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XVI- XVIII: uno sguardo d’assieme

7. La storiografia del Mezzogiorno e le identità territoriali

7.1. Le identità territoriali Il mito dei popoli preromani:

Gli eruditi della Calabria si assumono dunque il compito di ritrovare la versione autentica delle origini della propria “nazione”. Nel De Antiquitate et situ Calabriae,

127

A. Marie Thiesse, La creazione delle identità nazionali in Europa, cit., pagg. 56-57. 128

G. Cirillo, Virtù cavalleresca e antichità di lignaggio, cit.. pag. 219. 129

G. Giarrizzo, Erudizione storiografica e conoscenza storica, cit.. pagg. 571 e ss. 130

G. Giarrizzo, La storiografia meridionale nel Settecento, in Id., Vico, la politica e la storia, Napoli, 1981, pagg. 205-255.

131

F. Campennì, Le storie di città: lignaggio e territorio, in Il libro e la piazza, storie locali dei Regni di Napoli e Sicilia in età moderna, cit., pagg. 74-75.

132

F. Campennì, La costruzione dell’identità regionale nella letteratura calabrese del XVI e XVII secolo, in “L’Acropoli”, vol. IX, n. 3, 2008, pagg. 251-280; vd. Anche Id., Guerre annibaliche e “Calabria nazione”. L’invenzione dell’antico in una provincia del Mezzogiorno spagnolo, in F. Benigno- N. Bazzano (a cura di), Uso e reinvenzione dell’antico nella politica in età moderna, Lacaita, Manduria, 2006, pagg. 95-137.

pubblicato (rigorosamente in latino) a Roma nel 1571 da Gabriele Barrio133, il procedimento

seguito è la costruzione di un’identità di popolo in negativo, cioè una risposta in difesa dei propri luoghi. La ricostruzione storica si articola su tre binari134: rovesciare il topos

negativo; individuare la “nazione” territoriale; annoverare le virtù dei popoli bruzi135.

L’autore è nato a Francica, presso Mileto, nella Calabria Ulteriore. La sua opera rientra nella categoria delle ”laudes” spettanti alla terra dei Bruzi e persegue un fine specifico: identificare una patria calabrese, sentimento di appartenenza regionale. È una storia apologetica136: l’autore difende la sua regione dagli errori commessi nel descriverla da

molti moderni cronisti. Questi ultimi sono accusati di plagiare i testi antichi e mettere in cattiva luce i Bruzi137. Alla ricostruzione filologica delle fonti classiche si combina

l’attenzione alla descrizione topografica e corografia della Calabria. In questo testo ai Bruzi sono dedicati otto capitoli del primo libro; i restanti hanno come oggetto la storia delle città calabresi.

Giovanni Fiore da Cropani scrisse un’opera dal titolo Della Calabria illustrata, pubblicata postuma in tre tomi a distanza considerevole l’uno dall’altro138. Le

caratteristiche dell’opera sono un esasperato campanilismo e un’accettazione incondizionata delle leggende relative alla Calabria antica e medievale. L’intento, come nel Mandelli, è quello di presentare la regione come fertile, ricca di fiumi, abbondante di

133

Thomae Aceti, Accademici Consentini et Vaticanae Basilicae clerici beneficiati in Gabrielis Barrii Franciscani De Antiquitate & situ Calabriae Libros Quinque, nunc primum ex autographos restituitos ac per Capita distributos, Prolegomeni, Additiones & Notae. Quibus accesserunt animadversiones Sertorii Quattromani Patricii Consentini, Romae MDCCXXXVII, ex Tipographia S. Michaelis ad Ripam Sumtibus Hieronymi Mainardi, come cita il frontespizio di una delle copie in possesso della biblioteca civica di Cosenza (fondo Salfi). Nel 1588 Sertorio Quattromani aggiunse delle postille esplicative. Nel 1737 fu pubblicato dopo che Tommaso Aceti portò a termine un lungo lavoro, completando l’elaborato con aggiunte e note. Vedi L. De Rose, Cosenza, “Faro splendidissimo di cultura”, L’Atene della Calabria, i Brettii raccontati da Gabriele Barrio, in Tra Calabria e Mezzogiorno, Studi storici in onore di Tobia Cornacchioli, Editore Pellegrini, Cosenza, 2007, pagg. 31-63.

134

G. Cirillo, Virtù cavalleresca e antichità di lignaggio, cit., pag. 221. 135

B. Cianflone, Gabriele Barrio soriografo calabrese del sec. XVI, in “Historica”, XVI, 1963, pagg. 84-91. 136

F. Campennì, Guerre annibaliche e “Calabria nazione”. L’invenzione dell’antico in una provincia del Mezzogiorno spagnolo, cit., pagg. 110-111.

137

L. De Rose, Cosenza, “Faro splendidissimo di cultura”…, cit., pag. 32. 138

Vedi F. Cozzetto La Calabria di padre Giovanni Fiore da Cropani: eroismo della santità e coscienza della crisi, in Territorio, istituzioni e società nella Calabria moderna, Guida, Napoli, 1987, pagg. 127-146. Il primo tomo fu edito a Napoli nel 1691, il secondo a Napoli nel 1793, il terzo a Chiaravalle Centrale nel 1977. Sui motivi della diversa data di pubblicazione rinvio all’ampia introduzione al III volume curato da Umberto Ferrari (pag. XVI ss.).

armenti139. Parti dell’opera, relative al rapporto tra i fiumi e i centri abitati, sono riprese da

Barrio140. A differenza di quest’ultimo, Giovanni Fiore rimarca la condizione nobiliare dei

cinquecento giovani lucani che, nella quinta migrazione della Calabria, popolarono questa regione antica e giunsero a Cosenza. Dalla compagine lucana discesero, secondo il cappuccino calabrese, i “Brezi nuovi”, che vennero ad incrementare le vecchie abitazioni141.

Nella ricostruzione della guerra annibalica Giovanni Fiore segue Barrio assolvendo i Bruzi dalla colpa del tradimento fatto ai Romani. I veri traditori dell’ordine romano furono i “Boj, oggidì Romagniuoli, Ferraresi, Bolognesi”142.

7.2. La Lucania sconosciuta e le identità territoriali nel Mezzogiorno d’Italia tra XVII e XVIII secolo

Fra la metà del Seicento e il Settecento furono attivi alcuni eruditi, che possiamo definire come i veri inventori delle “nazioni” bruzia, sannitica, lucana, picentina. Essi stabilirono il paradigma identitario relativo alle diverse “nazioni”, identificandolo: a) in uno specifico territorio; b) in precise città, c) in particolari valori morali ed etici; d) attraverso la superiorità del modello politico, con il mito delle città federate dei popolo italici; e) mediante la teoria dei due popoli (il popolo alto e basso), che giustifica il ruolo dell’aristocrazia guerriera italica, progenitrice dell’odierna classe dirigente143. Questi

eruditi di tutte le aree del Mezzogiorno cercano di individuare i caratteri etno- antropologici delle “nazioni” preromane.

Gli insediamenti dei popoli preromani disegnano così i vari territori delle singole “nazioni”: Giovanni V. Ciarlanti144 disegna la “nazione” sannitica; Costantino Gatta145 e

139

F. Cozzetto, La Calabria di padre Giovanni Fiore da Cropani, cit., pag. 129. 140

F. Russo, Padre Giovanni Fiore, in “Almanacco Calabrese”, XVI-XVII, 1966-67, pagg. 113 ss. 141

F. Campennì, La costruzione dell’identità regionale nella letteratura storica calabrese del XVI e XVII secolo, cit. 142

F. Campennì, La costruzione dell’identità regionale …, cit. pag. 266. 143

G. Cirillo, Virtù cavalleresca e antichità di lignaggio, cit.. pag. 220. 144

G. V. Ciarlanti, Memorie historiche del Sannio, cit. 145

C. Gatta, Memorie topografico-storiche della provincia di Lucania compresa al presente nelle provincie di Basilicata e di Principato Citeriore, con la serie genealogica dei Serenissimi principi di Bisignano dell’illustre famiglia Sanseverino, Napoli, presso Gennaro Muzio, 1732.

Giuseppe Antonini146 quella lucana; Vincenzo De Caro147 e Lucido Di Stefano148 quella

picentina.

È un punto di grande difficoltà per questi eruditi, che polemizzano spesso aspramente fra loro: proprio la mobilità delle popolazioni italiche e la stessa fluidità delle distinzioni etniche, troppo evidenti nelle stesse fonti antiche per poter essere taciute, portava a polemiche aspre sull’attribuzione di questo o quello spazio e sui rapporti genealogici di una popolazione con l’altra; come vedremo, in alcune di queste polemiche fu coinvolto Mandelli stesso.

Non sorprenderà quindi che i popoli preromani, in quanto a virtù e valori morali ed etici, in questi scritti siano ritenuti superiori ad ogni altro. Secondo Giovanni V. Ciarlanti i sanniti sono virtuosi, hanno il senso del rispetto della famiglia e della partecipazione alla vita sociale. Perseguono una vita semplice, lontana dai lussi149. Non è diverso il giudizio

che Costantino Gatta ci dà sui Lucani:

furono i lucani religiosi, ospitali ed amanti della giustizia150.

Secondo Antonini furono sempre d’animo e di genio quieto, ospitali151. De Stefano ne

sottolinea l’ospitalità, il forte senso religioso, la condotta di vita sobria152.

Centrale nel paradigma identitario il mito del sistema politico federativo ed anticentralistico. Nell’opera di G. Ciarlanti si ravvisa la descrizione di un modello politico sannitico, visibile soprattutto nel mito delle città federate153: i Sanniti non avrebbero mai

riconosciuto un re forestiero, vivendo in libere repubbliche che si riunivano secondo le

146

G. Antonini, La Lucania. Discorsi di Giuseppe Antonini, barone di S. Biase, Napoli, appresso Francesco Tomberli, 2 voll., 1795 [la prima edizione dell’opera è però del 1745].

147

V. De Caro, Commentari sull’antico e moderno Stato di Giffoni, Napoli, 1787; ora pubblicato a cura di Valerio Alfano e Luca Basso, Prepezzano, 2000.

148

L. Di Stefano, Della Valle di Fasanella nella Lucania, discorsi del dotto Lucido Di Stefano della terra di Aquaro nella stessa Lucania, Tomi I-III, Aquaro, 1781, volumi manoscritti ora stampati dal Centro di Cultura e Studi Storici “Alburnus”, Salerno, 1994.

149

G. V. Ciarlanti, Memorie historiche del Sannio, cit., pag. 20. 150

C. Gatta, Memorie topografico-storiche della provincia di Lucania, cit., pagg. 32-33. 151

G. Antonini, La Lucania. Discorsi, parte I, cit., pag. 135. 152

L. De Stefano, Della Valle di Fasanella, cit., pag. 34. 153

occasioni154. Anche autori come Gatta, Antonini, De Stefano e lo stesso Mandelli rilevano

l’importanza del sistema federativo delle città lucane155.

Il paradigma del modello politico federativo delle città dei popoli italici si sposa anche all’aspirazione delle libertà cittadine preromane o di matrice medievale. Si ritrovano nella storiografia sulle identità territoriali del Mezzogiorno d’Italia descrizioni di città d’origine magno-greca, romano-bizantina, oppure longobarda. Le varianti sono le seguenti: città formalmente indipendenti, non soggette a Roma, ma federate, sede di municipio romano o di governo semindipendente bizantino; città libere nel periodo longobardo con duca o gastaldato; città con propri statuti nell’età moderna, attraverso un patto con il sovrano156.

Altra categoria interpretativa largamente presente nelle storie territoriali è quella dei due popoli. Questo tema appare anche nelle storie municipali del Regno di Napoli, in cui tutte le azioni gloriose della città sono ispirate dai ceti alti: patriziato e alta borghesia. Invece tutte le azioni vili, dalla partecipazione alle guerre annibaliche ai moti antispagnoli del 1647-48, sono imputabili al “popolo basso”157, traditore della patria, che patteggia con i

nemici.

8. Una nuova visione delle “Nazioni territoriali”

Nel secondo Settecento i motivi relativi alla superiorità civile e politica italica assumono un diverso significato. Se nei decenni precedenti questi paradigmi identitari miravano a dare lustro alla patria e nobilitarla, in alcuni autori meridionali come Giuseppe

154

G. V. Ciarlanti, Memorie historiche del Sannio, cit., pag. 21. 155

L. Mandelli, La Lucania Sconosciuta, parte I, pag. 101. 156

G. Cirillo, Generi contaminati, il paradigma delle storie feudali e cittadine, pagg. 157-210; A. Musi, Storie nazionali e locali, pagg. 13-26; A. Lerra, Un genere di lunga durata: le descrizione del Regno di Napoli, pagg. 27- 50; F. Campennì, Le storie di città: legnaggio e territorio, pagg. 69-108; A. L. Sannino, Le storie genealogiche, tutti saggi contenuti nel volumi di A. Lerra (a cura di) Il Libro e la piazza, cit.

157

In riferimento a questi temi vedi: A Musi, Il Mezzogiorno spagnolo la via napoletana allo stato moderno, Guida, Napoli, 1991; Id., La rivolta di Masaniello sulla scena politica barocca, Guida, Napoli, 2002; M.A. Visceglia, Territorio, feudo e potere locale: terra di Otranto tra medioevo ed età moderna, Guida, Napoli, 1988; G. Galasso, Mezzogiorno medievale e moderno, Einaudi, Torino, 1978; Id., Alla periferia dell’impero: il Regno di Napoli nel periodo spagnolo, secoli XVI-XVII Einaudi, Torino, 1994.

Maria Galanti158 e Antonio Genovesi159 il mito delle libertà italiche, del modello federativo,

è letto a livello ideologico, trasformato in un preciso programma inserito in un contesto riformatore. Non vi era più la fuga dal presente in un felice passato. In questi autori il modello italico si inseriva nella categoria dell’antispagnolismo. Per loro la dominazione spagnola ha rappresentato conquista, sfruttamento economico e decadenza politica e civile160. Il modello italico, in questi autori, passava attraverso l’esaltazione del mito, delle

virtù dei popoli preromani, la ricerca etimologica e toponomastica, per ricostruire la tradizione e le radici delle zone provinciali. Queste virtù sono piegate e avvilite dal ruolo accentratore della capitale del regno.

In Genovesi, contrapposto al modello italico vi era quello romano, caratterizzato dalla sopraffazione, dallo sfruttamento economico, che aveva assunto i caratteri della dominazione spagnola. Per Galanti l’indipendenza del regno, con a capo il re Carlo di Borbone, non aveva risolto questi problemi. Non domina più la Spagna, ma l’arretratezza economica e culturale è ancora viva. Napoli appare come una seconda Roma. Il tema centrale è la contrapposizione tra la capitale e le province. Galanti esalta le virtù civili degli antichi Sanniti contro i vizi di Roma, passando attraverso il mito. Il valore dei Sanniti è dimostrato dall’aver messo Roma, più volte, in difficoltà. Il loro stato lontano dalla barbarie è provato dalle loro attività agricole, assenti presso le popolazioni selvagge e primitive161. Si riprendono qui stilemi della storiografia del secolo precedente162.

Da quanto detto, emerge la visione riformatrice del Galanti163. Sotto il profilo

economico l’impostazione era prettamente fisiocratica. La prosperità di una nazione

158

Su G. M. Galanti (1743-1806), economista, storico e politico napoletano, vedi F. Venturi,Illuministi italiani, tomo V, Milano-Napoli, Ricciardi, 1962; G. Giarrizzo, Erudizione e storiografia e conoscenza storica, in R. Romeo, G. Galasso, Storia del Mezzogiorno, vol IX, Aspetti e problemi del medioevo e dell’età moderna, Editalia, 1986, pagg. 574 e ss.

159

Su A. Genovesi (1712-1769), filosofo, economista e scrittore italiano, vedi F. Venturi, Settecento riformatore, vol. I, Da Muratori a Beccaria, Einaudi, Torino, 1969.

160

A. Musi, Fonti e forme dell’antispagnolismo, in Alle origini di una nazione: antispagnolismo e identità italiana, Guerini e Associati, Milano, 2003.

161

G. M. Galanti, Descrizione del Molise, vol. I, a cura di F. Barra, Di Mauro, Sorrento, 1993, pag. 119. 162

G. M. Galanti, Descrizione del Molise, cit.. pagg. 49 ss. 163

Per una visione complessiva della biografia intellettuale del Galanti, cfr. soprattutto F. Venturi, Illuministi italiani, tomo V, Milano-Napoli, Ricciardi, 1962; cfr. inoltre G. Verrecchia, Giuseppe Maria Galanti, Ricerche bio- bibliografiche, Campobasso, 1924; C. Rainone, Il pensiero economico di Giuseppe Maria Galanti (1743-1806), Roma, 1968.

risiedeva nell’agricoltura, con il libero possesso della terra. Era questo, in sostanza, il programma genovesiano164. L’agricoltura per essere florida doveva essere inserita in un

quadro di libero commercio, contro gli abusi feudali165. Così la marcata esigenza

riformatrice, e l’attitudine ad una indagine analitica sulle condizioni del Regno, unita ad una istanza anticentralistica, viva in intellettuali provenienti dalle province, alimentava l’attenzione verso le condizioni e tradizioni peculiari delle “nazioni regionali”, anche rinvigorendo in una nuova ottica le tradizioni mitografiche166. Il fine era di ricostruire il

Regno passando attraverso la rivalutazione di queste “nazioni minori”. Genovesi esplorava l’antica sapienza italica per mostrare che, in una narrazione che poneva al centro il mito, il Mezzogiorno non era vincolato ad un destino naturale: un’altra storia era possibile, non sottomessa a logiche di accentramento e di malgoverno167. Da un punto di

vista prettamente politico, la visione del modello federalistico di libere repubbliche sarebbe stato recepito dal dibattito politico del primo Ottocento168.

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