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3. CAPITOLO III: Il dibattito politico e le leggi sull’emigrazione

3.3. La legge del 1888

Una prima proposta di legge concretamente propositiva nel voler limitare l’esodo di massa è stata la numero 5866 del 31 dicembre 1888, sotto la guida di Crispi e De Zerbi. Questa prevedeva la regolamentazione della figura dell’agente d’emigrazione, richiedendo il possesso di una patente rilasciata dal Ministero degli Interni per poter esercitare. Oltre a ciò tale legge prevedeva la formazione delle Commissioni arbitrali in ogni capoluogo di provincia per risolvere le controversie tra emigrati e vettori.288

Di fatto la legge del 1888 non tutelava l’emigrato, ma piuttosto svolgeva il compito di reprimere gli illeciti durante il reclutamento e trasporto degli emigrati, lasciandoli successivamente in balia del loro destino o come scriveva Nitti gettati in mare.289Essa viene ripetutamente definita come una “legge di polizia” poiché come tutte le leggi che regolavano attività collettive la legge del 1888 rientra nella sfera della Pubblica sicurezza.290

La prima legge sull’emigrazione pur dimostrandosi un primo tentativo concreto di legiferare in materia continuava a lasciare molti punti scoperti, che la politica italiana cercò di tappare con le circolari successive del 1889 e 1892, probabilmente perché la classe politica essendosi resa conto in ritardo dell’urgenza di tale tema decise di emanare una legge superficiale e incompleta.291

Errammo tutti nel 1888; e non abbiamo allora compreso che occorrevano provvedimenti di tutela economica e sociale, non soltanto, o principalmente, di polizia292

288 Freda D., La regolamentazione dell’emigrazione in Italia tra Otto e Novecento: una ricerca in corso,

in Historia et ius: Rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna, n.6, 2014, p.6

289 Ostuni M.R., Leggi e politiche di governo…, p.311.

290 Celestino A., Italiani per il mondo: politica nazionale dell’emigrazione, Milano, Adelphi, 1927,

p.53, op.cit. Vitiello M., Le politiche di emigrazione e la costruzione dello Stato unitario italiano, in

Percorsi storici, rivista di storia contemporanea, n.1. 2013. p.8.

291 Freda D., La regolamentazione dell’emigrazione in Italia tra Otto e Novecento: una ricerca in corso,

in Historia et ius: Rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna, n.6, 2014, p.6.

292 Rabbeno A., Manuale dell’emigrazione: storia, statistica, relazioni, discussioni, testo delle leggi e

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La questione della tutela dell’emigrato arrivò finalmente ad essere discussa con maggiore interesse in Parlamento solo dopo la sconfitta di Adua, e quindi quando l’Italia perse le speranze di potersi rivolgere alle terre africane per espandere la sua colonizzazione. Avendo perso l’opzione africana, il governo si rivolse là dove naturalmente il flusso degli italiani si incanalava, ovvero l’America.293

Naturale doveva anche essere l’organizzazione di questa emigrazione, e non artificiosa come si era progettato per l’Africa. L’Italia iniziava a dimostrarsi disposta al dedicarsi alla colonizzazione spontanea dell’America Latina passando per il porto di Genova che, come suggeriva il parlamentare Edoardo Pantano, avrebbe allontanato la tentazione dell’espansione del regno. 294

L’infelice successo della tentata colonizzazione Eritrea […] che ha dimostrato come non si possano creare artificialmente sbocchi all’emigrazione; è tempo di guardare alla vita reale del paese e di vedere se quelle correnti naturali della emigrazione che rispondono a tradizione, ad attitudini speciali, così a lungo trascurate nel nostro paese, non meritino di esser prese in più seria attenzione.[…] Rinunziando alla fisima di colonie artificiose ed artificiali, rivolgere la nostra attenzione a quella corrente migratoria poderosa, spontanea.295

La dicotomia tra emigrazione “artificiale” ed emigrazione “volontaria” diventò uno degli argomenti più discussi: la prima secondo onorevoli fonti quali Mantegazza o Antonibon, era quella che derivava dalle campagne e figlia della miseria, mentre la seconda, da ritrovarsi nel modello genovese, era lodevole e non nasceva dalla disperazione, ma dallo spirito d’iniziativa. 296

Oltre a questo binomio si faceva una distinzione, anche morale, tra emigrazione “temporanea” e “permanente”, che seppur approssimativa fece accendere ancora di più la discussione politica e aumentare la diffidenza nei confronti di quella permanente

293 Van Kessel T., ‘Si deve amare la mamma anche se povera’ The Dante Alighieri Society, Italian

emigration and the safeguarding of italianità, 1870-1925, Rivista Incontri, Anno 27, 2012 / Fascicolo 1, p.22.

294 Atti Del Parlamento Italiano - Discussioni della Camera dei Deputati, XIX Legislatura - Sessione

1895 - 1896 (29/06/1896 - 22/07/1896), Volume (VI) I Sessione dal 29/06/1896 al 22/07/1896 Roma, Tipografia CAMERA DEI DEPUTATI 1896, pp. 6831-6878

295 Ibidem.

296 Cfr. Mantegazza P., Le colonie europee nel Rio de la Piata, in Nuova Antologia, a. Ili, febbraio

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o anche definita “propria”, alla quale veniva attribuito un carattere eversivo e rivoluzionario.297

Il Governo italiano non poteva nemmeno restare indifferente alle nuove possibilità economiche che si stavano palesando con l’accrescersi del fenomeno migratorio, così sempre più spesso si discusse dei vantaggi materiali dell’espatrio degli italiani, primo tra tutte gli introiti dovuti alle rimesse. Queste venivano canalizzate dai Consolati italiani all’estero verso la madre patria per poi essere riutilizzate e divenire quella che Ciuffoletti definisce “l’arma segreta dell’industrializzazione italiana”298, o ancora

Gramsci definì il sistema delle rimesse come la trasformazione delle famiglie emigrate “che da agente della rivoluzione silenziosa, si mutano in agenti per dare allo Stato i mezzi finanziari per sussidiare le industrie parassitarie del Nord.”299

Nel periodo di massima espansione del fenomeno emigratorio dal 1901 al 1913, quando le unità in uscita arrivarono ad essere 873.000, le entrate dovute alle rimesse furono 12.291 e furono in grado di coprire il deficit commerciale italiano.300 Il saldo

positivo delle rimesse riuscì quindi a giocare un ruolo strategico nell’economia italiana di inizio Novecento, il che fece abbandonare le posizioni anti-emigrazioniste della classe dirigente che ancora non credeva nel suo potenziale, ma che fu ben pronta a cambiare idea quando vide le cifre in entrata.301

L’emigrazione veniva oramai vista dalla maggioranza politica come uno strumento di crescita economica. In tal senso il ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio Berti aveva incoraggiato l’apertura di nuove Camere di Commercio, che altro non dovevano fare se non incoraggiare lo sviluppo mercantile che il Regno si sentiva di aver ereditato dalle Repubbliche Marinare.302 La proposta di Berti viene

approvata e così nel luglio del 1883 il Ministro degli Esteri Mancini invia una

297 Freda D., La regolamentazione dell’emigrazione in Italia tra Otto e Novecento: una ricerca in corso,

in Historia et ius: Rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna, n.6, 2014, p.3.

298 Ciuffoletti Z., L’emigrazione nella storia d’Italia 1868/1975, Firenze, Vallecchi, 1978, p. 456. 299 Gramsci A., Il Mezzogiorno e la guerra, op.cit in Sori E., L’emigrazione italiana dall’Unità alla

seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1979, p.123.

300 Ciuffoletti Z., L’emigrazione nella storia d’Italia 1868/1975, Firenze, Vallecchi, 1978, p. 456-457. 301 Sori E., L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1979,

p.123.

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circolare ai consolati affinché si adoperino per la creazione delle Camere di Commercio. Vengono così fondate quelle di Buenos Aires, Montevideo, Rosario (1883) e più tardi quella di San Paolo (1890).303

Si inizia ad intravedere in Italia l’intenzione di trasformare l’emigrazione così da farlo divenire un mezzo capace da permetter l’integrazione della nazione nell’economia internazionale.

Con la circolare del 29 agosto 1888 Crispi esplicita il suo desiderio di utilizzare il flusso migratorio verso l’America Latina per poter espandere il commercio italiano.304

L’allora capo del governo si domandava come mai al crescere dei flussi migratori verso le Americhe non fosse corrisposto una altrettanto grande crescita dei flussi commerciali, come era invece successo nel caso della Francia o dell’Inghilterra. Questa domanda però aveva una risposta facile: l’Italia per troppo tempo aveva ignorato il tornaconto economico che avrebbe potuto avere dall’emigrazione perché aveva ignorato l’emigrazione stessa, cosa che invece non avevano fatto gli altri paesi europei. Nello stesso modo si era ignorato il disegno di leggo di Luzzati che prevedeva una maggiore presa di coscienza a livello di commercio internazionale integrato al flusso migratorio e come ancora fu ignorata la denuncia dell’On. Pallizzolo, il quale aveva fatto notare alla Camera come le colonie libere italiane fossero operose e numerose, ma ormai distaccate dalla madre patria e come di conseguenza rendessero ricche le altre nazioni.305

La ritardataria preoccupazione di Crispi lo portò quindi a chiedere più partecipazione da parte della rete diplomatica nel trovare una soluzione alla limitata crescita delle esportazioni italiane. Tuttavia le risposte degli agenti diplomatici non

303 Incisi di Camerana L., Il grande esodo: storia dell’emegrazione italiana nel mondo, Milano,

Corbaccio, 2003, p.371.

304 Ciuffoletti Z., L’emigrazione nella storia d’Italia 1868/1975, Firenze, Vallecchi, 1978, p.173-177. 305 Atti Del Parlamento Italiano - Discussioni della Camera dei Deputati, XV Legislatura - Sessione

1882 - 1883 - 1884 - 1885 (27/04/1885 - 28/05/1885), Volume (XIII) I Sessione dal 27/04/1885 al 28/05/1885 Roma, Tipografia CAMERA DEI DEPUTATI 1885, p.13220.

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furono molto incoraggianti, lasciando intuire che l’inferiorità commerciale italiana sarebbe stata troppo difficile da sopperire.306307