro è quello di entrare nello spirito della Roma barocca e nella fabbrica di statue del Bernini, per GSRSWGIVRIKPMEWTIXXMTM MRXIVIWWERXMHMGSRGI^MSRIIHM lavorazione. Per Bernini la scultura è avvenimento fermato al massimo della sua tensione drammatica, dove realismo, HMREQMGMXkZMVXYSWMWQSMPPYWMSRMWQSXYXXSrEWIVZM^MSHMYR YRMGS½RIWXYTMVIGSMRZSPKIVIKPSVM½GEVI

Bernini ha saputo tenere insieme forma e contenuto, carne e spirito, come pochi altri, organizzando una “fab-brica d’arte” che ha dato splendore inesauribile alla Roma capitale del cattolicesimo. Attraverso il lavoro pratico si metteranno letteralmente “le mani in pasta” per arrivare a comprendere questo nesso tra impronta della mano e impronta dello spirito, attraverso la modellazione di una scultura policroma.

Unità 6

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Percorso didattico

Aspetto affascinante del lavoro dello scultore è quello della trasformazione della materia, e in questo Bernini ha dato esempi incredibili, a partire dal celeberrimo gruppo di Apollo e Dafne, alla Galleria Borghese, in cui il conte-nuto dell’opera diventa incarnazione stessa del mestiere dello scultore, che trasforma una materia in un’al-tra: come la carne di Dafne diventa corteccia, rami e foglie, così il duro sasso era prima diventato morbida pelle e aerei capelli. Un’opera invece forse non investita dei sacri incensi, ma molto utile a riguardo del nostro tema è la famosa Fontana dei quattro

fi umi di piazza Navona a Roma. In

quest’opera (e negli studi preparatori) si evince una volontà di rendere la potenza della natura, ma più che sui possenti ed esuberanti nudi che per-sonifi cano i quattro fi umi della terra, è interessante concentrare l’attenzione sulle creature animali e vegetali che la popolano. Sulla fontana sono raffi gu-rati sette animali, (oltre alla colomba

bronzea in cima all’obelisco ed ai del- Bernini, Fontana dei Quattro Fiumi, Roma, piazza Navona fi netti nello stemma dei Pamphilj),

dis-seminati attorno a tutta la fontana ed in stretta relazione, insieme alle piante, con le personifi cazioni dei fi umi: sul

lato occidentale un cavallo esce dalla cavità delle rocce con le zampe an-teriori sollevate nell’atto di slanciarsi in un galoppo sfrenato sulle pianure

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cuola in atto ARTE E IMMAGINE

1 F. Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio.

Lorenzo Bernino, Firenze 1682, a cura di S.S. Ludovici, Milano 1948, p. 141. danubiane coperte di fi ori che

inco-ronano la testa del fi ume; un gruppo di cactus e un coccodrillo dall’aspetto un po’ fantasioso che spunta dall’an-golo settentrionale, vicino al Rio della Plata; un leone sul lato orientale che sbuca, come il cavallo, dalla cavità delle rocce per abbeverarsi ai piedi di una palma africana che si innalza fi no alla base dell’obelisco; un dragone che si avvolge intorno al remo tenuto dal Gange; e poi un serpente di terra striscia nella parte più alta, vicino alla base dell’obelisco, e infi ne un serpente di mare e un delfi no (o un grosso pe-sce) nuotano nella vasca con le bocche aperte, avendo entrambi la funzione di inghiottitoio delle acque (un origi-nale espediente). Gli alberi e le piante che emergono dall’acqua e che si tro-vano tra le rocce sono anch’esse tutte rappresentate in scala più elevata. Le creature animali e vegetali, generate da una natura buona e utile, apparten-gono a razze e a stirpi grandi e potenti. Lo spettatore, girando intorno all’im-ponente fontana, può scoprire nuove forme o particolari che da un’altra vi-suale erano nascosti o quasi del tutto coperti dalla massa rocciosa. Il Bernini vuole suscitare meraviglia in chi am-mira la fontana, componendo un pic-colo universo in movimento ad imita-zione dello spazio della realtà naturale. Si tratta di un paesaggio in cui l’e-lemento pittorico tende a prevalere, con lo scoglio, con l’anfratto da cui esce un animale selvatico o su cui c’è una pianta rampicante.

Il Bernini riesce anche ad ottenere vive sensazioni atmosferiche: in-fatti un vento impetuoso colpisce la palma e ne scuote la chioma che urta contro la roccia, scompigliando

anche la criniera del cavallo e dando l’impressione di sibilare tra gli an-fratti della rupe. Lo scoglio centrale è concettualmente impressionante: Bernini invece che scolpire il travertino grezzo per ricavarne forme rifi -nite ha lavorato nel senso opposto, ritrovando la forma naturale della roccia così come essa è modellata dalla natura.

A lavoro concluso, il Bernini volle dare colore alle rocce, alla palma, alle peonie, alle agavi, e applicò vernice dorata in vari punti. Così, all’illusio-nismo dell’insieme, si aggiungeva una componente coloristica ancora più accentuata.

Il lavoro che si propone consiste nella modellazione di una scultura policroma.

Si può sperimentare un materiale nuovo come la pasta di fecola di pa-tate: 500 grammi di fecola di patate im-pastate con colla vinavil q.b. e un poco di olio (l’olio per il corpo Johnson’s è l’ideale) daranno origine ad una pasta bianca estremamente modellabile e compatta, che una volta lasciata essic-care assumerà la consistenza e il peso della porcellana e potrà essere colorata con colori a tempera o acrilici o smalti. La facilità di reperimento e il basso costo rendono questa soluzione mate-rica ideale per la scuola. L’attenzione da avere è riguardo alla superfi cie di lavoro: dovrà essere pulita immedia-tamente dopo la modellazione oppure essere destinata a trattenere grumi dell’impasto diffi cilmente asportabili. Il procedimento assomiglia molto e quello della cucina e in effetti ci sono analogie tra le arti, la cosa interessante sarà per i ragazzi quella di vedere sfrut-tare potenzialità dei materiali insoliti,

ma comuni. Si sceglierà una forma naturale semplice ed espressiva (un ortaggio come il peperone o un frutto come l’ananas sono l’ideale) per fare in modo che l’effetto fi nale raggiunga il risultato illusionistico proprio della concezione barocca: stupore e mera-viglia di fronte non tanto all’abilità dell’artista ma alla forza di richiamo alla fi sicità e alla vita insita nella ma-teria, come si diceva del Bernini che “... Vinto haveva la diffi cultà di render il marmo pieghevole come la cera... E ‘l non haver ciò fatto gli antichi artefi ci esser forse provenuto dal non haver loro dato il cuore di render i sassi così ubbidienti alla mano, come se fossero stati di pasta”1.

La forma dell’ortaggio sarà più effi cace quanto più bizzarra, secondo il senso originale della parola portoghese

bar-roco: bizzarro, irregolare, meraviglioso.

Percorso valutativo

I criteri di valutazione del lavoro pra-tico si evincono dalla spiegazione del lavoro stesso: la comprensione della forma tridimensionale a tuttotondo, la cura nel dettaglio, la precisione della colorazione; ma non bisogna dimen-ticare l’ordine nel metodo di lavoro e la capacità di contenere il livello di sporco nell’ambiente e in se stessi. Per quando riguarda una verifi ca te-orica si dovrà ovviamente allargare il campo della trattazione ad altre opere di Bernini e del periodo Barocco, cercando di fare domande che pun-tino alla verifi ca della comprensione dell’aspetto concettuale, cioè del l’in-tento con cui l’opera é creata, per esempio chiedendo per quale scopo e secondo quale immagine è stato concepito il colonnato di Piazza San Pietro, e perché è stata scelta la forma ellittica aperta invece che quella cir-colare. Infatti la comprensione del le-game tra forma (ellittica, per restare nell’esempio) sensazione che essa genera (dinamicità e apertura) e si-gnifi cato (abbraccio universale della Chiesa) è centrale.

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ARTE E IMMAGINE

Classe terza

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Percorso didattico

Non si può non prendere sul serio il senso di sconcerto e di smarrimento che prende i ragazzi (ma anche i non ragazzi) di fronte alle opere di Pi-casso. Infatti quello che egli ci mostra è la realtà, ma in un modo talmente strano e a tratti irriconoscibile – al-meno secondo l’abitudine comune – che siamo innanzitutto quasi re-spinti dall’aspetto poco familiare che le cose assumono nei suoi quadri. Eppure ne siamo anche affascinati: la forza espressiva di sintesi quasi primitiva che le sue fi gure – perché sempre di fi gure si parlerà: mai Pi-casso farà dell’arte astratta, così lon-tana dal suo spirito “divoratore” di realtà – dicevamo che ci sentiamo attratti perché sentiamo che qualche cosa di profondo, viscerale e ultima-mente umano affi ora dalle sue fi gure. L’affronto di questo problema partirà da questa esperienza di sconcerto affi nché possiamo cercare di andare fi no in fondo alla domanda su che cosa sia l’arte.

1 G. Stein, Picasso, Adelphi, Milano 1973,

p. 78.

2 D. Hockney, Picasso, Abscondita,

Mi-lano 2001.

Pablo Picasso è uno dei massimi artisti del ‘900, inafferrabile nelle continue metamorfosi del suo stile ma in fondo do-QMREXSHEYR´YRMGEYVKIR^ETSWWIHIVIPEVIEPXkIVMGVIEVPE in mille diverse forme. Il suo contributo alla riscoperta HIPP´EVXIGSQIFIRTM GLI±GSTME²HIPPEVIEPXkrIRSVQI I WEVk YXMPMWWMQE EM VEKE^^M TIV MRXVSHYVWM EPP´EVXI HIP³ dove sconvolgimenti analoghi avverranno in modo sem-TVI TM  JVIUYIRXI IH IWXVIQS 3WWIVZERHS GSQI UYMRHM dalla bravura “accademica” giovanile avvenga il passaggio al TIVMSHSFPYVSWEEPGYFMWQSEREPMXMGSIWMRXIXMGS½RSEPPE QEXYVMXkMRGYMHSQMREWSPSPETIVWSREPMXkHM4MGEWWSEPHM PkHMUYEPYRUYI±WXMPI²0EGSWETM MQTSVXERXIGLIWMTY{ imparare da lui è la sintesi espressiva della forma, che “dice” TM HMUYEPYRUYIGSTMEJIHIPIHIPP´ETTEVIR^E

Unità 6

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Essa è bellezza? Sembra che i dipinti dello spagnolo che non vogliano avere niente a che fare con la bel-lezza, almeno così come è comune-mente intesa è proprio per questo egli ci interessa, perché introduce in una visione del mondo che non è con-venzionale. Gertrude Stein afferma che Picasso ha lottato per “cercare di non vedere la realtà come la vedono tutti: perfi no “I surrealisti continuano a vedere le cose come le vedono tutti, le complicano in maniera differente, ma la visione è quella di tutti. In poche parole, la complicazione è quella del Novecento, ma la visione è quella dell’Ottocento. Solo Picasso vede qualcos’altro, un’altra realtà. Le complicazioni sono sempre facili, ma una visione diversa da quella di tutti è molto rara. Ecco perché i geni sono rari: complicare le cose in modo nuovo è facile, ma vedere le cose in modo nuovo è diffi cile. Tutto si op-pone: abitudini, scuole, vita d’ogni giorno, ragione, bisogni della vita d’ogni giorno, indolenza, tutto si

op-pone. Ecco perché a questo mondo i geni sono pochissimi”1.

A questo punto è quindi utilissimo confrontarsi con la fotografi a che prenderemo (forse un po’ forzan-dola) come esemplificazione del modo di vedere comune, che resti-tuirebbe la realtà “per quella che è”. Il confronto tra fotografi a e pittura farà vedere che cosa la pittura può

dire che la fotografi a non può dire,

non solo l’apparenza ottica della re-altà ma qualcosa di più. Il piccolo libro di David Hockney su Picasso2

affronta esattamente questo tema ed è ricco di spunti. Il Cubismo se-condo Hockney ha sfondato quella parete ideale, invisibile eppure resi-stentissima che era costituita dalla visione prospettica rinascimentale e

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che ha dominato per lungo tempo la rappresentazione della realtà fi no al ’900. Nell’ultimo secolo infatti alcuni artisti ma soprattutto Picasso deci-dono di abbandonare quella che era di fatto una convenzione, certo molto razionale è scientifi camente fondata ma pur sempre una modalità come un’altra di vedere il mondo, non l’unica (cosa che era stata probabil-mente a torto della prospettiva stessa assunta come postulato).

Picasso quindi con il Cubismo ab-batte quella parete nella quale si apriva, come una fi nestra, il quadro con il suo spazio illusorio; la abbatte per recuperare un rapporto corpo a corpo con le cose: “Il Cubismo, in sostanza, abbatte il muro, distrugge la fi nestra. [...] Il cubismo ha dun-que a che fare con la nostra presenza corporea nel mondo. Ha, certo, an-che a an-che fare con il mondo, ma più specifi catamente con il posto che noi occupiamo in esso e con il tipo di percezione che un essere umano può avere della vita”3. La visione non è più a distanza, separata da un oggetto a sé stante, ma una visione

esperienziale che si che si

costitui-sce come sintesi di momenti di cose vedute in istante per istante. Come “un bambino vede la faccia di sua madre, e la vede in modo comple-tamente diverso da come la vedono gli altri. Non sto parlando dell’anima della madre, ma dei tratti, dell’intera faccia; il bambino la vede molto da vicino, è una faccia grande per gli occhi di un piccino, il bambino, per un po’, vede solo una parte della fac-cia della madre, conosce un tratto e non l’altro: alla sua maniera, Picasso conosce le facce come un bambino, conosce le facce, la testa, il corpo. [...] nessuno aveva mai provato a rappresentare le cose vedute non come si sa che sono, ma come sono quando uno le vede senza ricordare di averle guardate”4.

Picasso cerca di recuperare questo rapporto originario più primitivo e più arcano con le cose quasi volen-dole smontare e rimontare secondo una sua personalissima visione in cui certo ciò che domina non è più

l’interezza del dato, ma una visione

soggettiva e deformante che si appro-pria degli oggetti e delle fi gure. Nel rapporto quindi tra fotografi a e pittura prenderemo in esame un’o-pera: il Massacro in Corea che grazie alla geniale analisi di Hockney risulta essere potentemente esemplifi cativo di quanto stiamo dicendo: “Perso-nalmente, lo considero una straor-dinaria critica della fotografi a”5. In questo per infatti possiamo vedere due gruppi di persone (secondo la composizione che già fu di Goya): da una parte i soldati resi quasi si-mili a robot, con armature di sapore Medioevale, con un che di mecca-nico ma anche di nobile; e dall’altra parte i donne e bambini che subi-scono la violenza e che hanno un aspetto totalmente indifeso, nudi e grigi come sono. “Dal quadro emerge chiaramente da che parte sta Picasso, come la sua compassione sia rivolta all’umanità comune e umiliata, alle donne e ai bambini, e questo non ci stupisce. Una fotografi a non avrebbe potuto ritrarre una simile scena così come la ritrae questo quadro, in quanto il fotografo avrebbe dovuto essere solidale con i soldati. Chi com-mette massacri in genere non ama fotografi , soprattutto quelli che non stanno dalla sua parte”6.

Hockney afferma quindi che ci sono aspetti della percezione umana come il sentimento, il pensiero, il giudizio,

che la fotografi a non è in grado di comunicare con la stessa intensità. “Il tempo, lo spazio, la memoria, il desiderio... Si aveva ancora bisogno della mano e dell’occhio del pittore per comunicare tutto questo. E se ne avrà sempre bisogno”7.

Lavoro pratico e

Nel documento CITTADINANZA E FRATERNITÀ 7 20 15 (pagine 103-107)

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