CAPITOLO II: L’AGRICOLTURA SOCIALE
2.2 Le funzioni sociali dell’agricoltura
Alla lista delle svariate funzioni ascritte alla multifunzionalità agricola, più o meno condivise nel mondo istituzionale, accademico e nella società civile più in generale, è possibile aggiungere una particolare categoria di funzioni di carattere strettamente “sociale”4.
All’interno di questa categoria è possibile identificare due principali e distinte funzioni:
• Occupazionale-formativa • Terapeutico-riabilitativa
4 Per non ingenerare confusione è opportuno fare chiarezza sul significato di alcuni termini. In questo
contesto il riferimento è all’agricoltura sociale nel senso prima specificato, cioè alle funzioni occupazionale-formativa e terapeutica-riabilitativa. Dunque, il termine è inteso in senso molto più restrittivo rispetto ai casi in cui ci si riferisce alle funzioni sociali includendo tutte quelle non indirizzate e/o non riconosciute dal mercato e dunque multifunzionalità tout court (Casini L., 2003). Alcuni autori utilizzano una tripartizione in cui è compresa anche la funzione didattico-culturale (Franco S., Senni S., 2004). La funzione culturale poggia sull’idea di un’agricoltura depositaria di saperi e tradizioni contadine, custode del territorio e dell’ambiente naturale in cui è radicata e svolge la propria attività. L’agricoltura, dunque, come patrimonio di conoscenza può svolgere un’importante funzione didattica, in particolar modo rivolgendosi ai giovani, attraverso alcuni percorsi ormai consolidati e ampiamente apprezzati dalla collettività. La funzione didattico-culturale viene svolta principalmente dalle fattorie didattiche che nel 2002, in Italia, hanno raggiunto il numero di 444 unità (Osservatorio Agroambientale). In alcuni casi avviene che all’attività agricola della fattoria sociale si
Alle attività agricole è riconosciuta una valenza terapeutico-riabilitativa che si rivolge a persone con disabilità più o meno accentuate nella sfera psichica o motoria. Nell’analisi delle peculiarità agricole, in relazione allo svolgimento di compiti terapeutico-riabilitativi, occorre partire dalla constatazione che l’attività agricola oltre ad essere strettamente connessa al fattore terra è indissolubilmente legata alla coltivazione di piante e\o all’allevamento di animali. Termini quali horticultural
therapy, pet therapy ed ippoterapia richiamano l’attenzione sull’interazione tra
coltivazione-allevamento e terapia medica. Effettivamente, un aspetto fondamentale delle attività agricole è il mettere a contatto gli uomini con esseri viventi, siano essi piante o animali. Il ciclo di sviluppo biologico delle piante rispetta dei tempi naturali relativamente lunghi, che ben si prestano all’inserimento e al recupero di soggetti che per la prima volta devono prendere o riprendere confidenza con il mondo circostante e come è stato osservato “le piante, ma anche gli animali non discriminano e soprattutto le prime non presentano caratteri di minacciosità” (Senni, 2005). Vi è una crescente evidenza empirica sugli evidenti benefici psichici e fisici che l’horticultural therapy può generare (Simson, S. P., Straus M. C., 2003). Nei paesi anglosassoni, in America del Nord ed in Australia, l’utilizzo dell’orticoltura come momento ottimale di riabilitazione è diventata negli ultimi vent’anni una vera e propria disciplina a cui anche molte persone della terza età si sono accostate con particolare successo (Fantini L., 2003).
Il contatto con gli animali e l’interazione con altre persone, aumentano il grado di socialità, e nell’assegnazione dei compiti si viene investiti di responsabilità che possono risultare cruciali nel superare eventuali difficoltà di natura psicologica sedimentatesi nel tempo. Nella pet therapy, gli animali fungono da “mediatori emozionali”, sono cioè uno strumento per allentare le tensioni, e da “catalizzatori” dei processi socio relazionali, diventando “co-terapeuti” nel processo di guarigione (Sacrato L., 2006). “Agli animali, viene riconosciuta un’identità individuale sancita dall’assegnar loro un nome proprio che consente di stabilire delle relazioni più intense e reciproche di quanto non accade con le piante” (Senni, 2005; pag. 27).
Ma vi sono anche altre specificità del settore primario favorevoli allo svolgimento di questo ruolo. L’attività agricola, rispetto ad altre attività produttive, si caratterizza per una maggiore flessibilità e varietà dei processi di produzione. Sia essa di
coltivazione o di allevamento offre un’ampia gamma di possibilità produttive, si spazia dall’attività in pieno campo a quella in ambiente protetto, da un grado di meccanizzazione nullo ad uno molto spinto, da interventi chimici massicci a tecniche di produzione biologiche.
Questo settore può richiedere capacità lavorative relativamente semplici ma non per questo ripetitive o alienanti, inoltre possono essere individuate agevolmente aree di lavoro e mansioni specifiche e adatte a persone con forme di handicap anche molto diverse tra loro.
Dunque, la funzione formativa-occupazionale mira a combattere l’esclusione dal lavoro di determinate categorie di persone svantaggiate. La semplicità delle attività, i ritmi scanditi dai cicli biologici, l’interazione con l’ambiente, la natura e più in generale con un ambiente familiare e rassicurante, caratterizzano positivamente il lavoro agricolo, rendendo possibile e maggiormente idoneo l’apprendimento e la formazione da parte di soggetti che possono presentare anche limitate capacità o che risultano momentaneamente impediti a lavorare. Grazie alla molteplicità di mansioni identificabili tra le diverse attività agricole, risulta abbastanza agevole inserire dei lavoratori disagiati in questo contesto lavorativo in quanto è quasi sempre possibile individuare per ognuno il compito più idoneo in relazione al grado di “svantaggio” di partenza. Si ricorda a titolo di esempio l’ampio numero di disabili impiegati in agricoltura nell’area asiatica (FAO, 1999), la maggior incidenza lavorativa dei disabili in agricoltura rispetto ad altri settori nell’Unione europea (ECHP survey, 1996), il maggior impiego di lavoratori anziani con “benefici per se , per l’impresa e per la comunità locale nei confronti della quale minore è la domanda di assistenza da parte di un soggetto attivo” (Senni S., 2005). L’agricoltura risulta così maggiormente inclusiva di altri settori e rappresenta una vera chance lavorativa per chi generalmente non viene ritenuto in grado di lavorare. Molto spesso si ritiene che i soggetti svantaggiati, che presentano alcune limitazioni, non esprimano nessuna possibilità lavorativa, ma in realtà quasi sempre è possibile che essi esprimano anche se in modo limitato delle potenzialità e attraverso un’adeguata formazione è possibile sviluppare tutte le abilità latenti che possono portare ad una piena inclusione nel processo lavorativo (Zalla D., 2001). Si può senz’altro affermare che date le specificità del settore agricolo, questo presenta una maggior vocazione
nell’inclusione lavorativa di soggetti svantaggiati e tramite le attività di coltivazione, di allevamento e tramite l'allestimento di negozi per la vendita dei prodotti, gli individui con deficit acquisiscono una specifica professionalità, per mirare ad un'integrazione lavorativa e sociale più in generale. “Il contesto dell'agricoltura si costituisce come un laboratorio nel quale ogni individuo acquisisce competenze e autonomie” (Alpi et al., 1985).