• Non ci sono risultati.

La Critica della Capacità di giudizio ha quindi come obiettivo l'indagine critica di un principio a priori che sia posto alla guida di tale facoltà. La sua ricerca, avverte Kant, sarà ardua, ma un qualche principio essa deve necessariamente contenerlo, altrimenti non sussisterebbe nemmeno la possibilità di una sua critica. La peculiarità di tale principio è che esso non dovrà in alcun modo derivare dall'intelletto, in quanto il giudizio riflettente, non può contenere alcun concetto a priori, il principio dunque non ha una funzione conoscitiva ma serve alla facoltà come regola per se stessa, ma assolutamente non come regola conoscitiva, altrimenti si produrrebbe un giudizio determinante.

Si è detto che il Giudizio riflettente è la facoltà di risalire dal caso particolare all'universale. Questo universale però, non è dato, e la facoltà deve quindi trovarlo da sé. Tale principio universale si deve dare, ma il giudizio non può prenderlo dall'esperienza, né imporlo alla natura come regola conoscitiva, esso è un principio trascendentale che esso si dà come legge a se stesso.

I giudizi estetici si distinguono da quelli logici in quanto si riferiscono solamente al lato soggettivo della predicazione. Essi, proprio per tale limitazione non sono conoscitivi, non dicono nulla cioè riguardo all'oggetto, ma riguardano solamente il modo in cui la rappresentazione affetta il soggetto. Tale modo è il sentimento di piacere o dispiacere. Ma tale sentimento, riguarda solamente il lato soggettivo del giudizio e dunque non può aumentare il livello conoscitivo, il soggetto quindi, avverte tramite questo sentimento, l'accordo armonico delle sue facoltà che si mettono liberamente in gioco rispetto all'esistenza effettiva dell'oggetto.

Questo riferimento all'esistenza effettiva dell'oggetto permette di definire il giudizio di gusto secondo il primo momento logico, ovvero secondo la qualità. La caratteristica che contraddistingue il giudizio di gusto puro a proposito del

bello si fonda su un piacere senza interesse proprio a proposito dell'esistenza dell'oggetto. Ciò significa che perché il mio giudizio sia puro, non dev'essere inquinato nella valutazione della sua bellezza, da alcun interesse, né emotivo né razionale. Il bello infatti, secondo Kant, si distingue dalle altre due forme di compiacimento: il gradevole e il buono. Solo il bello produce un piacere libero, libero da qualsiasi interesse: «Geschmack ist das Beurteilungsvermögen eines Gegenstandes oder einer Vorstellungsart durch ein Wohlgefallen, oder Mißfallen, ohne alles Interesse. Der Gegenstand eines solchen Wohlgefallen heißt schön»70.

Il primo momento logico della qualità è necessariamente collegato alla seconda funzione, quella della quantità. Se il compiacimento avvertito di fronte al bello è libero da qualsiasi interesse, si deve inevitabilmente presupporre che esso, non fondandosi su di un interesse privato, sia condivisibile universalmente e possa in ogni soggetto apportare lo stesso piacere. L'universalità prodotta dal giudizio di gusto puro è quindi un'universalità particolare, che non si fonda su alcun concetto, ma che riesce comunque a garantire la validità intersoggettiva del giudizio. Tale forma di universalità, non essendo basata su alcun concetto oggettivo, è quindi un'universalità prettamente soggettiva e il soggetto, giudicherà bello ciò che «[...] ohne Begriff allgemein gefällt»71.

L'assenza di concetti a cui riferirsi e su cui fondarsi si perpetua anche nel terzo momento caratterizzante il giudizio di gusto. La funzione logica in questione riguarda la relazione, ovvero il tipo di finalità presente nel momento in cui si giudica un qualcosa bello.

Kant nella sua Kritik der Urteilskraft distingue tre forme della finalità, ma solo una è quella idonea alla produzione di un giudizio di gusto puro: la finalità soggettiva. Per comprendere al meglio di che tipo di finalità il filosofo sta parlando, risulta necessario riportare le sue parole: «Sch önheit ist Form der Zweckm ä ßi gkeit eines Gegenstandes, sofern sie, ohne Vorstellung eines Zwecks,

70 Ivi, pag. 166. 71 Ivi, pag. 190.

an ihm wahrgenommen wird»72.

In assenza di un concetto dell'oggetto cioè, la finalità del bello di un giudizio di gusto puro è una finalità percepita come tale seppur in assenza di un fine. Significa percepirsi in conformità ad uno scopo in assenza di uno scopo. Ciò significa che il soggetto percepisce che le proprie facoltà sono in accordo armonico rispetto alla rappresentazione giudicata bella, senza che ci sia un fine oggettivo, ma ci si limita a ciò che il soggetto avverte.

La finalità soggettiva si distingue quindi dalle altre due forme descritte da Kant, ovvero la finalità oggettiva e la finalità interna, altrimenti detta perfezione. Nel giudizio di gusto non può operare nessuna di queste forme appena elencate in quanto tutte fanno necessario riferimento ad un concetto. La finalità oggettiva è riconducibile all'utilità, ovvero quel tipo di conformità ad uno scopo esterno all'oggetto, ma iscritto in esso. Tale finalità è dunque connessa con l'attività pratica e si determina in base allo scopo esterno.

La finalità interna o perfezione, a primo avviso sembrerebbe essere la forma di finalità adatta al giudizio di gusto che valuta il bello, ma non è così. Il motivo è chiaro, per poter definire un oggetto bello, si deve dimostrare l'accordo dei molteplici aspetti del giudicato con il concetto di ciò che il giudicato dovrebbe essere per poter essere definito perfetto. Questo riferimento al concetto, esclude la finalità interna dall'essere idonea alla produzione di giudizi riflettenti. Nei giudizi di gusto quindi, il soggetto giudica come se l'oggetto richiedesse l'accordo armonico delle facoltà, ma in realtà è una finalità senza fine in quanto inerisce unicamente alla percezione del soggetto che avverte in sé tale armonia.

Manca ora da analizzare il quarto e ultimo momento del giudizio di gusto. Kant esamina ora il giudizio di gusto secondo il criterio della modalità. Come si è più volte sottolineato, i giudizi riflettenti non si riferiscono ad alcun principio oggettivo determinato, né tanto meno si possono definire privi di qualsiasi principio. La prima situazione produrrebbe a seguito della loro formulazione, la 72 Ivi, pag. 235.

pretesa di una necessità incondizionata del giudizio enunciato. Se invece, fossero davvero privi di qualsiasi tipologia di principi, e si riducessero a mere preferenze di gusto, perderebbero qualsiasi pretesa di necessità. I giudizi di gusto puro, si trovano in una sorta di condizione intermedia. Essi si riferiscono a dei principi, ma limitatamente a dei principi soggettivi, non determinati a priori in maniera oggettiva. Tale principio soggettivo, garantisce, tramite la validità intersoggettiva del sentimento del piacere e dispiacere, una validità universale. E se tale validità universale, come si è visto sussiste, la formulazione di un giudizio di gusto puro porterà ad un compiacimento necessario intersoggettivamente condiviso.

Come per i momenti precedenti, anche la necessità in questione è di tipo particolare e si differenzia nettamente da quella operante nei giudizi determinanti. Tale necessità infatti, non appartiene alle due tipologie tradizionali, non è infatti né una necessità teoretica riconoscibile a priori, né una necessità pratica, conseguenza dell'applicazione di una legge oggettiva.

La necessità di un consenso universale in seguito alla formulazione di un giudizio di gusto è una necessità soggettiva, che viene pensata come se fosse oggettiva, grazie alla presupposizione dell'esistenza di un senso comune73. Il

soggetto cioè, nel momento in cui giudica e formula un compiacimento verso il bello, attribuisce, sempre presupponendo l'esistenza di un senso comune, una validità esemplare al proprio giudizio. Esso viene assunto quindi come una sorta di norma ideale, in cui a seguito della validità intersoggettiva, si presuppone l'accordo di tutti i giudicanti.

La necessità esemplare è dunque una necessità estetica, che si riferisce quindi al solo versante soggettivo della predicazione. In condizione di assenza di un interesse per l'esistenza effettiva dell'oggetto essa vale quindi universalmente per tutti i soggetti giudicanti, validità garantita dalla presupposizione della “sensibilità comune” che ha natura prescrittiva. Tramite l'azione della necessità esemplare, un caso particolare diventa quindi esempio per tutti i successivi, ciò significa che il singolo giudizio di gusto formulato, diventa norma universale che 73 Cfr. con I. Kant, Critica della Capacità di giudizio, cit., pagg. 239-247.

non si può addurre.

È proprio la caratteristica dell'esemplarità che costituisce uno degli elementi fondamentali su cui numerosi autori contemporanei si sono basati per la costruzione del loro paradigma teorico-comportamentale nato dalla rielaborazione del giudizio riflettente kantiano.

Sono proprio le loro voci che nel seguente capitolo forniranno alcuni esempi delle trasposizioni compiute dall'ambito estetico, a quello morale, politico ed etico. Si vedrà come questi filosofi abbiano saputo rispondere ai cambiamenti di categorie, concetti, modi di vivere, possibilità, reinterpretando il giudizio estetico di Kant, dando vita ad una nuova visione del mondo, idonea alla realtà che si trovava davanti a loro.

L'operazione che il terzo ed ultimo capitolo compie, ricalca proprio questi illustri tentativi, questa volta allargando ulteriormente il raggio d'efficacia del modello. In collegamento a quanto finora si è detto, si cercherà di portare alla luce ciò che fino a questo momento è rimasto inespresso, o non abbastanza evidente. Il mondo dell'istruzione e dell'educazione infatti, dovrebbe essere il primo ad adattarsi alle esigenze dell'epoca in cui si trova a vivere, modificando tecniche didattiche, paradigmi educativi e modalità d'insegnamento. A mio parere la Philosophy for Children, col suo curricolo educativo interpreta perfettamente le esigenze del nostro tempo e propone un metodo di Educazione al pensiero idoneo ai nuovi connotati del mondo.

Si vedrà come il suo esser conforme alle tendenze attuali è garantito proprio dalle sue più profonde radici e dai suoi elementi costitutivi, che a ben guardare conducono proprio al paradigma kantiano del giudizio riflettente.

La Philosophy for Children rappresenta quindi la manifestazione pratica di quella visione del mondo e di quei valori che hanno saputo, recuperando l'eredità kantiana, interpretare le esigenze del nuovo mondo.

Capitolo secondo