L’affermarsi di nuove correnti e nuove maggioranze al vertice della Democrazia cristiana non aveva conseguenze soltanto sull’impostazione della linea del partito, ma si ripercuoteva inevitabilmente sui rapporti di forza, che le diverse anime della DC instaurarono nel corso del tempo nelle realtà elettive. Esse rispecchiarono con puntualità gli spostamenti dell’asse politico dello scudo crociato e si adeguarono rapidamente prima all’ascesa di Iniziativa democratica e poi a quella della coalizione interna fautrice del centro-sinistra. La verifica scaturisce dall’analisi condotta su quattro ambiti: da una parte il Comune e la Provincia, cui è dedicato questo paragrafo; dall’altra la Regione e la Camera, che verranno invece affrontate a parte. Nei primi due casi, l’esame si è incentrato sull’intero corpo dei consiglieri democristiani e sulla quota di essi che entrò nelle giunte (Tab. 11, Tab. 12, Tab. 13 e Tab. 14). Per quanto invece riguarda le elezioni regionali e politiche, non si è provveduto a realizzare alcuna tabella, poiché il campione è talmente limitato da poter essere efficacemente descritto attraverso il solo commento qualitativo.
Come abbiamo visto, le prime comunali del 12 giugno 1949 sancirono il successo della Democrazia cristiana, cui andarono venticinque seggi su sessanta70. Tra i consiglieri è possibile evidenziare diciassette esponenti della
70 F. Stacul, La classe politico-amministrativa a Trieste, cit., pp. 32-38. Ben diversa si presentava quindi
la situazione rispetto a quella vissuta dalla DC negli enti nominati dal GMA nel dopoguerra: lo scudo crociato ebbe infatti soltanto tre consiglieri su quattordici nel consiglio comunale del 1945 (PLI e PRI poterono contare su quattro esponenti ciascuno, il PSVG su due, cui si aggiunge un dato mancante) e cinque su quindici nel consiglio comunale del 1948 (cui si affiancavano cinque socialdemocratici, quattro repubblicani e un liberale).
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«vecchia guardia» degasperiana (68%), sei indipendenti (24%)71, un gronchiano e un dossettiano. Leggermente più netta era la situazione relativa ai democristiani nella giunta (otto su sedici): la «vecchia guardia» espresse il sindaco Bartoli e cinque assessori (in tutto il 75%), cui si affiancavano un gronchiano e un indipendente. La seconda tornata del 25 maggio 1952 rafforzò la posizione della DC in consiglio comunale: il consistente calo di voti non impedì infatti la designazione di ventotto candidati su sessanta. Il peso dei degasperiani fu riconfermato grazie alla nomina di diciannove consiglieri (68%), accanto ai quali c’erano quattro indipendenti (circa il 14%), un gronchiano, due dossettiani e due elementi di cui non è stato purtroppo possibile ricostruire lo schieramento correntizio. La giunta era animata da sette democristiani su dodici: sei appartenenti alla «vecchia guardia» tra cui il sindaco (più dell’85%) e il solito gronchiano.
Le elezioni del 27 maggio 1956 si svolsero alla luce di importanti novità, essendo le prime tenutesi dopo la scomparsa di De Gasperi e il ritorno di Trieste all’Italia. L’uscita di scena del leader nazionale e lo scongelamento del dibattito locale ebbero la conseguenza di favorire l’emergere pur graduale di Iniziativa democratica anche in città. Il processo si manifestò con leggero ritardo rispetto allo scenario nazionale, poiché la nuova corrente non aveva saputo imporsi già in occasione del congresso provinciale del 1955. Da quel momento in poi, i fondatori vissero ad ogni modo una fase di riposizionamento. Le amministrative del 1956 ebbero luogo proprio durante tale transizione, sebbene un anno prima del congresso che sancì formalmente la svolta politica anche nella DC giuliana. L’analisi dimostra tuttavia che il ricollocamento era già in atto, anche se non ancora rispecchiato dagli organi di partito. Il voto segnò un’ulteriore sensibile contrazione per la Democrazia cristiana, la quale si ridusse a venti consiglieri. Ad emergere furono alcune delle personalità che di lì a poco si sarebbero riconosciute nel nuovo corso: undici appartenevano a
71 Tra gli indipendenti vengono annoverati elementi con caratteristiche diverse: persone non iscritte
al partito, solitamente provenienti dal mondo delle professioni e delle categorie economiche; giovani che non appartenevano all’area dossettiana, ma che per motivi generazionali non possono essere considerati «vecchia guardia»; rappresentanti del gruppo dei fondatori che scelsero di mantenersi esplicitamente al di sopra delle correnti. Gli indipendenti godettero di un certo spazio nel corso dei primi mandati amministrativi, ma le presenze in consiglio non ebbero mai un parallelo equivalente in giunta. Decisamente più risicata risulta invece la presenza negli anni Sessanta.
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Iniziativa (55%), sei a Centrismo popolare (30%) e tre erano indipendenti (15%)72. Furono anni piuttosto travagliati per l’amministrazione comunale: la giunta non disponeva della maggioranza assoluta ed entrò rapidamente in crisi. Anche un secondo esecutivo – un monocolore varato dalla DC nel tentativo di superare l’impasse – dovette capitolare, con la conseguenza del commissariamento dell’ente. Nel caso del 1956, ci sono quindi due giunte da considerare. La prima si componeva di dodici democristiani su sedici posti disponibili: sei assessori erano di Iniziativa democratica (50%) e cinque di Centrismo popolare (quasi il 42%). Le percentuali mostrano una sostanziale parità tra le due correnti, dal momento che l’ultima casella era occupata dal sindaco Bartoli, classificato come indipendente nella seconda metà degli anni Cinquanta: egli era infatti certamente più vicino all’ala conservatrice, ma non era ancora approdato – per questioni tattiche più che ideologiche – al centrismo73. La seconda giunta fu varata dopo il congresso della svolta e la sua composizione permette di apprezzare meglio l’affermazione di Iniziativa anche negli enti locali, ricordando che le liste erano comunque state approntate sulla base del congresso del 1955. Il monocolore era costituito da sedici democristiani: nove erano sostenitori della nuova maggioranza interna (circa il 56%), cinque di Centrismo popolare (poco più del 31%) e due elementi – tra cui il sindaco – facevano riferimento all’area degli indipendenti. Effettuare un paragone tra queste percentuali e quelle relative agli organi di partito non ha
72 L’attribuzione correntizia è basata in questo caso sulle mozioni sostenute dai singoli candidati nel
successivo congresso del 1957. Non è stato infatti possibile ricostruire sistematicamente chi, tra gli eletti del 1956 appartenenti alla «vecchia guardia», si fosse già ufficialmente ricollocato e chi aspettò invece la vigilia del congresso per cambiare posizione. Lo sfasamento rispetto alle proporzioni stabilite dal congresso del 1955 (ancora vigenti nell’organizzazione ai tempi delle amministrative) va spiegato proprio con la momentanea fluidità della situazione. A Trieste, Iniziativa democratica non aveva ancora preso piede, ma si stava rivelando il nucleo forte del partito a livello nazionale e tale centralità ebbe certamente un potere d’attrazione notevole. Le liste furono probabilmente approntate in base ai rapporti di forza emersi nel 1955, ma l’evoluzione in atto in quel biennio finì per far pendere la bilancia a favore dell’area, che possiamo definire simpatizzante di Iniziativa.
73 Tra gli indipendenti presenti nel 1956 bisogna rilevare due casi particolari. Il primo è quello del
sindaco Bartoli che, pur avendo posizioni sostanzialmente affini a Centrismo popolare, per una breve fase si mantenne estraneo all’area di Scelba. Bartoli non fu mai un entusiasta sostenitore delle correnti e, negli anni della crisi al Comune, doveva inoltre assicurarsi il sostegno convinto di tutta la DC. Al proposito non bisogna inoltre dimenticare i contrasti emersi tra il sindaco e il segretario Romano, leader locale di Centrismo popolare e difensore delle prerogative del partito davanti al protagonismo un po’ invadente di Bartoli. Nel 1957 la distanza tra i due impedì a quest’ultimo di aderire alla stessa corrente di Romano: Bartoli finì così addirittura per sostenere Iniziativa democratica, con il preciso intento di ottenere un cambio di segreteria, ma ben presto si ricollocò nello schieramento centrista davanti alla politica aperturista dei trentenni. Il secondo caso è quello del sindacalista Livio Novelli la cui posizione non rimase stabile nel tempo, ma oscillò di congresso in congresso.
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molto senso, poiché la rappresentanza in comitato provinciale non era proporzionale, ma bloccata nel consueto rapporto di venti posti alla maggioranza e dieci alla minoranza.
Il 27 maggio 1956 si votò inoltre per il primo consiglio provinciale democraticamente designato. La situazione appare qui sensibilmente diversa dall’evoluzione verificatasi al Comune: Iniziativa fu relegata infatti in uno spazio decisamente più ristretto. Lo scudo crociato si assicurò nove consiglieri su ventiquattro: tre membri di Centrismo popolare (circa il 33%), tre di Iniziativa (circa il 33%), un ex gronchiano vicino alla maggioranza di Concentrazione democratica e due indipendenti. La giunta – composta da cinque democristiani su sette – si connotò per il prevalere dei centristi, che espressero il presidente e due assessori (in tutto il 60%), lasciando due caselle libere per un membro di Iniziativa e un indipendente.
Le tornate elettorali successive adeguarono definitivamente gli enti locali ai mutamenti politici avvenuti nella Democrazia cristiana. Il 12 ottobre 1958 essa mandò in consiglio comunale ventitre rappresentanti: dodici appartenevano a Iniziativa (circa il 52%), nove a Centrismo popolare (circa il 39%) e due erano indipendenti (circa il 9%)74. Analoghe erano le proporzioni in giunta, dove sedevano quattordici democristiani su sedici: Iniziativa democratica espresse il nuovo sindaco Franzil e sette assessori (in tutto il 57%), cui si accompagnavano cinque centristi (quasi il 36%) e un indipendente (circa il 7%). Il prevalere del nuovo gruppo dirigente ebbe riflessi anche in Provincia, dopo le elezioni del 6 novembre 1960: su nove consiglieri democristiani, cinque facevano riferimento a Iniziativa (circa il 56%), tre a Centrismo popolare (circa il 33%) e uno all’area «dorotea» (circa l’11%). Quest’ultimo e due centristi rappresentavano la minoranza interna nella giunta monocolore (circa il 43%), dove Iniziativa poteva contare sul presidente e tre assessori (circa il 57%). Lo spazio garantito all’opposizione in entrambi gli enti locali era leggermente superiore a quello che essa deteneva in comitato provinciale, ma non si può non
74 Cfr. nota 71. La leggera crescita dei consiglieri centristi aiuta a dimostrare quanto affermato in
precedenza. Il passaggio a Iniziativa da parte di esponenti della «vecchia guardia» eletti in Comune fu piuttosto ampio e le proporzioni vennero bilanciate nelle elezioni successive, in cui si registrò appunto un pur contenuto aumento dell’area centrista sia in consiglio che in giunta (rispetto al monocolore varato nel 1957).
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considerare che Iniziativa democratica si era assicurata la guida delle giunte (sindaco e presidente provinciale), vantaggio solo parzialmente bilanciato dal controllo di alcuni dei più rilevanti assessorati da parte dei centristi75. Le tabelle in appendice si concentrano forzatamente soltanto sugli spazi occupati e non distinguono il valore anche molto diverso dei ruoli, ma l’analisi qualitativa non può fare a meno di tenere conto del peso specifico dei singoli incarichi. È superfluo ricordare la differenza evidente che intercorreva ad esempio tra il sindaco e un assessore supplente e bisogna inoltre tenere soprattutto a mente che esistevano numerose altre forme di compensazione esterne al Comune e alla Provincia, come i posti in Regione e quelli negli enti di nomina politica, oltre ovviamente a quelli di parlamentare. Per comprendere a pieno i rapporti di potere e la distribuzione delle poltrone sulla base dell’influenza politica, è necessario perciò abbracciare l’intero scenario e non soffermarsi soltanto su un singolo ente, non limitandosi perciò a verificare la sovrapponibilità tra una sola specifica situazione e quella degli organi di partito. Solo così si osserverà efficacemente come i fautori del nuovo corso cominciato nel 1957 godettero in effetti di una posizione dominante e come il lieve (e comunque solo momentaneo) sovradimensionamento dell’opposizione in determinati ambiti corrispondesse in verità alla sua esclusione da altre realtà più prestigiose e influenti.
L’avvento degli anni Sessanta segnò la fine dell’esperienza di Iniziativa democratica e il sorgere delle tre correnti che aprirono all’alleanza di centro-sinistra. Il primo banco di prova fu quello delle comunali dell’11 novembre 1962, in cui la DC elesse ventuno consiglieri: undici doro-morotei (circa il 52%), tre membri di Forze nuove (circa il 14%), due fanfaniani (circa il 9%), quattro centristi (19%) e un indipendente (poco meno del 5%). Il ruolo dell’opposizione interna si ridusse notevolmente per la prima volta: l’area che faceva riferimento alla segreteria provinciale raggiunse così il 76% dei posti disponibili. Nella giunta, composta da quindici democristiani su diciassette, la proporzione era
75 La giunta del 1958 vedeva Iniziativa controllare i seguenti assessorati: Bilancio, Imposte e tasse,
Assistenza e lavoro, Personale, Stato civile e servizi demografici. I centristi potevano a propria volta indirizzare le seguenti ripartizioni: Aziende municipalizzate, Economato, Istruzione, Sanità, sport e manifestazioni.
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anche più alta: i doro-morotei potevano contare sul sindaco e sei assessori (in tutto quasi il 47%), Forze nuove su tre assessori (20%) e i fanfaniani su due (circa il 13%). Le componenti esterne al centro-sinistra controllavano soltanto tre caselle (20%): due per i centristi e uno per un indipendente. I doro-morotei erano attestati su percentuali appena più basse nell’esecutivo, ma ciò era più che bilanciato dalla riconoscibile appartenenza del sindaco. Il quadro tracciato dimostra che il periodo di transizione era finito: l’alleanza delle tre correnti di centro-sinistra si era attestata con sufficiente fermezza, imponendo una certa subalternità alle voci contrarie. Il nuovo patto di maggioranza vedeva l’area morotea occupare lo spazio principale: a fiancheggiarla da una parte c’erano i fanfaniani, ovvero la principale voce degli esuli istriani; dall’altra Forze nuove, cioè la componente aclista. Il gruppo di potere di Iniziativa si era frammentato in tre, senza tuttavia perdere alcunché della coesione precedente ed anzi rafforzandosi sensibilmente. Il confronto non avveniva comunque più tra due sole correnti – Iniziativa e Centrismo popolare – ma tra quattro o cinque di esse. L’aumento comportò la necessità di una distribuzione degli incarichi più articolata, all’interno della quale era inevitabile che i sodali dei doro-morotei reclamassero una visibilità che fosse almeno pari a quella delle singole correnti della minoranza, la quale assistette quindi al ridursi dei margini a propria disposizione.
Una dinamica quasi identica a quella innescata dalle elezioni comunali, è riscontrabile nel caso del rinnovo del consiglio provinciale, avvenuto il 22 novembre 1964. La Democrazia cristiana ottenne otto consiglieri su ventiquattro: quattro doro-morotei, un elemento di Forze nuove, un fanfaniano, un centrista e un «doroteo». Il centro-sinistra interno si aggiudicò anche in tale frangente il 75%, contro il 25% dell’opposizione. La situazione della giunta – cinque democristiani su sette posti – era quasi perfettamente sovrapponibile a quella del Comune. La maggioranza deteneva infatti l’80% degli incarichi: il presidente era di estrazione morotea ed era affiancato da un assessore per ciascuna corrente. Un solo posto era invece garantito all’opposizione (20%).
L’ultimo passaggio da considerare è quello delle elezioni comunali e provinciali del 27 novembre 1966. Al Comune la DC riuscì a designare ventuno
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consiglieri: sette andarono ai doro-morotei (circa il 33%), quattro ai fanfaniani (19%), due a Forze nuove (circa il 9%) e uno alla Base (circa il 5%); ad essi si aggiunsero cinque centristi (quasi il 24%), un «doroteo» (circa il 5%) e un indipendente (circa il 5%). Le correnti di centro-sinistra persero qualche posizione e si attestarono poco oltre un complessivo 66%. La flessione è registrabile anche per quanto riguarda la giunta, composta da nove democristiani su tredici: oltre all’incarico di sindaco ricoperto da Marcello Spaccini, i doro-morotei fruirono di tre assessorati (in tutto poco più del 44%), i fanfaniani di due (circa il 22%) e i centristi di tre (circa il 33%). Da quest’ultima analisi emergono alcuni dati interessanti: la contrazione della percentuale di consiglieri doro-morotei (quasi il 20% in meno rispetto al consiglio comunale del 1962) solo parzialmente bilanciata dall’aumento dei fanfaniani76; la tardiva comparsa della Base; l’assenza di Forze nuove dalla giunta e una nuova crescita dell’opposizione interna tanto in consiglio quanto nell’esecutivo. È ipotizzabile che una simile modifica fosse la diretta conseguenza dell’affermazione del centro-sinistra organico: è probabile infatti che le correnti che si erano spese con più convinzione per questo obiettivo – morotei e aclisti – si ridimensionarono per favorire l’ingresso in giunta dei socialisti77. Il calo dei doro-morotei al Comune fu ad ogni modo bilanciato dai tre posti di consigliere regionale conquistati due anni prima e dagli equilibri della Provincia, a riprova della necessità di considerare contemporaneamente tutte le caselle messe a disposizione nei vari enti. La DC elesse otto consiglieri: cinque doro-morotei
76 La flessione dei morotei fu per certi versi solo apparente. Le correnti del centro-sinistra furono
alleate per tutti gli anni Sessanta e, in occasione dei congressi del 1965 e del 1967, si presentarono in una lista unitaria, all’interno della quale i membri delle tre tendenze non erano formalmente distinti. Per connotare gli esponenti delle varie correnti è stato quindi necessario rifarsi ai risultati congressuali del 1962, con il calcolato rischio di sottovalutare alcuni spostamenti non riscontrabili, perché avvenuti sotto l’ombrello generico della lista unitaria. Il problema riguarda proprio i fanfaniani: all’inizio degli anni Sessanta la corrente faceva riferimento a Fanfani e Bologna (soprattutto in connessione al problema degli esuli), ma alla fine del decennio gran parte di essa passò nell’orbita morotea, ormai sinonimo di centro-sinistra. Questo discorso vale probabilmente per la maggioranza degli esponenti fanfaniani eletti in coniglio comunale. Ciò avvenne per la forza attrattiva dei morotei – in termini di proposta politica ma anche di gestione del potere – e perché Fanfani e Bologna si erano gradualmente spostati su posizioni conservatrici, tanto che tra i fanfaniani degli anni Settanta (considerati ormai la destra del partito assieme ai dorotei) quasi non si trovano esponenti che avevano animato il centro-sinistra interno.
77 Nel 1965, nel corso del rimpasto della giunta in occasione del caso Hreščak, furono un assessore
moroteo e un assessore d’estrazione aclista a dimettersi per lasciare spazio a due esponenti del PSI. I due poterono comunque ritornare quasi immediatamente in possesso delle proprie prerogative, sostituendo due assessori vicini a Centrismo popolare, nel frattempo dimessisi per protestare contro il varo del centro-sinistra organico.
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(circa il 62%), un membro della Base, un centrista e un «doroteo». I posti in giunta furono soltanto quattro: i doro-morotei ottennero la presidenza e un assessore (50%), lasciando le altre due poltrone alla Base e all’opposizione centrista. La maggioranza deteneva quindi il 75% degli incarichi, tanto in consiglio quanto nell’esecutivo.
Il commento alle tabelle in appendice può continuare con l’esame del dato generazionale, da cui emerge invece un certo sfasamento tra partito ed enti locali. Il primo aspetto da rimarcare riguarda i nati nell’Ottocento: essi non avevano che un singolo rappresentante all’interno degli organi della DC, ma si dimostrarono decisamente meglio inseriti nelle realtà elettivi. Le comunali del 1949 videro ad esempio la designazione di dieci consiglieri della prima generazione (40%), cui si affiancavano tredici elementi della seconda (52%) e soltanto due della terza78. Simili proporzioni erano in linea con quelle dell’intero corpo dei sessanta eletti, ma il ruolo dei nati nell’Ottocento fu soprattutto simbolico: il vero potere era concentrato nelle mani dei nati nel 1900-1920, che in giunta avevano il posto di sindaco e sei assessorati (in tutto l’87,5%), lasciando una sola casella ai predecessori. Il quadro si presentò non dissimile nel 1952 e anzi dimostrò l’ormai pieno controllo assunto dalla seconda generazione. Essa ricoprì infatti sette posti su sette all’interno della giunta e crebbe anche in consiglio: sei nati nell’Ottocento (circa il 21%), diciotto nel 1900-1920 (oltre il 64%) e quattro nel 1921-1930 (oltre il 21%). In entrambi i casi il personale democristiano si dimostrava leggermente più giovane rispetto ai dati complessivi79.
La tendenza in atto si confermò nella tornata del 1956: la contrazione della prima generazione continuò inesorabile portando i suoi esponenti a due consiglieri (10%), la seconda mantenne la posizione con tredici uomini (65%) e ancora assai limitato fu lo spazio per le nuove leve, che elessero quattro
78 Per alcune comparazioni si rimanda a F. Stacul, La classe politico-amministrativa a Trieste nel secondo
dopoguerra, cit., pp. 49-59. Nel 1949 i consiglieri comunali si dividevano anagraficamente nel modo
seguente: 27 nati nell’Ottocento, 26 nati nel 1901-1915, 6 nel 1916-1922, 1 nel 1923-1932. Questa la stratificazione dei membri della giunta: 4 nell’Ottocento, 10 nel 1901-1915, 2 nel 1916-1922. Il Partito comunista elesse in tutto 13 consiglieri, di cui 7 nati nell’Ottocento e 6 nel 1900-1915.
79 Ivi, pp. 66-75. Nel 1952 i consiglieri comunali si dividevano anagraficamente nel modo seguente:
22 nati nell’Ottocento, 27 nati nel 1901-1915, 7 nel 1916-1922, 3 nel 1923-1932, cui si aggiunge un dato mancante. Questa la stratificazione dei membri della giunta: 2 nell’Ottocento, 9 nel 1901-1915, 1 nel 1916-1922. Il Partito comunista elesse in tutto 6 consiglieri, di cui 4 nati nell’Ottocento e 2 nel 1900-1915.
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elementi della terza generazione (20%) e un solo nato dopo il 193180. In entrambe le giunte costituite nel corso del difficile mandato amministrativo, i nati nel 1900-1920 risultarono predominanti: nove membri nella prima (75%) e undici nella seconda (quasi il 69%). La seconda generazione espresse nuovamente anche il sindaco e garantì agli elementi della prima e della terza i pochi posti rimanenti. Tale predominio è confermato dalle elezioni provinciali del 1956: i nati nel 1900-1920 conquistarono più di metà delle caselle di consigliere e quattro su cinque in giunta, lasciando l’ultima al presidente Ettore Gregoretti. Questi apparteneva alla prima generazione degli ex popolari, che ricevettero così un riconoscimento di qualche rilievo, nonostante fossero ormai