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4. Il programma di trattamento

4.2 Il lavoro di pubblica utilità

È noto come il lavoro che, nel nostro ordinamento giuridico assume valore centrale, sia uno dei principali elementi del trattamento rieducativo di condannati ed internati, in quanto fonte di utilità sociale e suscettibile di ridurre la recidiva, realizzando l’integrazione e l’inclusione sociale, mercé l’acquisizione di una professionalità spendibile all’esterno.

Condividono la medesima funzione risocializzante: il lavoro carcerario disciplinato dalla l. 354/1975, ed anche altri istituti, applicabili a soggetti non in vinculis, cui il legislatore sembra continuare a concedere credito nonostante i risultati statisticamente non incoraggianti. Si tratta del “lavoro sostitutivo” e del “lavoro di pubblica utilità”.

Tralasciando il primo, la riflessione qui svolta intende focalizzare l’attenzione sul secondo, in quanto costituisce contenuto indefettibile della nuova misura, del quale l’art. 168-bis, co. 3, c.p., offre una definizione mutuata da quelle già contenute in disposizioni vigenti che contemplano la misura quale pena sostitutiva79.

Si tratta di prestazioni non retribuite in favore della collettività, affidate tenendo conto <<delle specifiche professionalità e attitudini lavorative dell’imputato>>, articolato secondo un orario giornaliero non superiore alle otto ore, da svolgere per non meno di dieci giorni, anche non continuativi, e da modulare in termini compatibili con le esigenze di lavoro, di studio, di

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O. Murro, La riparazione del danno.., Cit., p. 143.

79 In tal senso, art. 54 d. lgs. n. 274/2000, in tema di competenza penale del giudice di

pace; artt. 186, comma 9-bis e 187, comma 8-bis, d. lgs. n. 285/1992; art. 173, commi 5-bis e 5-ter, D.p.r. n. 309/1990 o quale obbligo correlato alla sospensione condizionale di pena, ex art. 165 c.p..

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famiglia e di salute dell’imputato, ai sensi dell’art. 167-bis, 3 co. c.p., infatti, il lavoro gratuito deve essere contemperato con le varie esigenze individuando il tipo e la quantità di prestazioni lavorative che l’imputato può svolgere nell’interesse pubblico, sottraendolo al tempo che normalmente egli dedicherebbe ad attività voluttuarie. La centralità del lavoro gratuito nell’economia della misura è confermata dalla previsione di cui all’art. 168-quater c.p., che individua il rifiuto opposto dall’imputato alla prestazione di lavoro di pubblica utilità come autonoma causa di revoca anticipata; da quella del nuovo art. 464-bis, co. 4, lettera b), c.p.p., che indica tali prescrizioni combinate con attività di volontariato di rilievo sociale come contenuti obbligatori del programma di trattamento; e anche il disposto del nuovo art. 141-ter, co. 3, disp. att. trans. c.p.p., che richiede, tra gli allegati che devono corredare il programma di trattamento da sottoporre al giudice in vista dell’ammissione della misura, l’adesione dell’ente presso il quale l’imputato è chiamato a svolgere le proprie prestazioni, locuzione talmente perentoria quest’ultima, da non lasciare alcun margine di dubbio. Poiché la l. 67, al di là della sommaria enunciazione, non tassativizza i contenuti e i confini del profilo del lavoro gratuito prescritto in tema di messa alla prova per adulti, può essere di ausilio un richiamo alle altre ipotesi conosciute nel nostro ordinamento.

La fattispecie più nota è quella sub art. 54 d. lgs. 274/2000, riconducibile ai paradigmi di giustizia riparativa, cui sovente rinviano altre disposizioni che prevedono il lavoro di pubblica utilità. L’art. in parola delinea una vera e propria sanzione penale, applicabile dal giudice di pace, ma solo su richiesta dell’imputato, entro “limiti edittali” minimi e massimi (si specifica nella disposizione che la fattispecie non può essere inflitta per un tempo inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi).

La norma affida la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità, consistente in attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni o presso enti ed organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, ad un decreto del Ministro della giustizia di intesa con la Conferenza unificata, il

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d.m. 26 marzo 2001, n. 41391, e si regge sullo strumento della convenzione da questo previsto, sulla cui operatività peraltro, la dottrina ha manifestato perplessità legate alla difficoltà di stipulare convenzioni con gli enti interessati80.

Altre ipotesi riconducibili al lavoro sostitutivo sono previste nel codice della strada per i casi di guida in stato di ebrezza come conseguenza dell’utilizzo di bevande alcoliche e di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti. Esse accordano la possibilità di sostituire la pena detentiva e pecuniaria anche con il decreto penale di condanna e, diversamente dall’art. 54 d. lgs. 274/2000, nonostante l’assenza di una contraria volontà dell’imputato, è cioè sufficiente che non risulti la sua opposizione manifesta.

Che il lavoro di pubblica utilità costituisca nel sopracitato caso innanzi al giudice di pace una sanzione criminale non pare revocabile in dubbio; più complesso è invece l’inquadramento della natura giuridica quale sanzione sostitutiva tout court nel caso del codice della strada. Anche con riferimento alla legge n. 67 è comunemente riconosciuto che la previsione obbligatoria del lavoro di pubblica utilità costituisca il nocciolo sanzionatorio della nuova misura. È proprio partendo da detta previsione che, in dottrina, definiscono l’identità strutturale del nuovo istituto come una <<cripto- condanna>> o paventano il rischio che, concludendosi il procedimento, nel caso di insuccesso o revoca della messa alla prova, con una sentenza assolutoria, resti prova di causa la prestazione lavorativa eseguita, che assumerebbe a posteriori <<carattere indebito, e dunque ripetibile ex art. 2033 c.c.>>81.

Allora a prescindere da tali rilievi, quali la sufficienza o meno del consenso dell’interessato a dissipare i dubbi in ordine alla compatibilità della norma rispetto all’art. 4 della CEDU, che vieta la forzata imposizione di prestazioni di lavoro, la connotazione sanzionatoria del lavoro di pubblica utilità indice a rilevare, come una lacuna significativa, la mancata previsione cui il

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L. Pulito, op. cit., p. 103.

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giudice deve attenersi nel vaglio di congruità della sua durata complessiva e della sua intensità82.

La legge n. 67, infatti, individua l’estensione temporale della misura in parola solo rispetto la durata minima di questa, prevedendo come all’art. 54 d. lgs. 274/2000 un minimo di dieci giorni, e anche qui chiaramente indicata; quella massima, in assenza di diverse indicazioni specifiche nella normativa, deve ritenersi possa coincidere con i termini massimi del procedimento (uno o due anni, a seconda della natura della pena edittale); è prevista poi un’intensità quotidiana di otto ore giornaliere, senza indicazione del minimo.

Non risultando necessario che la prestazione del lavoro gratuito copra l’intero periodo della sospensione, dal momento che, diversamente, non avrebbe senso la previsione di un limite minimo di dieci giorni, resta il problema di individuare gli indici commisurativi. Escluso che possano trovare applicazione i criteri dettati nei casi in cui il lavoro gratuito è previsto come pena sostitutiva a quella detentiva, sia perché la messa alla prova e la prestazione lavorativa che vi è inclusa si applicano anche a reati sanzionati con pena esclusivamente pecuniaria, sia perché qui manca, per definizione, una condanna che possa fungere da limite a parametro di “ragguaglio”, si è proposta l’applicazione in via analogica degli indici dettati dall’art. 133 c.p. per la commisurazione della pena, con una prospettiva che tenga conto, a un tempo, della valutazione della gravità concreta del reato e dal quantum di colpevolezza dell’imputato, nonché delle sue necessità di risocializzazione83.La soluzione lascia troppi margini di ambiguità e potrebbe incidere negativamente sulla scelta di aderire alla messa alla prova.

Certo è che il legislatore ha esaltato l’essenzialità del lavoro di pubblica utilità, superando le perplessità di coloro che, evidenziando il rischio che il mancato rinvenimento del lavoro nonostante una seria ricerca del medesimo

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Critico in relazione alla ampia discrezionalità del giudice rispetto al lavoro di pubblica utilità, tanto da dubitare della legittimità costituzionale della legge, sotto il profilo dell’assenza di determinatezza, R. Bartoli, Una goccia deflattiva nel mare del sovraffolamento?, in Dir. pen. e proc., fasc. n. 6, 2014, Cedam, pp. 661.

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od il suo disagevole espletamento in rapporto al singolo caso concreto penalizzassero gli imputati, suggerissero di contemplarlo eventuale, o quanto meno sostituibile con una misura compensativa. Dall’altro lato, però, la presenza di una siffatta prescrizione rende più alto il grado di compatibilità con le caratteristiche enunciate a livello di diritto comunitario dei paradigmi di restorative justice.

Per rispondere alle giuste preoccupazioni, appena riportate, l’art. 8 della l. n. 67 del 2014 prevede l’adozione da parte del Ministro della giustizia o dei Presidenti di tribunale delegati, entro tre mesi dalla data di sua entrata in vigore, di convenzioni da stipulare con gli enti o le organizzazioni, ciò non lascia necessariamente intendere, però, che tali convenzioni siano presupposto indefettibile per il collocamento del “messo alla prova” presso un determinato ente.

Nel corso delle audizioni dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati era emersa quale causa dello scarso successo del lavoro gratuito proprio il timore delle organizzazioni di assumere, stipulando le convenzioni, il rischio di dover accertare che i soggetti affidateli dessero più problemi che vantaggi e di trovarsi continuamente esposte, in ragione della pubblicazione degli elenchi contenenti gli istituti convenzionati, al contatto con tali soggetti

La libertà di assegnare i “messi alla prova” ad enti non convenzionati, confermata dall’art. 141-ter disp. att. trans. c.p.p., che onera i servizi sociali di corredare il programma di trattamento con l’adesione dell’ente o del soggetto presso il quale l’imputato è chiamato a svolgere le proprie prestazioni, che dovrebbe agevolare la sperimentazione dell’impiego di questa categoria di soggetti a favorire poi la consapevole adesione al sistema della convenzioni, consentendo così di superare i risultati non lusinghieri sino ad oggi conseguiti sul piano operativo del lavoro di pubblica utilità.

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