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Le dinamiche e strategie dell’industria agroalimentare

2.3.1 L’andamento economico

Dopo la stasi del 2009, nel 2010 il fatturato dell’industria alimentare italiana è tornato a crescere raggiungendo un valore di 124 miliardi di euro, secondo i dati di Federalimentare. L’incremento rispetto al precedente anno è risultato significativo, cioè 3,3% a prezzi correnti, tenendo presente che la crisi economica ha continuato a perdurare in molti settori industriali.

Una componente che ha giocato un ruolo fondamentale per la crescita del fatturato è rappresentata dalle esportazioni. Queste nel 2010, sempre secondo i dati di Federalimentare, hanno raggiunto i 20,9 miliardi di euro, facendo registrare un aumento ben del 10,6%, in termini nominali, rispetto al precedente anno.

La domanda estera, quindi, continua a costituire la leva fondamentale per l’espansione del fatturato alimentare, così come è avvenuto negli ultimi anni, ad eccezione del 2009, quando l’effetto di trascinamento delle esportazioni si è ridotto, causando la stagnazione del valore della produzione. Grazie al positivo andamento delle esportazioni il rapporto export/fatturato è arrivato al 16,9%.

Sul lato della domanda interna, invece, si rileva solo un leggero aumento del valore complessivo dei consumi, sia domestici che extra-domestici. Secondo i dati Istat, infatti, nel 2010 tale valore è arrivato a 215,6 miliardi di euro, con una crescita, rispetto al precedente anno, dell’1,2% a prezzi correnti, ma solo dello 0,3% in termini reali (valori concatenati).

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2.3.2 L’evoluzione della produzione

L’evoluzione positiva dell’industria alimentare viene ribadita anche dall’indice della produzione industriale dell’ISTAT, che evidenzia per il 2010 un valore pari a 102,9 (base 2005=100), denotando una crescita del 2,4% rispetto al precedente anno (tab. 2.15 e fig. 2.8). Al contrario, nell’insieme delle attività manifatturiere si rileva un indice pari a 88,5 che, pur evidenziando un considerevole incremento rispetto al precedente anno (+6,9%), rimane ad un livello molto inferiore a quello del 2005, segno delle difficoltà ancora esistenti complessivamente nelle attività industriali.

Tab.2.15- Evoluzione della produzione dell'industria alimentare, indici grezzi - 2005=100

2009 2010 2011

gennaio febbraio marzo aprile

carne e derivati 100,6 101,8 95,6 98,5 108,1 97,0

pesce e derivati 96,6 98,7 81,4 98,1 120,3 106,6

frutta e ortaggi 113,2 112,2 57,1 69,5 77,3 72,9

oli e grassi veg. e anim. 110,0 123,1 110,2 114,6 126,1 109,2

lattiero-caseario 97,6 100,5 95,7 99,7 117,6 116,2

granaglie e prod. Amidacei 93,1 95,3 90,9 95,8 98,0 85,8

prodotti da forno 103,7 105,6 82,4 104,7 122,0 84,5

altri prodotti alimentari 92,4 96,1 89,5 96,1 92,1 68,4

prodotti alimen. Animale 93,4 96,9 94,6 94,7 102,4 85,0

Bevande 105,1 105,6 85,9 97,1 109,7 104,2

Tot. industria alimentare 100,5 102,9 87,9 98,4 109,4 90,1

Tot. industria manifatturiera 82,8 88,5 79,4 89,2 98,9 89,9

Fonte: ns elaborazioni su dati ISTAT (banca dati CONISTAT).

Fig.2.8 – Variazione percentuale 2009-2010 dell’indice della produzione industriale dell’industria alimentare

32 Quasi tutte le categorie di prodotti alimentari evidenziano nel 2010 una crescita dell’indice della produzione industriale rispetto all’anno antecedente. L’unica eccezione è rappresentata dalle conserve di frutta e ortaggi, in cui si osserva una variazione negativa (-0,9%), anche se l’indice rimane ad un livello elevato (112,2), grazie alla crescita degli ultimi anni.

Per cinque categorie di prodotti si rileva una crescita nell’ultimo anno e nel contempo un indice superiore a 100, vale a dire (in ordine di variazione percentuale): oli e grassi, lattiero-caseari, prodotti da forno, carne e derivati, bevande. In particolare, il comparto degli oli e grassi presenta un andamento produttivo decisamente positivo (+11,9%), con un indice ISTAT che arriva a 123,1. Significativa anche la dinamica del lattiero-caseario (+3,1%) e dei prodotti da forno (+1,8%), i cui indici raggiungono rispettivamente livelli di 100,5 e 105,6.

In altre quattro categorie di prodotti si osserva una evoluzione produttiva positiva nell’ultimo anno, ma l’indice rimane ad un livello inferiore a 100. Tali categorie sono rappresentate da: altri prodotti alimentari, prodotti dell’alimentazione animale, granaglie e prodotti amidacei, pesce e derivati. Fra queste una crescita considerevole si osserva negli altri prodotti alimentari (+4%), che comprendono un’ampia gamma di beni, dai prodotti dolciari a quelli dietetici. Anche la mangimistica fa registrare un buon tasso di crescita (+3,7%).

I dati relativi al 2011 si fermano ai primi quattro mesi e sono caratterizzati da andamenti molto altalenanti. Si nota, in ogni caso, come l’industria alimentare continui a presentare un indice della produzione decisamente più elevato di quello dell’insieme delle attività manifatturiere. Il mese con la crescita più alta è marzo, mentre nei primi due mesi del 2011 si rileva una diminuzione in quasi tutte le categorie di prodotti.

2.3.3 La dinamica delle imprese

Nel 2010, secondo i dati di infocamere-Movimprese, nell’industria alimentare e in quella della bevande si rilevano in totale 67.898 imprese registrate e 59.730 imprese realmente attive (fig. 2.9). Fra queste ultime, le imprese specializzate nelle bevande sono un numero alquanto limitato, cioè 3.298, mentre quelle produttrici di alimenti risultano essere 56.432.

Rispetto al precedente anno, si osserva una diminuzione molto leggera nella numerosità delle imprese, pari allo 0,4% per quelle registrate e allo 0,2% per quelle attive. Ciò indica come l’espansione produttiva del settore abbia consentito alle imprese di mantenere una certa competitività e rimanere nel mercato. La lieve contrazione colpisce in eguale misura sia le imprese operanti nelle bevande che quelle produttrici di alimenti.

I dati del primo trimestre del 2011 evidenziano una certa crescita delle imprese registrate, che arrivano a 69.581, con un incremento del 2,5% rispetto al dato del 2010. Tale incremento, che sembra esprimere una fase favorevole per il settore nell’anno in corso, appare imputabile alle sole imprese produttrici di alimenti, mentre quelle delle bevande mostrano una lieve flessione. Tuttavia, un andamento contrario di quello delle imprese registrate si riscontra nelle attive, in cui si nota una leggera diminuzione (-0,5%).

33 Fig.2.9 – Numero di imprese operanti nell'industria alimentare italiana

* dati riferiti al primo trimestre 2011 Fonte: ns elaborazioni su dati Infocamere.

Relativamente alla tipologia giuridica delle imprese del settore, come noto nella produzione di alimenti prevalgono nettamente le imprese individuali, anche se si rileva una leggera contrazione dal 2009 al primo trimestre del 2011 (fig. 2.10). Le società di persone costituiscono la seconda tipologia giuridica più importante, rappresentando il 30,9% del totale nel 2010 e per esse si rileva una sostanziale stabilizzazione. Le società di capitale, invece, hanno un “peso” più ridotto, ma evidenziano una crescita, anche se leggera, fra il 2009 e il 2010.

Fig. 2.10 – Tipologia giuridica delle imprese operanti nell'industria degli alimenti

* dati riferiti al primo trimestre 2011

Fonte: ns elaborazioni su dati Infocamere.

Per le imprese delle bevande la situazione è completamente opposta, perché in questo caso prevalgono le società di capitale, che nel 2010 costituiscono il 44,7% e mostrano una leggera crescita rispetto all’anno antecedente (fig. 2.11). In seconda posizione si collocano le società di persone, in cui però si nota una leggera flessione numerica, a cui seguono le imprese individuali, caratterizzate anch’esse da una diminuzione.

64.085 56.505 63.885 56.432 65.593 56.176 4.068 3.327 4.013 3.298 3.988 3.283 0 10.000 20.000 30.000 40.000 50.000 60.000 70.000

registrate attive registrate attive registrate attive

2009 2010 *2011 alimentari bevande - 5.000 10.000 15.000 20.000 25.000 30.000

società di capitale società di persone imprese individuali altre forme

34 Fig. 2.11 – Tipologia giuridica delle imprese operanti nell'industria delle bevande

* dati riferiti al primo trimestre 2011 Fonte: ns elaborazioni su dati Infocamere.

2.3.4 Problematiche aperte

Le dinamiche delineate in precedenza evidenziano come l’industria alimentare sia riuscita a mantenere una certa espansione produttiva in un periodo caratterizzato ancora da una pesante crisi economica, che continua a farsi sentire in diverse attività industriali. Questo andamento non si limita solo all’ultimo anno, ma si rileva, anche se con le normali oscillazioni, nell’intero primo decennio degli anni duemila. Infatti, l’indice ISTAT della produzione settoriale nel periodo 2000-2005 mostra un incremento del 9% (a fronte del -6,1% del manifatturiero), mentre nel periodo 2005-2010 l’aumento dell’indice appare decisamente più contenuto, ma sempre positivo, cioè il 2,9% (a fronte del -11,5% del manifatturiero).

Al contrario, un elemento di criticità che ha caratterizzato non solo il 2010, ma anche gli ultimi anni, e che sembra perdurare nel 2011, è costituito dalla stagnazione della domanda interna, con riferimento in particolare ai consumi domestici (cfr. par. 2.4).

Inoltre, se si considera l’arco temporale 2005-2010 la dinamica dei consumi domestici, sempre a valori concatenati, appare pesantemente negativa (-4,9%). Alla “normale” scarsa dinamicità dei consumi alimentari si è affiancato un effetto della crisi economica che ha spostato le preferenze dei consumatori verso i prodotti a basso prezzo (primi prezzi, promozioni della grande distribuzione, canale discount, ecc.), imputabile ad un più pressante vincolo di bilancio per le famiglie.

Diversamente dalla domanda interna, le esportazioni hanno contribuito in maniera sostanziale all’evoluzione produttiva del settore. In particolare, secondo la Relazione del 2011 del Presidente di Federalimentare11, nei mercati più consolidati per l’export agro-alimentare (Germania, Francia, USA e Regno Unito) nel 2010 si è rilevata una ripresa della domanda, dopo la contrazione del precedente anno, tanto che tali mercati hanno assorbito circa il 50% delle esportazioni settoriali italiane.

11 www.federalimentare.it - 200 400 600 800 1.000 1.200 1.400 1.600

società di capitale società di persone imprese individuali altre forme

35 Nel contempo, si è assistito ad una significativa crescita della domanda di prodotti agroalimentari italiani in paesi di più recente destinazione delle nostre esportazioni, come Cina, Brasile, Arabia Saudita e Turchia. Altri paesi di particolare interesse sono rappresentati da quelli europei di più piccole dimensioni, dalla Corea, dal Canada, dall’Australia e dalla Russia. In prospettiva, quindi, sembra che il fatturato estero continui a giocare un ruolo di fondamentale importanza per il settore, ma le imprese italiane devono riuscire a rafforzare la loro presenza nei mercati internazionali, soprattutto in quei mercati geografici più nuovi, dove esistono le maggiori opportunità di espansione (cfr. par. 2.6).

Un altro elemento emerso nel quadro economico del 2010 e che appare particolarmente problematico per l’industria alimentare riguarda le dinamiche dei prezzi delle materie prime agricole, considerando che da alcuni anni nei mercati europei dei prodotti agricoli si osserva una crescente volatilità delle quotazioni. Dopo il forte aumento dei prezzi delle commodity agricole durante il 2007 e il 2008, le quotazioni sono tornate a crescere in maniera significativa nel corso del 2010, determinando nelle imprese di trasformazione la preoccupazione per l’aumento dei costi degli approvvigionamenti. Le dinamiche dei prezzi delle materie prime in genere si trasmettono lungo la filiera in modo più o meno amplificato, determinando spesso un aggravio di spesa per i consumatori finali.

Questo fenomeno merita un’attenzione particolare per due elementi principali. Da un lato, occorre analizzare approfonditamente le determinanti degli andamenti al rialzo delle quotazioni delle commodity agricole, per capire se si tratta di dinamiche congiunturali o se siano l’espressione in qualche modo di una tendenza di lungo periodo. Dall’altro, si pone il problema della trasparenza delle filiere, soprattutto in termini di trasmissione dei prezzi, in quanto la scarsa efficienza nel coordinamento verticale di filiera non deve portare ad una amplificazione dei prezzi che grava sul consumatore finale, in un periodo in cui, come visto, i consumi tendono ad essere stagnanti anche per la compressione del reddito delle famiglie.