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Le capacità da sviluppare per partecipare

Tipo 4: La partecipazione minimale

2. Gli scenari futuri: prospettive e strumenti per partecipare

2.3. Le capacità da sviluppare per partecipare

Nonostante le criticità e anche le difficoltà evidenziate nel quadro generale, nei processi di programmazione locale e più in generale nella complessa realtà del welfare odierno si aprono spazi di partecipazione e innovazione che rappresentano opportunità ma anche sfide da cogliere.

Un ruolo importante è sicuramente quello giocato dalle amministrazioni locali, a cui rimane in capo un compito di indirizzo, di regia complessiva, facilitando la tutela dei diritti di cittadinanza, l’integrazione trasversale tra politiche settoriali, indicando una prospettiva di senso che sia sostenibile anche tenendo conto delle risorse disponibili e da attivare.

Molto importante però è anche il ruolo che può giocare il Terzo settore, e per estensione le Caritas locali, in modo da poter partecipare attivamente ai processi ed essere stimolo al cambiamento.

Si può quindi provare a individuare alcune capacità che i soggetti delle Caritas e in generale del Terzo settore possono sviluppare, per giocare

presente legge e secondo la normativa vigente, indipendentemente dal loro inserimento nella rete delle unità di offerta sociali (art. 3, comma 2)

16 Si tratta degli “enti riconosciuti delle confessioni religiose, con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, che operano in Ambito sociale e sociosanitario” (art. 3, c. 1 d))

pienamente questo ruolo. Alcune capacità possono essere sviluppate da ogni soggetto al proprio interno, per così dire “per conto proprio”, mentre altre capacità sono più propriamente “di rete”, cioè riguardano molto da vicino il lavoro comune tra i diversi stakeholder o attori/portatori di interesse.

Le parole chiave da tenere presenti sono quelle del metodo Caritas (ascolto, discernimento, azione) che possono aiutare a costruire una

“cassetta degli attrezzi17” non solo per collaborare alla programmazione locale e ai processi partecipativi dei Piani di Zona, ma più in generale per

“prendersi cura” e promuovere il senso di comunità, (attraverso processi di community building e community development) svolgendo una funzione

“politica” e culturale che è insita nel mandato stesso di Caritas.

Capacità di visione complessiva degli scenari

La capacità di visione complessiva degli scenari implica la consapevolezza delle poste in gioco nelle arene partecipative del welfare locale e la capacità di indicare degli obiettivi realistici ma ambiziosi a cui tendere. Nello stesso tempo a partire dall’analisi dell’esistente, occorre fare il passaggio verso l’elaborazione di prospettive critiche ma allo stesso tempo costruttive (il passaggio dalla dimensione descrittiva a quella prescrittiva del “dover essere”), in modo tale che siano comprensibili e comunicabili agli interlocutori di riferimento. Diventa quindi importante imparare a leggere la realtà soprattutto con riferimento al territorio in cui si opera, cercando di discernere la complessità, superando la frammentazione che consegue da un tentativo di lettura “scomposta” e settoriale attraverso la ricomposizione in un quadro complessivo di senso.

Per poter riconoscere e interpretare la complessità in modo da poter fornire delle risposte occorre quindi conoscere:

• il contesto sociale, attraverso un costante aggiornamento su aspetti e mutamenti economici, politici, culturali

• le diverse dimensioni materiali, sociali e psicologiche del bisogno

• i sistemi istituzionali e sociali di risposte: le politiche sociali e i loro strumenti, il terzo settore e le sue forme di azione, tenendo presenti anche i principali strumenti legislativi e le possibilità di attivazione di risorse attraverso bandi, leggi di settore ecc. messi a disposizione dai finanziatori pubblici e privati (enti locali, Unione Europea ecc.

ma anche realtà del privato sociale quali le fondazioni attive sul territorio).

17 Cfr. E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello

Capacità programmatoria

“Programmare” significa sostanzialmente identificare linee di indirizzo generali per indirizzare le politiche in un periodo di riferimento in genere pluriennale, sapendo quindi discernere le priorità di lungo, medio e breve periodo e individuare poi le condizioni di fattibilità, le modalità di raggiungimento degli obiettivi, i criteri di valutazione dei risultati raggiunti.

Quest’ultimo elemento, talvolta trascurato, è particolarmente importante in quanto sancisce il “ciclo di vita” delle politiche: in base alla valutazione degli impatti effettivamente verificatisi si opera infatti la connessione rispetto alla nuova fase di programmazione, facendo tesoro delle buone pratiche o degli errori di strategia precedentemente effettuati in modo da orientare in senso “virtuoso” i nuovi indirizzi e linee generali. Attraverso questo meccanismo, si è in grado di immettere nella programmazione l’elemento della conoscenza che si sviluppa nel corso del processo stesso, alimentando un ciclo continuo di apprendimento che lasci spazio alla sperimentazione e all’innovazione.

Questa fase non è propria solo del decisore pubblico, benché questo mantenga ovviamente funzioni di regia e coordinamento complessivo. La legge 328/00 affida anzi alle realtà del Terzo settore compiti di co-programmazione, per cui è necessario essere consapevoli degli obiettivi generali che le politiche devono porsi, immedesimandosi in una duplice visione, bidirezionale (sia bottom up che top down).

Capacità progettuale

“Progettare” si può definire come “saper usare la creatività e le idee nuove che vengono dal basso per sperimentare forme di azione inedite, proporle nella loro efficacia e costruire così un’innovazione che non rimanga sperimentazione ma vada a regime”18. Tale attività si collega strettamente alla fase di programmazione (v. sopra) in quanto è quella che consente di elaborare la strategia di intervento attraverso la quale si trasforma il

“problema” in “obiettivo” tramite una serie di “attività” mirate ad ottenere determinati risultati/prodotti. Questo tipo di capacità è molto spesso vitale per le organizzazioni del Terzo settore, ma sempre più anche per gli enti locali, laddove all’aspetto programmatorio in sé si coniuga la necessità di possedere competenze tecniche tali da consentire di accedere, attraverso la progettazione stessa, a fonti di finanziamento che vedono il “saper progettare” come requisito fondamentale per ottenere risorse (bandi pubblici, leggi di settore, programmi messi a disposizione da fondazioni ecc.). Presupposto di una buona progettazione è la capacità di lettura dei

18 P. Cappelletti, M. Martinelli, Animare la città – Percorsi di community building, Erickson, Trento 2010

bisogni, sia in senso trasversale (la multidimensionalità della problematicità) sia in senso tecnico settoriale, riuscendo ad approfondire con taglio

“verticale” le problematiche stesse.

Etimologicamente “pro-gettare” significa “gettare ponti verso il futuro”, ossia capacità di pensare e intervenire sul domani, consapevolezza di

“poter fare” predisponendo le condizioni del cambiamento. Alla capacità di leggere il contesto di realtà (e saper valutare ex ante le condizioni di fattibilità del progetto stesso) deve quindi accompagnarsi anche un’elevata capacità immaginativa rispetto al futuro, sapendo trasformare i desiderata in vision. Altro aspetto rilevante rispetto alla progettazione è quello riguardante la “sostenibilità”, non solo in termini di attivazione di risorse esterne, ma anche rispetto alla propria struttura organizzativa: la costruzione partecipata di una progettualità nell’ambito di un’organizzazione deve tenere presenti anche le conseguenze strutturali del progetto stesso: molto spesso il progetto è occasione di crescita organizzativa e in termini di competenze per l’organizzazione stessa, che si ri-struttura a fronte di un obiettivo condiviso e misurabile anche temporalmente.

Capacità amministrativa

Ogni politica intesa come policy è portatrice di un linguaggio tecnico, di un bagaglio di procedure e di vincoli giuridici ed economici che non possono essere ignorati. Non si tratta di acquisire tale patrimonio tecnico in modo onnicomprensivo. Tuttavia il linguaggio “amministrativo” e le logiche che vi sottendono devono essere acquisiti quanto meno per essere in grado di interloquire con i tecnici a ciò preposti e sapere discernere le criticità orientandosi tra le possibili soluzioni alternative.

Complementari a tale competenza sono le conoscenze che già abbiamo elencato come necessarie per la comprensione del contesto di riferimento, rispetto al sistema istituzionale, a leggi, regolamenti, dispositivi a tutti i livelli, e alle diverse procedure di finanziamento attraverso canali pubblici e privati, che consentono di reperire risorse per nuove iniziative e progettualità.

Capacità di raccordo

Tale capacità si configura come strategica, in quanto permette di trattare in modo adeguato con gli altri attori in campo, cioè le amministrazioni e lo stesso Terzo settore. A tale scopo è indispensabile tenere presente che questi soggetti sono ciascuno portatore di un proprio set di interessi (ad es. la propria sostenibilità economica, la necessità di assicurarsi un contesto normativo favorevole ecc.): l’azione politica in sé rappresenta proprio il tentativo di contemperamento di questi diversi

interessi “settoriali” nel tentativo di riassumerli in un quadro più ampio teso a ricercare il “bene comune”. L’approccio di rete risulta spesso indispensabile per rispondere a tali finalità in un contesto sempre più caratterizzato da complessità organizzativa (con rischi di sovrapposizione di interventi su alcuni bisogni e di mancata risposta su altri che richiedono una conoscenza degli altri attori in gioco e un coordinamento fra le risposte stesse) nonché la pluralità dei soggetti del welfare territoriale e la necessità che questi operino in connessione (istituzioni pubbliche, cooperative sociali, Terzo settore in genere). In questo senso la capacità di raccordo si declina anche come capacità negoziale, che tuttavia assume anche una dimensione a sé stante in quanto accentua e valorizza l’attitudine a sapersi fare, in quanto stakeholder, portatori di determinati interessi ed esigenze, al contempo riconoscendo i limiti posti dagli interessi di altre realtà operanti nella stessa arena politica e sociale e ponendosi obiettivi realistici da ottenere attraverso un processo di dialogo e contrattazione sia con l’ente pubblico sia con gli altri attori paritetici.

Per tutti questi motivi molte organizzazioni si trovano oggi a dover pensare di dedicare alla rete apposite figure e strutture di comunicazione e di coordinamento che facilitino la conoscenza tra le diverse espressione della società e del welfare pubblico di un territorio e il raccordo tra le diverse realtà che ne fanno parte, valorizzando gli obiettivi e le metodologie comuni e nel contempo rispettando le diverse culture organizzative e di riferimento di cui sono portatori i vari stakeholder. Si tratta quindi di competenze (e rispettive figure) in grado di fungere da facilitatori, definibili come “attori in grado di promuovere e di attivare convergenze, mediare tra linguaggi e culture eterogenee, ricomporre diversità, proponendo un passo comune verso un bene condiviso”19. La facilitazione implica quindi capacità di costruzione e manutenzione del

“senso” e delle relazioni, ma anche doti di leadership laddove si renda necessario imprimere un indirizzo a processi spontanei di empowerment che però per funzionare hanno bisogno di essere agevolati.

Capacità di valutazione

Una volta innescati i relativi processi, gli effetti delle politiche devono essere valutati ossia sottoposti a un giudizio che evidenzi i punti di forza e di debolezza che devono essere poi tenuti in considerazione nel momento in cui si ricomincia il ciclo della programmazione.

A tale scopo è importante tenere presente la differenza tra monitoraggio e valutazione, benché tali termini siano spesso impropriamente utilizzati come sinonimi. Per valutazione si intende quel processo che cerca di

19 Cfr. la definizione di keyperson in P. Cappelletti, M. Martinelli, op. cit. pag. 201.

definire la validità, valenza e valore di quanto realizzato, ossia del come si è perseguito il cambiamento atteso sulla realtà; il monitoraggio invece attiene più specificamente alla coerenza logica interna del progetto stesso e al rispetto formale degli obiettivi e dei vincoli posti in fase di progettazione (ad es. con riferimento alla rendicontazione economica). La valutazione va dunque più in profondità, cercando di dar conto del

“successo” sostanziale del progetto anche in considerazione dell’uso che dell’esperienza progettuale si dovrà fare per il futuro: degli esiti della valutazione si deve infatti tenere conto allorché il ciclo ricomincia, nella fase di programmazione, ridefinendo strategie e obiettivi “politici” di medio e lungo termine. Questa funzione appare naturalmente propria del decisore politico, ma l’operatore Caritas e del Terzo settore in genere, che partecipa ai processi di programmazione, può supportare questo processo cercando di dare conto di quali siano effettivamente, in base alla sua esperienza e con riferimento al proprio territorio, gli effetti delle politiche sul “micro livello”, quello della cittadinanza. A tale scopo, è opportuno che l’operatore, per poter valutare con discernimento gli impatti concreti degli interventi attuati, mantenga una conoscenza attiva di quanto accade sul territorio, sia attraverso l’osservazione effettuata dal proprio punto di vista (si pensi al Centro d’Ascolto, alla parrocchia ecc.), sia attraverso l’interazione con gli operatori delle cooperative sociali e delle altre realtà del sistema Caritas che possono fornire dati significativi sull’andamento del bisogno e la risposta effettivamente fornita all’utenza.

E’ possibile costruire una sorta di tassonomia della valutazione (ma anche del monitoraggio):

- rispetto al profilo temporale (valutazione ex ante o studio di fattibilità, in itinere, finale a conclusione es. di un progetto, ex post ossia a distanza di tempo rispetto all’arco cronologico del progetto stesso). In questo senso si porrà attenzione a non limitare l’attenzione agli effetti immediati di un provvedimento o politica, ma a cercare di non “far cadere nel dimenticatoio” eventuali conseguenze più a lungo termine;

- rispetto al profilo soggettivo (interno, affidato all’organizzazione stessa che si auto-valuta; esterno, affidato a soggetti esterni il più possibile

“terzi” rispetto all’organizzazione valutata e all’eventuale finanziatore);

- rispetto agli indicatori di risultato, che possono misurare l’output (profilo tipico del monitoraggio, ossia verifica dell’ottenimento dei risultati previsti dall’iter logico del progetto stesso) e l’outcome (tipico della valutazione, rispetto all’impatto del progetto stesso rispetto ai problemi che si intendevano effettivamente risolvere). Anche qui si cercherà di non limitare la valutazione degli interventi con cui ci si confronta alla mera realizzazione formale di quanto previsto dalla “lettura” delle disposizioni, ma di indagare se quanto verificatosi rispetta lo “spirito” delle finalità

sociali che con le politiche si intendono portare avanti ed eventualmente segnalare criticità in questo senso, in modo che il decisore politico possa tenerne conto nella successiva fase di riprogrammazione.

Importante è inoltre definire rispetto a quali parametri e valori (e quindi in definitiva rispetto a quale visione prescrittiva della realtà) deve avvenire la valutazione stessa. Tipicamente, si parla di indicatori di rilevanza (quanto il progetto è coerente con i bisogni dei beneficiari cui si vuole dare risposta), efficienza (come la gestione del progetto ha contribuito alla trasformazione di risorse in risultati), efficacia (come i risultati raggiunti hanno contribuito al raggiungimento degli obiettivi specifici del progetto stesso), impatto (l’effetto sull’ambiente fisico, culturale, sociale e il contributo al raggiungimento degli obiettivi generali del progetto o delle politiche valutate), sostenibilità (capacità di ottenere risultati persistenti nel tempo).

Purtroppo spesso si riscontra che sia nel ciclo di progetto che nel ciclo di vita delle politiche il momento della valutazione viene trascurato, sia per lo sforzo in termini di risorse ma anche culturale che questo comporta, sia perché può essere difficile o “impopolare” valutare i risultati delle proprie politiche avendo il coraggio di cambiare rotta prendendo coscienza delle criticità verificatesi. Sarebbe invece importante favorire l’affermarsi di una cultura della valutazione (e del’autovalutazione) più consapevole e puntuale, proprio perché una migliore valutazione porta con sé una migliore programmazione e quindi in definitiva politiche e progettualità più rilevanti rispetto al contesto e alle sue problematiche.

Capacità di attivare le risorse potenziali

Tale capacità implica la conoscenza dei soggetti pubblici e privati che sono in grado di offrire risorse (monetarie, strutturali, umane, relazionali) con cui arricchire le progettazioni e le politiche stesse. Tali risorse si concretizzano nelle diverse tipologie di capitale: economico, umano e sociale. La capacità di raccordo entra qui in gioco laddove si tratta di coinvolgere e mediare tra attori anche “insoliti” e portatori di potenziale innovazione (quale ad esempio il mondo profit). Ruolo del facilitatore è infatti quello di evidenziare come contesti anche problematici siano portatori non solo di criticità ma anche di risorse. L’obiettivo è che le

“risorse” si riconoscano tra di loro, si mettano in relazione e collaborino al raggiungimento di finalità comuni.

Non bisogna inoltre ignorare il potenziale di risorse apportate anche da soggetti “informali” (il volontariato, la cittadinanza stessa…) che possono declinarsi ad esempio in termini di spazi fisici; persone;

competenze; tempi da mettere a disposizione della comunità di riferimento.

In particolare il capitale sociale può essere definito come insieme delle

risorse, attuali o potenziali, che discendono dal possesso di un network stabile di relazioni di reciproca conoscenza e riconoscimento da parte di un soggetto20. La rete in questo senso funziona come moltiplicatore di risorse, in grado di valorizzare i diversi tipi di capitale sociale:

- bonding (inclusivo, lega i soggetti all’interno della comunità: ad esempio i rapporti interni al “sistema” costituito da parrocchie, Caritas locali, realtà del Terzo settore afferenti, cittadinanza ) - bridging (getta ponti verso l’esterno, come può essere il caso delle

relazioni instaurate con realtà del Terzo settore al di fuori del sistema Caritas o ancora più eterogenee, quali le imprese profit);

- linking (rispetto alle istituzioni pubbliche, anche con riguardo alle dimensioni del mainstreaming verticale e orizzontale, ad esempio laddove le buone prassi di partecipazione che si riescono a condividere diventano un modello che viene assunto come comune e praticabile, rispettivamente per opera del soggetto pubblico, che le indica come riferimento generale a cui attenersi, oppure per un processo spontaneo di diffusione tra attori di pari livello, segnatamente le Caritas attive su diversi territori o altre realtà del Terzo settore )21.

20 Cfr. P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, Feltrinelli, Milano 1998

21 G. Rossi, L. Boccacin, Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e

Appendice

Delibera 7797 del 30 luglio 2008