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Le imprese target

Dal lato della domanda si trova l’universo delle imprese, quasi esclusivamente non quotate, che possono essere interessate e disposte ad aprire il loro capitale a soci esterni, nel caso specifico investitori istituzionali. Nel seguito si andrà ad analizzare la composizione attuale della domanda in Italia in base alle caratteristiche delle imprese target degli ultimi dieci anni (2003-2013), utilizzando i rapporti PEM (Private Equity Monitor) che censiscono le operazioni di expansion e buy out e i rapporti VEM (Venture Capital Monitor)47 che censiscono le operazioni early stage.

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In relazione ai fattori che sono rilevanti nella scelta di aprire il capitale ai fondi di private equity, si riportano le necessità e i vantaggi da un lato e gli ostacoli dall’altro.

La composizione

I rapporti PEM e VEM permettono di individuare il profilo medio delle aziende italiane oggetto di investimento, fornendo informazioni sulla localizzazione geografica, dimensione, settore. Analizzando le operazioni censite dal PEM, risulta che negli ultimi dieci anni sono state realizzate soprattutto operazioni di buy out, con conseguente acquisizione di quote di maggioranza, anche se negli anni 2011-2012 c’è stata una prevalenza di operazioni di expansion. Le imprese familiari si confermano nel tempo la principale fonte di opportunità di investimento, seguita dalla cessione di rami aziendali da parte di gruppi nazionali. Analizzando le caratteristiche delle imprese target emerge che:

1. Localizzazione geografica: le imprese target sono localizzate prevalentemente nella regione Lombardia, con un notevole stacco rispetto ad altre regioni interessanti quali Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Friuli. È invece contenuto il numero di imprese target localizzate nelle regioni del Mezzogiorno.

2. Dimensione: l’analisi della percentuale di imprese per classi di fatturato fa emergere due aspetti:

a. Le imprese target sono sempre più ricomprese, rispetto al passato, nella classe dimensionale di fatturato inferiore ai €60 milioni e, nello specifico, con una prevalenza di imprese con fatturato inferiore ai €30 milioni.

b. Le imprese con un fatturato compreso tra €61 e €100 milioni (classe media) sono presenti sempre in quote scarsamente rilevanti.

Analiticamente nel 2003 il 46% delle imprese target aveva un fatturato inferiore ai €60 milioni, mentre il 43% aveva una fatturato maggiore ai €100 milioni. Nel 2005 la proporzione si è modificata a 62% contro 30%, mantenendosi pressoché invariata nel 2006. L’anno che segna il ridimensionamento delle imprese target sembra però essere il 2007, nel quale si registra un 67% di operazioni condotte con imprese che presentano un valore del fatturato inferiore ai €60 milioni, e nello specifico quasi un 50% con fatturato inferiore ai €30 milioni, mentre le imprese di grandi dimensioni rappresentano solo il 20% degli investimenti. Questo fenomeno perdura fino al 2013, anche se le operazioni verso imprese di grandi dimensioni lentamente stanno aumentando, in contrappeso ad una contrazione delle operazioni nella classe media €61-100 milioni.

3. Settori: i settori di riferimento sono quelli del modello “classico” di specializzazione industriale italiana, ovvero i beni per l’industria e, al secondo posto, i beni di consumo. Il profilo tipico è quello di leader in una nicchia del settore manifatturiero, con un prodotto riconoscibile nel mercato di riferimento. Molto spesso sono imprese operanti nel made in

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Italy, con una presenza significativa del comparto dell’abbigliamento e dell’alimentare. Per gli altri settori si evidenzia una ciclicità nelle preferenze di investimento degli operatori. I settori dell’ICT, completamente annullati dopo lo scoppio della bolla di internet, sono tornati alla ribalta nelle prime posizioni nel biennio 2008-2009, e hanno mantenuto buoni livelli anche nel triennio 2010-1012. Un certo interesse si è manifestato verso il settore delle utilities, in particolare verso le energie rinnovabili, nel triennio 2007-2008-2009. Negli ultimi anni, a partire dal 2010 si riscontra infine una percentuale consistente di investimenti nel terziario avanzato.

Le operazioni censite dal VEM rappresentano solo investimenti initial realizzati da investitori istituzionali di matrice privata nel capitale di rischio classificabili come early stage. Il deal origination deriva quasi sempre da iniziative imprenditoriali a stampo privatistico (intorno all’80%), con un anzianità media di 2 anni, mentre è ancora contenuto il peso di spin-off universitari e di matrice corporate. Analizzando le caratteristiche delle imprese target emerge che: 1. Localizzazione geografica: permane una prevalenza di operazioni nel Nord Italia, e in particolare in Lombardia, ma c’è una discreta presenza anche nel Mezzogiorno (in particolare Campania, Sardegna e Sicilia), che raggiuge la soglia del 35%, proseguendo il trend di crescita registrato a partire dal 2009.

2. Dimensione: il valore medio in termini di fatturato delle società target, in relazione alle società che già generano un turnover al momento dell’investimento, è ricompreso tra € 1 e 2 milioni in tutti i periodi oggetto di analisi, tranne per l’anno 2010 nel quale il valore medio era pari a €4 milioni.

3. Settori: L’attività di venture è orientata a settori meno tradizionali, in particolare alle società operanti nei settori dell’ICT (settore prevalente, circa il 50%). Si individuano poi tra i settori target quelli dell’industria farmaceutica e biofarmaceutica, dei media e delle comunicazioni e quello legato alle energie rinnovabili (cleantech).

I fattori rilevanti nella scelta

Si può argomentare che la scelta degli imprenditori di aprire il loro capitale ad investitori istituzionali dovrebbe essere positivamente influenzata dai vantaggi che questi potrebbero trarre, ma al contempo appare frenata in Italia da una serie di resistenze.

I vantaggi realizzabili sono essenzialmente48:

1. “Cassa di risonanza” per le idee del gruppo imprenditoriale: il processo decisionale, oggi più che in passato, è molto complesso e richiede la raccolta di informazioni per formulare le diverse alternative e giungere alla scelta ottima. Spesso, di fronte all’incertezza che deriva da

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informazioni insufficienti o dall’incapacità di elaborare le informazioni disponibili, gli investitori nel capitale di rischio possono essere d’aiuto, ascoltando le idee del gruppo imprenditoriale e offrendo il loro parere qualificato ed oggettivo;

2. Servizi finanziari: il capitale fornito è il principale motivo che spinge le imprese a rivolgersi agli operatori di private equity. Infatti, qualora il fabbisogno finanziario non possa essere soddisfatto da fonti interne, è necessario piegare su fonti esterne, capitale di debito e di rischio. In generale, l’ingresso dell’investitore istituzionale, oltre a costituire un apporto diretto di risorse finanziarie, genera un miglioramento dell’immagine aziendale nei confronti di tutti gli interlocutori esterni, facilitando anche l’ottenimento di capitali di debito, la fornitura di capitale di rischio da parte di altri investitori istituzionali (lo dimostra anche la rilevanza delle operazioni follow on), l’utilizzo del credito commerciale.

3. La consulenza manageriale e l’apporto strategico: l’attività di consulenza che gli investitori istituzionali possono offrire alle partecipate spazia dalla consulenza strategica vera e propria, alla consulenza di marketing e in ambito amministrativo e contabile (soprattutto controllo di gestione). In molti casi, soprattutto nelle imprese più giovani, gli imprenditori sono carenti di competenze manageriali, per cui l’attività di consulenza da parte dei finanziatori diventa un elemento chiave di attrattività; per le imprese già consolidate, l’imprenditore si attende meno frequentemente un’attività di consulenza e spesso solamente in relazione a interventi straordinari, come operazioni di acquisizione e fusione, processi di quotazione o processi di internazionalizzazione.

4. La gestione del management: le imprese di piccole dimensioni presentano spesso carenze di