• Non ci sono risultati.

Le esperienze a confronto

Tipo 4: La partecipazione minimale

1.4. Le esperienze a confronto

I questionari utilizzati per la ricerca hanno fatto emergere un’immagine composita del territorio ambrosiano. Gli Ambiti sociali, come si è visto, hanno risposto in modi differenti alla sfida della partecipazione e così anche le Caritas decanali e parrocchiali si sono attrezzate molto diversamente per questo importante momento di costruzione comune del welfare locale. Per mettere alla prova e allo stesso tempo approfondire i risultati emersi dalla prima parte della ricerca, abbiamo organizzato dei focus group con alcuni dei responsabili decanali e di cooperativa che hanno più intensamente svolto l’attività di partecipazione al Piano, o ai Piani, del loro territorio di appartenenza e di azione. Si è scelto, in particolare, di invitare al focus group quei decanati che nella tipologia emersa dall’analisi dei questionari hanno manifestato nel corso di questi anni le esperienze di partecipazione più fruttuose, pur accanto alle fatiche sopra accennate e alle criticità più recenti.

I focus group sono stati pensati come momento conoscitivo e di confronto sulle esperienze di partecipazione delle Caritas ai Piani di Zona, a partire dagli esiti dei questionari distribuiti ai decanati della diocesi. Essi sono stati dunque parte integrante della ricerca sul coinvolgimento delle

Caritas nella programmazione sociale partecipata, condotta in questi mesi dall’Area Cittadinanza Attiva di Caritas Ambrosiana.

Gli incontri hanno affrontato diversi temi: le caratteristiche e i problemi vissuti nella propria esperienza partecipativa, sia nel rapporto con l’Ambito e l’Ufficio di Piano, sia nel rapporto con le Caritas e con il Terzo settore locale e sovra locale; quali siano le possibili risorse attualmente esistenti che possono essere valorizzate e sviluppate per la formazione futura; quali siano gli elementi che hanno facilitato e fatto crescere la capacità di partecipazione e quali tipi di figure, e relative competenze, investire per l’attività futura.

L’esito dei focus group è sintetizzabile nell’evidenziazione dei seguenti elementi di forza e di criticità dell’esperienza vissuta sui Piani.

Elementi di forza

Un primo elemento di forza individuato riguarda il fatto che, soprattutto nelle prime due triennalità 2002-2005 e 2006-2009, si siano avviati in diversi Ambiti rapporti di collaborazione proficui e molto partecipati tra amministrazioni e Terzo settore. Questa collaborazione positiva si è riscontrata innanzitutto su diversi tavoli tematici, soprattutto quelli relativi a grave emarginazione, anziani e disabili, ma in alcuni casi anche sui tavoli di sistema. È stata rilevata come importante la presenza degli assessori alle riunioni dei tavoli, così da favorire un contatto con il livello politico, cioè con il luogo in cui vengono prese le decisioni rilevanti.

Si è poi messo in luce come siano nati in diversi casi dei Forum o dei tavoli di rappresentanza del Terzo settore che hanno permesso di facilitare la partecipazione e l’efficacia delle istanze portate ai tavoli. Un importante ruolo, da questo punto di vista, lo ha avuto la presenza di cooperative sociali ben collegate con il resto del Terzo settore locale. Ciò ha infatti reso possibile una presenza costante e competente ai tavoli anche nelle occasioni in cui il volontariato ha più difficoltà a essere presente, come quando essi vengono organizzati in orario lavorativo.

Talvolta, poi, è stata proprio la Caritas, magari insieme ad altre realtà ecclesiali come le Acli, a favorire il raccordo con il Terzo settore locale e la nascita di forum permanenti. Inoltre, dove vi è stato un investimento della Caritas decanale su delle figure che assumessero una funzione di raccordo e rappresentanza, ciò ha aiutato molto l’efficacia della partecipazione. È stata importante, ai fini della promozione del coinvolgimento, la presenza di alcune personalità particolarmente preparate e capaci di relazionarsi sia con il Terzo settore locale, sia con le istituzioni locali. Appare quindi fondamentale che i “delegati” riescano a far circolare le questioni e le istanze presso tutte le realtà Caritas del territorio.

All’interno del mondo Caritas, infine, la sinergia tra Caritas decanali e

Cooperative ha consentito di arricchire le proposte e le istanze portate ai tavoli. In questo modo, tra l’altro, si è permesso anche di risparmiare energie, attraverso un coordinamento che evitasse la sovrapposizione di più soggetti Caritas negli stessi tavoli.

Elementi di criticità

Passando invece agli elementi di criticità messi in luce dai partecipanti ai focus group, si segnala anzitutto la mancanza, in numerosi casi, di garanzie di continuità del lavoro dei tavoli: al cambiare delle amministrazioni o al termine di una triennalità, l’impianto del lavoro precedente viene spesso buttato, a volte senza costruirne neanche uno nuovo. Si sottolinea perciò come anche laddove si siano costruiti rapporti di partecipazione proficui essi siano troppo alla mercé delle discrezionalità degli assessori in carica.

Un secondo punto critico individuato è la mancanza di forme di valutazione e di verifica del lavoro fatto nel corso del triennio. A essere assente è cioè la possibilità di fare considerazioni di analisi e di programmazione che partano dai dati e dalle situazioni effettive dei bisogni sociali dei territori.

Un'altra carenza evidenziata riguarda le risorse a disposizione dei tavoli, a partire dai fondi sociali, molto diminuiti in questi ultimi anni. Anche le risorse che ci sono, d’altra parte, vengono utilizzate spesso per finanziare l’esistente e non per promuovere attività innovative, come invece prevedeva la legge 328.

Un punto cruciale messo in luce da molti è la scarsa accessibilità della società civile ai luoghi dove si prendono davvero le decisioni. Il livello politico, cioè, che formalmente prende le decisioni strategiche, rimane scollegato dalle istanze espresse nei tavoli tematici e nei tavoli di sistema, facendo così svanire il senso della partecipazione. Per questo motivo, si aggiunge, molte associazioni e molti volontari non credono più nei Piani di Zona come strumento su cui investire. Si insinua così una disillusione rispetto al tema della programmazione partecipata e si punta a investire sul rapporto diretto con i singoli amministratori.

La partecipazione ai tavoli viene poi ritenuta difficile in particolare per il mondo Caritas nella misura in cui la partecipazione si istituzionalizza in maniera tale da escludere i soggetti che non hanno personalità giuridica.

Un altro elemento di criticità specifico dei rappresentanti della Caritas è il fatto che coloro che sono andati ai tavoli del Piano di Zona per conto proprio sono spesso rimasti soli in questa attività. Chi partecipa ha spesso delle esperienze e capacità personali che però non si riescono a diffondere al resto della Caritas locale, così che, quando si tratta di individuare nuove persone per partecipare a queste attività, non si trova nessuna disponibilità,

indebolendo molto l’incisività della partecipazione. Ciò conferma che forse non si è diffusa abbastanza una cultura della partecipazione nelle Caritas.

L’attenzione al welfare locale cioè non è diventata patrimonio di tutta la Caritas, e tanto meno di tutta la comunità parrocchiale e decanale. Alle volte, addirittura, anche tra Caritas e centri d’ascolto non c’è unità di stile e di azione su questi temi. Ciò risulta particolarmente problematico, dal momento che su alcuni tavoli sarebbe molto utile una sinergia con il resto del mondo parrocchiale e decanale. Per esempio i tavoli dove si discutono problemi dei minori potrebbero giovarsi molto dell’esperienza della pastorale giovanile.

In molti casi, poi, si fa fatica a coinvolgere le altre associazioni del mondo ecclesiale su questioni attinenti al processo di partecipazione e alla sua qualità. Si finisce molto spesso per dare attenzione alle singole aree tematiche, indubbiamente molto importanti, ma si perde di vista l’importanza di avere strumenti che consentano una partecipazione continua ed efficace.

1.5. Uno sguardo sui vissuti