Un ultimo aspetto che merita ancora attenzione è quello relativo alle fonti di determinazione dei livelli essenziali di assistenza le quali presentano evidenti connessioni con il tema dei rapporti tra i livelli di governo e con la stessa garanzia di effettività dei livelli essenziali.
156 “Questo, almeno, a livello teorico. La prassi del vecchio Titolo V dimostra, in realtà, quanto tale confine possa essere spostato in una o nell’altra direzione a seconda delle esigenze politiche da raggiungere”. Così, CUOCOLO L., La tutela della salute tra neoregionalismo e federalismo, cit., pag. 85. Per approfondimenti circa l’analisi dei livelli essenziali e dei principi fondamentali, si rinvia a CUOCOLO L., La tutela della salute tra neoregionalismo e federalismo, cit., pagg. 75-87.
157 Sul principio di concorrenza, cfr. TORCHIA L., “Concorrenza” fra Stato e Regioni dopo la riforma del Titolo V: dalla collaborazione unilaterale alla collaborazione paritaria, in Le Regioni, Bologna, Il Mulino, 2002, 4, pag. 649.
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In dottrina è condivisa l’opinione secondo la quale la disposizione costituzionale di cui all’art. 117, co. 2 contenga una implicita riserva di legge, anche se sull’intensità di tale riserva e al suo stesso fondamento vengono operati numerosi distinguo. Tale riserva trarrebbe fondamento dal collegamento implicito contenuto nell’art. 117, co. 2 con le norme della prima parte della Costituzione, che riconoscono e garantiscono i diritti civili e sociali i quali prevedono, a loro volta, riserve di legge che possono essere assolute o relative158.
In favore di questa argomentazione milita la circostanza che l’individuazione delle prestazioni essenziali rappresenta una componente ineliminabile della disciplina di un diritto civile o sociale, in quanto contribuisce a determinarne il contenuto effettivo: è, dunque, naturale giungere alla conclusione che la loro determinazione non può che ricadere nello stesso regime delle fonti che la Costituzione ha previsto per il diritto a cui si riferiscono159. In effetti, se i livelli essenziali prescrivono aspetti collegati ai diritti civili e sociali, la prima forma di garanzia per i diritti si ha con il loro inserimento nella sede legislativa, nella quale si manifesta più direttamente il gioco delle rappresentanze degli interessi generali160.
Il ricorso alla fonte primaria per la disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni non è, però, idoneo a garantire alle Regioni una tutela maggiore della propria sfera di competenza rispetto a quella che potrebbero ottenere dal ricorso ad atti di normazione secondaria, posto che gli attuali meccanismi di raccordo e di concertazione tra livelli di governo si collocano sul versante dei rapporti tra esecutivi161. Il riferimento è alla sistema delle Conferenze le quali rappresentano l’unica sede permanente di confronto e concertazione inter-istituzionale162.
158
Cfr. LUCIANI M., I diritti costituzionali tra Stato e Regioni (a proposito dell’art. 117 comma 2, lett. m), Cost.), pag. 354; PINELLI C., Sui “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali” (art. 117, comma 2, lett. m) Cost.), pag. 892.
159 Cfr. D’ALOIA A., Diritti e Stato autonomistico. Il modello dei livelli essenziali delle prestazioni, cit., pag. 1122; SIMONCINI A., Non c'è alternativa alla leale collaborazione. Dalla Corte le prime indicazioni su regolamenti del Governo e «livelli essenziali» nelle materie regionali, in Le Regioni, Bologna, Il Mulino, 2003, 6, pag. 1213 e ss.
160 Sul punto, vedi GIGLIONI F., Le procedure di determinazione dei livelli essenziali di assistenza, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, 10, pag. 1108.
161
Sul coinvolgimento degli organi di raccordo tra livelli territoriali, la Corte costituzionale con la sentenza 23 gennaio 2006, n. 31 (pubb. in G.U. 8 febbraio 2006), ha affermato che “il principio di leale collaborazione deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni: la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti. La genericità di questo parametro, se utile per i motivi sopra esposti, richiede tuttavia continue precisazioni e concretizzazioni. Queste possono essere di natura legislativa, amministrativa o giurisdizionale, a partire dalla ormai copiosa giurisprudenza costituzionale. Una delle sedi più qualificate per l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione è attualmente il sistema delle Conferenze Stato-Regioni e autonomie locali. Al suo interno si sviluppa il confronto tra i due sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito ai quali si individuano soluzioni concordate di questioni controverse”. Con specifico riferimento all’esercizio dell’attività normativa, la Corte ha chiarito come, “in via generale, […] - nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi, anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 - […] il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale è costituito dal sistema delle Conferenze. Esso - disciplinato dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 […] - realizza una forma di cooperazione di tipo
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A favore della natura relativa alla riserva di legge milita poi la considerazione di ordine pratico circa la particolare complessità cui può giungere l’identificazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che richiede strumenti normativi di rapida adozione e facile modificazione163.
Le esperienze applicative sinora maturate sono, infatti, caratterizzate dal ricorso ad una pluralità di fonti di individuazione dei livelli essenziali (atti di pianificazione, regolamenti governativi, decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, accordi e intese Stato-Regioni), ma aldilà della fonte prescelta, la necessità è quella di assicurare la partecipazione delle Regioni e degli enti locali al procedimento volto alla loro adozione, in considerazione della separazione tra il soggetto titolare del potere di individuazione dei livelli ed il livello di governo responsabile della loro attuazione164.
Accordi e intese stipulate fra Stato, Regioni e autonomie locali si sono rilevate particolarmente utili a sopperire alla materiale impossibilità per lo Stato di ricorrere all’esercizio diretto di poteri normativi secondari, specie nei settori di competenza concorrente o residuale delle Regioni165. Si tratta, peraltro, di una prassi che pone non pochi problemi di interpretazione sia in relazione al grado di vincolatività giuridica delle fonti pattizie, specie rispetto ai titolari della potestà legislativa, sia alla loro attitudine a costituire fonti del diritto in un quadro normativo che non prevede tale eventualità.
organizzativo”. Sul punto, cfr. sentenza 13 gennaio 2004, n. 6 (pubb. in G.U. 21 gennaio 2004); sentenza n. 423/2004; sentenza 20 giugno 2005, n. 242 (pubb. in G.U. 29 giugno 2005); sentenza 19 novembre 2007, n. 401 (pubb. in G.U. 28 novembre 2007); sentenza 27 febbraio 2008, n. 51 (pubb. in G.U. 12 marzo 2008). 162
Il sistema delle Conferenze è stato definito dalla Corte costituzionale con la sentenza 23 marzo 1994, n. 116 (pubb. in G.U. 13 aprile 1994) come “un’istituzione operante nell’ambito della comunità nazionale come
strumento per l’attuazione della cooperazione fra gli stessi”. Gli ‘accordi’ permettono alle Regioni di
partecipare indirettamente all’attività legislativa nazionale attraverso gli impegni assunti dal governo centrale, che hanno tuttavia una valenza esclusivamente politica in quanto toccano competenze esclusive del Parlamento, come chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale 5 maggio 2001, n. 437 (pubb. in G.U. 14 novembre 2001) che, rigettando il ricorso di alcune Regioni su una presunta inosservanza dello Stato di accordi assunti in sede di Conferenza, ha escluso che le determinazioni legislative di competenza del Parlamento possano essere condizionate da impegni assunti dall’esecutivo in questa sede, cfr. LUPO N., Il
trattamento giurisprudenziale delle fonti del diritto sanitario: alcune prime osservazioni, in Cittadinanza, corti e salute, BALDUZZI R. (a cura di), Padova, Cedam, 2007, pagg. 171-196. Vedi, inoltre, CARPANI G., La Conferenza Stato-Regioni. Competenze e modalità di funzionamento dall’istituzione ad oggi, Bologna, Il
Mulino, 2006, pag. 69 e ss; CARPINO R., Evoluzione del sistema delle Conferenze, in Le istituzioni del federalismo, 2006, 13, pag. 32; BUSIA G., Il ruolo della Conferenza Stato Regioni nel dialogo tra centro e periferia in materia sanitaria e farmaceutica, in http://www.i-com.it, 2007, 17, pagg. 1-5. Analisi tratta dalla relazione effettuata nel Roundtable I-Com (Istituto per la Competitività), dal titolo: Verso un modello più efficiente di relazioni tra lo Stato e le Regioni in materia Farmaceutica? , svoltosi il 16 luglio 2007; TUBERTINI C., Le Regioni e il sistema delle Conferenze: riflessioni sulle possibili riforme, in Le istituzioni del federalismo, 2010, 1-2, pag. 93 e ss; DI FOLCO M., Le funzioni delle conferenze, in Manuale di diritto sanitario, BALDUZZI R. - CARPANI G. (a cura di), Bologna, Il Mulino, 2013, pag. 172-181.
163 Cfr. BERTI G., Mutamento dello Stato sociale e decentramento istituzionale: effetti sulla tutela dei diritti, in Le garanzie di effettività dei diritti nei sistemi policentrici, BERTI G. - DE MARTIN G.C. (a cura di), Milano, Giuffrè, 2003, pag. 16.
164 In riferimento ai livelli essenziali di tutela della salute, cfr. DI FOLCO M., La partecipazione delle autonomie territoriali alla determinazione dei livelli essenziali, in La sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e progetto di devolution, BALDUZZI R. (a cura di), Milano, Giuffrè, 2004, pag. 81 e ss.
165 In riferimento alle fonti di disciplina dei livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria, si rinvia al Capitolo III.
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Una intesa, anche qualora contenga sostanzialmente una disciplina integrativa di una fonte primaria, non può considerarsi essa stessa in via diretta fonte primaria, almeno fino a un suo formale recepimento con un atto statale o regionale166.
166 Per ulteriori approfondimenti sulle fonti di disciplina dei livelli essenziali e sulle soluzioni prospettate dalla giurisprudenza, si rinvia a TUBERTINI C., Pubblica amministrazione e garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni. Il caso della tutela della salute, cit., pag. 112 e ss.
59 CAPITOLO III
LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA IN SANITÀ
1. Premessa.
La scelta di analizzare i livelli essenziali delle prestazioni ponendo attenzione al diritto alla salute è legata in primo luogo alla sua natura di diritto fondamentale sancita dall’art. 32 della Costituzione della Repubblica italiana e, in secondo luogo, al fatto che i livelli essenziali trovano la loro origine proprio nella normativa riguardante le prestazioni di assistenza sanitaria.
Nel contesto istituzionale la salute si compone di due profili essenziali: la difesa dell’integrità psico-fisica della persona umana di fronte alle aggressioni o alle condotte, comunque, lesive di terzi in relazione al quale si configura come diritto erga omnes, immediatamente garantito dalla Costituzione e, come tale, direttamente tutelabile e azionabile dai soggetti legittimati nei confronti degli autori dei comportamenti illeciti; e la pretesa a ricevere prestazioni positive da parte della Repubblica per la tutela della salute, in termini di diritto a trattamenti sanitari, come tale soggetto alla determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione della relativa tutela da parte del legislatore. Da qui, il riconoscimento della doppia natura del diritto alla salute quale diritto di libertà e diritto a prestazioni per la sua tutela167.
Appare, quindi, opportuno ripercorrere l’evoluzione della normativa in materia di definizione dei livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria per capire quali sono, nell’ambito della nuova impostazione costituzionale dei rapporti tra normazione statale e regionale delineata nel Capitolo II, i principi, le modalità e i nuovi strumenti predisposti dal legislatore per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in sanità.
Il quadro ricostruito nel Capitolo precedente (II) attiene alla nozione e al contenuto dei livelli essenziali delle prestazioni, mentre nel presente Capitolo viene affrontata la questione dei livelli essenziali in riferimento al diritto costituzionale alla salute, in quanto essi trovano la loro origine proprio nella normativa riguardante le prestazioni di assistenza sanitaria e si collocano come un vero e proprio strumento di politica sanitaria.
Un primo elemento di analisi riguarda la definizione, l’evoluzione del concetto e le principali caratteristiche dei livelli essenziali di assistenza nel settore sanitario con attenzione ai cambiamenti di prospettiva degli anni Novanta. Tali cambiamenti nel qualificare per la prima volta le garanzie
167
Sulla pluralità di significati del diritto alla salute, cfr. MORTATI C., La tutela della salute nella costituzione italiana, in Riv. infort., 1961, I, pag. 1; LUCIANI M., Il diritto costituzionale alla salute, in Dir. soc., 1980, pag. 780 e ss; CORSO G., I diritti sociali nella costituzione italiana, cit., pag. 768 e ss; PEZZINI B., Il diritto alla salute: profili costituzionali, in Dir. soc., 1983, pag. 23; CARAVITA B., La disciplina costituzionale della salute, in Dir. soc., 1984, pag. 31; AICARDI N., La sanità, cit., pagg. 625-632.
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che il Servizio sanitario nazionale deve uniformemente assicurare su tutto il territorio nazionale secondo il carattere di necessità, efficacia e appropriatezza, hanno attribuito ai livelli essenziali un ruolo centrale nella programmazione sanitaria e nelle relazioni fra i livelli di responsabilità e hanno stabilito una nuova relazione di contestualità fra la definizione delle garanzie e la determinazione del fabbisogno finanziario del sistema sanitario.
Il secondo elemento di analisi affronta la nascita e l’evoluzione dei livelli essenziali delle prestazioni nella sanità italiana a partire dai primi riferimenti normativi del 1978 con particolare attenzione alle riforme sanitarie degli anni Novanta. In questo periodo il passaggio considerato cruciale rispetto alla preesistente legislazione riguarda sia l’affermazione del principio della contestualità tra l’individuazione dei livelli essenziali e la quantificazione delle risorse finanziarie, sia la precisazione dei parametri oggettivi per la selezione delle prestazioni, specificando il concetto dell’essenzialità sulla base di una serie di criteri: pertinenza, efficacia, appropriatezza ed economicità i quali rappresentano i cardini a cui si è ispirata tutta la successiva disciplina attuativa e dimostrano che nel settore delle prestazioni sanitarie il requisito dell’essenzialità è dato da una combinazione di fattori in cui l’economicità costituisce uno dei parametri, ma non l’unico.
Un terzo elemento di analisi riguarda la ricostruzione dei passaggi procedurali, frutto della regionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e dell’avvento del federalismo sanitario, che hanno preceduto l’individuazione dei livelli essenziali di assistenza e che hanno portato all’adozione del d.P.C.M. 29 novembre 2001, del quale vengono analizzati la struttura e i contenuti nonché le interpretazioni di dottrina e giurisprudenza in merito alla legittimità dello stesso, sia in riferimento al procedimento di adozione, sia alla moltiplicazione delle fonti di disciplina che all’espansione di tale disciplina alla regolazione di aspetti ulteriori rispetto alla mera individuazione delle prestazioni essenziali168.
Un ultimo elemento di analisi riguarda l’attuazione dei livelli essenziali e le differenziazioni che si sono determinate nelle Regioni nella definizione del sistema regionale di garanzia dei livelli essenziali di assistenza previsti dal legislatore statale.
168 La scelta di procedere con un atto statale adottato ad esito di un procedimento concertato con le Regioni ha delineato un modello che è sopravvissuto alla riforma costituzionale del 2001 e all’avvenuta costituzionalizzazione della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Ne sono dimostrazione l’adozione del d.P.C.M. 23 aprile 2008 che avrebbe dovuto revisionare e ampliare i livelli essenziali di assistenza definiti nel 2001 e il recente schema di d.P.C.M. sull’aggiornamento della disciplina in materia di malattie croniche e malattie rare e di ludopatia predisposto dal Ministro della Salute in attuazione di quanto disposto dall’art. 5 del d.l. 158/2012, convertito in legge n. 189/2012.
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2. La definizione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria.
I livelli di assistenza sanitaria rappresentano l’ambito delle garanzie che il Servizio sanitario nazionale si impegna a garantire a tutta la popolazione in condizioni di uniformità; si tratta, pertanto, delle attività e delle prestazioni sanitarie che il Servizio sanitario deve erogare a tutti i cittadini con le risorse pubbliche a disposizione. Nessun sistema sanitario può garantire tutte le prestazioni possibili ai cittadini, soprattutto in una situazione di carenza di risorse economiche a fronte di una crescente domanda di salute della popolazione. Occorre, invece, stabilire gli ambiti di attività che sono essenziali per la popolazione e che devono essere garantiti a tutti i cittadini attraverso un processo di selezione basato su criteri espliciti e trasparenti.
I livelli essenziali di assistenza possono essere definiti come macro aree di attività o di offerta (assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera); come aree di attività comprese nelle suddette macro-aree (ad esempio il Pronto soccorso, il day hospital nell’ambito dell’assistenza ospedaliera); come prestazioni sanitarie comprese nelle aree di attività, e come standard, parametri o soglie entro cui rimanere o da garantire.
I livelli di assistenza sanitaria devono essere considerati come “essenziali” non come “minimi”: sono quegli ambiti di attività che una società, in relazione al livello sociale e culturale in cui si trova, considera così importanti da non poter essere negati alla popolazione. Non possono, però, essere fissati “per sempre”, ma vanno modificati in relazione alle nuove esigenze della società e alla stessa evoluzione scientifica e tecnologica. Si collegano al principio di universalità espresso dall’art. 1 della legge n. 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale.
La scelta operativa di quali livelli devono essere considerati essenziali deve avvenire sulla base di precisi criteri, che nell’ordinamento italiano attengono alla loro “necessità” rispetto al bisogno di salute e alle evidenze scientifiche e alla loro “appropriatezza” rispetto alle condizioni specifiche della persona. Inoltre, i livelli essenziali devono essere considerati come “uniformi” nelle garanzie, non nelle modalità di erogazione169.
La critica al concetto di “uniformità”, che ha portato ad abbandonare questo attributo nel d.P.C.M. 29 novembre 2001 di definizione dei livelli essenziali di assistenza, riguarda l’uniformità nelle modalità di organizzazione dei servizi, mentre non appare rivolta alle scelte di fondo del sistema che si riconducono al principio di uguaglianza dei cittadini. Questa caratteristica si lega al principio di equità del Servizio sanitario nazionale, al quale si attribuisce lo specifico significato di uguaglianza nell’accesso ai servizi e alle cure. L’abbandono di questo attributo, pertanto, non è
169
Per approfondimenti sulla scelta del Servizio sanitario nazionale e le successive evoluzioni normative ed organizzative degli anni Novanta, si rinvia a BALDUZZI R. - SICLARI M., Libro bianco sui principi fondamentali del servizio sanitario nazionale, Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche Vittorio Bachelet della Libera Università degli studi sociali - LUISS “Guido Carli” Roma, 2008, in http://www.salute.gov.it, pag. 7 e ss.
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rivolto ai destinatari ma unicamente alle modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie, prendendo atto che l’offerta sanitaria delle diverse Regioni non è mai stata uniforme.
La definizione esplicita delle garanzie che il Servizio sanitario nazionale deve assicurare a tutti i cittadini in modo uniforme su tutto il territorio nazionale secondo il nuovo concetto di livelli essenziali di assistenza, definiti in base ai criteri di rispetto della dignità umana, efficacia clinica e appropriatezza d’uso ed economicità costituisce il contenuto della riforma del 1999, che ha esercitato l’impatto più profondo e duraturo sulle politiche sanitarie con un modello che si è esteso anche agli altri settori delle relazioni fra lo Stato centrale ed i governi regionali, venendo poi ripreso nella riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione per qualificare le competenze esclusive dello Stato nella definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all’art. 117, co. 2, lett. m).
Il concetto dei livelli essenziali è presente, con diversi significati, anche nelle altre due leggi fondamentali del Servizio sanitario nazionale. In particolare, nella formulazione della legge del 1978 tale concetto rispondeva all’obiettivo di rendere universale ed omogenea a livello territoriale l’assistenza differenziata offerta dai disciolti enti mutualistici attraverso “livelli delle prestazioni
sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini”, indipendentemente dai vincoli
di bilancio. Nel d.lgs. n. 502/1992 i due principi fondamentali dell’universalismo e dell’equità territoriale furono, invece, sovrastati dal prevalere dell’esigenza di garantire la compatibilità della spesa sanitaria con le risorse finanziarie disponibili.
Il Piano sanitario nazionale 1998-2000, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998170, e il d.lgs. 229/1999 segnarono una profonda differenza rispetto all’approccio della riforma del 1992 su due diversi piani: i livelli di assistenza da garantire su tutto il territorio nazionale in modo uniforme furono qualificati non come livelli “minimi” ma come “essenziali” in quanto definiti da servizi e prestazioni selezionati secondo criteri di necessità, efficacia e appropriatezza d’uso. Inoltre, la loro definizione avrebbe dovuto avvenire contestualmente alla determinazione dell’ammontare delle risorse pubbliche destinate al Servizio sanitario nazionale e, quindi, né a prescindere dalle risorse disponibili come indicava la legge n. 833/1978, né doveva essere condizionata dalle risorse (come aveva preteso il d.lgs. n. 502/1992).
Dal punto di vista operativo il Piano sanitario nazionale 1998-2000 e il d.lgs. n. 229/1999 hanno configurato la selezione delle prestazioni da includere nei livelli essenziali come un processo di “selezione per sottrazione” dalle prestazioni secondo un filtro logico articolato su tre livelli: i principi etici coerenti con valori fondanti del Servizio sanitario nazionale di universalismo, dignità della persona ed equità; le evidenze scientifiche rispetto all’efficacia delle prestazioni e alla loro
170
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necessità clinica; l’appropriatezza della loro utilizzazione relativamente alle caratteristiche cliniche del singolo paziente e all’efficienza tecnica rispetto alle altre forme di assistenza disponibili171
. Risultano, quindi, escluse dalle prestazioni garantite dal Servizio sanitario nazionale quelle