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L'influsso delle esperienze trascorse in Romagna, tra Rimini e Gambettola, in realtà si manifestarono già nelle sue prime

esperienze artistiche romane che precedettero quelle

cinematografiche.

Marc’Aurelio” era una rivista umoristica molto popolare alla fine

degli anni Trenta con la quale Fellini collaborò durante la guerra e che si dimostrò davvero proficua per il suo successivo impegno nel cinema, prima come sceneggiatore e poi come regista.

Nel materiale prodotto per la rivista (gag, disegni, etc.) si ritrovano ambientazioni di provincia che derivavano dall'esperienza personale dell'autore, come ad esempio nella trilogia di storie

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intitolate Primo amore, Piccoli fidanzati e Oggi sposi: in esse si raccontano le vicende d'amore tra il narratore, Federico, e una

ragazza innocente e pura di nome Bianchina80. Nella terza serie,

Oggi sposi, i due ora sposati assumono il diminutivo di Cico e

Pallina. Il materiale verrà poi rielaborato per il programma radiofonico che andrà in onda dal novembre 1946 ai primi mesi dell'anno seguente e che si chiamerà come i protagonisti, Le

avventure di Cico e Pallina. In quei testi si ritrovano “quei ritratti

agrodolci di vita di provincia presenti poi nella prima parte della sua

carriera cinematografica”81.

Anche nella quarantina di articoli pubblicati tra il dicembre 1940 e l'ottobre 1941 per la rubrica del “Marc’Aurelio” Secondo Liceo ci sono riferimenti autobiografici, trattando le vicende di un collegio di provincia, lontanamente anticipatrici dei temi affrontati decenni più tardi in Amarcord.

Il ricordo, la memoria, e insieme a questo serbatoio inesauribile di emozioni vissute da ragazzo, la sua grande capacità di ascolto e di rielaborazione: sono queste le leve formidabili sulle quali il giovane Fellini poggerà la propria sconfinata fantasia creativa, che lo condurrà di lì a due decenni a diventare uno degli artisti di cinema

più apprezzati al mondo82.

80 Bianchina era il nome del primo amore di Federico Fellini, una ragazza di Rimini che abitava di

fronte alla sua casa e che poi si trasferì. Lo ricorda , tra gli altri, l'amico Titta Benzi in Federico Fellini - [DOC] Felliniana - Capitolo 1(9) - Polvere Di Rimini (Rai Sat Cinema), https://youtu.be/Dk6NPcdBYLA, consultato il 5.3.2018.

81 P. BONDANELLA, Il cinema di Federico Fellini… op. cit., p. 36.

82 “I potenziali psichici intrinseci di Federico, già immaginifici nella sua infanzia riminese, sono stati

alimentati dalla sua esperienza di vita di giovanissimo giornalista, disegnatore, redattore radiofonico, sceneggiatore e soprattutto dalla sua grande capacità di assimilare dall'ambiente culturale e sociale del suo tempo, e dal contributo dei suoi collaboratori una infinità di stimoli che alla fine trovavano nella sua mente quella sintesi globale che noi definiamo atto artistico”. R. CANESTRARI, “Riflessioni sull'itinerario artistico di Federico Fellini”, in Fellini e dintorni. Cinema e psicanalisi, a cura di F. Monti e E. Zanzi, Cesena, 1996, p. 79.

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Tuttavia, occorre sempre cautela quando si cerca in Fellini una connessione diretta tra vita vissuta e finzione cinematografica. Spesso le sue affermazioni al riguardo sono suggestive e forse anche bizzarre per chi non ha dimestichezza col “personaggio” Fellini, e stanno a indicare quanto sia difficile e riduttivo per uno studioso qualificare come “autobiografico” qualsiasi elemento delle sue opere che possa ricondurci al tema del rapporto tra il regista e la sua città natale.

“Io la mia vita me la sono inventata. L’ho inventata apposta per lo schermo (...). Nel senso dell’aneddoto, di autobiografico, nei miei film non c’è nulla. C’è invece la testimonianza di una certa stagione che ho vissuto. In tal senso, allora sì, che i miei film sono autobiografici”83.

Eppure, in altre circostanze le ammissioni sui legami stretti tra finzione cinematografica ed esperienze realmente vissute erano state più lineari.

“Sono portato a considerare i miei film come la testimonianza di me stesso; ciascuna delle storie che racconto mi sembrano appartenere ad una stagione della mia vita o almeno tentano di rappresentarla”84.

All'interno di questa contraddizione di fondo, o meglio di questa particolare prospettiva dalla quale si originava la creatività di Fellini, un'indagine che non può ambire all'esaustività ma solo ad un'analisi introduttiva rivelatrice di quanto radicato sia stato il rapporto tra l'artista e la sua terra natale deve proseguire, dopo l'esperienza come scrittore e vignettista al “Marc’Aurelio”, dalla sua attività di sceneggiatore, in particolare dal film Paisà (1946).

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Così Federico Fellini in Il film “Amarcord” di Federico Fellini, a cura di G. Angelucci e L. Betti, Bologna, 1974, p. 95.

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Sappiamo che Fellini arrivò alla regia solo dopo aver collaborato a lungo e in ruoli diversi nel mondo del cinema per almeno una decina d'anni, fino all'esordio con Lo sceicco bianco (1952) dopo l'esperienza della co-regia con Lattuada in Luci del varietà l'anno precedente. Quando ancora la guerra mondiale era in corso, scrisse per il suo mentore Rossellini alcune parti importanti della sceneggiatura di Roma città aperta, che ottenne un successo planetario. Rossellini lo fece quindi partecipare alla straordinaria avventura “neorealista” di Paisà: Fellini, che del film fu assistente sul set ma soprattutto sceneggiatore, riconobbe in Rossellini e specificamente in Paisà un momento di svolta della sua vita professionale. La direzione era chiaramente tracciata, il cinema

sarebbe stato il suo futuro85.

Paisà è un film girato in varie parti d'Italia in occasione della

liberazione del paese da parte degli eserciti alleati. Dalla Sicilia fino alla Pianura padana gli alleati risalivano la penisola riconquistando territori e incontrando le popolazioni locali. Il quinto dei sei episodi di cui si compone il film è ambientato in Romagna, in un convento sull'appennino, dove alcuni cappellani militari americani si incontrano con i frati. Si fa riferimento al paese di Savignano (sul Rubicone), situato a quindici chilometri da Rimini, e si cita Rimini come paese di origine di uno dei confratelli. Si sentono inoltre alcune conversazioni in dialetto, un po' romagnolo e un po' emiliano86.

85 “Seguendo Rossellini mentre girava Paisà mi parve improvvisamente chiaro, una gioiosa

rivelazione, che si poteva fare il cinema con la stessa libertà, la stessa leggerezza con cui si disegna e si scrive, realizzare un film godendolo e soffrendolo giorno per giorno, ora per ora, senza angosciarsi troppo per il risultato finale”. Ibid., p. 45.

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