• Non ci sono risultati.

L'esperienza della Commissione nazionale del dibattito pubblico in Francia.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'esperienza della Commissione nazionale del dibattito pubblico in Francia."

Copied!
110
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE PER LA PACE:

COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO, MEDIAZIONE E

TRASFORMAZIONE DEI CONFLITTI

PARTECIPAZIONE COME DELIBERAZIONE

L’ESPERIEZA DELLA COMMISSION NATIONALE DU DÉBAT PUBLIC

CANDIDATA RELATORE

MANUELA MACALUSO Prof. OLIVERI FEDERICO

(2)

INDICE

Introduzione………4

1. LA STORIA DELLA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA E DELLA CNDP IN FRANCIA 1.1 L’ esperienze di democrazia partecipativa in Francia………6

1.2 L’inchiesta Pubblica………...9

1.3 La nascita della CNDP……….11

1.4 La convenzione di Aarthus………...18

1.5 Grenelle del’Environnement………...20

1.6 L’esperienza di Marie-Ségolène Royal…...………21

1.7 Livello internazionale………..23

2. LA COMMISSIONE NAZIONALE DEL DIBATTITO PUBBLICO 2.1La composizione………30

2.2Autorità indipendente………31

2.3Le funzioni della CNDP………32

2.4I Dibattiti pubblici e la concertazione raccomandate………34

2.5 La fase post-dibattito………36

2.6I consigli e le raccomandazioni ………37

2.7La figura del garante……….40

2.8Dibattiti pubblici su opzioni generali………42

2.9I mezzi di comunicazione della CNDP……….….43

3. ANALISI DEL PROCESSO DELIBERATIVO 3.1Definizione……….45

3.2I promotori de processo……….46

3.3Le metodologie che assicurano l’equità tra i partecipanti………..47

3.4Le ragioni che inducono a metterlo in atto……….48

3.5Chi si decide di includere………51

3.6 Il potere conferito ai partecipanti………56

3.7Il momento nel quale si è deciso di iniziare……….57

3.8L’informazione……….58

3.9Come interagiscono i partecipanti………60

3.10 I risultati………64

3.11 La valutazione………...66

(3)

4. IL DIBATTITO PUBBLICO SUL PROGETTO ERIDAN

4.1 Metodologia dell’analisi………..68

4.2 I promotori………...69

4.3 Le ragioni del dibattito pubblico……….71

4.4 Il momento nel quale si decide di iniziare………..74

4.5 Chi è incluso………76

4.6 L’informazione...……….80

4.7 Come interagiscono i partecipanti………...82

4.8 Il potere conferito ai partecipanti………85

4.9 Le metodologie che assicurano l’equità tra i partecipanti ……….88

4.10 I risultati del dibattito………...…94

4.11 La valutazione del dibattito……….……….96

4.12 Il contesto all’interno del quale il dibattito è inserito………...97

Conclusioni……….99

Allegati………..101

(4)

INTRODUZIONE

Questa tesi nasce dalla mia esperienza fatta alla Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico, dove ho svolto il tirocinio tra aprile e settembre del 2009. Durante il mio tirocinio ho avuto l’opportunità di conoscere il funzionamento della Commissione e di seguire uno dei dibattiti che stava organizzando in quel momento: il dibattito Eridan, che ha riguardato un progetto per la costruzione dei un gasdotto nel sud della Francia. Seguendo le varie fasi di questo dibattito ho avuto l’opportunità di conoscere l’Istituto del dibattito pubblico che è una delle esperienze più importanti di processo deliberativo che è possibile ritrovare oggi in Europa. La particolarità di questa esperienza sta soprattutto nel fatto che si tratta di un Istituto che è inserito all’interno della struttura dello Stato e opera a livelli nazionale, inoltre anche la sua storia è estremamente interessante, in quanto la sua nascita è legata a un conflitto nato intorno alla costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità e al movimento che ha animato tale conflitto, che ha avuto una rilevanza sul piano ideologico rimettendo in causa la legittimità dell’azione pubblica e chiedendo che questa possa essere sottoposta ad un dibattito da parte dei cittadini. Questo fa si che l’esperienza del dibattito pubblico apra la possibilità di riflettere sulla possibilità di arricchire le strutture democratiche con procedure deliberative, e su questa scia ho cercato di analizzare il dibattito pubblico come un processo deliberativo, partendo da un’analisi generale di quello che dovrebbe essere la deliberazione. Questo lavoro è stato estremamente interessante perché mi ha dato la possibilità di cimentarmi con il concetto di deliberazione che suscita in me un certo fascino e che è stato utile vedere un caso concreto e poterlo confrontare con l’idea di deliberazione di dialogo che nel mio percorso formativo ho pian piano sviluppato.

La tesi si compone di quattro capitoli nel primo è stata fatta una breve sintesi della storia della nascita della Commissione, cercando anche di fare un brevissimo excursus sulla storia più generale della democrazia partecipativa in Francia, per dare almeno una vaga idea del contesto nel quale Commissione va ad inserirsi, facendo riferimento anche a quei movimenti che su un piano internazionale, spingono per una

(5)

maggiore democratizzazione delle scelte, come è stato fatto in Francia dai movimenti contro la creazione del TGV mediterraneo.

Nel secondo capitolo c’è una descrizione della Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico e del suo funzionamento, che non si occupa del procedura del dibattito nello specifico in quanto questa è analizzata nei capitoli che seguono.

Il terzo e quarto capitolo possono essere considerati come la parte fondamentale della tesi, mentre i primi due cercano di far capire cosa sia la CNDP; nel terzo capitolo si fa un analisi astratta di quello che dovrebbe essere un processo deliberativo e nel quarto quest’analisi la si applica al dibattito pubblico sul progetto Eridan. Questo parte è la parte più interessante in quanto mi ha dato la possibilità di portare avanti una riflessione attraverso un caso concreto.

(6)

LA STORIA DELLA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA E DELLA CNDP IN FRANCIA

1.1 L’esperienze di democrazia partecipativa in Francia

Prima di tutto è necessario comprendere perché e in quali condizioni nasce la Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico, per ciò mi soffermerò brevemente sulla storia della democrazia partecipativa in Francia con particolare riferimento proprio agli avvenimenti che hanno permesso la creazione della CNDP. Le prime esperienze di democrazia partecipativa nascono alla fine degli anni ’60, dalla reazione alle condizioni di vita prodotte, in particolare nelle banlieues, dalla crescita economica avvenuta dal dopoguerra in poi e si iscrivono in una dinamica conflittuale con il potere pubblico centrale e locale.

In particolare in alcuni comuni nascono i Gam (Groupe d'action municipale) che sono dei gruppi nati in diversi comuni francesi tra gli anni 60 e 70 attraverso l’azione di varie persone che dalle varie associazioni e hanno come ambizione quella di pesare sulle scelte della municipalità. La loro nascita è ispirata dall’inadeguatezza dei partiti politici di fronte alle questioni di politica urbana e culturale, e i Gam rivendicano un intervento dei cittadini alla vita locale. Sono sostenuti e formati alla gestione degli affari municipali dall’associazione per la democrazia locale e sociale (ADELS). La loro esperienza più importante fu a Grenoble, e in seguito si diffondono in altri 150 comuni della Francia e in molti casi partecipano anche alle elezioni municipali del 1971. Oggi di Gam ne esistono all’incirca una trentina uniti attraverso la creazione di un segretariato nazionale e sono riconosciuti come associazione di protezione della natura, di difesa dell’ambiente e di educazione popolare.

Continuando con il percorso storico vediamo che nello stesso periodo in cui nascono i Gam, in altri comuni sono istituite delle commissioni miste extra-municipali, sotto la pressione di vari movimenti e gruppi locali, che rivendicano un intervento permanente dei cittadini nella vita locale attraverso meccanismi di consultazione. All’interno di queste commissioni gli abitanti possono confrontare il loro punto di

(7)

vista con gli amministratori locali, gli esperti e i ricercatori sulle scelte di pianificazione e gestione locale.

Tutto ciò contribuisce alla diffusione, tra gli anni ’70 e ’80, di una visione della democrazia partecipativa fondata sul conflitto e la successiva cooperazione con le istituzioni pubbliche locali. Un caso esemplare che contribuisce a questa visione fu quello del quartiere l’Alma-gare a Roubaix: nel 1967, sotto la tutela della Confédération Syndicale du Cadre de Vie (CSCV), gli abitanti si mobilitano contro un progetto di rinnovamento urbano imposto dal Comune. Qualche anno più tardi il movimento si compone in un contro- potere, e crea un Atelier popolare di urbanismo, dove gli abitanti si riuniscono per discutere del futuro del quartiere elaborando un contro- progetto. Nel 1978 il sindaco di Roubaix accetta a gradi linee il contro progetto, e l’idea di uno schema di pianificazione del territorio condotto insieme con gli abitanti.

Negli anni ’80 inizia l’esperienza della « politique de la ville », che può essere considerata come una politica di lotta contro la degradazione dei quartieri situati alla periferia delle grandi città e l’esclusione di chi ci abita. Questa politica viene condotta dallo Stato attraverso dei contratti di partenariato con le collettività locali. Lo stato francese è spinto a creare queste politiche dal degrado delle condizioni di vita in certi quartieri e s’ispira, per metterle in atto, alla riflessione sulla deriva delle periferie, nata intorno alla fine degli anni ’70. Come la riflessione portata avanti dal club “habitant et vie sociale” che, riguardo alle periferie, afferma: “la loro riabilitazione non potrà essere durevole senza la mobilitazione dei loro abitanti.”

Questi programmi prevedono l’inclusione degli abitanti alla riabilitazione urbana e rappresentano uno dei luoghi di maggiore sperimentazione della democrazia partecipativa. All’interno di questi programmi delle équipe pluridisciplinari lavorano per animare dei piccoli gruppi, per costruire dei progetti di quartiere che superino la logica settoriale, per realizzare delle azioni che coinvolgano gli abitanti stessi, stabilendo anche nuovi rapporti con il potere locale e le istituzioni.

(8)

Negli anni ’90, dopo due decenni dalle prime esperienze, inizia un percorso attraverso il quale questa entra nella legislazione francese, grazie alla presa di coscienza del fatto che “la partecipazione dei cittadini è il cuore stesso dell’idea di democrazia”1.

La prima legge nella quale compare il termine “democrazia locale” appare nel 1992, anche se possiamo includere in questo percorso d’istituzionalizzazione anche la legge sulla decentralizzazione del 1982 che realizza un trasferimento di competenze verso le collettività territoriali. Questa legge, anche se non trasferisce potere direttamente ai cittadini, compie un riavvicinamento del cittadino al centro di decisione.

Comunque bisogna attendere la legge “Art” perché si parli di democrazia locale anche nei testi legislativi. Questa legge intende modificare sostanzialmente la democrazia interna dell’istituzione municipale, partendo dal principio che la partecipazione dei cittadini suppone innanzitutto che sia assicurata l’informazione del cittadino. L’articolo 10 di tale legge prevede “il diritto degli abitanti della comunità ad essere informati sugli affari di questa, e a essere consultati sulle decisioni che li riguardano,[…] è un principio essenziale della democrazia locale.”

In virtù di questa disposizione un certo numero di documenti, tra cui il bilancio, devono essere accessibili al pubblico, tramite un sistema di pubblicazioni e il non rispetto di ciò, dato dalla non esistenza o insufficienza delle pubblicazioni, può essere sanzionato dal giudice.

Per quanto riguarda la procedura di consultazione creata dalla legge questa resta solo un semplice ascolto degli elettori e dei comitati consultivi, che erano stati creati in precedenza come le commissioni extra-municipali, le quali sono così istituzionalizzate.

Essi non hanno nessun potere decisionale, anche se in pratica possono essere dei veri luoghi di co-elaborazione delle decisioni.

1

Formula presa da una raccomandazione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Raccomandazione Rec (2001) 19.

(9)

La legge inoltre protegge il diritto degli eletti minoritari a essere regolarmente e precisamente informati dell’ordine del giorno e ad avere accesso ai documenti necessari per pronunciarsi.

Da queste fasi possiamo notare come la storia della democrazia partecipata si fonda su una continua dialettica tra movimenti ascendenti (l’auto-organizzazione dei cittadini che si rivolgono in seguito verso i poteri pubblici e le istituzioni) e i movimenti discendenti (i poteri pubblici e le istituzioni che propongono ai cittadini delle procedure e dei processi più partecipativi).

All’interno di questa dialettica bisogna porre in evidenza come i movimenti sociali possono avere diversi tipi d’impatto.

In particolare H.Ktscheld ne individua tre: gli impatti sostanziali, che rinviano ad un cambiamento nelle politiche pubbliche in risposta ad una protesta; gli impatti procedurali, che aprono dei nuovi canali di partecipazione agli attori; e gli impatti strutturali, che rinviano ai casi dove i movimenti sociali conducono a una modificazione profonda del sistema politico esistente. E sono gli impatti procedurali che hanno più di tutti contribuito a creare quelli che oggi sono i vari istituti di democrazia partecipativa.

Caso esemplare di ciò è la nascita della Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico francese, che nell’ambito delle decisioni riguardanti i progetti d’infrastrutture, viene creata proprio come concessione procedurale, in seguito al conflitto attorno al TGV mediterraneo che è uno dei casi esemplari di conflitto su un grande progetto di infrastruttura. Prima di passare all’esame di questo conflitto è opportuno però parlare di quella che è stata per l’unico istituto che permetteva una qualche espressione del pubblico nei grandi progetti d’infrastrutture e le cui lacune hanno contribuito a far emergere il conflitto, questo istituto è l’inchiesta pubblica.

1.2 L’inchiesta Pubblica

L’inchiesta pubblica è stata istituita nel XIX secolo essenzialmente come una garanzia accordata hai proprietari prima dell’espropriazione. Solo nel 1976,le viene

(10)

assegnato anche il compito di protezione dell’ambiente e nel 1983, con la legge di democratizzazione delle inchiesta pubblica e di protezione dell’ambiente, le viene conferita una portata nuova. La legge prevede che, tutti i progetti che possono avere degli effetti sull’ambiente sia organizzata un’inchiesta, il cui scopo sia di raccogliere tutti gli apprezzamenti, i suggerimenti e le contro-proposte del pubblico, in maniera tale che le autorità competenti possano avere un’informazione più completa. Per questo è stata spesso presentata come l’archetipo delle procedure partecipative; per molto tempo è stata l’unico momento dove la consultazione del pubblico era obbligatoria. Dagli anni ’60 l’inchiesta è vista come un simulacro di democrazia soprattutto dalle associazioni di difesa dell’ambiente. La legittimità dei commissari dell’inchiesta è messa in dubbio, perché questi non sono degli esperti e non vengono neanche eletti dai cittadini. E anche la loro imparzialità è contestata in virtù del fatto che i commissari sono poco inclini, a dare un avviso sfavorevole, qualsiasi sia il volume della partecipazione e dell’opposizione. Inoltre è da notare che un parere sfavorevole dell’inchiesta sia poco incisivo nel processo di dichiarazione di utilità pubblica, poiché interviene in uno stato molto avanzato del processo di decisione. In ogni caso, il principale problema resta che all’inchiesta pubblica vi è una scarsa partecipazione e in molte inchieste vi è una totale mancanza di pubblico. E nei rari casi nei quali in pubblico si mobilita effettivamente, l’inchiesta diventa un catalizzatore ai movimenti di opposizione che accedono così a una celebrità mediatica, ma vengono nello stesso tempo stigmatizzati in termini della sindrome di Nimby.

Partecipare ad un inchiesta richiede che siano sostenuti dei costi, questo motivo riescono a partecipare poche associazioni. E le associazioni che riescono a mobilitarsi costituiscono l’unico pubblico dell’inchiesta, però paradossalmente queste associazioni sono considerate come non rappresentative e come testimonianze di carattere marginale dell’opposizione. Inoltre la partecipazione limitata di pubblico è vista come un’approvazione del progetto da parte del resto della popolazione.

(11)

Per tutte queste sue caratteristiche l’inchiesta,ha poche possibilità di prevenire o di risolvere i conflitti che nascono attorno alle grandi strutture.

Per questo inizia una riflessione su di esse sia in seno alle varie associazioni sia all’interno di diversi ministeri e tra i giuristi. Il dibattito pubblico nasce anche dalla volontà di rimediare a tutte queste mancanze, per questo su differenti aspetti il dibattito pubblico sarà l’esatto opposto dell’inchiesta pubblica, ma è stata, come si è detto prima, una situazione particolare che ha reso possibile la sua creazione ovvero il conflitto sul TGV mediterraneo, che ha reso possibili, mettere in pratica le proposte già presentate da diversi attori.

Il conflitto attorno al TGV mediterraneo si caratterizza, in particolare per la resistenza da parte dei sindaci dei Comuni più piccoli e delle associazioni ecologiste che protestano contro la mancanza di concertazione e d’informazione mettendo in evidenza l’opacità del processo decisionale, nel prossimo paragrafo vedremo questo in maniera più dettagliata.

1.3 la nascita della CNDP.

Come ci mostra il resoconto fatto dal sociologo J.M. Fourniau2 il conflitto inizia quando il governo affida alla società Sncf3 il compito di portare avanti gli studi per prolungamento del TGV Sud-Est verso Marsiglia(31 gennaio 1989), delegando in questo modo di fatto tutte le responsabilità del progetto alla Sncf. La Sncf svolge gli studi tecnici sugli itinerari possibili e il 22 dicembre del 1989 trasmette al governo una prima versione del progetto, che prende il nome di “tgv Méditerranée”. Il progetto prevede due tracciati uno che lega Parigi a Marsiglia e un altro lungo la regione Languedoc-Roussillon. Nell’autunno del 1989 il progetto viene presentato, ma soltanto agli amministratori dei centri più grandi, senza informare in alcuni modo il pubblico. Durante questa fase la Sncf cerca di discutere la creazione di alcune stazioni destinate al passaggio del TGV tra Aix e Marignane e tra Avignon e Nimes.

2

J.M. Fourniau, « Le conflict du TGV méditerranée: la structuration d'un espace public de discussion de la légitimité des décisions» in Donzel A. (Dir.) Métropolisation, gouvernance et citoyenneté dans la région urbaine marseillaise, Maisonneuve et Larose, Paris, 2001, pag 467-485.

3

(12)

Gli amministratori locali in queste prime riunioni non contestano il progetto nella sua globalità, ma cercano di ottenere alcuni cambiamenti per inserire meglio il progetto nei loro piani di sviluppo della regione. Il conflitto vero e proprio nasce quando a causa di una fuga di notizie, i tracciati della linea per il TGV vengono pubblicati su internet. Gli abitanti, scoprendo in questa maniera l’esistenza del progetto, pensano a una decisione già presa prima ancora di averli consultati e iniziano a mobilitarsi. Si può pensare che la reazione dei cittadini non sarebbe stata la stessa se le informazioni concernenti, il progetto fossero state rese note attraverso canali ufficiali. Dal quel momento in poi inizia la contestazione del progetto attraverso manifestazioni, petizioni, blocchi delle più importanti vie di comunicazione e azioni mediatiche. Tra gennaio e febbraio 1990 si costituiscono diverse associazioni locali, lungo tutto il territorio interessato dal progetto, che iniziano a raggrupparsi in comitati di coordinamento, il Carde (Coordination d'action régionale et de défense de l'environnement) che riunisce le associazioni dei comuni del Bouches-du-Rhone, e del sud del sud Vaucluse, il Coordination des associations du tracé ouest, che diventerà a luglio, un raggruppamento delle varie associazioni della valle del Rodano, e l'association Provence vivante. Questi sono i gruppi che hanno animato il conflitto tra il 1990 e il 1997. L’avvio di questo movimento non sarebbe però stato possibile senza l’appoggio dei due supporti tradizionali della difesa del territorio nella regione, che sono i sindacati agricoli e le reti di relazioni sociali presenti nel territorio. Di fronte a tutto questo la Sncf e il ministro dei trasporti iniziano a organizzare delle riunioni pubbliche, ne vengono fatte circa due mila tra la fine del 1989 e il 1995. Questa fase di concertazione viene affidata al responsabile del progetto Pierre Izard, che la porterà avanti con lo scopo di individuare i tracciati che possono avere un minor impatto sul territorio e permettere l’accettazione del progetto, che viene presentato come una realizzazione dell’interesse generale. La metodologia scelta per portare avanti la concertazione avrà degli effetti rilevanti, in quanto il proliferare di diversi tracciati possibili, che vengono posti sotto esame, impedisce alla protesta di basarsi su una logica Nimby, perché chiedere lo spostamento del tracciato su un'altra

(13)

parte della regione, non farebbe altro che mettere le varie associazioni e gli abitanti gli uni contro gli altri affievolendo tra l’altro la loro posizione davanti alla Sncf. Per questo motivo le varie associazioni e i gruppi di coordinamento orientano la propria protesta sulla questione della trasparenza delle decisioni pubbliche e sulla presentazione di una soluzione alternativa che utilizzi la linea già esistente.

Inoltre in questa fase, il fatto di aver condotto la concertazione tramite riunioni aperte al pubblico ha impedito la trasformazioni in semplici negoziazioni sul tracciato tra la Sncf e gli amministratori che sono posti sotto la pressione e il controllo dei cittadini e spinti così a appoggiare la protesta.

Seguendo questa logica di unificazione della contestazione che così si orienta verso la formulazione di alternative e verso la messa in discussione dell’interesse del progetto, il 29 maggio 1990 viene organizzato un dibattito pubblico al quale prende parte anche il direttore del progetto.

Nonostante questo la Sncf presenta un rapporto, dove sono riportati gli inconvenienti di tutti i tracciati studiati e dove difende il progetto originariamente presentato. Questo rapporto viene tradotto in una decisione ministeriale. Questo avvalla l’idea che esista una decisione già presa e inoltre scarica sul governo la responsabilità fino a quel momento attribuita solo alla Sncf. Tutto questo contribuisce a unire il movimento in una protesta ancora più radicale che contesta l’opportunità di una nuova linea. Viene creato un nuovo coordinamento che unisce sei dipartimenti interessati dal progetto e si procede con l’occupazione di nove stazioni bloccando completamente la valle del Rodano e si decide anche una grande manifestazione a Parigi il 26 settembre del 1990. In seguito a questi nuovi blocchi il ministro delle infrastrutture Michel Delebarre affida a Max Querrien4 il compito di studiare un nuovo tracciato, affiancato da due ingegneri. In questa nuova fase sono cercati tutti i consigli utili per trovare un tracciato che riesca a inserirsi meglio nel territorio, minimizzando l’impatto e cercando di ridurre il numero di proprietari potenzialmente coinvolti. Inoltre Max Querrien apre un dibattito sulle grandi opzioni del progetto in

4

(14)

seno alle varie istituzioni territoriali, permettendo in questo modo agli amministratori di rioccupare un loro ruolo e di sfuggire, al meno in parte alle pressione e al controllo dei cittadini che era facilitato nelle riunioni pubbliche. La missione Querrien definisce un nuovo tracciato che viene adottato dal ministero nel gennaio 1991. La ripresa della concertazione con gli amministratori costringe il movimento di protesta a entrare in una logica più propositiva, nel tentativo di non restare fuori dai negoziati. Su questa scia la Carde definisce meglio la sua posizione sull’utilizzo delle linee ferroviarie esistenti, denuncia l’assenza di uno studio serio su questa possibilità e chiede la costituzione di un collegio di esperti indipendenti per lo studio di questa alternativa.

Il risultato della missione Querrien, è stato da una parte quello di aver riaperto la negoziazione con gli amministratori e aver ridotto le zone di contestazione e dall’altra quello di avere spinto la protesta in una logica più globale di contro- proposizione. D’altra parte l’identificazione del nuovo tracciato porta alla luce anche una nuova questione quella del rischio ambientale, a causa del passaggio su zone inondabili e parchi protetti, che spingerà il conflitto su un piano più esteso. L’individuazione di un nuovo tracciato per il TGV non ha quindi spento il conflitto che continua verso la ricerca di un’alternativa e verso la rivendicazione alla partecipazione dei cittadini alla decisione.

Il periodo di attesa dei poteri pubblici dopo l’approvazione del tracciato proposto da Querrien, viene utilizzato dal movimento di protesta per meglio strutturarsi. In particolare nascono due grandi reti associative per unire efficacemente i vari ordinamenti ed elaborare una contro proposta dettagliata. Queste due reti sono L'Union Juridique Rhone-Méditerranée (Ujrm) e la Fédération d'action régionale pour l'environnement (Fare-Sud). Ed è soprattutto quest’ultima che cercherà di creare un movimento di cittadini che non si fermi alla sola opposizione ad un progetto ma che porti avanti una rivendicazione democratica più vasta. All’interno di questa rete si muovono anche i responsabili della Carde, i quali avevano già sperimentato nel maggio del 1990 un’azione che prevedeva la partecipazione dei cittadini, il dibattito

(15)

pubblico. E basandosi su questa esperienza se ne organizza un altro a gennaio del 1991 sulla politica dei trasposti e della pianificazione del territorio e sull’ambiente. In questa seconda occasione la creazione e la presenza della rete Fare-Sud dà un significato diverso all’evento, facendo divenire l’organizzazione del dibattito pubblico, un asse strategico della federazione appena creata. Inoltre è proprio questa caratteristica democratica che distingue questa federazione in rapporto a tutte le altre federazioni ambientaliste.

E sarà il perseguimento di questa strategia da parte della Fare-Sud, che conduce il ministro dei trasporti J-L. Bianco, a nominare il 14 maggio del 1992 un collegio di esperti, che include anche i cittadini, per portare avanti un’analisi che possa condurre a sbloccare il conflitto e a far iniziare la più volte ritardata inchiesta pubblica.

Per assicurare il buon andamento di quest’analisi al collegio di esperti è affiancato un comitato formato da soggetti che rappresentano lo stato, le collettività locali e le associazioni dei cittadini, e alcuni enti indipendenti dalla Sncf , per la realizzazione di perizie imparziali. Tramite questi soggetti si cerca di portare avanti una valutazione trasparente e indipendente delle varie proposte fatte tra le quali quella delle associazioni riguardo all’utilizzazione della linea esistente. Il collegio di esperti, presenta il suo rapporto al pubblico il 30 settembre 1992, e nel rapporto si ritiene che il tracciato preso in conto dal rapporto Querrien sia quello più adeguato, giustificando questa scelta. Il rapporto è stato accolto in maniera diversa dalle varie associazioni, ma la composizione del collegio ha permesso di affrontare in maniera diversa la valutazione e di includere degli attori normalmente esclusi.

Dal punto di vista sostanziale la protesta non è riuscita ad ottenere quello che aveva proposto, cioè l’abbandono del progetto di creazione di una linea nuova e l’utilizzo di quella esistente. Però nel rapporto che viene generato dalla commissione di esperti viene sottolineato l’interesse e l’importanza dell’esperienza che ha permesso ai cittadini di esprimere la loro opinione sul progetto, non più soltanto alla fine del processo decisionale, come avviene con l’inchiesta pubblica, ma all’inizio della sua concezione. Partendo da questa considerazione, J.L. Bianco il 15 dicembre 1992

(16)

approva una circolare con la quale è istituito un dibattito pubblico preliminare sui grandi progetti nazionali di infrastrutture, organizzato sotto l’autorità di un prefetto coordinatore, ponendo così il presupposto per la creazione della Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico. Per questo, l’emergere di questo dispositivo partecipativo, può essere ricondotto alla mobilitazione avvenuta in merito al progetto di TGV mediterraneo, anche se non bisogna dimenticare anche l’influenza del contesto politico e i particolari meriti di J.L. Bianco.5

All’istituzione vera e propria della Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico si approda solo nel 1995 con la legge riguardante il rinforzo della protezione dell’ambiente del 2 febbraio 1995, detta legge Barnier.

Con questa legge si compie una generalizzazione del dibattito compiuto all’inizio della decisione. Per fare questo ci s’ispira all’istituto del BAPE ( Bureau d’Audience Public sur l’Environnement), creato nel Quebec, nel 1978, che rappresenta uno dei maggiori istituti di democrazia partecipativa nel Quebec ,con il quale si istituisce un diritto alla partecipazione dei cittadini, associato all’esame degli impatti sull’ambiente dei grandi progetti di infrastrutture.

L’originalità di questa legge è quella di creare un’istituzione che ha per missione quella di vegliare sull’organizzazione del Dibattito Pubblico, che da essa è previsto. L’approvazione di questa legge apre in Parlamento una discussione sull’oggetto del dibattito, sia in Senato sia nell’Assemblea Nazionale; diversi parlamentari prendono posizione affinché il dibattito pubblico non si occupi degli obiettivi dei vari progetti. Nonostante lo stesso Barnier ( Ministro dell’Ambiente) insta per istituire un dibattito che non verta soltanto sulle caratteristiche principali del progetto, ma riguardi anche gli obiettivi dello stesso verrà scartata la possibilità di dibattere anche dell’opportunità stessa del progetto. Perciò si evidenzia una certa resistenza da parte del Parlamento a consentire un dibattito sulle opportunità dei progetti, aspetto capace di toccare questioni politiche, possibilmente allo scopo di preservare in modo rigido i principi della democrazia rappresentativa e quindi di non vedere eroso il loro potere.

5

Blatrix C., « Genèse et consolidation d’un institution : le débat public en france», in M. Revel, Le débat public :un expérience française de démocratie partecipative, éditions La Découverte,Paris,2007, pag.43-56.

(17)

Tutto ciò porta a definire un dibattito come una forma raffinata d’informazione del pubblico e lascia un vuoto circa la questione dell’incidenza del dibattito sul processo decisionale. Nonostante questo, nel momento in cui inizia l’attività della Commissione, emerge l’incapacità pratica di evitare che la questione dell’opportunità sia abbordata e discussa durante i vari dibattiti.

Perché questa possibilità sia riconosciuta ufficialmente, bisogna aspettare la legge del 27 febbraio 2002 detta di “prossimità”. Questa legge ha lo scopo di avvicinare i cittadini alla decisione e di rafforzare il potere degli schieramenti di minoranza, ma con essa manca l’intenzione di predisporre i mezzi di un’effettiva partecipazione dei cittadini alle decisioni. E, in effetti, la scelta dello stesso nome lo esprime chiaramente: “democrazia di prossimità” anziché “democrazia partecipativa”.Ciò sta a indicare la volontà di non cambiare realmente il modo di prendere decisioni, ma solo l’intenzione di avvicinare i cittadini ai propri rappresentanti. Proprio per questo l’impatto di questa legge è molto limitato. Sono istituiti inoltre i consigli di quartiere che rimangono, però delle istituzioni senza alcun potere effettivo e nella maggior parte dei casi soffrono di una scarsa partecipazione. Sono rilanciate le Commissioni Consultive dei servizi pubblici locali, previsti già dalla legge ATR senza però un reale successo, ed è creato un bollettino municipale che costituisce uno spazio riservato ai consiglieri municipali non appartenenti alla maggioranza.

L’impatto più importante di legge è possibile registrarlo proprio sulla Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico.

La trasformazione più rilevante è quella della CNDP in autorità amministrativa indipendente, garante del dibattito pubblico, cosa che le permette di acquisire nuova legittimità. Inoltre la sua competenza viene estesa a nuove tipologie di progetto prima non considerate ed è aggiunta la possibilità di organizzare un dibattito pubblico su questioni generali in materia di ambiente o di pianificazione.

È prevista anche la possibilità per la commissione di emettere delle raccomandazioni a carattere generale o metodologico e sono apportati dei cambiamenti alla procedura. E’obbligatorio adirla per alcune tipologie di progetti mentre per altri resta solo

(18)

l’obbligo di pubblicarli e la facoltà di rivolgersi alla Commissione. La suddetta procedura è estesa ad altri soggetti come per esempio le associazioni di protezione dell’ambiente. Inoltre sono modificate anche le possibilità di risposta della Commissione.

Questi cambiamenti sono stati apportati anche per permettere alla Commissione di conformarsi alla convenzione di Aarthus, convenzione che riguarda l’accesso alle informazioni, la Partecipazione del Pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale.

Questa convenzione sancisce alcuni princìpi che sono messi in atto dalla Commissione e per questo motivo è interessante fare una breve analisi su di essa.

1.4 La convenzione di Århus

La convenzione di Århus è stata adottata il 25 giugno 1998 in occasione della IV conferenza ministeriale “ambiente per l’Europa” e attua l’articolo 10 della convenzione di Rio sull’ambiente del 1992. Nella convenzione c’è per la prima volta una convergenza tra i diritti umani e la tutela dell’ambiente. In questo modo si riconosce l’interazione esistente tra la necessità di tutelare l’ambiente e il diritto a essere consultati, che diventa così non solo un diritto ma anche in qualche modo una condizione necessaria al raggiungimento dello scopo di tutela dell’ambiente.

La Convenzione riconosce l’importanza della partecipazione dei cittadini alle scelte e pone l’accento sui bisogni e sulle condizioni che vanno soddisfatte affinché una persona possa essere nelle condizioni di partecipare. Perciò la rilevanza di questa convenzione risiede nel fatto che essa, oltre a riconoscere i diritti fondamentali, mostra come, per compiere delle scelte sane si debba prendere in considerazione il pensiero e gli interessi di tutti. Inoltre descrive quelle che sono le condizioni nelle quali ognuno può realmente partecipare ed esprimersi.

La convenzione emette delle disposizioni che riguardano: 1. L’accesso all’informazione ambientale

(19)

2. La partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale.

3. L’accesso alla giustizia in materia ambientale.

La parte che più ci interessa è quella relativa alla partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia di ambiente che viene tratta negli articoli 6, 7, 8 i quali individuano tre diversi ambiti nei quali si deve applicare la partecipazione del pubblico. Questi tre diversi ambiti sono: le decisioni relative ad attività specifiche, l’elaborazione di piani, programmi e politiche in materia ambientale e infine l’elaborazione di regolamenti di attuazione e strumenti normativi giuridicamente vincolanti di applicazione generale. In particolare nell’articolo sei sono enunciate quelle condizioni che rendono effettiva ed efficace la partecipazione del pubblico e queste sono:

 Il pubblico interessato deve essere informato nella fase iniziale del processo decisionale in modo adeguato, tempestivo ed efficace.

 La partecipazione del pubblico deve avvenire in una fase iniziale, quando tutte le alternative sono ancora praticabili e tale partecipazione può avere un'influenza effettiva.

 Si deve consentire al pubblico interessato, di consultare gratuitamente, non appena siano disponibili, tutte le informazioni rilevanti ai fini del processo decisionale.

 Le procedure di partecipazione devono consentire al pubblico di presentare per eventuali osservazioni, informazioni, analisi o pareri da esso ritenuti rilevanti ai fini dell'attività proposta.

 A momento dell'adozione della decisione, si deve tenere in conto i risultati della partecipazione del pubblico.

E’ utile elencarle perché le sudette condizioni sono riprese e applicate proprio dalla Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico. Non è un caso che questa Convenzione sia stata elaborata in riferimento all’ambiente, in quanto esso è un settore particolare all’interno del quale sono diversi i conflitti ed esso è un sistema

(20)

molto complesso che cosa ci lega tutti, essenziale alla vita e all’interno del quale una singola azione può ripercuotersi a livello globale. Per questo è naturale che la democrazia partecipativa inizi a svilupparti attorno a questi temi.

La Commissione è stata creata prima di questa Convenzione, ma ad essa sta adeguandosi; lo ha fatto in parte con la “legge di prossimità” e sta continuando questo processo attraverso la legge Grenelle de l’Environnement. Questa legge risulta rilevante anche per le modalità con le quali è stata elaborata perciò me ne occuperò nel prossimo paragrafò.

1.5 Grenelle de l’Environnement

Il termine Grenelle rinvia proprio agli accordi del maggio ’68. La Grenelle de l’Environnement si è svolta con delle riunioni dove rappresentanti dello stato e della società civile hanno discusso per definire delle linee guida sul tema dell’ambiente. In particolare sono stati creati sei gruppi, ognuno dei quali ha lavorato su un tema specifico. I vari gruppi sono stati creati in maniera tale che i membri rappresentassero lo stato, gli enti locali, le organizzazioni non governative e i sindacati. Al quinto gruppo dal titolo “costruire una democrazia ecologica: istituzioni e governace” ha preso parte anche il presidente della Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico. I lavori di questo gruppo sono stati rivolti alla governance, alla concertazione e al dibattito pubblico, e la Commissione ha avuto la possibilità di fare delle proposte. Queste sono state rivolte alla governance post-dibattito, suggerendo che siano stabilite delle procedure chiare anche per questa fase. E’ stato anche richiesto l’ampliamento della possibilità di organizzare dei dibattiti per la preparazione di politiche com’è previsto dalla stessa convenzione di Århus e un uso più frequente dello stesso nel campo dello sviluppo sostenibile da parte dei ministri interessati. In base alla sua esperienza, la Commissione ha suggerito anche la possibilità di utilizzare il metodo del dibattito anche per questioni e progetti di dimensione locale essa ha proposto l’utilizzo della figura di un terzo garante per la conduzione di questi dibattiti. Alla fine la legge Grenelle I ha preso in considerazione le proposte fatte e ha

(21)

disposto: che la questione della governance post-dibattito sia inclusa nel dibattito stesso; che il responsabile del progetto presenti delle proposte alternative già nel dossier del dibattito; l’allargamento della possibilità di adire la commissione alle collettività territoriali e alle istanze rappresentative della società civile e la possibilità per la Commissione di delegare l’organizzazione dei dibattiti a degli organismi indipendenti. Per mettere in pratica tutto questo è stato elaborato un progetto di legge che viene chiamato Grenelle II che è una legge di programma per l’applicazione della legge Grenelle I. Essa stabilisce l’allargamento della composizione della Commissione stessa, l’ampliamento delle sue competenze, la possibilità di designare un garante nelle concertazioni raccomandate e le modalità di organizzazione della fase post- dibattito. Questa legge e il progetto Grenelle de l’Environnement sono interessanti non solo per le modifiche che hanno apportato alla Commissione o per le altre misure che vengono adottate riguardanti l’ambiente nella sue tante sfaccettature, ma anche, come si è già detto, per il metodo che è stato applicato alla creazione di questa legge. Con il progetto Grenelle si è deciso che il progetto di legge non dovesse essere deciso solamente dal governo, ma che alla sua elaborazione partecipasse anche altri attori i quali potessero rappresentare sia gli organi dello stato, che almeno una parte della società civile. Questo modo di operare in fondo rivela la necessità di includere altri attori per fare delle scelte che sono complesse, e che nella loro attuazione coinvolgeranno e richiederanno l’appoggio di tanti soggetti diversi.

Un’altra osservazione da fare riguarda l’utilizzo di un modello inclusivo per occuparsi e stabilire le regole per il funzionamento di alcuni istituti partecipativi.

1.6. L’esperienza di Marie-Ségolène Royal

Oltre alla nascita della CNDP, un momento importante per la Democrazia partecipativa in Francia è dato dall’esperienza di Marie-Ségolène Royal nella regione di Poitou-Charentes, della quale 2004 diventa presidente del consiglio regionale. Nel 2005 nella regione è istituito in tutti i licei il budget partecipativo.Il budget partecipativo permette a tutti gli studenti, al personale scolastico (insegnanti e non

(22)

insegnanti) e ai genitori degli studenti di dibattere e poi decidere i progetti che dovranno essere finanziati.

La procedura del budget partecipativo nei licei, ispirata all’esperienza di Porto Alegre,si divide in quattro fasi. Nella prima i partecipanti, dopo una presentazione generale, sono divisi in piccoli gruppi in maniera tale da favorire l’espressione di ognuno, per discutere e riflettere sui singoli progetti. In ogni gruppo è nominato un rappresentante che riporterà le proposte e le motivazioni del gruppo in assemblea plenaria. Nella seconda fase i servizi della regione svolgono delle perizie sulla fattibilità tecnica di tutti i progetti e sui costi. Questi dati nella terza fase sono riportati nell’assemblea plenaria, dove i partecipanti possono discuterne tenendo in conto anche delle considerazioni fatte nella prima riunione. All’interno di questa deliberazione è ricercato l’interesse generale del liceo e poi l’assemblea vota ciascun progetto facendo una classifica. Nell’ultima fase la regione s’impegna a rispettare la classifica e a finanziare i progetti partendo dai primi che si sono classificati e scendendo fino a esaurire i fondi disponibili. Ogni anno la destinazione di circa dieci milioni di euro è decisa mediante la suddetta procedura.

Nel 2008, nella regione di Poitou-Charentes, è stata creata anche una giuria cittadina, che si occupa delle azioni intraprese dalla regione contro i cambiamenti climatici e l’emissione dei gas serra. La giuria era composta di ventisei persone estratte a sorte tra i cittadini della regione, in maniera tale da rappresentare le diversità territoriali, generazionali, professionali e sociali.

Sempre nel 2008 sono stati creati degli atelier per la valutazione delle borse regionali della scoperta (borse destinate per il sostegno alla mobilità).

L’interesse di questa regione è espresso anche dal fatto che in essa si organizzano degli incontri Europa-America sulla Democrazia partecipativa,in partenariato con la regione Toscana e Catalogna.

Da questi incontri e dalla volontà del presidente della regione è venuta fuori la costituzione del Réseau Européen pour la Démocratie Partecipative,il cui obiettivo sarà lo sviluppo e la diffusione delle esperienze, degli strumenti e delle conoscenze

(23)

sulla democrazia partecipativa. E costituirà un crocevia europeo di scambio e di riflessione, una risorsa a disposizione degli attori impegnati sul territorio, delle organizzazioni collettive e dei ricercatori e si affiderà alla ricerca per promuovere una cultura di analisi e valutazione critica che non può essere dissociata da ogni atto partecipativo. Il centro è stato sempre creato in collaborazione tra la regione Poitou-Charentes quella toscana e Catalana.

Marie-Ségolène Royal, oltre a promuovere varie esperienze di partecipazione nella regione della quale è presidente, ha utilizzato una modalità partecipativa anche per preparare la sua campagna presidenziale nel 2007. Infatti, ha svolto una fase di ascolto e di dibattito partecipato, prima di presentare il suo programma. È interessante notare che tra l’equipe che la sostiene nella sua candidatura alla carica di presidente della repubblica francese c’è anche Jean-Louis Bianco, ex ministro dell'Attrezzatura, dell'Alloggio e dei Trasporti e autore della circolare che nel 1992 prefigura la nascita della CNDP. L’utilizzo di modi partecipativi per la creazione del programma con il quale S.Royale si presenta alle elezioni presidenziali, risulta essere controverso e apre la strada a delle critiche, in quanto il programma che è presentato alla fine risulta un compromesso tra quanto esce fuori dalle varie riunioni locali fatte in tutto il paese, e le aspirazioni del partito socialista di cui S.Royale è la candidata. Questo farà anche perdere un po’ di attendibilità all’esperienza e alle proposte di S.Royale che in alcuni vasi verranno giudicate come populiste.

1.7 Livello internazionale

Ripercorrendo la storia della CNDP, abbiamo visto che essa è basata sulla richiesta di procedure più democratiche in un settore ben determinato che è quello dell’ambiente e della pianificazione del territorio. Se tale ente riesce o no a rispondere a tale richiesta sarà questione d’indagine dei prossimi capitoli; adesso mi sembra interessante fare notare come la richiesta di procedure più democratiche nel prendere le decisioni sia negli ultimi anni al centro di vari movimenti nazionali e transnazionali. In particolare, a livello internazionale sono nati dei movimenti che

(24)

contestano la mancanza di democrazia e di legittimità di tutti quegli istituti che prendono decisioni rilevanti per milioni di persone. Essi contestano anche le politiche neoliberiste che dilagano ormai in tutti i paesi, e in qualche modo cercano una strada alternativa proprio nella democrazia partecipativa o meglio deliberativa. Per una meglio comprendere cosa questi movimenti rivendicano e quali alternative propongono, partiamo da una descrizione del sistema contro il quale nasce la mobilitazione tratta da un opera di M. Pianta6 . In particolare M. Pianta descrive il modello di globalizzazione neoliberista che domina i processi economici, le strategie delle imprese multinazionali e della finanza e afferma che le decisioni di buona parte dei governi e delle istituzioni sovranazionali sono dominanti da quella che viene definita “globalizzazione neoliberista”. Come ricorda Richard Falk, “le politiche che caratterizzano il neoliberismo comprendono azioni come la liberalizzazione, la privatizzazione, minimizzare le regole dell’economia,ridimensionare il welfare state, ridurre le spese per i beni pubblici, restringere la disciplina fiscale, favorire la libertà di movimento operaio, ridurre le imposte e possibilità di rimpatriare denaro senza restrizioni”. Ciò che ha contribuito alla diffusione della globalizzazione neoliberista negli ultimi decenni sono stati i processi come il cambiamento tecnologico, l’internazionalizzazione della produzione e la crescita della finanza a discapito dell’economia reale. Questi tre processi sono strettamente connessi tra di loro perché i cambiamenti tecnologici sono stati sfruttati in modo tale da consentire un’internazionalizzazione della produzione con maggiore mobilità degli investimenti, ricorrendo a diverse fonti di competitività e nuovi prodotti e mercati. Tutto questo accresce i profitti delle imprese e la maggiore disponibilità di capitali è utilizzata per investire sia nelle attività reali sia nelle speculazioni finanziarie, e questo porta a istaurare dei meccanismi di pura speculazione, che aumentano esponenzialmente le rendite finanziare, poiché la tendenza è di cercare i rendimenti più alti nel breve periodo. Queste dinamiche imprimono dei cambiamenti nella struttura delle economie, nella divisione del lavoro, nell’occupazione e nella distribuzione del

6

(25)

reddito. I protagonisti che le mettono in atto e ne acquisiscono qualche vantaggio sono le grandi imprese multinazionali, i paesi più potenti e il mondo della finanza. E sono questi che sempre di più riescono a sottrarre ai governi nazionali la possibilità di controllare lo sviluppo economico e sociale. Essi obbligano i singoli Stati a uniformarsi alle regole del liberismo e le conseguenze in quasi tutti i paesi sono: uno scarso sviluppo, disoccupazione o sottoccupazione, l’aumento di rendite finanziarie, il taglio della spesa pubblica di natura sociale e la crescita delle disuguaglianze. Inoltre, negli ultimi decenni in corrispondenza dell’aumento della rilevanza dei problemi politici, economici, sociali e ambientali di natura globale, sono sorte nuove organizzazioni inter-governative e sono sorte varie attività a livello internazionale per regolare e coordinare le politiche nazionali. Queste organizzazioni ovviamente sono le Nazioni Unite, l’organizzazione per il commercio, il Fondo Mondiale Internazionale, la Banca Mondiale,il G8, la Nato, i vari istituti regionali come l’Unione Europea ma anche i vertici internazionali.

Questi vanno ad aggiungersi alla lista dei poteri globali tra cui come si è detto in precedenza rientrano anche gli Stati più forti, le imprese multinazionali e la società finanziaria. Tutti questi soggetti, fino ad adesso hanno compiuto sforzi verso il mantenimento e la diffusione di un percorso di globalizzazione neoliberista che però si fa sentire su milioni di persone che ne subiscono le nefaste conseguenze. Però proprio chi subisce le conseguenze di queste decisioni non ha avuto almeno finora alcun potere di influenzarle direttamente. Questo perché tutti questi organismi hanno delle deficienze democratiche: non sono normalmente eletti, non possono essere sostituiti e quindi non rispondono a chi subisce le loro scelte. Ed è in risposta a tale sistema che la società civile globale ha sviluppato in questi anni una serie di iniziative, campagne e richieste che puntano a cambiare alcuni aspetti di fondo dell’ordine economico internazionale. Gli eventi più importanti che la società civile ha organizzato possono essere individuati nei controvertici. I controvertici sono organizzati in concomitanza con i vertici internazionali con l’intento di sfidare la loro legittimità. La loro consolidazione avviene nella seconda metà degli anni ’90 e nel

(26)

’99 con Seattle il movimento raggiunge l’apice. A Seattle il movimento riesce a fermare la conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e sono organizzate varie iniziative e incontri ed è anche presentato un documento dove sono elencati delle raccomandazioni inviate alla dichiarazione ministeriale di Seattle, tese alla revisione del sistema commerciale internazionale.

Con Seattle si apre una nuova fase nella quale sulla scena mondiale s’impone, accanto ai poteri globali, un movimento civile transnazionale che sfida la globalizzazione neoliberista e prova a mostrare delle alternative a essa.

Un movimento che vede uniti tanti soggetti diversi dai lavoratori agli ambientalisti ai contadini, tutti uniti dagli stessi obiettivi: il rifiuto del liberismo e la richiesta di processi decisionali democratici, e che si dà come forma di organizzazione quella della rete su base internazionale.

Le tappe più importanti attraverso le quali il movimento si consolida, sono il Forum di Porto Alegre nel gennaio 2001, il controvertice a Genova nel 2001, e il secondo Forum a Porto Alegre.

A Porto Alegre si tiene nel 2001 il World social forum in concomitanza con il World Economic Forum di Davos, che gioca un ruolo strategico nella formulazione del pensiero di tutti quelli che promuovono e attuano politiche neoliberiste in tutto il mondo. Contrapposto a questo nel social Forum si apre uno spazio internazionale per la riflessione e l'organizzazione di tutti quelli che si oppongono alle politiche neoliberiste e costruiscono alternative per dare priorità allo sviluppo umano e mettere fine al dominio dei mercati finanziari in tutti i paesi e nei rapporti internazionali. Al social forum sono presenti oltre 12.000 delegati ufficiali in rappresentanza di 123 paesi, 60.000 partecipanti e durante il suo svolgimento vengono organizzati 652 laboratori e 27 dibattiti. Questo spazio servirà alla formulazione di prospettive generali, allo scambio di esperienze e alla costruzione di coordinamenti tattici e strategici tra diversi attori. Tra i quali rientrano associazioni ambientaliste come la Sierra Club una delle principali associazioni ambientalistiche degli Stati Uniti, organizzazioni sindacali come AFL-CIO, la Central Unica dos trabalhadores, un

(27)

sindacato brasiliano nato nel 1983 e la JOBS EITH JUSTICE. Il movimento include anche associazioni come ATTAC, che nasce nel 1998 con lo scopo di riuscire a introdurre una tassa sulle speculazioni internazionali, organizzazioni antiglobal tra le quali GLOBALISE RESISTENCE, GLOBAL EXCHANGE, ma anche movimenti sociali come AZIONE GLOBALE DEI POPOLI e il MOVIMENTO SEM TERRA un movimento contadino che nasce in Brasile nel 1984.

Questi soggetti, pur nella loro diversità e specificità, sono uniti e da un'unica idea, “ che il neoliberismo sia d’intralcio ai bisogni dell’umanità, che i diritti dei popoli non siano comprimibili, che le istituzioni internazionali siano illegittime, che la democrazia sia un processo di partecipazione che si costituisce dal basso”7 e in particolare il tema della democrazia sarà centrale nel movimento.

L’esperienza di Porto Alegre ispirerà il nome della coalizione italiana che organizza il controvertice del G8 a Genova, il Genoa Social Forum (GSF).

Gli eventi di Genova sono segnati dalla violenza e dalla repressione che il movimento incontra, ma il GSF non si caratterizza solo per quello. A Genova il movimento che resta sempre veramente composito, però unito attorno al rifiuto del liberismo e alla richiesta di democrazia, accresce la propria capacita di creare reti e relazioni tra le varie parti.

Genova darà anche l’avvio alla creazione di diversi forum sociali a livello locale, che cercano di mantenere un collegamento tra di essi. La formazione di questi Social Forum in diverse città italiane dimostra come “centinaia di migliaia di persone sono alla ricerca di una nuova forma politica, inclusiva, democratica partecipata, che testimoni la volontà d’impegno e che riveli la radicalità del movimento”.8

Dopo Genova si ritorna a Porto Alegre per il secondo Social Forum, ma nel frattempo gli avvenimenti dell’11 settembre e della successiva guerra, portano il movimento a unirsi anche nell’opposizione alla guerra, altro strumento di propagazione del liberismo e antitesi della democrazia. Per opporsi alla guerra il movimento può far leva sulla sua dimensione internazionale e sulla sua natura non violenta, che

7

Cannavò S., Porto Alegre capitale dei movimenti, manifesto libri,Roma,2002, pag 50

8

(28)

l’aiuteranno anche a evitare le pressioni che tentano di equipararlo al terrorismo dopo gli attacchi dell’11 settembre. Questo è un breve resoconto degli appuntamenti che hanno scandito la nascita e lo sviluppo del “movimento” come una reazione al pensiero neoliberista e alla crisi della democrazia rappresentativa. Bisogna però evidenziare come “il movimento” -nel promuovere la costituzione di strutture organizzative sovranazionali, che siano diverse da quelle esistenti-, riesce esso stesso a fare esperienza di forme di democrazia alternativa e in particolare di forme di democrazia deliberativa. Questa esperienza è fatta attraverso i Social forum, i controvertici, l’uso del metodo del consenso, ma anche prendendo come forma di organizzazione quella della rete, che riesce a mettere insieme persone, associazioni ed esperienze che presentano caratteristiche diverse tra di esse.

Questo sperimentare modelli inclusivi e discorsivi è da una parte una soluzione, che permette di unire in maniera efficace soggettività diverse per raggiungere determinati fini, ma dall’altra parte è reso possibile dalla presenza nel movimento di persone che hanno esperienze precedenti in diversi ambiti. Questo permette di avere dei soggetti che possiedono competenze che li facilitano nella partecipazione a processi deliberativi, che diventano possibili anche a causa dell’esistenza all’interno dei movimenti di determinati valori comuni. Tra questi valori c’è quello della diversità che permette di vedere come qualcosa di positivo la presenza di persone diverse, la loro inclusione e il loro ascolto. Inoltre,l’organizzazione in una struttura a rete permette di saldare tra loro associazione ed esperienze varie ma anche livelli diversi dal locale al nazionale, creando un valore aggiunto alla semplice somma delle parti9. Da quanto appena detto, la democrazia partecipativa, e in particolare quella deliberativa, è uno temi centrali del movimento, attraverso il quale la società civile inizia a criticare e ripensare la legittimità che fino ad adesso è stata accordata alla democrazia rappresentativa- credendo che oramai questa abbia messo in mostra tutti i sui limiti- e scegliendo di realizzare in maniera autentica il significato di democrazia.

9

(29)

A questi principi e alla crisi della democrazia rappresentativa , come abbiamo visto in questo capitolo, è legata anche la nascita della Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico che nel prossimo capitolo passiamo a presentare.

(30)

LA COMMISSIONE NAZIONALE DEL DIBATTITO PUBBLICO

2.1 La composizione

In questo capitolo presento la CNDP, evidenziando qual è la sua composizione, il suo funzionamento, i sui compiti e alcuni risultati finora raggiunti.

La Commissione è un’autorità amministrativa indipendente alla quale sono affidati i compiti di:

1. far rispettare il diritto alla partecipazione del pubblico durante l’elaborazione dei progetti di pianificazione o di equipaggiamento del territorio d’interesse nazionale.

2. fornire consigli alle autorità competenti sulle questioni relative alla concertazione.

3. emettere raccomandazioni e pareri a carattere metodologico, per favorire e sviluppare della concertazione con il pubblico.

4. organizzare dibattiti pubblici su opzioni generali di pianificazione o riguardanti l’ambiente, su richiesta del ministro dell’ecologia o del ministro interessato.10 La commissione si compone di ventuno membri, tra i quali ci sono un presidente e due vice presidente. Questi ultimi sono nominati con decreto del primo ministro. La commissione è composta, da un senatore e un deputato, sei rappresentanti locali, un membro del Consiglio di Stato, un membro della Corte di Cassazione, un membro della Corte dei Conti, un membro dei tribunali amministrativi, due rappresentati delle associazioni di protezione dell’ambiente che operano sul territorio nazionale, due rappresentanti dei consumatori e due persone qualificate tra le quali una deve aver svolto il ruolo di commissario nelle inchieste pubbliche. Questi sono gli attuali membri della commissione, ma il progetto di legge Grenelle Environnement che è stato già approvato dal Senato prevede delle modifiche per giungere dei rappresentanti dei sindacati e dei rappresentanti degli attori economici.

10

(31)

Il presidente e i due vice-presidenti compongono un ufficio permanente, che si occupa di esaminare le richieste che vengono inviate alla Commissione per l’organizzazione di un dibattito pubblico, di esaminare l’organizzazione dei dibattiti che sono stati svolti, seguire quelli in corso e le decisioni che alla fine del dibattito vengono prese dal responsabile del progetto.

Le decisioni inerenti tutte le attività messe in atto dalla Commissione sono comunque prese collegialmente nelle riunioni che avvengono una volta al mese.

Per quanto riguarda queste riunioni l’ordine del giorno è stabilito dal presidente della Commissione e deve includere tutte le questioni la cui iscrizione è stata richiesta almeno dieci giorni prima della riunione da almeno tre membri della Commissione. La convocazione dei vari membri della Commissione viene inviata otto giorni prima della riunione e con essa anche i vari dossier da esaminare.

Normalmente nel corso di queste riunioni è il presidente che propone la decisione da assumere in merito alle varie questioni e, dopo una discussione con gli altri membri, si decide se apportare delle modifiche alla proposta fatta. Si può anche far ricorso al voto nel caso non si trovi un accordo tra tutti i presenti. In questo caso perché la decisione sia approvata è sufficiente la maggioranza di suffragi espressi. Alla fine tutte le deliberazioni e le decisioni sono firmate dal presidente.

Nelle riunioni sono anche discussi i resoconti dei vari dibattiti, in maniera preliminare all’elaborazione del bilancio del dibattito da parte del presidente.11

2.2 Autorità indipendente

Come ho detto prima la Commissione è stata trasformata in un’autorità amministrativa indipendente. Questo è un aspetto molto importante che consente alla commissione di svolgere il ruolo di garante all’interno del dibattito pubblico.

Il ruolo di garante ha come scopo quello di proteggere il diritto dei cittadini alla partecipazione. Questo avviene cercando di colmare lo squilibrio esistente tra i diversi attori, che può riguardare sia il livello d’informazione sia il potere detenuto.

11

(32)

Per lo svolgimento di questo ruolo l’indipendenza dal governo e da qualunque altro ente dell’amministrazione è fondamentale. E lo statuto di autorità amministrativa indipendente permette di ottenere tale indipendenza, perché la pone al di fuori della struttura amministrativa tradizionale, in questo modo nessun potere pubblico può dargli ordini o consigli. Questa indipendenza trova sostegno anche nella sua composizione, nella sua organizzazione, nelle varie regole di procedura e nell’autonomia finanziaria.

Per quanto riguarda l’autonomia finanziaria, il budget della Commissione è stato annesso al bilancio del ministero dell'ecologia e dello Sviluppo sostenibile, ma con il solo scopo di identificare il budget attribuito alla Commissione, perciò questo non può essere manovrato in alcun modo. Inoltre non è indicata nessuna voce di bilancio perché l’attività della commissione dipende interamente dalle richieste che gli sono fatte di volta in volta da parte dei responsabili dei progetti.

Per quanto riguarda l’organizzazione dei dibattiti, i costi che sono a carico della commissione sono: le indennità dei membri della commissioni particolari, le spese per gli spostamenti dei membri della commissioni particolari, le perizie complementari che vengono decise nel corso dei dibattiti. Questo permette di assicurare l’imparzialità sia dei membri delle commissioni particolari sia delle perizie.

2.3 Le funzioni della CNDP

In questo paragrafo vorrei chiarire le funzioni della commissione che prima ho elencato, iniziando dalla prima. La funzione che almeno per il momento è la più importante per la commissione è l’organizzare di dibattiti pubblici per alcune tipologie di progetti12, per le quali sono stati individuati dal Consiglio di stato dei criteri basati sul costo e su alcune caratteristiche del progetto. Se un determinato progetto rientra in questi criteri, il committente dell’opera sarà obbligato a fare richiesta alla commissione per l’organizzazione di un Dibattito. Nel caso in cui un

12

(33)

progetto non rientri in quei criteri, il Committente non è obbligato a fare richiesta alla Commissione, lo farà solo se lo ritiene opportuno, ma sarà comunque obbligato a rendere pubblico il progetto. Questo per dare la possibilità ai consigli regionali, generali e municipali e gli stabilimenti di cooperazione intercomunale che hanno competenza sul territorio interessato,alle associazioni incaricate della protezione dell’ambiente e a un minimo di dieci parlamentari di rivolgersi alla commissione per chiedere l’organizzazione di un Dibattito Pubblico.

Quando una richiesta per l’organizzazione di un dibattito arriva alla Commissione, essa deve avere in allegato un dossier di richiesta che indica le caratteristiche principali del progetto. Questo è esaminato dal presidente e dai due vice che elaborano una decisone al riguardo.

Le decisioni che possono essere elaborate in questo caso sono tre. Si può decidere che sussistano gli elementi perché la Commissione stessa organizzi un dibattito o si decide di delegarne l’organizzazione allo stesso responsabile dell’opera o si ritiene che sia sufficiente una concertazione raccomandata.

La questione è discussa all’interno delle riunioni che ogni mese si tengono con tutti i membri della Commissione; il dossier normalmente è inviato con un certo anticipo a tutti i membri in maniera da poterne prendere visione. Poi, durante la riunione, il presidente presenta la decisione che ha elaborato e, se il resto della commissione è d’accordo, viene assunta; se non c’è il consenso di tutti i membri presenti, inizia una discussione alla fine della quale si cerca nuovamente un consenso unanime, se non viene raggiunta si passa alla votazione per ottenere la decisione che poi verrà pubblicata.

La Commissione può decidere che sussistano le condizioni per organizzare un dibattito e in questo caso dovrà anche stabilire se affidarne l’organizzazione a una commissione Particolare da lei nominata o affidare l’organizzazione alla persona responsabile del progetto definendo le modalità di partecipazione del pubblico e vegliando al suo svolgimento.

Riferimenti

Documenti correlati

• i soggetti organizzatori dovranno assicurare, nello svolgimento delle manifestazioni, il rispetto della vigente normativa in materia di tutela ambientale, inquinamento

comunedialessandria@legalmail.it entro le ore 12:00 di martedì 29 settembre 2020. Dopo tale data non è più possibile richiedere chiarimenti. Sul sito della Città di Alessandria

dei 90 giorni, il proponente è legittimato a gestire il materiale da scavo come previsto nel piano.. 2.6 Qualora non sia possibile individuare un sito in fase progettuale

Per questo elemento il codice amministrazione (prima parte dell’identificatore) DEVE essere valorizzato con l’identificativo associato al Soggetto SPCoop che invia la richiesta

Tali sistemi sono sotto la responsabilità di soggetti pubblici, costituiti da amministrazioni centrali, enti pubblici, regioni, provincie, comuni, comunità di enti locali, e

La Specifica dell’Interfaccia (come verrà dettagliato in § 6.1) si compone di 3 specifiche WSDL (Web Service Description Language, versione 1.1) astratte: (i)

l’Ente, nel tempo, nei confronti di AGID, rimane responsabile delle attività tecniche per l’interfacciamento con SPID , non essendone responsabile invece il Partner. A marzo

La giunta regionale decide di porre a riuso gratuito l’infrastruttura di Regione Toscana integrata in SPID al fine di facilitare l’adesione al sistema da parte degli enti