57 ” IULII 7 Parmeni, & alior.] Ex Martyrolog Bedae.
LA LEGGENDA DEL BEATO GIACOMO VILLA COME RISULTA DOPO QUESTE NOTE
Per questi motivi, in estrema sintesi e mediando tra le varie versioni (sulla base dei riscontri trovati), ritengo di proporre la seguente storia della tragica fine di Giacomo Villa :
“Intorno al 1255 a Castel della Pieve della Diocesi di Chiusi e giurisdizione di Perugia Mostiola, moglie di Antonio Villa, rimane in stato interessante e come tutte le madri del mondo viene presa da apprensione per un sogno ricorrente in cui partoriva un bambino che portava sulle spalle una chiesa diroccata.
Per saperne il significato si rivolse ad un eremita mendicante che in quei giorni chiedeva l’elemosina proprio a Castel della Pieve. Questi interpretò il sogno in chiave mistica ( e non poteva essere diversamente ) e le disse che avrebbe partorito un figlio che avrebbe ricostruito una chiesa e sarebbe stato un uomo di grande santità.
Mostiola fu rassicurata da questa interpretazione e quindi si rasserenò. Giunta, però, al parto, la sera prima, sognò un giglio rosso e pensandolo un cattivo presagio fu presa da profonda malinconia. Quando finalmente le nacque il figlio si rasserenò e gli mise il nome di Giacomo.
Alla nascita di Giacomo era Vescovo della Diocesi di Chiusi Pietro III De Peridio (1248-1260), poi fu Vescovo Raynerius II [1260-1272] che fu una persona mite e non compì nessun atto notevole. [Ughelli Ferdinando – Italia sacra – volume 3 – colonna 639]
Poi fu Vescovo Pietro IV [1273-1299] che da arciprete della cattedrale di Chiusi fu promosso vescovo di Chiusi da papa Gregorio X il 17 Aprile 1273. Anch’egli non ebbe contrasti con nessuno, nemmeno con i monaci amiatini e morì nel 1299. Egli fu il vescovo che, di fatto, governò la diocesi per quasi tutta la vita di Giacomo.
Quando il bambino raggiunse i dodici anni, visto che la sua famiglia aveva i soldi per pagarla, lo mandarono a scuola a Siena perché era una istituzione prestigiosa e in costante crescita.
La scuola che frequentò era, come riferiscono molti agiografi, quella di Grammatica e molto probabilmente soggiornò presso l’ospitale di Santa Maria della Scala dove operavano, oltre ai Disciplinati della Madonna sotto le Volte anche frati laici e gli oblati. E’ altresì probabile che partecipasse come “volontario” alle azioni di beneficienza verso i poveri praticati da quest’ultimi. Dato che la scuola durava, se il percorso formativo era regolare e si avevano i soldi sufficienti, almeno 12 anni Giacomo si sarebbe laureato in Grammatica a circa venticinque anni. Tornato a Castel della Pieve, ricordandosi della miseria e delle sofferenze che aveva toccato con mano durante il suo lungo soggiorno a Siena, fece, come accadeva spesso in quegli anni, la scelta di dedicarsi agli umili e sofferenti e quindi, seguendo i pensieri che si sviluppavano in quel periodo fece la scelta della completa povertà . Egli ricevette dai genitori la sua parte di eredità e vendette tutti i suoi beni. Il ricavato parte lo dette direttamente ai poveri e parte lo usò per rilevare e restaurare la chiesa e l’Hospitale abbandonati e semidiruti posti fuori porta di Vecciano di Castel della Pieve [che un antico documento citato da Fiorenzo Canuti a pag. 65 del suo “Memorie della vita e del culto del Beato Giacomo” del 1904 come atto in possesso di Teodosio Bolletti in cui si dice che l’ospedale fosse sotto il titolo di:” San Filippo e Giacomo”]. Durante le operazioni di ricognizione dei beni che si apprestava a restaurare e a dedicare ai poveri trovò alcuni antichi documenti e, sapendo perfettamente leggere, dopo averli esaminati attentamente si accorse che alcune proprietà dell’ospedale erano state usurpate da un potente signore di Chiusi [molto probabilmente un membro della potente famiglia dei Conti Manenti [Rimbottuccio ?] che aveva il movente e la possibilità]. Essendo divenuto procuratore della chiesa e dell’ospedale si recò, presso questo signore con le carte ritrovate e tentò di fargli restituire i beni bonariamente. Ovviamente il Signore fece orecchi da mercante anche perché erano molti anni che possedeva quei beni e soprattutto perché ne aveva bisogno in quel periodo in cui la sua famiglia era in gravi difficoltà. Giacomo non si arrese e nella sua qualità di procuratore si rivolse al Tribunale della Curia Romana che era notorio no amava molto i Manenti. In tale controversia giudiziaria che durò alcuni anni risultò vincente. In tutto questo periodo era Vescovo di Chiusi Pietro IV.
A causa di questo Giacomo fu ucciso in un agguato dai sicari inviati dal potente signore di Chiusi presso i Vocaboli di Moiano e di Maranzano in località Palazzo (dove c’era un molino) e gettato nel fossato Nochie adiacente dove fu ricoperto di spine. Non sappiamo per quale motivo Giacomo fosse da quelle parti, ma, visto che in quel luogo c’era un mulino e vicino c’erano terreni dell’ospedale di Vecciano si può immaginare che vi fosse andato nell’interesse dei poveri che accudiva, comunque il potente signore di Chiusi, evidentemente, lo sapeva .
Quando, dopo un po’ di tempo il suo corpo fu ritrovato, i suoi resti furono fatti seppellire (sempre dal Vescovo Pietro IV) nelle vicinanze del luogo del ritrovamento e dato che era nota la sua bontà sopra la sua tomba fu edificata una chiesetta o oratorio in sua memoria.
Ovviamente, essendo Giacomo, considerato da tutti un buon uomo amico dei poveri fu immediatamente considerato un santo.
Nel 1304 Benedetto XI, venuto a sapere dai Servi di Maria che lo ospitavano a Castel della Pieve la sua storia, lo definì “Elemosinario”.
Nel 1313 morì il Vescovo Matteo I Medici di Orvieto successore di Pietro IV. Dopo la sua morte la sede vescovile restò vacante lungamente, perché i canonici per molto tempo questionarono tra loro sulla scelta del successore. Alcuni avevano eletto il monaco vallombrosano Bonetto, priore del monastero di san Pietro di Petrorio, ed altri avevano eletto il canonico loro collega Rimbaldo. La controversia finì quando i due eletti rinunziarono spontaneamente alla nomina [molto probabilmente su pressione del Papa Giovanni XXII]; ed allora fu promosso al vescovato di questa chiesa, il di 12 gennaio 1317, il romano Fr. Matteo II Orsini, francescano, che era vescovo di Imola, e che visse sino al 1322. Al suo posto, ad Imola fu inviato Rimbaldo.
Negli anni della vacatio che vanno dal 1313 al 1317 i religiosi di Castel della Pieve (i Serviti? E’ molto probabile visto che i resti furono rivestiti con il loro abito), senza, ovviamente, il permesso del vicario capitolare “Angelus rector Ecclesiæ S. Faustæ”, che molto probabilmente, come spesso accadeva, nemmeno fu mai presente nella Diocesi, disseppellirono il corpo di Giacomo dalla Chiesetta di
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San Jacopo de Palatijs e lo portarono nella chiesetta dell’ospedale fuori porta di Vecciano di Castel della Pieve.
Fu molto probabilmente durante questa traslazione che i resti del corpo di Giacomo furono rivestiti con gli abiti dei serviti, mentre il cingolo francescano e la berretta degli oblati furono aggiunti durante la ricognizione del 1478.
A causa di questa azione e visto il rifiuto del Castello di riportare Giacomo in località Palazzo, il nuovo vescovo Matteo II Orsini, nel 1319, lanciò l’interdetto contro Castel della Pieve.
La chiesetta restò per questo abbandonata e divenne diruta.
I magistrati di Castel della Pieve, perciò, accusarono il Vescovo di essere responsabile del non riconoscimento della santità di Giacomo a causa dell’interdetto lanciato contro il Castello.
Da qui le successive accuse di essere il mandante dell’omicidio, accusando però, per ovvi motivi di ordine religioso il vescovo regnante nel 1304 e non quello regnante nel 1319. Infatti, se teniamo conto che Matteo I era un domenicano e quindi poteva essere accusato essendo appartenente ad un Ordine non in sintonia con i francescani e che non si poteva, invece, accusare Matteo II, che aveva si lanciato l’interdetto contro Castel della Pieve, in quanto era un francescano, lo scambio è chiaro.
Lo scontro tra Castel della Pieve e la Diocesi di Chiusi avvenne, quindi, con Matteo II Orsini e non con Matteo I de’ Medici.
La confusione, dopo qualche secolo, tra i due Mattei è evidente.
Per portare un esempio lo stesso Fiorenzo Canuti nel 1952 (quindi quasi cinquecento cinquanta anni dopo gli avvenimenti narrati), in una nota alla trascrizione della leggenda scritta dai Serviti scrive: «“pigliando la strada verso Chiuscio per dirlo al Podestà, al Vescovo (1) ...”
Era vescovo di Chiusi nel 1304 Matteo Orsini romano, dei Predicatori, traslocato a Chiusi da Imola.». Pur non entrando in merito alla questione del riconoscimento dello status di beato concesso a Giacomo (anche se è interessante rilevare che il riconoscimento avvenne in modo informale e non definitivo e avvenne per la lunga tradizione della sua venerazione e non per i fatti che abbiamo trattato) mi pare importante riportare una notizia scritta in due lettere di padre Giovanni Antonio M. Iaclini e trascritte da Fiorenzo Canuti nel suo ”Documenti per la vita e per il culto del B.Giacomo Villa”: una del 12 Febbraio 1728 indirizzata al suo procuratore per il riconoscimento dello stato di beato: “ Mons.Vescovo 16...Mi disse che anni sono aveva veduto nel suo Archivio li decreti fatti in una Visita
Apostolica fatta poco dopo il 1600 di ordine di Clemente VIII, o di Urbano VIII, tra i quali decreti vi si trovava ancor questo che il Corpo di questo Beato fosse levato dall’altare e sepolto sotto terra, e smorzata la lampada e levato ogni culto; che dopo aveva diverse volte ricercati questi decreti per rivederli, ma che non si erano più ritrovati, e gli avevano esibita un’altra copia dei medesimi senza questo decreto in particolare del B. Giacomo” la nota continua con le rimostranze fatte da Iaclini al Vescovo e conclude il discorso con :” Ne esso rispose più altro”.
E l’altra allo stesso Procuratore del 5 Marzo 1728: “ ... Primariamente questo Mons. Vescovo, signore già cadente per la sua età avanzata e tenacissimo nei suoi sentimenti e nelle sue opinioni, ha tornato a mettere in campo la difficoltà, che questa causa stante l’aver veduto tra i decreti di una visita apostolica ancor quello che il corpo del Beato si nascondesse sotto terra e si spegnesse la lampada, ecc.; ed al più a chi lo prega o a chi li discorre in questo particolare risponde che aspettiamo che sia morto, mentr’esso che ha veduto con li propri occhi questo decreto, benché adesso più non si trovi nella sua Cancelleria, pure non potrà mai fare a meno di non aver sempre una somma difficoltà in questa causa.”
L’unica osservazione che mi sento di fare in merito è che mi pare che padre Iaclini abbia un comportamento poco cristiano dichiarando il proprio vescovo di fatto rincretinito per l’età e per gli acciacchi solo perché aveva espresso una opinione diversa dalla sua. Basta ricordare, come detto in nota, che il Vescovo di cui si parla era Fausto Guidotti, un vescovo famoso ed insigne matematico e soprattutto grande conoscitore della storia della Chiesa. Solo due anni prima degli scritti di Iaclini era intervenuto al sinodo romano indetto da Benedetto XIII dove intervenne autorevolmente più volte e venne consultato dalle diverse sante congregazioni.
Comunque, da profano della materia mi viene alla mente un quesito:
Perchè sono stati “dichiarati” santi tanti personaggi che la storia ci tramanda come infami o ci ricorda che abbiano commesso atti non proprio d’amore cristiano (abbiamo citato il Bernardino, ma con lui si può citare Cirillo d’Alessandria che fece scarnificare viva la grande matematica Ipazia, o, senza andare lontano, basta pensare a Aloysius Stepinac, vescovo cattolico, complice dei più atroci misfatti nazi-fascisti in Croazia durante il regime di Ante Pavelic dal 1941 al 1945 fatto beato nel 1998 da Giovanni Paolo IIII) e non sia stato dichiarato beato un uomo che sacrificò la propria vita (non quella degli altri) per aiutare i poveri e i malati?
In conclusione le nostre ricerche, crediamo, hanno dimostrato abbastanza chiaramente che i vescovi di Chiusi nulla hanno a che vedere con la morte di Giacomo Villa e che tale accusa deriva dalla rivalsa contro chi aveva scomunicato la città di Castel della Pieve.
Che Giacomo Villa sia vissuto da sant’uomo in un epoca terribile, carica di violenza, e che soffrì il martirio per aver cercato il trionfo della giustizia in favore dei poveri è certamente vero, ma ciò non giustifica le accuse infamanti che hanno colpito il vescovo di Chiusi.
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Fausto Guidotti, nato ad Offida nel 1655, fu eletto vescovo di Città della Pieve il 26 Gennaio 1711 e morì il 6 Dicembre 1731: Cappelletti Giuseppe ne “Le chiese d’Italia – volume 5 – pag 268 scrive :” uomo di molto valore e che godeva somma riputazione.”.
Fiorenzo Canuti, nella sua “Nella Patria del “Perugino”. Note d’arte e di storia su Città della Pieve” Scuola tipografica orfanatrofio S.Cuore, Città di Castello, 1926, peg.201, scrive:” Nato ad Offida in diocesi di Ascoli Piceno, dottore in ambe le leggi, uditore del Cardinal Fabrizio Paolucci, quando fu promosso alla sede vescovile di Città della Pieve, il 26 gennaio 1711, aveva l’età di 55 anni. Fu uomo dotto, in modo particolare nelle matematiche, da essere reputato in questa disciplina uno dei più eminenti. Fu anche celebre Oratore e Storico. Nel 1721 celebrò il Sinodo Diocesano, e nel 1725 prese attiva parte al Sinodo Romano. _Nel 1731 il Signore lo chiamò a sé e fu seppellito nella nostra Chiesa Cattedrale.”
Antonio Baglioni nella sua “Città della Pieve illustrata” a pag.354 scrive: “il Guidotti in Roma veniva reputato il primo matematico dei suoi tempi, e come uno dei principali conoscitori della storia della Chiesa : spesso veniva consultato dalle diverse s.Congregazioni per gli affari ecclesiastici nel Sinodo Romano celebratodal S.P. Benedetto XIII, fu esso uno dei più celebri oratori.”
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Finisco riportando un fatto che, usando un linguaggio che non mi è consueto, si può considerare un vero e proprio miracolo fatto dal Beato Giacomo : il 15 Gennaio 2013, durante i festeggiamenti del Beato, a Città della Pieve si sono ritrovati insieme nella chiesetta che porta il suo nome, nonostante il loro acerbo antagonismo, le comunità di Chiusi e di Città della Pieve, la Misericordia di Chiusi e le cinque Misericordie di Città della Pieve e i tre Terzieri di Città della Pieve (Casalino, Castello e Borgo Dentro).
Queste , ripeto, sono le mie conclusioni, che come tutte le conclusioni si basano sui dati raccolti e quindi sono opinabili in presenza di nuove acquisizioni, e chi eventualmente leggerà queste note potrà esprimere un suo giudizio documentato su quanto è oggi conosciuto in materia, il resto è fede e quindi al di fuori delle mie competenze in quanto la fede come tale è personale e quindi non soggetta ad analisi o a discussioni, ma è bene ricordare che invece la storia si!
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