• Non ci sono risultati.

Le ragioni che inducono a metterlo in atto

3. ANALISI DEL PROCESSO DELIBERATIVO

3.4 Le ragioni che inducono a metterlo in atto

Evidentemente in corrispondenza alla diversità di soggetti che possono iniziare un processo deliberativo, c’è anche una pluralità di ragioni o meglio di obiettivi.

Alcune delle quali possono essere “ le finalità dello sviluppo dei diritti di cittadinanza (empowerment), della rilegittimazione del sistema politico, gli obiettivi semplicemente amministrativi e della gestione che puntano sull’aumento d’efficacia dell’azione pubblica, gli scopi di giustizia sociale mediante azioni redistributive, la ricerca della sostenibilità ambientale. Ma altri ancora se ne possono aggiungere: si pensi ad esempio alla complessità di obiettivi e d’interessi propri dell’atto bilancio e di altri quali i piani urbanistici e gli interventi ambientali, e all’incertezza che pervade, oggi, le soluzioni tecno-scientifiche, con la conseguente incertezza che comportano per una serie crescente di decisioni amministrative ”22. Queste sono solo alcune delle ragioni che possono spingere a mettere in atto dei processi deliberativi, ma ne esistono altre. Tra queste motivazioni una è essenziale, alla quale possiamo ricondurre le altre o della quale le altre sono espressione. Questa consiste nell’iniziare a capire che i problemi attuali,come l’inquinamento,squilibri economici, l’aumento di problemi sanitari, l’aumento della disgregazione sociale, sono prodotti da un modo di

22

U. Allegretti , Democrazia Partecipativa e processi di democratizzazione, Relazione generale al Convegno “La

ragionare che non è basato sulla consapevolezza che nessuna cosa può esistere senza l’esistenza di tutte le altre e tutte sono legate tra loro in una rete d’interdipendenza o causazione reciproca, cioè non è basato su una visione sistemica. Questo modo di pensare ci porta a vedere l’altro, che sia esso un elemento naturale o una parte del mondo diversa dalla nostra o l'umanità più povera e derelitta, così come gli abitanti delle aree più degradate delle nostre città, i disoccupati, i deboli, i giovani, gli anziani,come qualcosa di staccato da noi. E questo vedere l’altro come qualcosa di diverso indipendente da noi, permette di potere esercitare una qualsiasi forma di violenza, sfruttamento e dominio sull’altro, non considerando che in tal modo si esercita anche sull’insieme e questo non resta privo di conseguenze che ricadono inevitabilmente in maniera negativa sull’intero sistema e quindi su di noi, peggiorando alla fine anche la nostra situazione. Considerando anche il fatto che se neghiamo a qualcuno la possibilità di esprimersi attraverso un’azione di violenza o dominio abbiamo perso una parte della realtà o verità che così viene a mancare nell’insieme, con tutte le conseguenze del caso. E questo ormai è reso evidente dalle varie disfunzioni e problemi che colpiscono il globo e che sono tra di loro interconnessi ed interdipendenti. Tutto ciò che rende necessaria la partecipazione e l’integrazione perché questa permette di accogliere una concezione sistemica della realtà, ma anche di rispondere, in maniera adeguata, alle sfide che questa comporta. Quindi la partecipazione diventa necessaria per rendere visibili i legami che esistono tra le vari parti e per potere agire tenendo conto di questi legami, i quali fanno sì che ogni parte, anche se distinta dal resto, sia in continua interdipendenza.

Compiere questa inclusione significa essere disposti ad ascoltare e ad accogliere la verità che sta in ciascuno e agire significa essere disposti a creare insieme.

Quest’aspetto lo approfondirò meglio più avanti. Adesso vorrei, invece, mostrare come tutte le varie motivazioni che sono addotte normalmente quando s’inizia un processo deliberativo, o in generale partecipativo, siano in fondo legate a un riemergere della realtà come una rete d’interdipendenza o causazione reciproca, anche se quasi mai se ne ha coscienza.

Per fare questo parto da quanto afferma L. Bobbio, sulle motivazioni che inducono ad aprire un processo inclusivo, che riporto qui sotto:

“L’ipotesi di avviare un processo decisionale inclusivo andrebbe messa in cantiere, quando possiamo aspettarci che non riusciremo ad

arrivare a una decisione oppure che le decisioni che prenderemo non saranno messe in pratica o lo saranno a costo di grandissimi sforzi e difficoltà.

Possiamo aspettarci di non riuscire a prendere una decisione, per esempio,

• perché i gruppi che la contrastano sono forti, ben organizzati e possono esercitare una notevole influenza sull’arena politica (la giunta, il consiglio, i partiti di maggioranza, ecc.);

• perché ci manca qualcosa che è detenuto da altri (competenze legali, risorse finanziarie, informazioni, competenze tecniche, ecc.).

Possiamo aspettarci di non riuscire a mettere in pratica la nostra

decisione, per esempio,

• perché i gruppi che si riterranno colpiti riusciranno a mettere i bastoni tra le ruote e a bloccare o snaturare il processo di attuazione; • perché le nostre scelte risulteranno troppo astratte rispetto alla situazione o basate su informazioni imprecise e si apriranno difficoltà di ogni genere quando passeremo alla pratica;

• perché mancherà la cooperazione di attori che, non essendo stati coinvolti nella decisione, non avranno sufficiente motivazione per collaborare con noi.”

Il fatto di non riuscire a prendere una decisione perché ci sono gruppi che lo contrastano è un segno che esistano interessi che non possono essere trascurati senza provocare delle conseguenze, che portano chi li detiene a reagire in un modo o in un altro, e ciò crea l’esigenza di includerli. Mentre il non riuscire a mettere in pratica le scelte fatte perché manca qualcosa, o perché le scelte saranno troppo astratte rispetto alla situazione, rende evidente il nostro essere in un sistema nel quale non possiamo comprendere o cambiare la situazione senza gli altri, proprio perché la realtà è fatta da tutti gli elementi e dalle relazioni tra tutti.

Documenti correlati