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Le espressioni idiomatiche nell’apprendimento L2.

Molte ricerche si stanno focalizzando su come siano analizzate ed elaborate le espressioni idiomatiche nell’apprendimento L2.

Abel (2003) ha analizzato come parlanti nativi di tedesco giudicassero la composizionalità di idiomi inglesi. In questo modo ha potuto ricostruire un modello sulla rappresentazione degli idiomi definito Model of Dual Idiom Representation (DIR). Questo modello integra non solo il livello concettuale e lessicale ma anche le rappresentazioni degli idiomi nel lessico L1 e L2. Il DIR presuppone che gli idiomi non decomponibili necessitino una specifica entrata lessicale, mentre gli idiomi decomponibili possano essere rappresentati attraverso le entrate dei singoli componenti e sviluppare in aggiunta una specifica entrata lessicale (ciò dipenderebbe dalla frequenza). Non avendo una specifica entrata lessicale, gli idiomi decomponibili sono accessibili attraverso le rappresentazioni concettuali, attive durante la comprensione. Queste ipotesi, secondo Abel, vengono sostenute da dati empirici ricavati dai giudizi dei parlanti nativi e non nativi sulla composizionalità degli idiomi.

In due differenti studi sono stati testati i giudizi dei parlanti non nativi su idiomi inglesi. Nel primo studio sono stati trattati idiomi con tale struttura: V+DET+N; mentre nel secondo studio gli idiomi presentavano differenti strutture sintattiche. E’ stata testata anche la familiarità, chiedendo ai soggetti di specificare quanto le espressioni idiomatiche fossero loro familiari. Questi dati sono stati poi analizzati paragonandoli ai dati ottenuti da Titone & Connine (1994)19.

19 In questo studio è emerso che i parlanti nativi inglesi giudicano il 41,9%

I partecipanti erano in tutto 169: nel primo studio 139 soggetti dovevano giudicare la composizionalità degli idiomi e specificare la facilità con cui l’avevano analizzata; nel secondo studio sono stati testati 30 soggetti, i quali dovevano esprimere giudizi sulla composizionalità e sulla familiarità. Sono stati selezionati 320 idiomi estratti dal Longman Dictionary of English Idioms e dal NTC’s American Idioms Dictionary. Ai partecipanti è stata consegnata una lista degli idiomi accompagnati dalla parafrasi dei loro significati. Le istruzioni chiedevano ai soggetti di indicare quali fossero decomponibili e quali no. Le istruzioni erano in tedesco, mentre gli idiomi e le loro parafrasi erano in inglese. Inoltre attraverso una scala da 1 a 7 i soggetti dovevano quantificare la familiarità degli idiomi.

Dal primo studio è emerso che i parlanti non nativi giudicano il 56,5% decomponibile e il 43,5% non decomponibile. Il secondo ha praticamente replicato il risultato del primo studio. Tenendo conto dello studio di Titone & Connine (1994), i parlanti non nativi rispetto ai parlanti nativi tendenzialmente giudicano gli idiomi decomponibili.

Questa differenza è interpretata come una differente rappresentazione degli idiomi nel lessico L1 e L2. Infatti il DIR postula due livelli di rappresentazione: uno lessicale e uno concettuale. La questione principale è se gli idiomi siano rappresentati attraverso le entrate lessicali dei singoli costituenti (constituent entries) o attraverso entrate lessicali separate (idiom entries). Ciò che determina la rappresentazione dell’idioma è la sua composizionalità. Se l’idioma è non decomponibile, allora richiede una specifica entrata idiomatica, invece gli idiomi decomponibili sono rappresentati attraverso le entrate dei singoli costituenti e possono aggiungere in seguito un’entrata idiomatica. L’entrata idiomatica è determinata dalla frequenza: più l’idioma occorre frequentemente più sviluppa un’entrata idiomatica. Mancando questa entrata idiomatica, durante la comprensione vengono attivate le rappresentazioni concettuali, ovvero le entrate dei singoli costituenti dell’idioma attivano i concetti connessi a questi. L’alta familiarità degli idiomi decomponibili sembra indicare questa connessione con le rappresentazioni concettuali.

A queste due differenti rappresentazioni corrisponde una differenza nell’organizzazione del lessico L1 e L2: i parlanti non nativi non sviluppano la stessa quantità di entrate idiomatiche che sviluppano i parlanti nativi, poiché la frequenza con cui i parlanti nativi incontrano gli idiomi è più bassa. Ciò implica che i parlanti non nativi analizzino gli idiomi basandosi sulle entrate lessicali dei singoli costituenti, attivando le corrispettive rappresentazioni concettuali durante la comprensione delle espressioni idiomatiche.

Vanlancker (2003) ha analizzato l’elaborazione delle espressioni idiomatiche da un punto di vista differente, in altre parole se l’elemento prosodico possa fornire un aiuto ai parlanti sia nativi sia non nativi nell’analizzare idiomi ambigui, quindi nel distinguere il significato letterale da quello figurato.

Sono state registrate quindici frasi, ognuna due volte: nella prima registrazione era evidenziato il significato letterale, nella seconda il significato figurato. Inoltre sono state registrate coppie di frasi: il primo membro della coppia sottolineava il significato letterale, mentre il secondo il significato idiomatico. Sia le frasi sia le coppie di frasi sono state presentate senza un ordine preciso; l’intervallo fra le singole frasi era di 6ms, mentre l’intervallo fra i membri della coppia era di 2ms.

L’esperimento è stato sottoposto a 123 soggetti: 39 parlanti nativi di inglese americano, 14 parlanti nativi di inglese non americano, 46 parlanti non nativi di inglese che usavano però quotidianamente l’inglese sia a casa che al lavoro, e 24 studenti parlanti non nativi di inglese che usavano l’inglese nel contesto universitario. I soggetti durante l’esperimento ascoltavano prima le singole frasi e poi le coppie di frasi. Gli è stato chiesto di indicare quale significato era usato, scrivendo nel foglio delle risposte L, se il significato era letterale, o I, se il significato era idiomatico. Dai risultati è emerso che i parlanti nativi riescono attraverso l’indizio prosodico a discriminare fra significato letterale e significato idiomatico, mentre i parlanti non nativi non possiedono questa abilità.

A differenza dei precedenti studi, che delineano una netta differenza fra parlanti nativi e non nativi nell’elaborazione delle espressioni idiomatiche, la ricerca di Conklin & Schmitt (2008) individua invece similitudini. Questo studio intende confermare che le sequenze formulari siano elaborate più velocemente delle sequenze non formulari e soprattutto cerca di scoprire se il contrasto significato letterale e significato figurato influenzi questo processo. L’attenzione è posta sulle espressioni idiomatiche; sono state utilizzate gli idiomi dello studio di Underwood (2004)20 e altre sono state estratte dall’Oxford Learner’s Dictionary of English Idioms. Gli idiomi sono stati sottoposti a un’analisi della frequenza utilizzando il BNC. Sono stati selezionate venti sequenze formulari e create venti stringhe di controllo mescolando i costituenti delle sequenze formulari in modo da eliminare l’interpretazione letterale e figurata propria delle espressioni idiomatiche, assicurandosi però che avessero senso21. Le sequenze formulari e le stringhe di controllo erano uguali in lunghezza. Entrambe sono state inserite in brevi testi: venti sequenze formulari inserite in contesti che supportavano l’interpretazione idiomatica, le stesse sequenze formulari in contesti che supportavano l’interpretazione letterale, e venti stringhe di controllo in altri venti contesti non vincolanti.

Hanno partecipato all’esperimento 19 parlanti nativi e 20 parlanti non nativi. I testi sono stati presentati al computer ed è stato utilizzato un self-paced reading time. I partecipanti dovevano premere il pulsante R indicando che erano pronti a iniziare l’esperimento; in quel momento appariva sullo schermo la prima riga del testo, che i partecipanti dovevano leggere. Una volta letta premevano la barra spaziatrice e la prima riga veniva cancellata e sostituita dalla seconda e così via. Sono stati misurati i tempi di lettura in ogni riga. Alla fine dell’esperimento i soggetti dovevano

20 Lo studio è descritto nel medesimo paragrafo.

21 Ad esempio la sequenza formulare hit the nail on the head è stata trasformata

in hit his head on the nail, modificando solo le parole funzionali (the è stato sostituito con

rispondere a un questionario di comprensione.

Dai risultati è emerso che le sequenze formulari sono lette più velocemente rispetto alle sequenze non formulari, sia quando sono usate letteralmente sia quando usate idiomaticamente, dai parlanti nativi e anche dai parlanti non nativi. I tempi di lettura dei parlanti non nativi sono risultati leggermente più lenti dei parlanti nativi.

Secondo questi risultati Conklin & Schmitt hanno concluso che i parlanti non nativi comprendono gli idiomi in modo simile ai parlanti nativi.

Underwood (2004) analizza le sequenze formulari (concentrandosi sulle espressioni idiomatiche) con un metodo del tutto diverso da quelli fino ad ora descritti: attraverso l’uso dell’eye-tracking. Lo studio dell’eye- movement durante la lettura è utile per indagare come le formule siano processate e permette di avere un’idea sui processi cognitivi che entrano in gioco.

Poiché lo studio si concentra sull’elaborazione delle sequenze formulari, sono state scelte formule non ambigue. Sono state selezionate 85 formule, sottoposte a un’analisi di frequenza in due corpora: BNC e CANCODE. Per la scelta delle formule sono stati applicati questi criteri: la sequenza non doveva avere una bassa frequenza; non doveva iniziare né finire con una parola funzionale; doveva essere lunga dalle 4 alle 8 parole e i suoi componenti iniziali dovevano essere relativamente predicibili. Le sequenze sono state incluse in 20 testi. Le ultime parole delle sequenze sono state incluse sia in contesti formulari che non formulari. Inoltre ad ogni testo seguiva un questionario di comprensione, a cui si rispondeva con un Sì o con un No.

Per misurare il movimento degli occhi è stato usato un SMI Eyelink sistem, costituito di una telecamera che scattava foto delle pupilla destra ogni 4ms. L’apparecchio è stato posto sulla testa dei partecipanti, i quali sedevano distanti di 70 cm dal monitor. Inizialmente sullo schermo appariva un cerchio che serviva per testare la capacità di fissazione dei soggetti; una volta accertata, compariva un punto di fissazione in alto a

sinistra per 1s, in modo da aiutare i soggetti a porre lo sguardo all’inizio del testo. I soggetti erano sia parlanti nativi inglesi che parlanti non-nativi.

Sono state analizzate solo le fissazioni. Tutte le fissazioni minori a 100ms sono state rimosse dallo studio. Sono stati calcolati il numero delle fissazioni, la durata delle fissazioni, il numero delle fissazioni sull’ultima parola e la durata delle fissazioni sull’ultima parola.

I risultati hanno dimostrato che i soggetti nativi sono lettori molto più fluenti dei soggetti non-nativi, i quali tendono ad avere molte regressioni. I nativi non analizzano tutto il testo a differenza dei non– nativi: l’analisi riguarda soprattutto le parole di contenuto, mentre le parole funzionali non vengono analizzate. Entrambi i gruppi fissavano meno le parole che facevano parte di una sequenza formulare, soprattutto la parola finale riceveva meno fissazioni. Questo indicherebbe che l’ultima parola era predetta dalla parte precedente della sequenza formulare e sembrerebbe essere consistente con l’ipotesi che queste strutture siano immagazzinate e processate come interi. E’ possibile però obiettare a ciò: se i soggetti riconoscono una sequenza formulare già dai primi componenti, non dovrebbero fissare l’ultima parola della sequenza, che viene comunque fissata, anche se brevemente. Potrebbero sussistere due spiegazioni: l’ultima parola viene fissata per una questione di controllo, ovvero il soggetto controlla che la sequenza sia effettivamente formulare, oppure i movimenti delle saccadi non sono in gradi di saltare intere sequenze e questo dimostrerebbe che il saltare parti del testo non dipende dalla predicibilità del contesto. Un’altra cosa importante che emerge è che i soggetti non-nativi presentano meno fissazioni sulla parola finale, quando questa è posta in una sequenza formulare, ma questo vantaggio è registrato solo in termini di numero e non di durata delle fissazioni. Infatti la durata è la stessa sia quando l’ultima parola si trova in una sequenza formulare sia quando non si trova in una formula, a differenza dei nativi che impiegano meno tempo a fissare l’ultima parola quando questa si trova in una sequenza. Ciò indica che i non-nativi hanno una conoscenza parziale di queste sequenze, anche se non sono in grado di definirle consciamente.

Un altro interessante lavoro condotto con l’eye-tracking è stato realizzato da Siyanova-Chanturia et al. (2011) su come i parlanti nativi e non-nativi elaborino le espressioni idiomatiche. Questo studio cerca di esaminare la comprensione degli idiomi tenendo conto del contrasto fra espressioni idiomatiche ed espressioni nuove e fra il significato letterale e il significato figurato. Sono stati monitorati i movimenti degli occhi dei soggetti mentre leggevano brevi storie, ciascuna di queste contente un idioma usato figurativamente, un idioma usato letteralmente e un’espressione nuova. E’ stato ipotizzato che i soggetti avrebbero mostrato un vantaggio nel processare le espressioni idiomatiche rispetto alle espressioni nuove; inoltre i parlanti nativi avrebbero dovuto leggere più velocemente gli idiomi usati sia figurativamente sia letteralmente. Se i parlanti non-nativi dovessero processare gli idiomi in modo simile ai parlanti nativi, allora dovrebbero elaborare meglio le espressioni idiomatiche delle espressioni nuove, altrimenti significherebbe che i parlanti non-nativi processino gli idiomi in modo differente. Un’altra questione riguardava la possibilità che i parlanti non-nativi mostrassero un vantaggio nel processare il significato letterale in presenza di un contesto fortemente vincolato.

I partecipanti all’esperimento erano 36 parlanti nativi inglese e 36 parlanti non nativi di inglese. Gli idiomi sono stati scelti seguendo tre criteri: dovevano essere frequenti in inglese, dovevano essere utilizzabili sia figurativamente sia letteralmente e le nuove espressioni dovevano essere costruite in modo da essere il più possibile simili all’espressioni idiomatiche. Prima dell’esperimento principale, sono stati condotti tre differenti test. Il primo test analizzava la frequenza degli idiomi: 77 idiomi sono stati sottoposti a venti parlanti non-nativi chiedendo loro di indicare in una scala da 1 a 4 quanto questi idiomi fossero familiari basandosi sulla propria conoscenza. Solo 21 idiomi sono risultati ben conosciuti. Il secondo test, invece, valutava la composizionalità; a 14 parlanti nativi è stato chiesto di giudicare se i 21 idiomi del test precedente fossero

decomponibili o no: 12 sono risultati esserlo mentre nove sono stati valuti non decomponibili. Infine il terzo test mirava a determinare la chiave idiomatica (recognition point) attraverso un sentence completion task, in cui l’idioma era presentato in cinque versioni differenti.22 Il test è stato sottoposto a 50 parlanti nativi di inglese, a cui è stato chiesto di completare le frasi. Di 21 idiomi solo sette non sono stati riconosciuti prima dell’ultima parola.

Per ogni espressione è stata realizzata una storia; le storie sono state divise in tre liste: ogni lista conteneva sette idiomi usati figurativamente, sette usati letteralmente e sette nuove espressioni. Ogni storia era seguita da un questionario di comprensione.

I movimenti degli occhi sono stati monitorati con un EyeLink I eye- tracker.

Dai risultati è emerso che i partecipanti non hanno avuto alcuna difficoltà a rispondere al questionario: i parlanti nativi hanno risposto con un’accuratezza del 91.4%, mentre i parlanti non-nativi con un’accuratezza del 90.4%.

Sono state esaminate le seguenti misure: first pass reading time, total reading time e fixation count.23 I dati sono stati analizzati in due differenti modi: analisi dell’intera stringa, full idiom analysis, e analisi del prima e del dopo il recognition point (RP).

Per quanto riguarda l’analisi dell’intera stringa idiomatica, è emerso che, per quanto riguarda i parlanti nativi, non sussiste nessuna differenza significativa nell’elaborare il significato letterale e il significato figurato: entrambi sono elaborati con la stessa velocità. Nel caso delle espressioni idiomatiche sono elicitate meno fissazioni rispetto alle espressioni nuove. Interessante è il fatto che la differenza fra idiomi ed espressioni nuove emerge tardi.

Invece nel caso dei parlanti non-nativi, il significato letterale e figurato

22 Per esempio, l’idioma leave a bad taste in yuor mouth era così scomposto: versione 1 solo il

frammento leave, versione 2 leave a bad, versione 3 leave a bad taste, e così via.

23 La prima misura è sensibile alle primissime fasi della comprensione, mentre le ultime

sono elaborati con la stessa velocità con cui vengono elaborate le nuove espressioni. Inoltre il significato idiomatico è elaborato più lentamente del significato letterale, anche quando il contesto supporta il significato idiomatico. Anche in questo caso le differenze minime fra elaborazione delle espressioni nuove e elaborazione delle espressioni idiomatiche emergono tardi.

Nell’analisi del RP, è stato notato che i parlanti nativi processano il significato letterale e figurato allo stesso modo sia prima che dopo il RP. Diversamente i parlanti non-nativi mostrano una leggera differenza: prima del RP i significati figurati sono letti più lentamente rispetto a quelli letterali.

Questa ricerca ha dimostrato che effettivamente i parlanti nativi elaborano più velocemente le espressioni idiomatiche rispetto alle espressioni nuove. Inoltre il fatto che non si siano riscontrate differenze significative nell’elaborazione del significato letterale e del significato figurato, ha dimostrato che il contesto risolve il problema dell’ambiguità degli idiomi. Inoltre la ricerca evidenzia come i parlanti non-nativi elaborino gli idiomi in modo differente rispetto ai parlanti nativi. Infatti nel caso parlanti non- nativi, i significati figurati richiedono più tempo per essere elaborati rispetto ai significati letterali, nonostante si trovino in contesti che supportano il significato figurato. Una probabile spiegazione è che i parlanti non-nativi non abbiano sviluppato forti connessioni forma- significato fra l’idioma e il suo significato figurato.

Emerge però un tratto comune a parlanti nativi e non: le differenze fra l’elaborazione di idiomi (sia letterali sia figurati) e espressioni nuove emergono nelle ultime fasi. Probabilmente all’inizio queste espressioni sono lette in modo simile ed è probabile che i sistemi di misurazione delle prime fasi di lettura non sia sensibili a potenziali differenze nel caso di lunghe stringhe di parole.

Il fatto che il significato letterale emerga prima di quello figurato nel caso di parlanti non-nativi è stato dimostrato anche da CieŚlicka

(2006), la quale ha sviluppato il Literal-salience Resonant Model24, che si basa appunto sulla prominenza del significato letterale. Questo modello spiega come gli apprendenti L2 elaborino le espressioni idiomatiche. I significati letterali dei costituenti dell’idioma sono definiti salienti, in quanto vengono attivati prima rispetto al significato figurato dell’idioma. Gli apprendenti L2 avrebbero molta più familiarità con i significati letterali dei componenti dell’idioma, poiché più frequenti; questa loro frequenza permetterebbe rappresentazioni più stabili nel lessico mentale. Poiché i significati letterali tendono a restare più frequenti nella produzione linguistica di un apprendente L2, continuano ad avere una maggiore salienza rispetto ai significati figurati, indipendentemente dal fatto che l’idioma sia altamente o poco familiare.

Per testare questa ipotesi, lo studio è stato condotto con un cross-modal lexical priming paradigm. I partecipanti sono stati sottoposti a un task off- line e a un task on-line. I soggetti dovevano ascoltare frasi registrare contenenti espressioni idiomatiche; durante l’ascolto erano presentati al centro dello schermo di un computer parole target su cui i soggetti dovevano compiere un lexical decision task, decidendo se si trattava di una parola o no il più velocemente possibile e nel modo più accurato. Le parole target sono state presentate o nella penultima posizione dell’idioma o dopo l’offset della stringa idiomatica. In questo momento venivano analizzati i tempi di reazione.

Hanno partecipato all’esperimento 43 soggetti studenti di Filologia Inglese, tutti parlanti nativi di polacco e fluenti in inglese.

Sono stati selezionati 80 espressioni idiomatiche secondo le norme presentate da Titone & Connine (1994). Su questi idiomi sono state testate la letteralità, la composizionalità e la familiarità chiedendo a 54 studenti (che non hanno preso parte all’esperimento principale) di valutare queste caratteristiche in una scala da 1 a 10. Sono stati infine selezionati 40 idiomi, di cui 22 erano letterali e 18 non letterali e 20 decomponibili e 20

24 La nozione di salienza è ripresa dalla Graded Salience Hypothesis di Giora

(2002): la salienza viene definita in termini di convenzionalità, frequenza, familiarità e prototipicità.

non decomponibili. Ogni idioma è stato inserito in una frase neutrale, in modo che non venisse influenzato il significato figurato; ad ognuno sono state associate due coppie target. La prima coppia era formata da una parola target correlata al significato figurato dell’idioma (idiomatic target) e da una parola di controllo; la seconda coppia era costituita da una literal target correlato semanticamente al significato letterale dell’ultima parola dell’idioma e da una parola di controllo. Per aumentare la possibilità che il significato idiomatico fosse individuato, le parole target sono state presentate 100ms dopo la penultima e ultima parola. Inoltre sono state aggiunte 80 frasi non idiomatiche.

I risultati hanno mostrato come le risposte più veloci sono state causate in presenza di target correlati al significato letterale. Questo fa presupporre che l’interpretazione letterale dell’idioma sia attivata prima dell’interpretazione idiomatica.