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Uno sguardo sui vissuti a cura di Vittoria Molteni

Tipo 4: La partecipazione minimale

1.5. Uno sguardo sui vissuti a cura di Vittoria Molteni

Di seguito, riportiamo due brevi racconti sui vissuti personali della partecipazione ai Piani di Zona, da parte di un responsabile decanale e di un rappresentante di una cooperativa legata a Caritas.

Esperienza 1

Essenzialmente mi hanno spinto a partecipare ai Piani di Zona la curiosità per la novità e il desiderio di capire come sarebbero cambiati i rapporti tra Caritas e gli altri enti.

In vari comuni c’era già una collaborazione tra la Caritas e i servizi sociali ma restava piuttosto circoscritta all'ambito della parrocchia o al limite della città. Il fatto di essere responsabile decanale e di avere la possibilità di entrare in un meccanismo molto più vasto mi ha permesso di raccordarmi con una realtà molto più ampia, condividendo problemi ed esperienze, nonché facendo conoscere le nostre iniziative ad altri.

L' impegno nella Caritas ha creato in me una forte aspettativa rispetto alla comprensione del nuovo strumento e allo spazio che noi avremmo potuto svolgere tramite esso.

L’attività del Piano di Zona inizialmente è stata percepita da me come una novità e una reale opportunità per le attività della Caritas, tuttavia dalla maggioranza dei volontari era letta come un impegno poco produttivo, quindi quasi come una perdita di tempo. In alcuni momenti sono stato quasi

ostacolato e isolato da alcune Caritas e gruppi ecclesiali che non hanno compreso l’opportunità di scambio di esperienze e di attuazione di una realtà diversa e più ricca offerte dalla partecipazione ai Piani di Zona.

Le prime difficoltà che ho incontrato derivavano dal fatto che mi sono trovato ad affrontare una realtà per me quasi del tutto nuova poichè non ero sufficientemente addentro al meccanismo del pubblico sia per quanto riguarda il modus operandi sia per una questione di mentalità. Ci sono stati molti elementi su cui abbiamo dovuto conoscerci e “prender le misure”: competenze e questioni organizzative (riunioni prevalentemente in orario di lavoro), leggi da imparare, attività con un alto livello di specializzazione.

In questo primo approccio direi che è stato determinante il supporto di altre persone impegnate a vario titolo nella Caritas che per motivi professionali avevano già maturato conoscenze ed esperienze dirette nell' ambito della pubblica amministrazione.

Il raccordo con il terzo settore locale credo sia stata però la vera sfida.

Esisteva già l’esperienza positiva di un coordinamento del volontariato locale nato inizialmente in modo spontaneo e in seguito riconosciuto a livello comunale. Tutto ciò mi ha certamente aiutato nell’allacciare e nell’approfondire in modo continuativo gli interscambi tra le associazioni e le cooperative presenti nei comuni aderenti ai Piani di Zona.

Il principale ostacolo a questo riguardo è consistito nel raccordare l’impegno delle numerose cooperative, mediamente più attive ed interessate, con le associazioni di volontariato che più facilmente esprimevano difficoltà per tempi e modalità di approccio diversi e non sempre facili da conciliare.

Se dovessi pensare a un volontario Caritas che intende impegnarsi oggi nell’attività dei Piani di Zona gli suggerirei di dotarsi di molta pazienza perché l’impegno più gravoso è proprio quello di dover operare con realtà caratterizzate da competenze, punti di vista, incarichi diversi: il pubblico da una parte nella doppia veste dei tecnici e dei politici, il terzo settore dall’altra parte con le specificità, diverse, di cooperative e associazioni.

A volte gli stessi volontari sono piuttosto sfiduciati perché è difficile toccare con mano la ricaduta concreta di quei tavoli di lavoro, tuttavia non ci si può sottarre a questo compito che appartiene più che mai a chi, come Caritas, deve sostenere le istanze di chi non riesce a far sentire la sua voce.

In ogni situazione, quindi anche in questa attività, il volontario può dare il meglio di sé, perché deve sempre avere la consapevolezza che rappresenta una grande ricchezza nell’ambito sociale grazie alle motivazioni e allo stile di vita che lo contraddistinguono.

Esperienza 2

La mia partecipazione ai tavoli tematici dei piani di zona risale fin dalla stesura dei primi piani. In quel periodo era stata colta come un’opportunità

importante quella di poter essere coinvolti in questa nuova esperienza, che pareva finalmente dare voce a tutti i soggetti che sul territorio operavano a favore delle persone in difficoltà.

Ricordo un grande entusiasmo e una forte aspettativa rispetto all’avvio dei tavoli tematici, che in tutti i tre distretti socio-sanitari che compongono la Provincia in cui opero erano stati aperti a tutti gli interessati. Come cooperativa legata a Caritas e in raccordo con le diverse Caritas decanali si era allora fatta la scelta di esprimere rappresentati in ogni tavolo tematico, vista la trasversalità delle tematiche che si affrontavano. Dato il mio impegno lavorativo nell’ambito degli immigrati ero stato designato a partecipare ai tre tavoli tematici che si occupavano di adulti dei tre distretti, nei quali confluiva la tematica immigrazione.

Oltre alla condivisione di una scelta che rispondesse all’esigenza di partecipazione da parte di realtà collegata a Caritas e da parte della stessa cooperativa, personalmente ho accettato di essere coinvolto perché ho pensato potesse essere un’importante occasione per portare riflessioni nate nella quotidianità a livelli di programmazione delle politiche sociali del territorio.

Essendo un professionista il senso profondo di questa esperienza è stato proprio quello di poter trovare nei tavoli tematici un luogo reale dove poter condividere riflessioni nate dall’operatività. Mi sembrava che potesse essere un luogo giusto per andare oltre la buona gestione e poter contribuire, attraverso le esperienze quotidiane, alla programmazione dei servizi. L’aspettativa di fondo era finalmente il poter vedere che le attività della cooperativa fossero riconosciute anche come luogo di pensiero e non solo come semplice gestione.

Non ho quindi partecipato al piano di zona con un preciso obiettivo di rappresentare la realtà pastorale, anche perché non è stata difficile anche una vera condivisione di quanto man mano emergeva dal lavoro con i tavoli tematici.

In realtà dopo un primo periodo di entusiasmo e grandi aspettative l’interesse per questa partecipazione ai tavoli è andato via via scemando. I tavoli sono stati convocati sempre più raramente, fino all’assurdo degli ultimi anni dove la convocazione avviene solo in vista della stesura del nuovo piano di zona. Anche all’interno dell’organizzazione, nel mio caso la cooperativa, la presenza ai tavoli non ha più rappresentato un motivo di interesse, visto che è apparso dopo poco che si trattava di luoghi non decisionali. Col passare degli anni infatti è risultato evidente lo scollamento di quanto si poteva discutere all’interno dei tavoli e della programmazione reale degli interventi. Questo ha dimostrato che la possibilità di incidere sulla programmazione degli interventi non passava dai tavoli tematici, riconosciuto come luogo di consultazione. Il mio ruolo si è quindi svuotato molto nel tempo e la sensazione è quella di partecipare a momenti anche interessanti di scambio con altri operatori del territorio, ma che poi non hanno alcuna ricaduta concreta.

Nell’ultimo anno di attività, pur non avendo più avuto convocazioni dei tavoli, ho partecipato ad un tentativo del Consorzio territoriale di riferimento delle cooperative sociali di ridare senso alla funzione di rappresentanza espressa nei tavoli tematici dei piani di zona. Questo lavoro mi ha aiutato a rileggere la mia partecipazione in un’ottica diversa, aiutandomi a ridimensionare le difficoltà vissute in precedenza. Ho quindi lavorato tentando di recuperare un certo rapporto con altre realtà del terzo settore che operassero sul tema degli adulti in difficoltà. Questo tentativo fatto con il Consorzio territoriale mi ha anche aiutato a superare la tendenza a rappresentare solo me stesso e la mia organizzazione, piuttosto che mettere le mie competenze e quelle della mia organizzazione a disposizione di una riflessione più ampia sui problemi e sulle risorse.

Resta il fatto che sento di partecipare a luoghi svuotati di senso e non certo efficaci. Questa sensazione non mi aiuta a partecipare con motivazioni che qualifichino la mia presenza ai tavoli. A meno di un ripensamento profondo sulla loro organizzazione oggi sarei in difficoltà a promuoverne la partecipazione con qualcuno che non l’ha mai fatto. Ritengo che occorra recuperare il significato originale di questi luoghi perché possano essere riconosciuti con spazi di scambio reale tra istituzioni e organizzazione del terzo settore, che abbiano poi una ricaduta concreta sulle scelte programmatorie.

Oggi continuo ad essere membro del tavolo tematico adulti di un solo distretto che tuttavia non viene convocato da circa un anno. Rimango coinvolto nei piani di zona con la speranza di poter contribuire ad una crescita di questa esperienza di partecipazione del mondo del privato sociale alla programmazione delle politiche del territorio.

2. Gli scenari futuri: prospettive e strumenti