• Non ci sono risultati.

LE SCRITTRICI ITALIANE E LA GRANDE GUERRA

Nel documento Uomini contro (pagine 193-200)

[Assunta] sferruzava quieta quieta, nell’angolo più chiaro della portine- ria, sotto un raggio obliquo di luce invernale che le accarezzava la dirizzatu- ra troppo larga dei capelli bianchi.

S’era alzata alle cinque, prima dell’alba: aveva aperto il portone, scopato le scale e l’atrio, rimesso in ordine il suo bugigattolo, lucidate le maniglie d’ottone, ricevuta e distribuita la posta; e preparato il caffè-latte per sé e pel bambino, che aveva sempre fame. […] il piccino era adorabile, di carni sode e candide, di cuore allegro e pieno d’amore per la sua nonna. Non parlava mai, neppure per isbaglio – guidato dall’infallibile istinto che è la sapienza dei bambini – della madre, fuggita tre mesi avanti con un operaio di vent’an- ni più vecchio di lei (dove i due si fossero rifugiati nessuno sapeva): sempre, invece, teneramente, del babbo, da un anno in trincea, sul Carso1.

Assunta, il cui ritratto è icasticamente schizzato in queste poche ri- ghe, è la protagonista di un racconto di Ada Negri, Mater admirabilis, che fa parte di una raccolta uscita in piena guerra, nel 1917, con il titolo

Le solitarie, storie di altrettante donne sole.

La scrittrice, nata a Lodi nel 1870, affermatasi come ‘caso letterario’, per la giovane età e la difficile condizione sociale alla fine dell’Ottocen- to – poetessa ‘selvaggia’, maestrina proletaria – frequentava in quegli anni l’ambiente dell’associazionismo politico milanese, soprattutto nel suo versante filantropico, era giornalista stimata e letta; in seguito, si al- lontanerà dal socialismo turatiano: amica di Margherita Sarfatti, fre- quenterà le redazioni dei giornali mussoliniani, prima donna destinata a entrare nell’Accademia d’Italia2.

1 A. Negri, Mater admirabilis, in Ead., Le solitarie. Novelle (1917), Milano

19425, pp. 236-237.

2 Sul profilo e la produzione di Ada Negri, cfr., oltre alla voce di R. Dedola, Ne-

gri, Ada, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 78 (2013), http://

www.treccani.it/enciclopedia/ada-negri_(Dizionario-Biografico) (ultima con- sultazione 30 dicembre 2015), A. Folli, La grande parola. Lettura di Ada Ne-

Le solitarie segna il suo esordio nel campo della narrativa: punto di

arrivo di un progressivo accostamento alla forma del racconto, a partire dai moduli della pubblicistica militante, il volume si caratterizza per l’attenta indagine della soggettività femminile3, raccogliendo storie di destini di donne raccontati in uno stile dimesso, giocato su toni smorza- ti, a differenza dell’enfasi delle poesie. Stile dimesso e toni smorzati non tolgono però forza alla sua scrittura, anzi: lo si può verificare proprio nel racconto in esame, poche pagine, ma capaci di rendere a pieno il senso della tragedia che la guerra ha portato in tanti, troppi destini e di indivi- duare, sinteticamente, alcuni punti nodali nell’immaginario riferito all’evento bellico.

Assunta fa la portiera, come la nonna di Ada Negri stessa, che non manca di inserire, in queste novelle, qualche riferimento o aspetto ap- partenente alla sua biografia; vive, come si è letto, sola con il nipotino Lucetto, la cui madre è fuggita con un altro uomo, mentre il padre è in trincea, sul Carso; Lucetto è rappresentato nell’atto di giocare alla guer- ra, con un cavallo di legno e un vecchio mestolo carpito alla nonna:

Aveva inforcato il cavallo e gridava, movendo contro un esercito imma- ginario:

– Morte ai tedeschi!... Nonna, vieni a vedere!... Ne ho ammazzati cin- quantacinque!...

Il perché di quel cinquantacinque era misterioso. Per Lucetto quella cifra rappresentava il massimo, equivaleva al migliaio, al milione, al miliardo. Uccidere cinquantacinque tedeschi!... Era la guerra vinta, il nemico in rotta, il babbo di ritorno, senza una graffiatura e col petto tappezzato di medaglie d’oro e d’argento4.

Squarcio del vissuto infantile della guerra, possiamo dire con Gibelli, in una famiglia con un genitore al fronte, documento dell’esperienza bellica dell’infanzia non drammatico, ma significativo della sottile an- goscia dell’assenza e illuminante di una sfera che concorrerà a formare la memoria dell’evento5.

minili italiane fra Otto e Novecento, Milano 2000, pp. 111-171 e E. Gambaro, Il protagonismo femminile nell’opera di Ada Negri, Milano 2010.

3 Cfr. ivi, pp. 125-143.

4 A. Negri, Mater admirabilis, cit., p. 236. In questa come nelle prossime cita-

zioni, i puntini non compresi tra parentesi quadre sono originali.

5 A. Gibelli, La guerra grande. Storie di gente comune, Roma-Bari 2014, pp.

R. Ricorda - Le scrittrici italiane e la Grande Guerra 195 Altrettanto simbolico il riferimento, che si è visto nella prima citazio- ne, all’abbandono del tetto coniugale da parte della madre, fatto su cui il bambino esercita, coerentemente con la sua logica infantile, un’opera di completa rimozione: si sa infatti che il tradimento e l’abbandono da par- te della moglie era uno degli incubi peggiori dei combattenti – anche se il figlio di Assunta, alla notizia tramessagli dalla donna, «dalla linea di combattimento non aveva risposto che poche asciutte parole, dietro le quali, forse, si barricava il suo vero stato d’animo: “Cara madre, non vi date pensiero di me. Io sto benissimo, e non ho in mente che di compie- re il mio dovere e di uccidere i nostri nemici. Chi non mi vuole non mi merita”»6.

Anche l’altro incubo terribile che tormentava i soldati, la morte priva- ta della sepoltura individuale, trova icastica rappresentazione nelle po- che pagine del racconto di Ada Negri: infatti, Assunta riceve, come un fulmine a ciel sereno, la notizia che il figlio è morto,

in poche ore (senza soffrire, le han detto) in un ospedaluccio da campo. Ella non ha potuto né vederlo, né curarlo, né benedirlo […]. Dove glielo avranno messo, il suo figliuolo?... Chi sa se sulla fossa avranno posta una croce, sia pur rozza, che ne segni il posto?... Quante, quante!... Tutte croci per i figli di mamma. L’Italia, ora, per lei non è che un grande camposanto nel quale il suo ragazzo sta sepolto con tanti altri… Perché, perché?...7

Nessuna forma di retorica, in queste pagine, al contrario, un senso do- lente di estraneità, per le donne del popolo, da un mondo avvertito come distante e altro:

L’Italia?... Il paese?... Assunta non vi aveva mai pensato […] L’Italia…? Bisognava fosse una ben grande terra, un tesoro assai più ricco di quello della Madonna d’Oropa, se tanti bei giovanottoni pieni di sangue sano e tan- ti uomini maturi già carichi di famiglia eran partiti allegramente per la guer- ra, cantando evviva a quel nome. E molti non sarebbero più tornati indietro:

6 A. Negri, Mater admirabilis, cit., p. 238.

7 Ivi, pp. 243-244. Sottolinea Laura Guidi (Un nazionalismo declinato al femmi-

nile. 1914-1918, in Vivere la guerra. Percorsi biografici e ruoli di genere tra Risorgimento e primo conflitto mondiale, a cura di Ead., Napoli 2007, pp. 109-

110) come Negri esprima in questo racconto «sentimenti dissonanti dalla reto- rica nazionalista» proprio parlando «del “suo” soldato come di un corpo ama- to e vulnerabile – quel corpo individuale e concreto che la rappresentazione ufficiale censura, mettendo in scena immagini astratte e improbabili di eroi pri- vi di sentimenti privati, totalmente identificati con la logica della guerra».

i giornali portavano intere colonne listate di nero… […] Ah, se le madri fos- sero al governo! … Di guerra non se ne parlerebbe più…8

Eppure Assunta è portatrice di una sua forma di patriottismo, il pa- triottismo degli umili, lavora incessantemente e convintamente per l’I- talia, portando a termine le calze di lana, le ventriere, i caschi e i col- letti che le abitanti della casa presso cui è portiera iniziano per i soldati al fronte, senza riuscire mai a finirli; per l’anziana protagoni- sta, invece il lavoro a maglia è fonte di benessere, anche nel momento del grande dolore.

Negri è precisa nel delineare i comportamenti delle diverse classi so- ciali: la contessina del primo piano, la maestra, le due sorelle impiegate in banca si gettano a capofitto nell’attività assistenziale, avviando i lavo- ri a maglia che non portano a conclusione e che scaricano su Assunta, pa- ziente tessitrice di indumenti per i soldati, nella speranza che qualcuno possa giungere al figlio in trincea. La differenza sociale è tutta contenuta nei rapidi ritratti di presentazione delle diverse figure femminili, una «svelta personcina, impellicciata fino alla punta del naso impertinente», la nobile, una «seconda personcina, modestissima in un mantello quasi monacale di buretta color caffè, stretto da un cordone alla cintura», la ma- estrina, entrambe tanto compiaciute della propria opera caritativa quanto incapaci di realizzarla fino in fondo: per le donne del popolo la guerra, ol- tre ad essere tragedia immane e fonte di dolore, è lavoro e fatica – pur so- stenuta con convinzione patriottica da Assunta –, senza alcuna contropar- tita, neppure di riconoscimento di status, per così dire.

Infatti, dopo la morte del figlio, la donna riprende la sua vita di sem- pre, i suoi compiti di portiera, le maglie di lana per i soldati «come ieri, come domani, come sempre, sino alla fine della guerra», con rassegna- zione e disposta a un unico atto di forza: qualora la nuora venisse a re- clamare il figlioletto, in quel caso «leverà con rigidezza inflessibile le pazienti mani, e dirà di no. E il figlio di suo figlio dovrà restare con lei»9. Ada Negri attesta, con questa immagine di mater admirabilis in cui è esplicito il riferimento alla Madonna, evocata a fissarne l’aspetto dolen- 8 A. Negri, Mater admirabilis, cit., pp. 238-239.

9 Ivi, p. 245; le citazioni precedenti si leggono rispettivamente a pp. 235-236 e a p. 243. L’immagine della donna che lavora a maglia per i soldati al fronte ritor- na anche nelle pagine di Sibilla Aleramo, a segnalare l’infiltrarsi della guerra anche nelle vite di chi non vi partecipava direttamente: S. Aleramo, Lavoran-

do lana, «L’illustrazione italiana» 13 febbraio 1916, poi in Ead., Andando e stando, a cura di R. Guerricchio, Milano 1997, pp. 40-46.

R. Ricorda - Le scrittrici italiane e la Grande Guerra 197 te («la sua testa di un giallo avorio, intorno alla quale ha annodato, in se- gno di lutto, un fazzoletto nero, rassomiglia, china così sulla lana e sui ferri, a certe teste di vecchie Madonne che cullano sulle ginocchia Gesù Cristo morto»), che, al centro della rappresentazione del femminile in tempo di guerra, la maternità si riconferma come la dimensione identita- ria proposta alle donne10. Tuttavia, tale dimensione è declinata, in questi anni, in direzioni diversificate, che vanno dalla mistica della «madre spartana» proposta sulle pagine delle testate del nazionalismo femmini- le e caratterizzata dall’esaltazione del valore e dell’eroismo dei figli, sottratti alla pietas materna, a modelli che prospettano invece una diver- sa gestione, autonoma e individuale, della relazione materna; è proprio in questa seconda direzione che si colloca la maternità soffrente di As- sunta, nella sua sobrietà e insieme forza nel denunciare un dolore imme- dicabile, le cui cause appaiono incomprensibili alla sua logica di ‘don- nicciuola’:

Dove glielo avranno messo, il suo figliuolo?... Chi sa se sulla fossa avranno posta una croce, seppur rozza, che ne segni il posto?...Quante, quante!... Tutte croci per i figli di mamma. L’Italia, ora, per lei, non è che un grande camposanto nel quale il suo ragazzo sta sepolto con tanti altri… Per- ché, perché?... Sì, ci deve essere un perché, che una povera donnicciuola non comprende: un perché ancor più grande di quel campo di morti. Se non fosse così, come farebbero tante madri a tacere?11

Nel caso di questo racconto, dunque, la scrittrice ha saputo condensa- re in poche pagine la rappresentazione di diversi aspetti legati all’even- to bellico: la finzione, non esente da un tenue filo autobiografico, le ha offerto lo strumento più efficace per farlo, è riuscita a calare idee e situa- zioni nella creazione di un personaggio e del suo destino.

Meno felici, dal punto di vista letterario, le poesie dedicate alla guer- ra e pubblicate sui giornali dopo l’intervento italiano, a partire dal mag- gio del 1915, segnate dai toni della propaganda; Negri aveva inizialmen- te assunto una posizione vicina all’interventismo democratico, nella speranza che la guerra potesse portare alla rivoluzione sociale. Tuttavia anche i versi risultano in qualche caso improntati all’ottica del racconto analizzato sopra: così, dedica una poesia al Soldatino ignoto la cui bara passa tra la folla, chiudendo sull’immagine della madre che, ancora 10 L. Guidi, Un nazionalismo declinato al femminile. 1914-1918, in Vivere la

guerra, cit., p. 95.

ignara della tragedia, sferruzza nell’attesa fiduciosa del suo ritorno, «Forse laggiù al paese / la mamma che lo aspetta / ch’egli sia morto non sa, / ancora non sa. E sferruzza una calza / sull’uscio, e sorride: – A Na- tale verrà...»12.

Anche le Orazioni, tre commemorazioni di altrettanti personaggi im- portanti nella vita della scrittrice come Alessandrina Ravizza, Luigi Majno, Roberto Sarfatti, pubblicate da Treves nel 1918, pur esaltando la morte eroica per la patria, confermano il suo approdo a una visione dell’evento bellico come enorme lutto: come nota Anna Folli, il mito della guerra rivoluzionaria si viene sgretolando, nel passaggio dall’idea che la guerra possa essere «la sola via di onore aperta all’Italia» all’ipo- tesi che per un uomo come Majno, «non uomo di combattimento, ma uomo di giustizia», possa significare una scelta appunto di giustizia, la «riconquista d’un bene ideale senza prezzo», alla costatazione che per tanti giovani come Roberto Sarfatti è stata un sogno che non ne valeva la morte:

Ma quei fanciulli, quei nostri fanciulli, vollero testimoniare la necessità della guerra per la pace andando incontro alla morte prima ancora di vivere.

Troviamo dunque per essi, nel nostro religioso fervore, il novissimo nome che li incoroni per l’eternità!...

Forse ignorarono essi medesimi il supremo valore della loro morte vo- lontaria.

Credettero di offrirsi alla patria, per la sua libertà.

Alle patrie, per un accordo fondato sulle basi di una giustizia superiore, che renda inutile la potenza delle armi.

Grande sogno, e grande morte; ma il loro sangue innocente valeva di più13.

Anche nell’ultima occasione in cui Negri ritorna agli anni della guer- ra, in due novelle di Finestre alte (1923), i toni sono ancora quelli dolen- ti di Mater admirabilis, ma in entrambe la caratterizzazione del ruolo femminile presenta una declinazione particolare; nella prima, La super-

stite, al destino dei due giovani nipoti rapiti non ancora ventenni da una

guerra prospettata come da sempre solo foriera di lutti («La guerra?... Tutto il mondo in guerra, dunque?... Non eran bastati il cinquantanove, il sessantasei?... Non lo sapevan, quei giovani, che la vita è troppo bella 12 A. Negri, Il soldatino ignoto, «La lettura» 1 (gennaio), 1917.

13 A. Negri, Orazioni, in Ead., Prose, a cura di B. Scalfi e E. Bianchetti, Milano

1954, rispettivamente a p. 175, p. 179 e pp. 212-213. Cfr. A. Folli, La grande

R. Ricorda - Le scrittrici italiane e la Grande Guerra 199 per buttarla via? …»14) è contrapposta la figura della nonna, tutta dedita alla loro cura mentre erano piccoli ma ‘ostinata’, paradossalmente, nel sopravvivere dopo la loro morte. Ancora più efficace, la prosa di «Tuo

figlio sta bene», al cui centro è una madre che, dopo la partenza del fi-

glio per la guerra, si è ritirata a vivere in cucina, ove gli utensili e il fuo- co sembrano essere i suoi unici interlocutori. Anche loro tacciono, però, in una sera tempestosa in cui un’apparizione notturna la rassicura sul de- stino del figlio («Tuo figlio sta bene», appunto), di cui da giorni non ha notizie e che dunque è presumibilmente morto; in un processo inverso alla nascita, la donna sembra riappropriarsi del corpo della sua creatura e così pacificarsi:

Ignorava dove fosse. Vicino, lontanissimo. Più piccino, però. Senza di- visa, senza baionetta: con la blusa marinara a righe bianche e celesti che gli aveva cucita lei, qualche anno prima, quando portava ancora i calzoni corti. Poi sempre più piccino: un infante che vagiva: un informe involucro di carne, con dentro un cuore che batteva sotto il cuore di lei: nel suo ven- tre15.

Come suggerisce Storini, le protagoniste dei due racconti sembrano essere «figura di ciò a cui la guerra ha ridotto il ruolo materno: di fronte alla morte innaturale dei propri figli o dei giovani, ciò che resta da fare è favorire il ritorno – narrativo, fantastico, finzionale – della vita laddo- ve ha avuto origine, e, cioè, nel corpo-ventre materno, luogo assoluto della protezione»16.

Novelle, versi, articoli di giornali: la grande guerra si accampa anche nelle pagine di altre autrici del tempo, configurandosi come catalizzatri- ce di scritture; l’evento bellico costituisce infatti una fase inedita di scrittura di massa anche di mano femminile, scrittura che è stata studia- ta però soprattutto nel suo versante diaristico e memorialistico, mentre una rilettura più approfondita del côté più propriamente letterario è sta-

14 A. Negri, La superstite, in Finestre alte, in Ead., Prose, cit., p. 403.

15 A. Negri, «Tuo figlio sta bene», ivi, p. 410. Per ulteriori, recenti aggiornamen-

ti bibliografici sulla scrittrice lombarda, cfr. Ada Negri. «Parole e ritmo sgor-

gan per incanto», a cura di G. Baroni, Pisa 2007 e Ada Negri. Fili d’incantesi- mo. Produzione letteraria, amicizie, fortuna di una scrittrice fra Otto e Novecento, a cura di B. Stagnitti, Padova 2015.

16 M.C. Storini, La scrittura delle donne in Italia e la Grande Guerra, «Bolletti- no di Italianistica» 2, 2014, p. 52.

ta avviata di recente ed è ancora in fase di ricognizione, ma si conferma già ricca di materiali e articolata17.

Tra le voci più interessanti, accanto ad Ada Negri, è quella di Matilde Serao, un po’ più anziana – nata nel 1856 a Patrasso, ma approdata pre- sto con la famiglia a Napoli –, scrittrice e giornalista affermata e molto nota, a questa altezza temporale. La sua posizione, nei confronti della condizione delle donne, si articola su tre piani diversi; per quanto riguar- da il ruolo che ha svolto nella cultura del suo tempo e le sue scelte esi- stenziali, va di diritto a collocarsi tra «le punte di diamante dell’afferma- zione femminile in letteratura»18: autodidatta passata dall’impiego presso i telegrafi dello Stato alle collaborazioni a diversi giornali, ai cui vertici arriva ad attestarsi con una brillantissima carriera, amica dei più importanti intellettuali del tempo, romanziera prolifica capace di svilup- pare le proprie doti di narratrice in più direzioni, compie anche nel pri- vato scelte anticonformiste, la separazione legale dal marito Edoardo Scarfoglio, la vita per proprio conto, l’amore per l’avvocato Natale.

Altrettanto coraggiosa la sua indagine sulla condizione delle donne lavoratrici, la denuncia dello stato di sfruttamento e di degradazione di alcune categorie, dalle maestre alle telegrafiste alle lavoratrici dell’ago: ma alla forza della denuncia non si accompagna una proposta adeguata di soluzione, poiché la scrittrice sollecita in genere il ricorso alla filan- tropia e alla beneficenza e non la spinta alla presa di coscienza; anche nei romanzi, all’acutezza delle analisi e al rilievo dei profili di donne che rappresenta non corrisponde una consapevolezza ideologica che ne fac- cia presagire il riscatto, la sua prospettiva rimane interna a un conformi- smo piccolo-borghese in cui i suoi studiosi più attenti individuano il ri- flesso di «una struttura economica, quella meridionale, legata a rapporti arretrati agrario-feudali»19.

Ancora più arretrata risulta la sua posizione al terzo livello, quello delle prese di posizione esplicite in merito al movimento femminista e ai problemi dibattuti dalle emancipazioniste: nette la sua opposizione e le

17 Cfr. in merito C. Gubert, Cronache dal fronte domestico. Le scrittrici italiane

e la Grande Guerra, in Ausencias. Escritoras en los márgenes de la cultura,

M. Arriaga Flórez, S. Bartolotta, M. M. Clavijo (Editores), Sevilla 2013, pp. 585-603.

18 A. Arslan, Ideologia e autorappresentazione. Donne intellettuali fra Ottocen- to e Novecento, in Svelamento. Sibilla Aleramo: una biografia intellettuale, a

cura di A. Buttafuoco e M. Zancan, Milano 1988, p. 168.

19 W. De Nunzio Schilardi, L’antifemminismo di Matilde Serao, in Ead., L’ inven-

Nel documento Uomini contro (pagine 193-200)