Capitolo II Le valutazioni nelle operazioni societarie
2.5. Le valutazioni per l’operazione di scissione
La scissione è l’istituto giuridico, disciplinato agli art. da 2506 a 2506-quater del Codice Civile, attraverso il quale una società suddivide il proprio patrimonio e lo trasferisce a una o più società beneficiarie.
L’operazione di scissione, analogamente a quella di fusione, è idealmente suddividibile in quattro fasi, principali: informativa, pubblicitaria, decisionale ed attuativa, ma l’attività valutativa a vari livelli anche in questo caso si esplica soltanto nella prima.
In tale fase infatti si assiste alla predisposizione di tutti i documenti necessari al prosieguo, tra cui la relazione dell’organo amministrativo e la relazione degli esperti.
Le differenti modalità tramite le quali trovano attuazione le operazioni di scissione non mancano di produrre conseguenze in ordine ai profili di valutazione delle diverse società e dei complessi patrimoniali coinvolti nell'operazione. Peraltro, lo stesso legislatore prevede molteplici valutazioni aventi oggetto e finalità differenti e che, quindi, devono essere predisposte utilizzando principi e criteri di valutazione tra loro difformi.
La molteplicità delle valutazioni di scissione è riconducibile ai diversi e, per certi aspetti, opposti effetti prodotti nei confronti della scissa e delle beneficiarie: in relazione alla prima, infatti, la scissione comporta necessariamente un effetto disaggregativo, che impone la stima della quota di patrimonio che permane alla
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società scindenda126 e della quota che, invece, è assegnata alle beneficiarie, al fine
di garantire la posizione dei creditori sociali, i quali non devono essere pregiudicati nei loro interessi in conseguenza della scissione. Sotto un diverso profilo, qualora la scissione sia a favore di società beneficiarie operative, la stessa comporta per queste ultime un effetto aggregativo del tutto analogo a quello che consegue alla fusione - piuttosto che al conferimento in società operativa - registrandosi l'integrazione del patrimonio delle beneficiarie con quanto trasferito dalla scissa.
Muovendo da tale ultimo profilo, anche nel caso della scissione - analogamente a quanto accade nella fusione - si rende, quindi, necessaria la determinazione del rapporto di cambio al fine di definire l'entità della partecipazione nel capitale sociale della beneficiaria da attribuire ai soci della scissa. La determinazione del rapporto di cambio richiede, pertanto, l'attuazione di valutazioni finalizzate esclusivamente a tale scopo, basate su una stima di carattere comparativo dei capitali economici del patrimonio trasferito e della beneficiaria.
Hanno, invece, finalità affatto diverse e sono, quindi, basate su presupposti differenti le valutazioni conseguenti alla separazione patrimoniale che la scissione comporta in relazione alla scissa: le stesse, infatti, sono volte a garantire le posizioni dei creditori delle società coinvolte nell'operazione nonché i soci delle medesime, come espressamente richiesto dall'art. 2506-quater, al fine di deli- mitare la responsabilità - successivamente all'operazione - rispettivamente della scissa e delle beneficiarie per le obbligazioni facenti capo alla società destinata a scindersi. Data la diversa funzione che tali stime sono destinate ad assolvere, le stesse devono essere predisposte con criteri diversi da quelli che ispirano le valutazioni funzionali alla determinazione del rapporto di cambio: l'esigenza di stimare l'effettiva consistenza patrimoniale rimasta alla scissa e quella trasferita alle beneficiarie comporta, infatti, la necessità di valutare in termini assoluti, e non comparativi, le suddette frazioni di patrimonio; in tal caso, quindi, non
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possono in alcun modo incidere sulle valutazioni le eventuali sinergie riconducibili agli effetti concentrativi della scissione.
In considerazione di quanto osservato, è opportuno delimitare ulteriormente, in sede introduttiva, l'ambito delle valutazioni di scissione anche mediante il richiamo alle analogie ed alle differenze che presentano rispetto alle valutazioni di fusione.
La fusione appare certamente caratterizzata da una (pur relativa) minore complessità in relazione ai profili valutativi, in quanto richiede l'attuazione delle sole stime strumentali alla determinazione del rapporto di cambio, coerentemente con gli effetti di esclusivo carattere aggregativo che essa produce; infatti, nella fusione, che comporta l'integrazione degli interi complessi patrimoniali facenti capo alle società coinvolte, non si pone la necessità - dettata per la scissione dall'art. 2506-quater del Codice Civile - di porre in essere misure volte ad evitare che l'enucleazione di frazioni di patrimonio dalla scissa si traducano in una diminuzione della garanzia dei creditori di quest'ultima. Nel caso della fusione, pertanto, non è richiesto dal legislatore di produrre una stima in termini assoluti dei complessi aziendali facenti capo alle società destinate a fondersi. Per quanto, invece, concerne le valutazioni effettuate ai fini della determinazione del concambio nella scissione, le stesse sono fondate sui medesimi presupposti caratterizzanti le valutazioni effettuate in caso di fusione: in entrambe le fattispecie, infatti, la stima del rapporto di cambio impone il raffronto di valori tra loro omogenei e, pertanto, la necessità di procedere a stime di carattere compara- tivo e non volte ad accertare il valore stand alone dei complessi aziendali oggetto di concentrazione. Per tali ragioni, quindi, le valutazioni realizzate per determinare il rapporto di cambio, in ogni caso, non possono essere prese a riferimento per finalità ulteriori, dati i peculiari presupposti logici sui quali esse si basano.
La novellata disciplina della riforma societaria prevede ora espressamente, al secondo comma dell'art. 2506 ed in piena analogia con quanto già statuito riguardo all'istituto della fusione, la possibilità di assegnare ai soci un conguaglio
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in denaro non superiore al dieci per cento del valore nominale delle azioni o quote attribuite, agevolando in tal modo la soluzione del problema dell'eventuale rapporto di cambio frazionario. Il conguaglio deve trovare riconoscimento a favore di tutti i soci, dal momento che è inammissibile un conguaglio riservato solo agli azionisti che per l'applicazione del rapporto di cambio non riescano ad avere quozienti interi di attribuzione e rimangano pertanto con resti, in quanto il conguaglio deve configurarsi come integrazione del rapporto di cambio ad applicazione generale, essendo dunque illegittima la previsione di un regime differenziato.
Nonostante le richiamate analogie, sotto il profilo applicativo emergono, tuttavia, talune difformità, tra fusione e scissione, anche in relazione alle valutazioni effettuate per determinare il rapporto di cambio.
Nel caso della scissione, infatti, la comparazione dei capitali economici sulla quale si basa la determinazione del rapporto di cambio non ha ad oggetto esclusivamente complessi aziendali, dal momento che l'operazione può comportare il trasferimento non soltanto di rami aziendali, ma anche di complessi di beni non costituenti una combinazione economica parziale - e, comunque, mai dell'intero patrimonio, come invece accade nella fusione - condizione che, proprio in ragione della eterogeneità delle entità valutate, comporta una maggiore difficoltà nell'impiego di criteri valutativi idonei a garantire il raffronto tra valori omogenei. Infatti, oggetto di scissione non può essere l'intera azienda della scissa, ma soltanto una combinazione economica parziale (oppure un insieme di elementi patrimoniali, ma in tal caso la valutazione, svolta secondo una metodologia patrimoniale, risulta in genere maggiormente comprensibile e verificabile); ciò potrebbe comportare - soprattutto se la determinazione del concambio è stata condotta sulla base di criteri sintetici, reddituali o finanziari - particolari difficoltà nella definizione della redditività (o della capacità di produrre flussi finanziari) del ramo d'azienda scisso.
Conseguentemente, nell'ambito delle valutazioni di scissione occorre prestare particolare attenzione alla adeguatezza della scelta delle poste patrimoniali
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attribuite al ramo d'azienda scisso, soprattutto in termini di sviluppo di forme di riscontro reddituale volte a verificare la coerenza fra reddito prospettico e composizione del ramo aziendale conferito, con le sue caratteristiche in termini di organizzazione e di struttura finanziaria. Non si tratta, infatti, soltanto di determinare il valore economico al ramo scisso e di attribuire un valore dell'eventuale avviamento positivo, ma anche di verificare la capacità reddituale del compendio patrimoniale scisso e l'attitudine della stessa di operare autonomamente all'interno della beneficiaria, specialmente laddove quest'ultima sia una società di nuova costituzione.
Ulteriori differenze, sotto il profilo valutativo, tra scissione e fusione, poi, si riscontrano con riferimento alla ripartizione delle partecipazioni tra i soci della incorporata o della scissa; infatti, nella
scissione possono prospettarsi, oltre alle ipotesi di assegnazione proporzionale delle azioni o quote delle beneficiarie ai soci della scissa, anche fattispecie di attribuzione non proporzionale aventi ad oggetto le azioni o quote delle beneficiarie nonché eventualmente, nell'ipotesi disciplinata dal secondo comma dell'art. 2506, della stessa società scissa. Nella fusione, invece, l'assegnazione delle azioni o quote della società incorporante o risultante dalla fusione ai soci della incorporata o fusa non può essere effettuata se non in ragione proporzionale alle azioni annullate per effetto della fusione.
Quanto premesso, analogamente a quanto avviene nella fusione, la finalità del rapporto di cambio nella scissione è quella di determinare le modalità con le quali i soci della scissa partecipano al capitale della società beneficiaria a seguito dell'operazione e, più in generale, quella di definire la configurazione delle compagini sociali delle società che prendono parte alla scissione.
Per quanto concerne, la determinazione dei valori economici del ramo scisso e della beneficiaria, occorre operare un ampio rinvio alle tematiche e alle argomentazioni già svolte in materia di rapporto di cambio nella fusione. Sotto tale profilo, infatti, anche per la scissione le valutazioni economiche relative ai patrimoni oggetto di aggregazione (quello scisso e quello della beneficiaria)
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devono essere impostate secondo una logica stand alone ovverosia prescindendo dagli eventuali effetti sinergici attesi dalla aggregazione e seguendo criteri omogenei.
Sotto il primo profilo, in particolare, è pur vero che una valutazione di tipo stand alone dei complessi patrimoniali destinati ad integrarsi per effetto dell'operazione presenti il limite di assimilare ed equiparare il procedimento di scissione a quello di cessione; ciononostante, esigenze di natura pratica inducono a limitare la valutazione, ai fini della determinazione del rapporto di cambio, agli svolgimenti futuri di ogni singolo complesso aziendale autonomamente considerato.
Sotto il secondo aspetto, invece, occorre rimarcare che le valutazioni effettuate ai fini della determinazione del concambio consistono nel raffronto tra valori tra loro omogenei e, pertanto, nella necessità di procedere a stime di carattere comparativo e non necessariamente volte ad accertare il valore assoluto dei complessi aziendali oggetto di concentrazione. Per tali ragioni, quindi, le valutazioni realizzate per determinare il rapporto di cambio, in ogni caso, non possono essere in genere assunte a riferimento per finalità ulteriori, dati i peculiari presupposti logici sui quali le stesse si basano.
Inoltre, vale anche per la scissione la contrapposizione concettuale tra rapporto di cambio teorico e rapporto di cambio effettivo, il primo inteso come concambio derivante da una mera valutazione comparata dei capitali economici oggetto di aggregazione, il secondo come il concambio definito tra le parti considerando non solo i valori economici, ma anche elementi negoziali, riconducibili a molteplici profili (correlati, ad esempio, al contributo delle aziende alla formazione di attesi aspetti sinergici, all'interesse strategico di ciascuna parte, piuttosto che agli specifici interessi dei soci di riferimento della scissa o della beneficiaria). Come già rilevato con riguardo alla fusione, i due rapporti, pur distinti, risultano logica- mente correlati tra loro, essendo la determinazione del concambio effettivo idealmente conseguente a quella del rapporto di cambio teorico; difatti, i valori relativi delle combinazioni economiche coinvolte nell'operazione, definiti in ipotesi stand alone, rappresentano il riferimento su cui fondare il complesso
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procedimento di valutazione e determinazione del rapporto di cambio effettivo. Le controparti, poi, giungono alla definizione di un rapporto di cambio condiviso, mediante un processo negoziale in cui ciascuna fa valere i propri punti di forza e sul quale incidono molteplici fattori, non necessariamente costituiti da razionali di carattere unicamente e strettamente economico. Peraltro, i due differenti livelli teorici di analisi, l'uno (quello del rapporto di cambio teorico) maggiormente rivolto agli aspetti di valutazione, l'altro (quello del concambio effettivo) riconducibile in un ambito più strettamente negoziale, non risultano comunque disgiungibili sotto il profilo pratico, in quanto strettamente complementari e interconnessi.
In ultimo, occorre rilevare che non sempre la scissione produce effetti aggregativi, dal momento che la stessa potrebbe configurarsi come scorporo di un compendio patrimoniale a favore di una beneficiaria di nuova costituzione. In tali fattispecie, non verificandosi alcun effetto concentrativo nella beneficiaria, la determinazione del rapporto di cambio richiede soltanto la valutazione del compendio patrimoniale scisso, assumendo maggiormente le caratteristiche di una valutazione assoluta analoga a quelle di conferimento. In realtà, occorrerebbe ulteriormente analizzare la struttura dell'operazione per meglio comprendere gli ambiti in cui si esplicano le valutazioni di scissione.
In particolare, nel caso in cui la scissione sia non proporzionale, le valutazioni economiche, verrebbero a coinvolgere anche i compendi patrimoniali che la scissa dovesse attribuire ad altre beneficiarie ovvero il patrimonio rimasto alla stessa scissa.
All'opposto, nel caso in cui la scissione fosse proporzionale a favore di una società beneficiaria di nuova costituzione, la valutazione economica del ramo scisso assume una valenza relativa, dal momento che i destinatari del capitale iniziale della beneficiaria sarebbero i soci della scissa che diverrebbero nelle medesime proporzioni anche soci della stessa beneficiaria. In tal senso, il rapporto di cambio non muterebbe la posizione di tali soci nella compagine societaria della scissa, né in quella della beneficiaria; anzi, il concambio potrebbe essere definito in modo
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convenzionale, ovverosia prescindendo da valutazioni di tipo economico, avendo soltanto riguardo a non comportare l'emissione di un capitale sociale della beneficiaria eccedente il valore effettivo del ramo scisso. Tale ininfluenza del rapporto di cambio nei riguardi dell'unica compagine sociale coinvolta (quella della scissa) è stata recepita nell'ordinamento giuridico nel passaggio in cui l'art. 2506-ter, terzo comma, del Codice Civile non richiede la predisposizione delle relazioni dell'organo amministrativo e degli esperti nelle fattispecie di scissione proporzionale in beneficiarie di nuova costituzione.127
2.5.1. La perizia di stima ex art. 2343 nella scissione
Nel vigore della precedente disciplina era discusso se nell'ambito della scissione fosse necessario procedere alla redazione di una stima redatta ai sensi dell'art. 2343 del Codice Civile, e ciò a motivo della affinità (nella prospettiva della società avente causa) dell'apporto patrimoniale effettuato in dipendenza della scissione rispetto a quello eseguito in relazione ad un conferimento.
In seguito alla riforma del diritto societario, il legislatore è intervenuto sul punto prevedendo all'ultimo comma dell'art. 2501- sexies in materia di fusione (al quale fa rinvio l'art. 2506-ter per la scissione) che, in caso di scissione di società di persone a beneficio di società di capitali, l'esperto incaricato di attestare la congruità del rapporto di cambio deve predisporre una relazione di stima del ramo aziendale oggetto di scissione, redatta ai sensi dell'art. 2343. Come rilevato con riferimento alla fusione, tale stima ha il fine di garantire la corretta formazione del capitale sociale della società beneficiaria ed assume, dunque, funzione del tutto analoga a quella che essa ricopre in sede di conferimento.
Ciononostante, il legislatore della riforma, prevedendo l'obbligo di redigere la relazione di stima nel caso di scissione di società di persone in società di capitali, non ha risolto del tutto il problema interpretativo relativo alla necessità della
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perizia ex art. 2343 nell'ambito della scissione, lasciando irrisolta la questione in relazione
alle altre fattispecie. Per quanto concerne queste ultime, la dottrina e la prassi prevalenti, già da prima della riforma, non giudicano necessaria la perizia ex art. 2343 nella scissione, sia perché in nessun caso viene formalmente richiamata la disciplina dei conferimenti, sia perché si ritiene che l'analisi della congruità del rapporto di cambio ex art. 2506-ter presupponga necessariamente la revisione della valutazione dei capitali economici delle società partecipanti all'operazione, e che tale procedimento soddisfi implicitamente le necessità per le quali è redatta, nel caso di conferimento, la perizia ai sensi dell'art, 2343128.
Secondo tale orientamento, quindi, la corretta redazione della relazione finalizzata alla determinazione del rapporto di cambio presuppone necessariamente la verifica anche delle metodologie di valutazione caratteristiche della perizia ex art. 2343 del Codice Civile. Sotto tale profilo, la compenetrazione degli scopi di una valutazione ex art. 2343 nell'ambito della valutazione di congruità del rapporto di cambio comporta aspetti particolari dal momento che, mentre nell'operazione di conferimento si verifica una vera e propria cesura nella vita aziendale, in quanto all'individuazione del complesso oggetto di trasferimento segue una cessione dello stesso a titolo oneroso (ancorché il corrispettivo non sia pattuito in denaro), nella scissione il complesso aziendale si trasferisce senza soluzione di continuità. Rilevanti sono, poi, le conseguenze che tali differenze strutturali tra le due operazioni comportano sotto il profilo della rappresentazione contabile e di bilancio: nel caso del conferimento, infatti, le singole poste sono trasferite a valore di negoziazione; nel caso della scissione la società beneficiaria, proprio in quanto non si evidenzia soluzione di continuità, assume il complesso aziendale scisso a valori di libro, come previsto nel quarto comma dell'art. 2504-bis.
128 Il Tribunale di Milano, Sezione VIII, in data 30 settembre 1994 ha stabilito che “la scissione di
una società non costituisce un conferimento di beni in natura e non richiede, oltre alla relazione degli esperti di cui all’art. 2504-novies del Codice civile, anche la relazione giurata di stima prevista dall’art. 2343 del Codice Civile”.
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Laddove giudicata necessaria tale perizia ex art. 2343, occorre rilevare che sotto il profilo dei criteri di valutazione, l'adozione dei principi di fondo che regolano la redazione della stessa comporterebbe, anche in caso di scissione, la necessità di individuazione e di eventuale valutazione analitica dei beni oggetto di trasferimento, fungendo in tal caso la perizia da strumento di riscontro degli elementi patrimoniali oggetto di trasferimento nonché di eventuale verifica dei relativi valori, così come descritti nel progetto. Per il conferimento, invece, la previsione normativa è strumentale alla precisa ricognizione delle componenti del patrimonio oggetto di trasferimento, indispensabile ai fini della corretta, successiva rappresentazione contabile dell'operazione (mancandone altrove l'indi- viduazione specifica) per quanto riguarda sia il soggetto conferente, che la società conferitaria. Peraltro, come è ormai opinione diffusa in dottrina, anche nell'operazione di conferimento il riferimento di legge alla individuazione analitica dei singoli beni non implica necessariamente l'adozione di metodi 'di stima che considerino esclusivamente il profilo patrimoniale; al contrario, la corretta determinazione del capitale economico, che comporta anche l'ap- prezzamento della dimensione reddituale e/o finanziaria, concorre a soddisfare le esigenze di garanzia degli altri azionisti e dei terzi, tutelate dall'art. 2343 del Codice Civile.
Le risultanze di una valutazione effettuata con le metodologie sopradescritte rispondono pienamente anche alle esigenze in funzione delle quali occorre procedere a valutazioni del capitale economico in ipotesi di scissione, laddove si rilevano le medesime esigenze di puntuale individuazione del patrimonio trasferito funzionali alla corretta rappresentazione del sistema dei valori della beneficiaria post operazione. Così come nel conferimento per concentrazione, nel caso di scissione in beneficiaria preesistente occorre, per determinare correttamente il corrispettivo (che nel caso della scissione si sostanzia nella emissione e assegnazione di azioni o quote della beneficiaria ai soci della scissa), procedere alla valutazione del capitale economico non solo del ramo trasferito, ma anche della stessa beneficiaria.
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Il raffronto tra le valutazioni comparative così effettuate sarebbe, quindi, oggetto di analisi da parte del perito, il quale in tal modo soddisfa sia le esigenze di tutela dei soci in relazione al rapporto di cambio proposto dagli amministratori, sia, implicitamente, le esigenze di cui all'art. 2343 del Codice Civile relative alla tutela dei terzi.
Secondo una diversa interpretazione, la redazione di una stima ai sensi dell'art. 2343 risulta superflua poiché la funzione di tutela dei creditori è svolta nella fusione dall'attestazione che gli amministratori devono fornire circa il valore