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Le origini della Radio Frequency Identification

Capitolo 3 La tecnologia RFID (Radio Frequency Identification)

3.2 Le origini della Radio Frequency Identification

L’RFID è spesso ancora considerata una tecnologia emergente, il che porta a pensare che si sia cominciato a svilupparla solo di recente. In realtà i primi usi risalgono alla Seconda Guerra Mondiale; benchè il concetto di RFID com’è definito oggi fosse ancora un’idea, si cominciavano ad applicare le tecnologie che fungono da fondamento per l’RFID: transponder, IFF (Identification Friend or Foe) e radar (Jones & Chung, 2008).

Il transponder è l’elemento che ha il compito di inviare un segnale radio come risposta ad un impulso ricevuto da una sorgente remota. L’IFF, situato nel transponder, è il sistema che permette l’identificazione di un velivolo o di un veicolo amico, evitando che questo venga considerato un obiettivo. Il radar invece usa delle onde radio per individuare velocità, direzione, altitudine di oggetti fissi o in movimento (Ahson & Mohammad, 2008).

La comunicazione tra oggetti diversi tramite onde radio è la base su cui si è sviluppata la tecnologia RFID. Nel 1948, in un articolo intitolato “Communication by Mean of Reflected Power”, Harry Stockman, un ingegnere svedese, si riferisce per la prima volta chiaramente al concetto di RFID parlando dei principi di funzionamento dei tag passivi; ciononostante, a quell’epoca la tecnologia non era sviluppata sufficientemente per poter pensare ad applicazioni civili, in quanto il costo era ancora troppo elevato (The History of RFID Technology).

Anche secondo Battezzati e Hygounet era chiaro che, affinchè l’uso dell’RFID si espandesse oltre il campo militare, bisognasse che i componenti principali si sviluppassero notevolmente, dai transistor ai circuiti integrati ai microprocessori, per ridurre le dimensioni e aumentare l’efficienza; in questo fu molto utile l’utilizzo di elementi richiesti anche dai personal computer, di modo che si potesse sfruttare la grande ricerca posta in questo campo tra gli anni ’50 e ’60. Nello stesso periodo scienziati in diverse parti del mondo (Stati Uniti, Europa e Giappone) hanno continuato gli studi sulle potenzialità della radiofrequenza nell’identificazione dei prodotti.

La prima applicazione commerciale dell’RFID fu l’EAS (Electronic Article Surveillance) per evitare i furti in negozio alla fine degli anni ’60; tuttavia, come evidenzia Weis nel suo articolo “RFID (Radio Frequency Identification): Principles and Applications” (2007), questo non era ancora un sistema di identificazione automatica poiché era solo in grado di individuare la presenza o meno del transponder, ma non leggere lo specifico tag. Nonostante questo primo utilizzo dell’RFID fosse piuttosto

investitori, governi e aziende private; per non limitarne lo sviluppo, fu deciso in questa prima fase di non definire degli standard (Battezzati & Hygounet, 2006).

Solo qualche anno dopo si cominciò a riconoscere i primi brevetti di tag attivi e passivi, come per esempio quello di Charles Walton, un imprenditore californiano, che nel 1973 brevettò un dispositivo con tag passivo per aprire una porta senza chiave (The History of RFID Technology).

Alla fine degli anni ’80, l’RFID era ormai considerata una tecnologia sviluppata, con differenti applicazioni, seppur in piccola scala, tra Europa e Stati Uniti; i principali campi di utilizzo furono l’identificazione di animali e persone, il pagamento di pedaggi (per esempio Telepass in Italia) e il monitoraggio di beni e mezzi. Sempre in quegli anni si cominciarono a sviluppare differenti radiofrequenze che meglio si adattassero ai diversi scopi: bassa frequenza (LF, Low Frequency) per il monitoraggio degli animali; alta frequenza (HF, High Frequency) per identificare container o mezzi di trasporto. Solo nel decennio successivo IBM presentò un nuovo tag che funzionava con frequenze ancora più alte e chiamato, infatti, UHF (Ultra High Frequency); aveva il vantaggio di poter essere letto a distanze maggiori e con un trasferimento di dati più veloce, ma il prezzo ancora elevato ne rallentò la diffusione.

In generale il costo di questa tecnologia, quindi non solo dei tag, ma anche di tutta l’infrastruttura necessaria affinchè avvenga la lettura degli stessi e la loro traduzione in informazioni utilizzabili, è stato e spesso è tutt’ora il motivo principale da parte delle aziende per rinunciare alla sua introduzione; questo è dovuto soprattutto al fatto che, in particolare negli anni ’90, si concepiva l’RFID solo come semplice sostituto del barcode, non interessandosi delle potenzialità che questa nuova tecnologia poteva portare; è evidente, da questo punto di vista, che il costo quasi nullo del codice a barre non rendeva conveniente il passaggio.

Per rendere dunque l’RFID più economico, lo sviluppo proseguì focalizzandosi sulla miniaturizzazione dei componenti del tag in modo da ridurre l’energia richiesta; fu dunque possibile ottenere un tag che non richiedesse più una batteria annessa, ma in grado di alimentarsi semplicemente con l’energia fornita del lettore tramite campo elettromagnetico (Battezzati & Hygounet, 2006).

Un ulteriore passo in avanti verso la riduzione dei costi si ebbe grazie all’Auto-ID Center, il laboratorio di ricerca sull’RFID del Massachusetts Institute of Technology (MIT), diretto dai professori David Brock e Sanjay Sarma; essi cambiarono notevolmente il concetto alla base del tag RFID: mentre fino ad allora i chip contenevano una memoria interna dov’erano salvate tutte le informazioni relative al particolare prodotto a cui si riferivano, Brock e Sarma mantennero nel tag solo un numero seriale per la sua identificazione rimandando ad un database online tutti i dati inerenti quel determinato oggetto.

Questa nuova concezione del tag portò a due principali vantaggi: fu possibile utilizzare chip molto semplici, con prezzi dunque ridotti, e condividere le informazioni con chiunque fosse autorizzato ad accedere al database online, aumentando l’efficienza di tutta la catena logistica. Il successo di questa intuizione fu tale che l’Auto-ID Center aprì altri 6 centri di ricerca nel mondo grazie al supporto del governo degli Stati Uniti, dei principali produttori di RFID e di numerose multinazionali (The History of RFID Technology).

L’utilizzo di chip più economici e la miniaturizzazione dei circuiti integrati portarono finalmente ad uno sviluppo di massa della tecnologia RFID, che cominciò ad essere applicata in diversi settori, benchè la logistica rimase il campo principale; la crescita della richiesta, che tutt’oggi è in espansione, ha portato ad un’ulteriore e continua riduzione dei costi dovuta all’economia di scala che si è creata; questo ha reso la tecnologia economicamente sostenibile in nuovi campi di applicazione.

Negli ultimi anni l’RFID ha suscitato ancor più interesse per l’apporto che può dare ai nuovi trend produttivi quali Mass Customization e Internet delle Cose in quanto strumento che ben risponde alla richiesta di un mondo sempre più connesso (Yan, Zhang, Yang, & Ning, 2008).