• Non ci sono risultati.

LE TRINCEE DI POLINICE (1917-1933) *

Nel documento Uomini contro (pagine 145-157)

Classici in guerra. Ogni classicista legge e interpreta i testi antichi

nel loro proprio contesto storico, antropologico, poetico. D’altro canto quei testi antichi offrono sempre materiale di riflessione su noi stessi, come singoli individui e all’interno di situazioni e problemi del nostro tempo. Nei classici, ed in quelli antichi in particolare, troviamo un reper- torio di situazioni emblematiche e di immagini dal valore simbolico che si prestano alle letture del presente. Tanto più se protagonisti di quei te- sti sono personaggi mitici: il mito, infatti, di per sé anacronistico, si at- tualizza nel momento in cui viene nuovamente raccontato, rappresenta- to, usato. Il linguaggio mitico, in questo senso, può dirsi ‘universale’, ed i protagonisti dei miti servono da simboli o da archetipi per esprimere funzioni psicologiche, emotive, politiche, sociali di ogni epoca. Accad- de, com’è ovvio, anche durante la Grande guerra.

Antigone eterna. Con la Prima guerra mondiale esordiscono i mezzi

di distruzione di massa, che straziano e perciò umiliano nella sua digni- tà, fragilità estrema e vulnerabilità il corpo umano. La figura mitica di Polinice, l’‘uomo dalle molte contese’, che giace insepolto e illacrimato sul campo di battaglia, costituisce l’archetipo del profanato corpo del nemico ucciso di tutte le guerre, passate e presenti1. Ma anche del nemi- co che smette di essere nemico nella sua riduzione a uomo nudo, priva- to di qualsiasi segno distintivo, dell’armatura, delle insegne reali o dell’esercito di appartenenza, lasciato a imputridire al punto che il feto- re della decomposizione impesta l’aria2. Il carattere combattivo e virile di Antigone, la quale nella tragedia di Sofocle più volte è paragonata da * Desidero ringraziare la dottoressa Fiorella Mattio della Fondazione Guido

Luzzatto di Milano per l’aiuto prestatomi alla stesura di questo contributo. 1 Cfr. G. De Luna, Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra

contemporanea, Torino 2006, uno splendido libro che stranamente non ricorda

il mito di Antigone.

Creonte ad un ‘maschio’3, risultò facilmente archetipico in una guerra che costrinse le donne ad abbandonare il loro ruolo tradizionale di mo- gli, madri, ‘angeli del focolare’, per richiedere un impegno sostanziale nell’industria bellica, nei lazzaretti, nei campi di lavoro, nello spionag- gio, nella propaganda. Al punto che il romanziere e pacifista Romain Rolland, premio Nobel per la letteratura nel 1915, in un vibrante appel- lo intitolato All’Antigone eterna, pronunciato proprio quell’anno al con- gresso internazionale delle suffragette a Londra4, consapevole del peso militare dell’attività delle donne, chiese loro di tornare alla naturale pro- pensione amorosa, di non «mischiarsi alle lotte», persino di «non fare guerra alla guerra»: di rispondere pertanto ad ogni atto d’odio tra i com- battenti con un atto d’amore per tutte le vittime. Come spiazzato da un’imprevista emancipazione che rivelava all’improvviso tutta la forza delle schiere femminili, Rolland chiese alle donne di diventare, per con- trasto, la «pace vivente in mezzo alla guerra: l’Antigone eterna, che ri- fiuta l’odio e che, nel momento in cui soffrono, non sa più distinguere tra fratelli nemici». Così Rolland sottolineava anche come il nodo della vicenda mitica di Antigone, la contrapposizione armata tra fratelli, risul- tasse, nel contesto bellico, di tragica attualità. Proprio al culmine del massacro e dell’orrore, gli uomini costretti a guardarsi in faccia per gior- ni dalle trincee opposte e a riconoscersi gli uni nei volti scavati, soffe- renti, impauriti degli altri, si scoprono fratelli.5 «Di che reggimento sie- te, fratelli?» – suona il verso celeberrimo di Giuseppe Ungaretti: fratelli divengono i compagni di trincea, fratelli i caduti nella terra di nessuno, per recuperare i quali, come Antigone, si rischia la vita. Ma fratelli di- ventano anche i nemici, perché in essi ci si specchia (si ricordi la poesia

Perché non t’uccisi? di Fausto Maria Martini, 1916). E fratelli nemici si

dividono su fronti opposti. Lo ricorda bene Trieste dilaniata tra gli irre- dentisti e i fedeli all’impero asburgico, ma non diversamente accade in Alsazia, dove alla fine della guerra la smobilitazione dei tedeschi diven- tò per molti un doloroso esilio.

3 Ai vv. 248, 348, 484-485, 525; cfr. 648-652, 678-680, 740-741, 756.

4 Materiali in: http://www.peacepalacelibrary.nl/wp-content/uploads/F10-18- 018.pdf

5 Per i riflessi letterari del tema cfr. ad esempio G. Capecchi, Lo straniero ne-

mico e fratello. Letteratura e Grande Guerra, Bologna 2013. Molti altri

esempi potrebbero essere addotti dalla letteratura tedesca, francese, inglese, americana.

S. Fornaro - Le trincee di Polinice (1917-1933) 147

Antigone va a morire. Antigone, però, non costituisce nella temperie

della prima guerra mondiale solamente la controfigura eroica di chi dà la vita per concedere la sepoltura ad un fratello, mettendo in discussione l’antitesi tra ‘amico’ e ‘nemico’, basilare per giustificare moralmente il conflitto, ma presta la maschera ad ogni vittima delle leggi inique dello Stato, a coloro ingiustamente condannati a morte: diventa archetipo mi- tico, insomma, per i soldati al fronte vessati, umiliati, affamati, sottopo- sti ad una disciplina insensata, falcidiati dai tribunali militari. Pensiamo a un capolavoro cinematografico come Orizzonti di gloria di Stanley Kubrik (1957), un film realistico sul processo farsa e sull’ingiusta fuci- lazione di tre uomini scelti a caso, accusati di codardia per non aver ese- guito un comando assurdo, un attacco impossibile e perciò inutile. Ma anche all’‘antigonea’ Marlene Dietrich in Disonorata (1931), che pur avendo servito eroicamente il suo paese viene giustiziata perché ha sal- vato l’uomo che ama, un nemico – seguendo fino in fondo la legge dell’amore (secondo la celebre asserzione dell’Antigone di Sofocle al v. 523). Il fantasma mitico di Creonte aleggia perciò in ogni ufficiale ottu- so, fanatico, avido di vite umane. La guerra svela in fin dei conti il più mostruoso dei volti del potere, deformato per giunta dalla paura, dal so- spetto. Sin dal primo giorno di guerra, nelle stazioni campeggiavano lo- candine che invitavano a prestare attenzione alle spie. Nelle trincee si mormorava di rivolte contro gli ufficiali, diserzioni continue; si parlava con rabbia degli ufficiali, a cui nessun privilegio era negato. Covava la rivoluzione, in quelle voci che non si alzavano forti, in un’eco inconsa- pevole dell’avvertimento di Antigone e poi di Emone al padre tiranno nella tragedia di Sofocle6: la città mormora, ma nessuno parla ad alta voce, hanno tutti paura. In un mondo oscuro, dove presto fu impossibile nascondere l’esercito parallelo di mutilati e invalidi nel corpo e nella mente, si diffondeva la peste della diffidenza, la paura del tradimento, la paranoia della cospirazione generale.

Antigone 1917. Non meraviglia che, dopo qualche decennio in cui la

ricezione dell’Antigone sofoclea era sembrata diradarsi o stare, per così dire, dalla parte di Creonte7, il mito torni prepotente nella tragedia Anti-

6 Sofocle, Antigone, vv. 509 e 685-691.

7 La più celebre Antigone tedesca era stata voluta dall’imperatore Guglielmo IV in persona per essere rappresentata a Saint-Souci (1841), e voleva istruire sul- la grandezza di una monarchia, quella prussiana, rispettosa dell’individuo, al contrario del Creonte sofocleo.

gone di Walter Hasenclever (1890-1940)8: in cui però del dramma sofo- cleo non resta nulla, tranne i nomi ed un’ambientazione stilizzata, lata- mente classicheggiante. Antigone, in questa tragedia, dimentica del fratello Polinice, diviene la portavoce di tutte le vittime della guerra, la sorella che grida contro lo spargimento di sangue, che predica una nuo- va religione della fratellanza universale, della pace. Mentre Creonte esi- ge sangue sacrificale sui campi di battaglia ed affama il popolo, Antigo- ne soffre invece con gli umili ed i diseredati, ne conquista, anche se a fatica, le volubili coscienze, predica l’emancipazione dalla miseria e dal servilismo morale, invita le donne ad unirsi per imporre la pace. Insom- ma Antigone annuncia una nuova epoca: «Il tuo potere è passato. – gri- da a Creonte – Il tuo mondo non esiste più. Dalla profondità della roccia ho spronato il tuo popolo. Adesso è il mio popolo! Basta con la schiavi- tù: non abbiamo paura!»9. Dalla tragedia di Sofocle si sprigiona, nella tragedia scritta in trincea, l’esortazione ad ammutinarsi, disertare, la- sciare le armi. Una premonizione rivoluzionaria, che si deve accostare alla terza parte del monumentale romanzo di Alfred Döblin Novembre

1918, scritto tra il 1939 e il 1950, dove tra l’altro si paragona esplicita-

mente la rivoluzionaria Rosa Luxemburg ad Antigone10. Döblin scrive in esilio, in un momento in cui gli ideali rivoluzionari sono tragicamente falliti, l’effimera Repubblica di Weimar si è dissolta sotto l’impatto di- rompente e imprevisto delle camicie brune, il regime nazista ha ormai sconvolto il mondo. Hasenclever, invece, scrive quando gli ideali rivo- luzionari sono ancora ai loro albori, generati ed esasperati dalla crudeltà della guerra e dalle sue conseguenze: e tuttavia il giovane poeta soffre già di disincanto nella possibilità della pace universale. Nei confronti della massa prova diffidenza se non paura, certo non solidarietà. Del re- sto il poeta apparteneva ad una generazione che nella guerra si era but- tata a capofitto, sperando nella palingenesi: ma che al fronte riconosce drammaticamente il proprio errore. I versi di Hasenclever vanno letti in- sieme alle pagine brutali dei diari di guerra, ad esempio del suo coetaneo Erich Toller (1893-1939), a cui la guerra insegnò la necessità della rivo-

8 W. Hasenclever, Antigone, a cura di S. Fornaro, Milano-Udine 2013. Cfr. an-

che L. Secci, Il mito greco nel teatro espressionista, Roma 1969, pp. 132-147. 9 Ibid., p. 115.

10 A. Döblin, November 1918. Eine deutsche Revolution. Erzählwerk in drei Tei- len. Dritter Teil: Karl und Rosa, Frankfurt a.M. 2008. Su Döblin e Hasenclever

vd. la mia introduzione La profezia del dolore a W. Hasenclever, Antigone, cit., pp. 32-33.

S. Fornaro - Le trincee di Polinice (1917-1933) 149 luzione11. L’Antigone utopista di Hasenclever, che si esprime con un lin- guaggio visionario, con sfumature messianiche, ma non religiosamente convinto, pare rassegnata al fallimento. La sua voce clamante dalle pro- fondità della tomba promette di ritornare in un lontano giorno del giudi- zio, alla finale resa dei conti: nell’immediatezza non c’è possibilità di re- denzione o riscatto. Un tono oscuro permea questo dramma, dovuto sicuramente alla volontà di attenersi ad una poetica d’effetto, simbolica, qual era quella del cosiddetto espressionismo: ma si tratta di un tono an- che latamente profetico, quasi consapevole che quella ‘prima’ guerra non sarebbe finita, come una slavina d’un tratto sarebbe diventata una guerra ancor più grande e definitiva. La stessa diagnosi storica si ritrova nella grande epica di Alfred Döblin in Novembre 1918 e in molta memo- rialistica della Prima guerra mondiale12.

Quando Walter Hasenclever scrisse questo dramma era già famoso per Il figlio (1913, ‘prima’ nel 1916), una tragedia che dichiarava il suo odio verso l’educazione repressiva e militarista dell’età guglielmina, esortando addirittura al parricidio, diventata il manifesto della sua gene- razione. Anche sulla scia di quel successo, l’Antigone, che grazie al tema classico sfuggì sorprendentemente alla censura militare ed anzi fu insignita del prestigioso premio Kleist, nel suo scardinamento delle for- me classiche, nella metamorfosi radicale a cui sottoponeva il modello sofocleo, nel ritmo poetico come nella concezione teatrale, divenne un’icona del teatro espressionista. Il regista Richard Weichert nell’unica messa in scena del dramma usò ampiamente effetti speciali di luce e di suono, al punto da essere fortemente criticato per una teatralità ormai di maniera; e presentò questa Antigone come «dramma di idee», come «tragedia di un popolo», in cui la contrapposizione principale sussiste tra «massa» e «tiranno», non tra due individui: un «documento umano», dunque, che doveva essere reso in teatro in tutta la sua inaudita poten- za13. Come altre opere di Hasenclever e degli altri espressionisti, anche l’Antigone fu data alle fiamme nei roghi dei libri approntati dai nazisti il 10 maggio 1933. L’epurazione nazista non è stato certo l’ultimo dei mo- 11 Mi riferisco alla prima parte dell’autobiografia Una gioventù in Germania,

pubblicata in esilio di nascosto nel 1933 (trad. italiana a cura di E. Castellani, Torino 1972).

12 Cfr. A.M. Morace, Rivivere la guerra, nell’attesa dell’altra guerra. Emilio Lussu vent’anni dopo, in Scrittura e memoria della Grande guerra, Pisa 2016,

in corso di stampa.

13 R. Weichert, Hasenclevers ‘Antigone’ als Stilproblem, «Die neue Schaubühne»

tivi per l’oblio su Hasenclever (considerato ‘nemico del popolo’ tanto che alla notizia del suo suicidio in un campo d’internamento francese, nel 1940, la stampa nazista inneggiò).

Guido Lodovico Luzzatto e Hasenclever. Ci appare perciò coraggioso

l’articolo che all’Antigone di Walter Hasenclever dedica uno studioso italiano, Guido Ludovico Luzzatto (1903-1990)14, proprio nel famigera- to 1933, sulle pagine di «Dioniso»15: una rivista accademica, non sgra- dita al regime, rifondata nel 1931, erede di un più antico ‘bollettino’ le- gato alle attività dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA) di Siracusa, inquadrato sin dal 1926 nell’Istituto nazionale fascista di cul- tura. Luzzatto vi aveva esordito nel secondo fascicolo, su invito dell’a- mico Ettore Bignone (1879-1953), che ne era diventato redattore16, con un articolo su Schiller traduttore di Euripide: una collaborazione che andrà avanti, con una pausa dal 1940 al 1947, sino al 1962, con una se- rie di contributi che vertono sulle traduzioni moderne dei drammi anti- chi, specie nel mondo tedesco17. Anche dopo il 1933, quando svanì la prospettiva di una carriera in Germania, Luzzatto diede il suo apporto ad altre riviste («L’Italia letteraria», «Il Meridiano di Roma», «Perseo») di- rette da intellettuali che aderivano in forme e modi diversi all’ideologia

14 Su Guido Lodovico Luzzatto vd. V. Iato, Guido Lodovico Luzzatto critico

d’arte militante (1922-1940), Milano 2014; vd. inoltre il sito web: http://www.

fondazioneguidoluzzatto.it/ e le introduzioni ai volumi di scritti sinora editi a cui faccio riferimento nelle note successive.

15 Le bozze che Luzzatto aveva spedito alla redazione andarono perse e delle cor- rezioni si incaricò il segretario Vincenzo Bonaiuto, come sappiamo dalla lette- ra del 6 febbraio 1933. Presumibilmente l’articolo, di cui nell’archivio della fondazione si conserva la versione dattiloscritta, fu scritto nella seconda metà del 1932, anno a cui risalgono le pagine più vibranti contro il decadimento cul- turale decretato dal fascismo in Italia specie sul periodico «La libertà», ora rac- colte in Guido Lodovico Luzzatto, Scritti politici. Socialismo antifascismo, a cura di A. Cavaglion ed E. Tedeschi, Milano 1996, alla cui Introduzione di Al- berto Cavaglion si rinvia.

16 Vedi la cartolina postale di Bignone a Luzzatto del 19.6.1930. Anche la colla- borazione con «Atene e Roma» di Luzzatto si deve allo stesso Bignone, diret- tore della rivista dal 1933. Alla morte di Bignone, Luzzatto ebbe contatti so- prattutto con Raffaele Cantarella, come mostra la corrispondenza nell’Archivio della Fondazione.

17 Il 7 gennaio 1942 a Luzzatto era stata chiesta dal segretario dell’Istituto, Vin- cenzo Bonaiuto, una «breve e schematica storia delle traduzioni, imitazioni, del teatro antico fino al 1900, con indicazioni bibliografiche sommarie ma so- stanziali». La guerra interruppe il progetto.

S. Fornaro - Le trincee di Polinice (1917-1933) 151 fascista; Bignone era amico di vecchia data di Luzzatto18, e lo restò no- nostante nel 1938 fosse insignito del Premio Mussolini e l’anno dopo nominato Accademico d’Italia. Queste collaborazioni certo pongono «interrogativi»19, ma pare prevalere in Luzzatto il bisogno di continuare ad esercitare la critica d’arte, anche correndo il rischio di farsi nemici20, senza allontanarsi con ciò dall’impegno politico che si concretizza in al- tre sedi.

La segnalazione dell’Antigone di Hasenclever non si giustifica con l’interesse di Luzzatto per le traduzioni: il dramma di Hasenclever non è affatto una traduzione, ma una riproposizione a grandi linee del mito messo in scena da Sofocle, completamente modificato persino nella tra- ma. Inoltre non c’erano punti di contatto con la stagione siracusana: l’Antigone era stata rappresentata a Siracusa nell’ormai lontano 1924 (traduzione di Ettore Romagnoli, regia di Duilio Cambellotti). Né Luz- zatto si interessa all’interpretazione dell’Antigone sofoclea, anzi: «è evi- dente – scrive – che non si può neppure impostare un paragone con il dramma di Sofocle»21 e «stonato appare il solo avvicinamento dei due nomi Sofocle e Hasenclever»22.

Sin dai primi anni Venti, Luzzatto aveva valorizzato, nei suoi inter- venti sulla pittura e la grafica, la modernità del linguaggio espressioni- sta anche in teatro esteticamente rivoluzionario, la sua capacità trasfigu- ratrice della realtà23: ma nel frattempo la situazione politica era radicalmente cambiata. La persecuzione ideologica e razzista aveva mu- tato il senso della critica d’arte e del dibattico estetico. L’articolo di Luz- 18 La corrispondenza tra i due inizia nel ’26 e col molto più giovane amico Bigno- ne è prodigo di consigli ed affettuose considerazioni. In una lettera dattiloscrit- ta non datata (ma dei primi anni ’30), gli suggerisce di canalizzare il suo inge- gno specializzandosi in una disciplina, oppure di rassegnarsi ad essere un intellettuale eclettico, perché comunque avrebbe raggiunto grandi risultati, in- somma di dedicarsi agli studi in un momento in cui gli avvenimenti storici sconvolgevano la coscienza di tutti. Un Ricordo di Ettore Bignone, Luzzatto pubblica su «Dioniso» nel 1954. L’argomento esige una ricerca che va oltre i limiti di questo intervento.

19 Così si esprime V. Iato nella bella e documentata Introduzione a Guido Ludo-

vico Luzzatto, cit., p. 16.

20 Cfr. la letttera della madre del 23 ottobre 1933 citata da V. Iato, ibid., pp. 16-17. 21 G.L. Luzzatto, L’‘Antigone’ di Walter Hasenclever, «Dioniso» 3, 1931-1933,

p. 373. 22 Ibid., p. 369.

23 Vedi ad esempio L’espressionismo in Germania. Hermann Lismann (1921), in G.L. Luzzatto, Scritti d’arte, a cura di M.M. Lamberti e F. Calatrone, Milano 1997, pp. 78-80, e gli altri interventi pubblicati nel corso degli anni Venti lì raccolti.

zatto su Hasenclever nel 1933, nel cuore cioè della sua più feconda sta- gione di interventi politici antifascisti24, non ha solo valore di documento letterario e della ricezione di un autore tedesco in Italia pra- ticamente sconosciuto25; ma si tratta di un intervento politicamente mili- tante, anche se bisogna saper leggere tra le righe. È infatti teso a mostra- re la modernità della tragedia di Hasenclever, riflessa nella disgregazione delle forme classiche, che a sua volta riflette la disgrega- zione della coscienza individuale e del mondo intero nella catastrofe, «una catastrofe troppo enorme, un’oppressione troppo schiacciante»26, scrive Luzzatto. Ma quale catastrofe? Lo stile di Luzzatto è discreto: de- nuncia, ma senza usare toni forti, anche perché la sede non lo permette- va. La ‘catastrofe’ certo è quella in cui l’Antigone di Hasenclever vide la luce, le trincee della Grande guerra. Ma sebbene «l’attualità» irrompa nelle parole di Creonte tiranno, sino a dare «parafrasi trasparenti» dei di- scorsi dell’imperatore prussiano27, il dramma di Hasenclever ha un re- spiro «senza tempo»28, che ne fa una declamazione accorata «contro l’orrore della carneficina»29 della guerra e della tirannia in genere. Luz- zatto scrive insomma della catastrofe a lui contemporanea, alla quale bi- sogna reagire non con l’ebbrezza annichilente, ma con l’anelito verso la luce30. Nel 1930 il padre Fabio Luzzatto, che aveva avuto un contenzio- so giuridico con Mussolini sin dal 1919, noto antifascista, fu arrestato e poi rilasciato; ma nel 1932 i fascisti tentarono di ucciderlo, simulando un incidente, dopo che aveva rifiutato di prestare giuramento al regime come professore universitario31. Lo stesso Guido Lodovico, dall’istitu- zione del tribunale speciale, nel 1926, si recava in intermittente esilio

24 Cfr. ‘Interpretazione dell’hitlerismo’ e altri scritti degli anni Venti e Trenta, in

G.L. Luzzatto, Scritti politici. Socialismo antifascismo, a cura di A. Cavaglion, E. Tedeschi, Milano 1996, pp. 43-176.

25 Il pacifismo sincero dell’Antigone come «visione del Paradiso futuro, con lega delle nazioni» era stato segnalato, che io sappia, solo da Lavinia Mazzucchet- ti, Il nuovo secolo della poesia tedesca, Milano 1926, pp. 96-97, nell’ambito di un giudizio nel complesso negativo sull’opera.

26 G.L. Luzzatto, L’‘Antigone’ di Walter Hasenclever, cit., p. 369.

27 Ibid., p. 372. 28 Ibid., p. 368. 29 Ibid., p. 372.

30 Cfr. L’esaltazione della catastrofe (1931), ora in G.L. Luzzatto, Scritti politici. Socialismo antifascismo, cit., pp. 81-84.

31 Cfr. A. Cavaglion, Introduzione a Scritti politici. Socialismo antifascismo, cit.,

p. 25. Luzzatto, per ragioni non chiarite, non compare in tutti gli elenchi dei

Nel documento Uomini contro (pagine 145-157)