• Non ci sono risultati.

Capitolo 2. La narrazione come strumento d’indagine per le abilità linguistiche

1. Le molteplici abilità coinvolte nella narrazione

Il termine narrare deriva etimologicamente dalla radice gna-, che significa “conoscere, rendere noto” e dal suffisso -agere che trasmette il concetto semantico dell’agire, quindi l’azione del rendere noto, il far conoscere raccontando. Raccontare e raccontarsi rappresenta una necessità profonda dell’essere umano che da sempre utilizza l’arte del narrare per esprimere il suo pensiero oralmente e, dopo l’invenzione della scrittura, anche per iscritto. La narrazione risulta essere un fondamentale strumento di interpretazione della realtà per interagire con il mondo sociale nel quale noi essere umani viviamo, è un modo per comprendere quello che ci circonda e per trasmetterlo agli altri.

Nel capitolo precedente abbiamo osservato come lo sviluppo del linguaggio parlato in un bambino normodotato ha inizio molto presto, secondo alcuni autori già da quando il feto è ancora nell’utero materno e prosegue seguendo diverse tappe evolutive fino all’età scolare, quando il bambino comincia a studiare esplicitamente come funziona la propria lingua e di conseguenza arricchisce la sua esperienza linguistica cominciando a raccontare. Secondo Jerome Bruner (1992), uno dei maggiori psicologi e pedagogisti interessati alla narrativa, il pensiero narrativo comincia a svilupparsi a partire dai due anni circa. Il bambino spesso è impegnato a formulare una serie di monologhi in cui si esercita a scandire le attività e la loro successione temporale tramite l’uso di congiunzioni e nessi di altro tipo. Nonostante alle orecchie di un adulto tali racconti possano sembrare ancora molto disordinati e disarticolati, essi esprimono la tendenza autonoma del bambino di dare ordine e coerenza agli eventi che lo coinvolgono.A tre anni lo sviluppo linguistico è in piena evoluzione e con esso aumenta anche l’uso dei marcatori causali che scandiscono maggiormente la sequenza degli eventi. A quattro anni compaiono dei primitivi schemi narrativi ordinati in cui il bambino non solo colloca gli eventi, ma anche le marcature emotive corrispondenti. Tra i cinque e i sei anni il pensiero narrativo raggiunge un traguardo fondamentale, cioè la capacità di costruire delle vere e proprie storie che seguono le tradizionali regole di strutturazione temporale e l’analisi della vita interiore dei personaggi come spiegazione delle azioni.

Alcuni autori individuano delle tappe evolutive critiche discriminanti per l’acquisizione delle abilità narrative (Liles, 1987; Bamberg e Damrad-Frye, 1991; Berman, 2009): l’età prescolare, una successiva età scolare che culmina tra i 9 e i 10 anni, il periodo dell’adolescenza e infine l’età adulta.

Produrre una narrazione ben articolata, coesa e coerente, corretta sintatticamente e veicolante significati e informazioni pertinenti, è un’abilità che richiede molte competenze ed è per questo che,

59

sebbene i bambini siano esposti fin da piccoli al genere narrativo, attraverso le favole ad esempio, esso raggiunge un certo livello di padronanza solo nei bambini tra i 9 e i 10 anni (Liles, 1987), al termine del ciclo di studi primari, quando i bambini si dimostrano capaci di interiorizzare lo schema narrativo e di gestire i riferimenti temporali, spaziali e dei personaggi nel corso del discorso orale (Berman, 2009).Lo sviluppo delle abilità narrative si manifesta, dunque, in corrispondenza dell’età scolare con la capacità di creare storie caratterizzate da una struttura globale completa, l’aumento dal punto di vista quantitativo e qualitativo delle strutture sintattiche più complesse, la costituzione di un vocabolario sempre più ricco e ricercato, ed infine la modalità di presentazione dei personaggi e del susseguirsi degli eventi che risulta più approfondita, chiara e dettagliata grazie all’uso di meccanismi pragmatici di coesione più complessi. Tali abilità continuano a raffinarsi durante tutto il periodo scolastico fino al raggiungimento dell’età adulta, ed una tappa di tale evoluzione è facilmente riscontrabile in corrispondenza dell’adolescenza, periodo in cui l’espressione di giudizi interpretativi inizia a diventare più frequente, quasi abituale. Questo avviene in normali condizioni di crescita ma è evidente che in casi di disturbi di linguaggio o di ritardi dello sviluppo di qualunque natura, si manifestino disagi e difficoltà anche nella facoltà di raccontare una storia.

Quello che risulta evidente è che nel processo di narrazione non vengono coinvolte solamente abilità linguistiche, infatti per raccontare una storia non è sufficiente che il narratore sia in grado di produrre frasi grammaticalmente corrette, con tempi verbali ben coniugati ed un lessico appropriato. Da un punto di vista cognitivo, il linguaggio è il prodotto di un complesso sistema che elabora le informazioni anche grazie al costante interscambio con altre funzioni cognitive, come ad esempio la memoria, l’attenzione o la percezione. Nel raccontare una storia, un avvenimento, vengono necessariamente coinvolte abilità pragmatiche, cognitive e socio-culturali che, come già detto a proposito delle abilità linguistiche, possono risultare non propriamente sviluppate o acquisite. La complessità delle abilità linguistico-narrative ha spinto negli anni, neuropsicologi e psicolinguisti verso una ricerca che fosse in grado di integrare aspetti di natura lessicale e frasale con aspetti di natura pragmatica e discorsiva. Sotto questa prospettiva, la produzione di narrazioni risulta dalla coordinazione di tre domini cognitivi:

- I meccanismi linguistici vengono utilizzati all’interno delle frasi, tra di esse e nelle strutture superiori quali episodi e ambientazioni, tra cui ad esempio l’uso corretto dei tratti di genere e numero (Peterson and McCabe, 1983);

- Le abilità pragmatiche sono fondamentali nella produzione e comprensione delle narrazioni, così come la consapevolezza di avere un destinatario che necessita di particolari informazioni per poter comprendere un racconto (Hudson and Shapiro, 1991);

60

- Le abilità del dominio cognitivo sono coinvolte nella narrazione, ad esempio la memoria di lavoro e le capacità di processare una vasta gamma di informazioni sequenzialmente (Eisen- berg, 1985).

Questi tre aspetti sono coinvolti nella produzione e comprensione di narrazioni prodotte in qualunque tipologia di lingua, sia essa orale, scritta o segnata. Le lingue dei segni, così come le lingue vocali dispongono di una serie di strumenti per la creazione di narrazioni coese e coerenti, mentre le conoscenze pragmatiche del destinatario restano invariate. Quello che varia è il canale utilizzato nel narrare episodi, scene e trame perché le lingue vocali utilizzano il canale uditivo, le lingue dei segni quello visivo.

Labov e Waletsky (1967) introdussero un’importante nozione affermando che le narrazioni includono sia funzioni referenziali che funzioni valutative. Mentre la referenzialità è data dalle informazioni sui personaggi e sugli eventi della storia, l’aspetto valutativo della narrazione è ciò che dà senso alla storia, ovvero il pensiero del narratore, il suo atteggiamento nel raccontarla, dando rilevanza ad alcuni aspetti piuttosto che ad alti. A proposito delle valutazioni personali offerte dal narratore, Peterson e Mc Cabe (1983) hanno notato come i bambini si servono di strategie valutative anche attraverso elementi lessicali e sintattici. L’informazione valutativa può infatti essere organizzata in diversi modi: lessicalmente, grazie all’uso, per esempio, di verbi modali, intensificatori, ed espressioni che riflettono l’atteggiamento del narratore o sintatticamente, come per esempio con l’utilizzo di frasi focalizzate, che sottolineano l’importanza di un elemento in esse contenuto, rispetto ad altri o, ad esempio con clausole relative, che servono di solito a fornire commenti personali sul comportamento o sul carattere di un personaggio. Esistono anche strategie paralinguistiche che permettono di veicolare valutazioni personali, attraverso espressioni facciali emozionali, gesti e prosodia affettiva, che hanno l’effetto di convogliare l’atteggiamento del narratore o di riflettere le emozioni suggerite da un personaggio.