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La richiesta di messa alla prova: tempi, formalità e allegazioni

FORMALITÀ E ALLEGAZIONI

Se gli appena citati presupposti sono presenti allora si apre la possibilità per l’imputato di proporre istanza per l’applicazione della messa alla prova. Questa misura, quindi per gli imputati maggiorenni, si atteggia come strumento nella esclusiva disponibilità dell’imputato che può accedere, su sua richiesta, per evitare il trattamento sanzionatorio classico. Mentre nel processo a carico di imputati minorenni, la messa alla prova funge da strumento di educazione la cui applicazione nel caso concreto è sostanzialmente rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, senza

57 La giurisprudenza formatasi sulla questione attiene al reato di guida in stato di ebrezza,

reato non più di competenza del giudice di pace; tuttavia per un’analisi della questione, Vedi, Cass. Pen., Sez. IV, n. 39563 del 2007.

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peraltro occuparsi, quanto meno nella fase di ammissione, del consenso esplicito del soggetto interessato. Quindi nel processo a carico dei maggiorenni l’istituto rappresenta un trattamento sanzionatorio anticipato ed attenuato rispetto a quello detentivo e pecuniario, applicabile solo su richiesta dell’imputato il quale, attraverso la prova, dimostrerà la sostanziale inutilità delle forme tradizionali e più afflittive di punizione.

La richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, dunque, può essere formulata solo dall’imputato, ai sensi dell’art. 464-bis c.p.p.. Un atto volontario del soggetto interessato per l’attivazione del procedimento in parola è evidentemente inevitabile. La messa alla prova, infatti, non solo rappresenta una forma di esecuzione anticipata di sanzione penale, in deroga al principio di formazione nel contraddittorio della prova, da un pieno accertamento della responsabilità, ma poiché essa prevede, per la sua concreta attuazione, l’adempimento di prestazioni di facere, come il lavoro di pubblica utilità, l’assenso dell’imputato diventa imprescindibile.

La differenza, di quanto previsto nel processo minorile, continua anche rispetto i termini ultimi per richiedere l’applicazione della prova. Quest’ultima può essere esperita sia in sede di indagini preliminari, sia in una fase un po’ più avanzata del procedimento, ma comunque mai dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento.

Per quanto riguarda la prima ipotesi viene disciplinata dall’art 464-ter c.p.p.. In tal caso, il giudice delle indagini preliminari, cui la richiesta deve essere presentata, trasmette gli atti al pubblico ministero. Tra gli atti che debbono essere portati a conoscenza di quest’ultimo si annovera la richiesta di applicazione del probation, presentata dall’indagato e redatta con le formalità di cui all’art. 464-bis, co. 3, c.p.p. e come allegazione necessaria figura anche il programma di trattamento che dovrà essere seguito durante il periodo di prova; ma nei casi in cui il programma non sia stato elaborato, per la strettezza dei tempi e per non incorrere in decadenze, la prassi applicativa ha dimostrato che si ritiene sufficiente anche la presentazione della relativa richiesta di elaborazione all’organo competente (gli Uffici di esecuzione penale esterna). Questa peculiarità si ritiene essenziale per

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corroborare il convincimento che la richiesta effettuata non sia un mero modo per far decorrere inutilmente tempi processuali, ma sia accompagnata da un vero intento del soggetto richiedente di sottoporsi ad un progetto di rieducazione.

La legge prevede espressamente, poi, che il pubblico ministero, se la richiesta è fatta nel corso delle indagini preliminari, possa esprimere un atto di consenso o di dissenso nel termini di cinque giorni dalla trasmissione degli atti. La ratio della previsione risiede nella necessità di evitare che l’istanza di messa alla prova possa essere strumentalizzata dall’indagato al solo fine di bloccare le indagini e cristallizzare l’accusa, limitandola entro confini di una indagine ancora in fase meramente embrionale. Al contempo, la previsione attribuisce al pubblico ministero un ruolo attivo nella fase di valutazione della ammissibilità dell’istanza di sospensione e di idoneità del programma.

Nell’eventualità del consenso della pubblica accusa, lo stesso deve essere formalizzato con atto scritto, sinteticamente motivato e deve contenere la formulazione dell’imputazione. Quest’ultima, pertanto, costituisce contenuto necessario del provvedimento. La previsione dell’obbligo per il pubblico ministero di formulare l’imputazione trova fondamento nella duplice necessità: da un lato, cristallizzare l’accusa; dall’altro, di valutare, a quel momento, la serietà e concludenza delle indagini svolte59.

Sotto altro profilo, ovvero dal punto di vista dell’organo decidente, la formulazione dell’imputazione costituisce una vera a propria <<bussola>> con la quale il giudice, che nulla in astratto potrebbe conoscere delle indagini e del fatto di reato, può orientare le proprie decisioni in merito alla richiesta di probation formulata dall’imputato. La legge stabilisce che, in caso di consenso del pubblico ministero, il giudice provvede ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p.: in tale ipotesi, pertanto, il magistrato se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., decide con ordinanza nel corso di un’udienza in camera di consiglio appositamente fissata con le formalità di cui all’art. 127 c.p.p..

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Nel caso contrario, ovvero quando l’autorità procedente ritenga di non consentire, dovrà emettere provvedimento motivato. Nel testo non appare chiaro se, preso atto del dissenso, il giudice possa comunque accogliere l’istanza di messa alla prova, ma la previsione di cui all’art. 464-ter c.p.p., la quale sancisce la facoltà dell’imputato di rinnovare la richiesta prima dell’apertura del dibattimento, sembra presupporre che, nell’ipotesi di una richiesta di sospensione formalizzata nella fase delle indagini preliminari, il consenso del soggetto processuale in parola, costituisca condizione necessaria per l’ammissione della richiesta di sospensione del procedimento. Quanto agli effetti della sospensione eventualmente disposta in fase di indagini preliminari, in carenza di una specifica previsione derogatoria, deve ritenersi che, una volta disposta dal giudice, anch’essa determini una sospensione del termine di prescrizione del reato.

I tempi e le forme della richiesta sono dunque gli stessi previsti dagli artt. 438, co. 2 e 552 c.p.p. per il giudizio abbreviato, ovvero comunque il temine massimo per proporre la richiesta è nel giudizio, precisamente entro la dichiarazione di apertura del dibattimento. Da questa constatazione, non sfugge una prima lacuna, certamente eccepibile sul piano costituzionale, in cui è incorso il legislatore, il quale, nel concepire la messa alla prova come procedimento speciale, ha omesso di apportare le opportune modifiche agli avvisi contemplati nella lett. f) dell’art. 552.

L’art. 464-bis, co. 2, c.p.p., poi, disciplina il procedimento di sospensione nei riti speciali. Tenuto conto della funzione che il procedimento di messa alla prova svolge, è evidente che esso possa innestarsi solo ed esclusivamente nell’ambito del giudizio direttissimo, immediato e nel procedimento per decreto60. Nelle prime due ipotesi la richiesta va presentata al giudice per le indagini preliminari nel termine ultimo di 15

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L’esame della disposizione che regola tale innesto non sembra dare luogo a particolari difficoltà, ma comunque presenta una lacuna, che può dare luogo a rilievi di costituzionalità: il giudice nell’avvisare l’imputato della facoltà di richiedere i riti speciali, è obbligato ad informarlo della possibilità di richiedere tutti i riti disciplinati del codice procedurale, ma non anche dell’eventualità di poter accedere alla probation.

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giorni e con le forme stabilite dall’art. 458, co. 1, c.p.p.. Nella seconda eventualità, la richiesta va presentata con l’opposizione61.

Sempre in analogia a quanto previsto per il giudizio abbreviato, poi, si è stabilito nella prassi, che la volontà dell’imputato debba essere espressa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale con sottoscrizione autenticata con le forme di cui all’art. 583, co. 3, c.p. (da parte del notaio, ovvero da parte di altra persona autorizzata, o ancora dal difensore). Peraltro, la richiesta può pervenire tanto per iscritto, quanto oralmente62. Questa accortezza nel disciplinare le formalità della richiesta è espressione di una particolare attenzione, da parte del legislatore, all’elemento della volontarietà della richiesta che figura come imprescindibile. Da un lato, perché l’istituto in parola si presenta come rito estremamente tecnico, per cui si rende indispensabile verificare la comprensione del significato e delle conseguenze che comporta l’applicazione del probation. Si deroga, infatti, a regole importanti e fondanti il diritto di difesa dell’imputato per cui il consenso deve essere consapevole ed informato sulle ripercussioni che si producono sul piano difensivo. Dall’altro perché la ratio essendi della norma impone che l’adesione alla prova sia spinta dalla volontà del soggetto di predisporre un cambiamento personale e un percorso dialogico-riparativo con la persona offesa dal reato: se non vi fosse una piena consapevolezza e volontarietà di adesione alla misura tali obiettivi sarebbero indubbiamente mortificati.

Una volta formulata la richiesta il giudice si troverà di fronte l’arduo compito di valutare l’idoneità del progetto di prova; oppure nei casi in cui, per i tempi troppo stretti, con la richiesta di accesso alla probation sia stata allegata meramente la dimostrazione di una già pervenuta richiesta agli uffici di esecuzione penale esterna di elaborazione di un programma di trattamento, si dovrà attendere l’elaborazione di quest’ultimo e poi passare alla sua valutazione di idoneità.

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V. Bove, L’istituto della messa alla prova per “adulti”: indicazioni operative per il giudice e provvedimenti adottabili, in Diritto penale contemporaneo, 2014, pp. 8-9.

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