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Premessa all’analisi empirica

Analisi comparativa dell’Italia rispetto ai Paesi Europei benchmark

3.1. Premessa all’analisi empirica

Nel capitolo due si evidenzia, in seguito alla crisi finanziaria del 2007, una tendenza generalizzata, tanto in Europa quanto a livello internazionale, verso una contrazione dei volumi complessivi dell’industria del VC e del PE. In particolare, la contrazione in termini di ammontare investito è spiegata da un ridimensionamento delle operazioni nel comparto dei buy out, la cui crescita esponenziale conosciuta nel periodo precedente era stata trainata soprattutto dalla disponibilità di credito a basso costo con il quale realizzare operazioni di levereged buy out. La struttura di tali operazioni ha consentito agli operatori di realizzare in media rendimenti elevati, i quali hanno attratto capitali da parte dei sottoscrittori di fondi generando una spirale di crescita del comparto. La figura 3.1 mostra a livello europeo i rendimenti per gli investitori dei differenti fondi al netto di fee e carried interest, since inception e by horizon152. Osservando sia i top quarter fund che i top half fund si evidenzia una migliore performance dei fondi buy out e dei fondi generalisti, mentre le performance dei fondi di venture capital sono state comparativamente meno soddisfacenti.

152 I rendimenti since inception indicano la performance storica di tutte le operazioni dal 1980 ad oggi, mentre i rendimenti by horizon esprimono la performance relativa alle partecipazioni acquisite in un determinato arco temporale di riferimento (3,5,10 anni) indipendentemente dal fatto che siano state dismesse o risultino ancora in portafoglio. Cfr. A.Gervasoni, F. Sattin, Private equity e venture capital:

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Figura 3.1: Performance dei fondi europei since inception e by horizion

Top-quarter funds 1980-2013

Top-half funds 1980-2013

Fonte: EVCA, Pan-European Private Equity performance benchmark study, 2013.

Dal punto di vista dell’investitore, che determina l’offerta nel mercato del PE e VC, l’investimento in fondi focalizzati sul finanziamento al cambiamento è stato in grado di generare rendimenti elevati rispetto al relativo livello di rischio. La giustificazione a tali rendimenti è intrinsecamente connessa alla struttura dell’operazione stessa, ovvero il c.d. levereged buy out, in quanto il denaro investito è in buona parte capitale di debito e in una parte minore equity 153. Le

153 U. Axelson, T.J. Jenkinson, P. Stromberg, M. Weisbach, “Borrow cheap, buy high? The determinants of levered and pricing in buy outs”, The Journal of Finance, Vol. LXVIII, NO.6, Dicembre 2013, 2223- 2267. Gli autori nell’articolo affermano che il tipico debt to equity ratio iniziale in un operazione di LBO

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banche, finanziando operazioni di investimento nel capitale di rischio delle imprese target con la messa a disposizione di capitale di debito, sopportano un rischio elevato rispetto al loro rendimento atteso generando un trasferimento di ricchezza nei confronti dei fondi di PE e dei relativi investitori. Razionalmente, questo comportamento delle banche contraddice il principio generale del corporate finance circuit, ovvero il principio secondo il quale ciascun investitore nel mercato dei capitali è disposto a realizzare l’investimento solo se il rendimento atteso dall’impiego del denaro è almeno pari a quello promesso da impieghi alternativi con lo stesso livello di rischio.

In generale, i rendimenti elevati nel mercato del PE sono normalmente giustificati individuando quali elementi determinanti154 la mancanza di liquidità dell’investimento nei fondi di PE, per cui

per essere competitivi i fondi devono distribuire un “premio di liquidità” sui rendimenti dei mercati azionari, e la capacità dei fondi di PE di creare maggiore valore rispetto al tipico processo di selezione dei titoli nel mercato azionario.

Quest’ultimo aspetto è legato a ciò che il private equiter può portare nell’impresa target al di là dell’iniezione di capitale, ovvero gli apporti di natura non finanziaria. Naturalmente, tali apporti variano in ragione della natura dell’investimento (venture capital, growth o buy out, ad esempio), dei bisogni dell’impresa target e delle specificità del fondo che investe nell’impresa (locale o internazionale, specializzato o diversificato, etc.).

Concentrando l’attenzione sulla natura dell’intervento, la creazione di valore varia in relazione al grado di maturità della target. I VCs si definiscono quali “growth financing investors”: gli investitori early stage aiutano l’impresa ad impostare l’organizzazione, a ricercare il personale adatto, a sviluppare processi di R&S e a portare il prodotto sul mercato; gli investitori late stage intervengono nella fase di maggior crescita, spesso fornendo all’impresa un network internazionale di contatti e ulteriore personale, a volte supportando la stessa nella preparazione alla quotazione o ad un’operazione di acquisizione o fusione; infine, gli investitori growth intervengono al fine di innestare un nuovo processo di crescita nelle imprese che si trovano nello stadio di maturità del business, attraverso ad esempio l’identificazione di nuovi mercati o l’espansione attraverso acquisizione o fusione. In relazione alle operazioni di buy out, la creazione di valore può passare per una serie di miglioramenti operativi, combinando ad esempio la ristrutturazione del personale o l’outsourcing di taluni processi interni, e interventi di carattere finanziario, quali l’ottimizzazione della gestione dei flussi di cassa e l’ottimizzazione della struttura finanziaria.

è 75% debito e 25% equity. I dati CMBOR, citati nel capitolo due, in riferimento agli LBO europei nel 2007, individuano una quota più bassa di debito ma comunque elevata, pari al 50,4%.

154 C.Demaria, “Private Equity evolution: trends or bubbles?”, in Introduction to private equity: venture,

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Tuttavia, spesso è stata criticata e messa in dubbio l’effettiva creazione di valore da parte dei fondi LBO, soprattutto a seguito della tendenza nel periodo pre-crisi all’accorciamento dell’holding period in modo da distribuire velocemente rendimenti elevati e attrarre gli investitori nella raccolta dei fondi successivi.

Uno studio di Citygroup155 del novembre 2006 ha mostrato, seppur con un metodo aperto a

critiche, che le operazioni puramente finanziarie, specialmente quelle di leveraged, non creano valore. Secondo questo studio, applicando lo stesso livello di leva utilizzato dalle PE firm a un campione di imprese americane mid-cap quotate, i fondi buy out avrebbero realizzato delle performance minori rispetto ai mercati public negli anni ’80-’90.

Uno studio più recente156 condotto su 395 deals, realizzati nel periodo compreso tra il 1991 e il

2007 da parte di 47 PE firm localizzate nell’Europa Occidentale, ha trovato che in media il 34% (19,8% su 56,1%) dell’IRR medio (calcolato al lordo di fee e carried interest) di tali operazioni è derivato dalle migliori performance delle imprese partecipate rispetto alle imprese public nello stesso settore (considerando il rendimento unlevered delle imprese), mentre il 50% (27,9% su 56,1%) dello stesso è dipeso da un maggior grado di indebitamento finanziario. La restante parte (16% su 56,1%) è invece dipesa dall’esposizione al settore di appartenenza, compreso l’effetto del livello di indebitamento del settore. Gli autori pertanto concludono a favore della tesi secondo cui i fondi di PE sono in grado di realizzare performance superiori al mercato anche grazie al miglioramento operativo portato nella target, ovvero il loro intervento crea valore. Tuttavia lo stesso studio, a parere di chi scrive, mette anche in luce che la gran parte del rendimento deriva dall’incremento della leva finanziaria rispetto a quella media nel settore.

Complessivamente, si potrebbe mettere in dubbio la creazione di valore nelle operazioni di LBO e, anche nel caso in cui vi sia una creazione di valore, si può evidenziare l’assimetrica ripartizione del valore creato dal lato liability side, dal momento che le banche accettano una remunerazione più bassa rispetto al livello di rischio. È proprio questo meccanismo della leva finanziaria che giustifica la maggior parte del rendimento, come mostra lo studio citato sopra. Infine, occorre ricordare che i livelli di leva finanziaria sempre più aggressivi espongono l’impresa a un maggior rischio finanziario, che, nei momenti di congiuntura economica negativa, può condurre al fallimento di imprese che erano solide prima dell’ingresso dell’operatore.

Sulla base di queste riflessioni si potrebbe considerare più socialmente utile concentrare l’analisi sui driver delle operazioni di venture capital in senso ampio, nelle quali il livello di leva è tipicamente contenuto se non assente e la realizzazione dei rendimenti si fonda sulla creazione di valore attraverso la selezione dei migliori progetti imprenditoriali e il supporto finanziario e non alla loro implementazione. Sono questi i comparti che possono sostenere e contribuire alla crescita

155 Lo studio di Citygroup non è accessibile, ma è citato e brevemente descritto in C. Demaria, op. cit. 156 V.V. Acharya, O.F. Gottschalg, M. Hahn, C. Kehoe, “Corporate governance and value creation: Evidence from private equity”, The Review of Financial Studies, vol.26, n.2, 2013, 368-402.

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del sistema imprenditoriale nazionale e rispetto ai quali può essere interessante comprendere gli ostacoli al loro sviluppo.

Inoltre, l’analisi riportata nel capitolo precedente, evidenzia che in Italia la dimensione del mercato è particolarmente contenuta rispetto alla media europea soprattutto nel mercato del venture capital.

Sintetizzando, le research question alla base dell’analisi empirica sono le seguenti:

 Quali sono le determinati macroeconomiche dello sviluppo del mercato del venture capital in Europa?

Quali sono le determinanti macroeconomiche dello sviluppo del comparto growth? Qual è la situazione in Italia rispetto ai comparables (Francia, Regno Unito e Germania)

in relazione alle determinanti individuate?

 In base alle evidenze, si può concludere che in Italia gli ostacoli allo sviluppo del mercato sono legati ad un problema di domanda o di offerta?

Nel paragrafo 3.2 si riporta una review della letteratura principale e le ipotesi di ricerca; nel paragrafo 3.3 si illustra la forma ridotta del modello di domanda e offerta oggetto di studio; nel paragrafo 3.4 si descrivono i dati e la metodologia applicata, mentre nel paragrafo 3.5 si riportano i risultati dell’analisi empirica. Infine, nel paragrafo 3.6, sulla base di tali risultati, si realizzano dei confronti dell’Italia rispetto a Germania, Francia e Regno Unito.