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Rimini deve al cinema di Fellini la notorietà a livello internazionale (oltre alla spiaggia e al turismo) e una centralità culturale nel panorama cinematografico del Novecento pari a quella geografica e strategica che aveva nell'antica Roma quando divenne il punto di congiunzione delle vie consolari Flaminia, Popilia ed Emilia. O quella artistica dei tempi relativamente più recenti, nel Trecento e nel Rinascimento con la scuola di pittura giottesca e l'architettura di Leon Battista Alberti.

Partendo da questo postulato, ci siamo chiesti come Rimini abbia interpretato il suo ruolo di città natale di Fellini e sanato questa sorta di debito di riconoscenza verso uno dei più grandi cineasti del Novecento. Abbiamo quindi provato a vedere quanto di Fellini ci sia oggi a Rimini e cosa ha realizzato la città in questi decenni per valorizzare la sua figura.

Ma prima della riapertura del Fulgor e dell'avvio del progetto per la costituzione del Museo Fellini, occorreva esaminare ciò che era

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stato compiuto nei venticinque anni trascorsi dalla sua morte e successiva sepoltura nel cimitero cittadino. Raccontare la storia della Fondazione e della Cineteca ha risposto quindi a questa esigenza primaria. Le fonti, come abbiamo visto, sono state eterogenee: testimonianze orali, documenti ufficiali del Comune di Rimini, articoli di stampa, testi e ricerche messi a disposizione dalle stesse Fondazione e Cineteca, oggi fuse in un'unica struttura.

Il risultato è stato un lavoro che ha inteso mostrare come, dopo anni di contrastati sentimenti nei confronti dell'artista e dell'uomo Federico, la sua città natale lo abbia finalmente riabbracciato in modo pieno, senza riserve. Rimini è riuscita a interpretare correttamente il ruolo che il destino (tema molto caro al Maestro) le aveva assegnato. Per arrivare a questo risultato, tuttavia, il percorso è stato tortuoso e non privo di ombre. In fondo, anche dopo la morte, il rapporto con la sua città ha seguito una traiettoria ondivaga, con progressi e altrettanti stop e dietrofront.

Nella sua ventennale esistenza, quale giudizio storico si può dare ad esempio della Fondazione? Ha raggiunto gli scopi che si era prefissati, all'indomani della morte del Maestro? E questi scopi erano stati correttamente individuati o si poteva agire in modo diverso, percorrendo altre strade?

Crediamo che il presente studio, nelle pagine che precedono, abbia evidenziato la qualità e quantità del lavoro svolto in termini di ricerca, di raccolta documentaristica e di tutela del “marchio” Fellini, se così possiamo definirlo. La valutazione sull'attività della Fondazione in definitiva non può che essere positiva. Tuttavia, è un fatto che pur essendo uno dei registi più famosi al mondo, Fellini resti ancora per certi aspetti un artista di nicchia e che la sua arte non sia universalmente compresa, neppure nella sua città natale. Ecco perché ci sentiamo di riportare anche le voci critiche di coloro

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che ritengono che il lavoro della Fondazione dovesse essere più orientato sulla città, allo scopo di far conoscere Fellini a Rimini e ai riminesi. In questa prospettiva, sarebbe mancato un radicamento più profondo, un'attività di divulgazione efficace, di taglio più “nazional-popolare”. Se l'attività di studio poteva considerarsi una

duplicazione di quella tradizionalmente appannaggio

dell'Università, la Fondazione poteva riservarsi altri compiti, ad esempio uno sforzo divulgativo capillare nelle scuole. In sintesi, doveva agire per far sviluppare una sorta di “fellinismo a Rimini”. Non solo. All'attività locale si sarebbe dovuta affiancare quella internazionale, già sperimentata con successo nelle rassegne in precedenza organizzate dalla Cineteca. Questi sarebbero dovuti essere campi d'azione, locale e globale, della Fondazione Fellini:

emanazione, non va dimenticato, soprattutto di enti locali304.

A circa vent'anni dalla scomparsa dell’artista, con l’esaurirsi dell’esperienza della Fondazione, si stava riproponendo quel rapporto contraddittorio con Rimini, quella sorta di attrazione- repulsione che, in forme diverse e in costante mutamento, aveva condizionato nel corso degli anni l’atteggiamento di Fellini nei confronti della sua terra natale e viceversa.

Da parte della politica sembrava mancare un disegno di ampio respiro, una politica culturale degna del nome di Fellini, della grandezza e della fama del personaggio. Qualcuno lamentò una scarsa volontà pubblica di celebrare degnamente il Maestro, il mancato utilizzo del brand, l’inconsapevolezza della sfida culturale e della sua importanza anche sotto il profilo anche economico, identitario, un non efficace compattamento delle istituzioni pubbliche verso un obiettivo da perseguire tenacemente, in modo

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imprescindibile. Qual era il carattere della città che sarebbe prevalso, quello della Rimini città internazionale, imprenditiva e attiva, con la voglia di mettersi in gioco in un progetto all'altezza delle aspettative, o il borgo chiuso e provinciale ben rappresentato in Amarcord?

La Cineteca non poteva restare a lungo l'unico punto di riferimento della politica culturale cittadina nei confronti del cineasta riminese. Maturò lentamente ma inesorabilmente una coscienza civica che, anche stimolata dalla presenza in città della nipote del Maestro, ha portato ora allo sviluppo di un progetto innovativo che risponde finalmente all'esigenza di valorizzare Fellini in modo organico, con una visione d'insieme.

Anche oggi il dibattito sulla figura di Fellini non è affatto sopito. C'è chi sostiene che con la costituzione del Museo a lui dedicato e con le iniziative che si stanno preparando per celebrare il centenario della nascita, Rimini stia passando da un estremo all'altro, dalla freddezza all'esaltazione. Che la città si sta per certi aspetti “fellinizzando”. Altri dubitano che la Rocca malatestiana, di fronte alla quale stazionavano i tendoni dei circhi cari al Maestro, sia davvero il luogo più adatto per allestire un’esposizione museale stabile che lo ricordi. Qualcuno si è domandato come mai il cinema Fulgor non sia stato ristrutturato secondo criteri filologici rigorosi, tali da ripristinare l’aspetto che aveva un tempo. Sono opinioni del tutto legittime di riminesi che, a torto o a ragione, contribuiscono con le proprie idee ad alimentare il dibattito sulle soluzioni migliori da adottare per lo sviluppo culturale della città.

La nostra opinione è che oggi, con il progetto del Museo e la riapertura del Fulgor, e malgrado la fine dell'esperienza della Fondazione con il passaggio di consegne alla Cineteca, si possa sostenere che la città di Rimini si sia riconciliata con Fellini e quindi

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anche con sé stessa, o almeno con quella parte di sé che intimamente sentiva la necessità ormai improrogabile di stabilire col Maestro un legame più forte, durevole, definitivo.

Ci piace pensare che a distanza di venticinque anni dalla conclusione della sua esperienza terrena, e a quasi cento dal suo inizio in quella casa di via Dardanelli 10, nel quartiere di Marina centro a pochi passi dal Grand Hotel, il concittadino Federico Fellini si sia riappacificato con la sua città. Quello che succederà nei prossimi decenni non possiamo immaginarlo, ma si può ritenere che le fondamenta per lo sviluppo di un rapporto duraturo siano state poste. Toccherà poi alle generazioni future comprendere, apprezzare, divulgare l'arte del grande maestro perché altri, di successive generazioni, possano coglierne la grandezza e andare a irrobustire le fila degli appassionati del suo cinema.

Ci auguriamo che anche il presente lavoro, pur nei suoi limiti, abbia contribuito decorosamente a svolgere questa funzione.

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Documenti

Fotogramma del film I clowns con sullo sfondo la Rocca malatestiana.

Sotto: Rinaldo Gèleng. Ritratto giovanile di Federico Fellini, carboncino su tela.

Nella pagina seguente: la planimetria del Museo Fellini secondo il progetto in corso di attuazione.

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Ritratto fotografico di Federico Fellini.

Nella pagina seguente: fotogramma del film I vitelloni e alcuni paramenti sacri del film Roma.