• Non ci sono risultati.

L’inizio della legislazione antiriciclaggio nazionale è individuabile con due decreti legge della fine degli anni ‘70 – il D.L. 21 marzo 1978, n. 59, convertito con modificazioni dalla L. 18 maggio 1978, n. 191 e il D.L. del 15 dicembre, n. 625, convertito con modificazioni dalla L. 6 febbraio 1980, n. 15 – che introdussero da una parte l’articolo 648-bis nel codice penale, volto a reprimere la “sostituzione di                                                                                                                

98 I prossimi paragrafi verteranno sui principi generali che governano la materia, sacrificando l’elencazione

completa di tutti i provvedimenti al fine di una più efficace trattazione del tema. Non a caso in riferimento all’elevato numero di provvedimenti, si legge «un corpus di disposizioni alquanto articolato e complesso, con

inevitabili refluenze – almeno in alcuni punti ed in taluni passaggi – sul piano della coerenza e su quello della funzionalità in relazione agli obiettivi prefissati», cit. di URBANI A., op. cit., pag. 58.

99 Cfr. art. 5 TUB, rubricato “Finalità e destinatari della vigilanza”: «Le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti dal presente decreto legislativo, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all'osservanza delle disposizioni in materia creditizia».

denari o valori”, e dall’altra i primi obblighi di identificazione da parte di aziende,

istituti di credito e uffici della Pubblica Amministrazione, dei soggetti richiedenti operazioni di prelevamento o di versamento di denaro per importi superiori ad una determinata soglia. Ufficialmente, però, il nomen iuris di riciclaggio entra nel nostro sistema giuridico solo con la Legge 19 marzo 1990, n. 55 che modificò la rubrica del prima citato articolo 648-bis c.p. con l’espressione appunto “Riciclaggio”.

Gli anni che seguirono la Legge n. 55/90, furono assai ricchi di interventi del legislatore, al fine di rispondere sia alle urgenze nazionali (in questo senso, infatti, si parla di “norme d’urgenza”, in quanto alimentate dalle proteste dell’opinione pubblica contro i cruenti episodi di mafia avvenuti tra gli anni ’80 e ’90) sia ai doveri internazionali.

Occorre, però, rilevare come nell’ordinamento italiano siano due i profili d’indagine contro il reato in esame: il primo, cui prima si accennava, se ne occupa in un’ottica repressiva con l’introduzione di specifici articoli ad hoc nel codice penale, mentre il secondo risponde a logiche di tipo preventivo, con il varo di

corpus normativi che in estrema sintesi possiamo ricondurre alla concetto di “leggi

antiriciclaggio”.

2.2.1 Il profilo penale

La prima versione dell’art. 648-bis del c.p., volto a reprimere il fenomeno del riciclaggio, risale al 1978101: rubricato “Sostituzione di denaro o valori                                                                                                                

provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione”, configurava il reato in oggetto solamente per le fattispecie

presupposto appena elencate102. Un primo importante aggiornamento si ebbe con la già citata Legge n. 55/90, che agì su più fronti: in primis, appunto, introdusse il

nomen iuris “Riciclaggio” all’art. 648-bis, integrandone altresì il numerus clausus

dei reati presupposto con i proventi derivanti dal narcotraffico, mentre in secundis aggiunse l’art. 648-ter, che puniva quelle attività volte ad impiegare denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita103.

La seconda tappa di avvicinamento all’odierna versione, invece, è identificabile con la Legge del 9 agosto 1993, n. 328 che, in ossequio alle

                                                                                                               

102 L’art. 648-bis del D.L. 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 maggio 1978, n.

191, recitava: «Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque compie fatti o atti diretti a sostituire denaro o

valori provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata o di sequestro di persona a scopo di estorsione, con altro denaro o altri valori, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di aiutare gli autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il profitto del reato, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da lire un milione a venti milioni». Sul tema, si veda CASTALDO A.R. e NADDEO M., Il denaro sporco – Prevenzione e repressione nella lotta al riciclaggio, Padova, 2010, pag. 66 e ss.

103 La formulazione dell’art. 648-bis è così cambiata in “Riciclaggio – Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, con altro denaro, altri beni o altre utilità, ovvero ostacola l'identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.”

L’art. 648-ter invece: “Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita – Chiunque, fuori dei casi di

concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni.

indicazioni comunitarie104, abbandona l’elencazione di reati presupposto per applicare una formula onnicomprensiva, ovvero «qualsiasi delitto non colposo»105. Come si può notare perciò, la tendenza del legislatore è di ampliare sempre più il perimetro della configurabilità del reato in modo da rispondere agli inevitabili adeguamenti procedurali delle organizzazioni criminali. In tal senso, però, i tempi non sono ancora maturi per la penalizzazione dell’altro grande tema che cominciava ad affiorare nelle cronache giudiziarie: l’autoriciclaggio rimane, infatti, ancora non punibile in quanto si pensava che la pena prevista per la «sostituzione o

il trasferimento di denaro, beni o altre utilità ovvero il compimento di operazioni atte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa» fosse già di per sé

sufficiente, in accordo con il principio di non punibilità del post factum, ovvero

                                                                                                               

104 In particolare, CONSIGLIO DE’EUROPA, “Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato” n. 141, Strasburgo, 8 novembre 1990 e CONSIGLIO DEI MINISTRI

DELL’UNIONE EUROPEA, Direttiva n. 166, 10 giugno 1991.

105 Si allarga enormemente la platea dei reati presupposti, identificandoli così in tutti quei delitti dolosi,

commessi cioè intenzionalmente dal reo. Il testo dell’articolo 648-bis, varia ulteriormente, diventando: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.” Parimenti, anche il testo dell’articolo 648-ter cambia in: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'articolo 648. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.”

delle condotte considerate in continuità con l’illecito principale, e del ne bis in

idem, in quanto duplicazione della punizione per il reo dello stesso reato106.

L’ultimo step evolutivo è, infine, rappresentato dalla Legge del 15 dicembre 2014, n. 186 che penalizza finalmente il reato dell’autoriciclaggio ai sensi dell’art. 648-ter1 del c.p., perseguendo chi reimmette nel circuito economico, finanziario, imprenditoriale e speculativo il frutto delle proprie attività illecite107. In tale contesto però, non sono rilevanti le condotte destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale, superando in tal modo i principi della non punibilità del post

factum e del ne bis in idem prima accennati108.                                                                                                                

106 RAZZANTE R., L’autoriciclaggio e i rapporti con i reati presupposto, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2014, pag. 19 ss.

107 Il testo ad oggi, ottobre 2016, dell’articolo 648-ter1 è: “Autoriciclaggio” – “Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.

Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.

La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.”  

108 RAZZANTE R., L’autoriciclaggio si misura con il principio di irretroattività della legge penale, in Rivista Quadrimestrale di Diritto, Procedura e Legislazione Penale Speciale, Europea e Comparata, fascicolo n. 2,

2016, pag. 4 e 5; per una critica all’impunibilità per le condotte finalizzate al mero utilizzo o godimento personale, si veda SGUBBI F., Il nuovo delitto di “Autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti

2.2.2 Il profilo amministrativo e preventivo

Il secondo profilo d’indagine è rappresentato dalla ricerca di una risposta organica al fenomeno del riciclaggio; se in prima battuta si agì sul piano penale109, la presa di coscienza della dimensione del fenomeno tale da inquinare l’economia reale e alterare le libere dinamiche di mercato, obbligò il legislatore a predisporre un sistema amministrativo con strumenti di tipo preventivo rispetto al problema110. In quest’ottica si varò, così, la legislazione antiriciclaggio nazionale con il Decreto Legge 3 maggio 1991, n.143, convertito, con modificazioni, dalla Legge 5 luglio 1991, n. 197, in quegli anni certamente pioneristica rispetto alle previsioni normative degli altri Stati; questa fu fonte d’ispirazione per la prima Direttiva antiriciclaggio europea dello stesso anno, tanto che si rese necessario recepirla solamente cinque anni dopo, nel 1997 con il Decreto Legislativo 26 maggio 1997, n. 153111.

La portata innovatrice della Legge 197/91 fu tale che ancora oggi quando si parla di legislazione antiriciclaggio nazionale si fa riferimento principalmente a                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     perversi” dell’azione legislativa, in Rivista Trimestrale di Diritto Penale Contemporaneo, n.1, 2015, pag. 137

ss.

109 Cfr. supra, cap. 2, par. 2.2.1.

110 Sulla reiterata importanza dell’affiancamento ai dettati penali di una normativa di tipo amministrativo-

preventivo, si veda CASTALDI G., Il D. Lgs. 231/2007 e la normativa d’attuazione. Il contributo dell’UIF alla

lotta alla corruzione, in occasione del Convegno intitolato Riciclaggio e corruzione. Prevenzione e controllo tra fonti interne e internazionali, in particolare: «E’ opinione comune che la lotta alla corruzione e al riciclaggio non possa essere delegata al solo diritto penale, ma vada effettuata anche sul piano amministrativo e finanziario, con strumenti che consentano di prevenire o intercettare le condotte criminali là dove esse si manifestano con maggiore frequenza e intensità, cioè all’interno delle istituzioni e dei mercati», nell’intervento

tenuto a Courmayeur, 28-29 settembre 2012, pag. 3.

111 Sul tema, URBANI A., op.cit., pag. 66; inoltre basti ricordare l’intitolazione del decreto legislativo n.

153/1997: “Integrazione dell'attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di

questa – così da differenziarla dai successivi decreti di recepimento delle Direttive europee. La struttura della “legge antiriciclaggio” era divisa in tre Capi:

I. dall’art. 1 all’art. 5 vi erano le prescrizioni generali dirette al contrasto al riciclaggio;

II. dall’art. 6 all’art. 8 si trattava la platea dei soggetti obbligati, tra i quali anche gli intermediari non bancari;

III. dall’art. 9 all’art. 14 invece, erano collocate disposizioni eterogenee volte a regolare determinati aspetti specifici (per es. l’utilizzo abusivo della carte di credito, oppure i compiti del collegio sindacale in tema antiriciclaggio). Nel corso dei numerosi successivi aggiornamenti e rivisitazioni, solo il primo Capo ha mantenuto per più anni una propria “autorevolezza” – subendo solo delle integrazioni – grazie alla presenza di principi fondanti della materia. Il secondo Capo, infatti, è stato abrogato e fatto confluire nel Testo Unico Bancario già nel 1993, Titolo V (artt. 106-114), mentre il terzo dapprima ha subito molteplici sostanziali variazioni112 e poi è stato integralmente inglobato nel d. lgs. 231/2007; propedeutica alla spiegazione della normativa in vigore, la legge 197/91 merita pertanto una breve spiegazione.

I principi fondanti cui si faceva riferimento e che rimangono protagonisti dell’ordinamento ancor oggi – seppur con i relativi aggiustamenti – sono i cosiddetti “tre pilastri”:

                                                                                                                112 URBANI A., op.cit., pag. 68.

1) Art. 1: “canalizzazione bancaria delle operazioni”, volto a dissuadere dall’utilizzo del contante (e assimilabili) oltre una certa soglia e ad incentivare l’uso di mezzi idonei a “lasciare traccia”113.

2) Art. 2: “obblighi di identificazione della clientela e di registrazione delle

operazioni”, per i soggetti che attuano operazioni finanziarie di importo

superiore ad una determinata soglia.

3) Art. 3: “obblighi di segnalazione di operazioni sospette”, quindi la segnalazione da parte degli intermediari alle relative autorità competenti dei soggetti che effettuano operazioni e che, indipendentemente dal loro valore, inducano a ritenere «che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle

operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale».

Come si può constatare dalla citazione sopra riportata, paradossalmente la Legge 197/1991 non conteneva una definizione del reato di riciclaggio, rimandando per la stessa ai due sopracitati articoli del codice penale: all’epoca, tra l’altro, questi annoveravo ancora un numerus di reati presupposto molto limitato e solo due anni più tardi, nel 1993, si arrivò ad una formulazione che permettesse una copertura onnicomprensiva dei reati di primo livello114.

Gli anni che seguirono videro numerosi interventi legislativi, in armonia con i nuovi orientamenti comunitari e internazionali115. Tra le novità più significative apportate dal legislatore, sicuramente degna di nota è l’estensione dei soggetti                                                                                                                

113 La soglia limite per il trasferimento del contante e degli altri strumenti è peraltro soggetta a continui

cambiamenti, tanto da rendere, in tale contesto, superfluo una puntuale individuazione delle stesse.

114 Vedi supra, capitolo 2, par. 2.2.1.

destinatari della disciplina antiriciclaggio, nello specifico tramite il d. lgs. 25 settembre 1999, n. 374 e il d. lgs. 20 febbraio 2004, n. 56116. Sono gli anni in cui si pose un freno a settori che, anche se marginalmente finanziari – o che addirittura non rientravano nemmeno latu sensu nel novero degli stessi (emblematico fu il caso delle fiches del casinò) – fossero privi degli obblighi operanti sugli altri intermediari vigilati e quindi potenzialmente utilizzabili dai criminali, sfruttando altresì il segreto professionale alla base di numerosi codici deontologici. Inoltre, dopo l’11 settembre 2001 il fenomeno del terrorismo e del suo finanziamento diventarono temi caldi tanto che venne deciso di accorpare le due materie in un unico corpus normativo, come testimoniato dalla Direttiva n. 2005/60/CE.

Quest’ultima è stata recepita in Italia con il d. lgs. 231 del 2007 e apporta significativi cambiamenti rispetto alla “legge antiriciclaggio” del 1991. In prima istanza subito dopo l’art. 1 – dove si trovano molte definizioni di carattere generale atte a meglio definire i concetti alla base dei successivi articoli (mutuando così una struttura normativa tipicamente anglosassone) – all’art. 2 fornisce una nuova definizione del fenomeno del riciclaggio, unendolo a quello del finanziamento del terrorismo; qui nell’incipit si legge «Ai soli fini del presente decreto le seguenti

azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio [...]» ed è

interessante – o meglio lo era fino a qualche tempo fa, come si dirà fra poco – rilevare la sottile differenza tra questa definizione e quelle rinvenibili nel codice penale, agli artt. 648-bis e 648-ter. In quest’ultimi, come già visto, il reato                                                                                                                

116 D. lgs. 25 settembre 1999, n. 374: “Estensione delle disposizioni in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita ed attività finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio, a norma dell'articolo 15 della legge 6 febbraio 1996, n. 52”. D. lgs. 20 febbraio 2004, n. 56: “Attuazione della direttiva 2001/97/CE in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attività illecite”.

dell’autoriciclaggio non era infatti contemplato, mentre tramite la formula reiterata lungo tutto il comma 1 «da una [oppure la] partecipazione a tale attività» il d. lgs. 231/2007 annovera altresì la fattispecie in argomento. In questo modo, a partire dal 2007 si hanno due distinte definizioni di riciclaggio, a seconda del contesto applicativo del caso – quindi ad esempio, il giudice penale doveva applicare la definizione ex artt. codice penale, mentre un dipendente di banca doveva riferirsi a quella del decreto 231/2007. Questo doppio binario di valutazione, però, si è da poco ricongiunto grazie all’introduzione dell’art. 648-ter1, inserito per mezzo dell’art. 3 comma 3 della L. 15 dicembre 2014, n. 186, in vigore dal 1 gennaio 2015.

Precisata questa sfumatura non di poco conto, all’art. 3 troviamo una serie di principi generali, in parte già previsti dalla II Direttiva117: «[...] collaborazione

attiva da parte dei destinatari delle disposizioni in esso previste, i quali adottano idonei e appropriati sistemi e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione delle operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e di gestione del rischio, di garanzia dell'osservanza delle disposizioni pertinenti e di comunicazione per prevenire e impedire la realizzazione di operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo [...]». Da sottolineare è il principio della “collaborazione attiva” che

obbliga ad implementare sistemi e attuare procedure al fine di far emergere le possibili operazioni di riciclaggio, rendendo così protagonisti gli stessi soggetti destinatari della disciplina nella lotta al fenomeno. D'altronde chi meglio di loro                                                                                                                

117 Come meglio si vedrà infra, cap. 2, par. 2.3.2, è la Direttiva 4 dicembre 2001, n. 97, recepita in Italia con il

può agire in prima linea visto il patrimonio informativo di cui dispongono; inoltre, in maniera complementare, si prevede la “collaborazione passiva” la quale non implica nessun tipo di valutazione, ma consiste nella semplice raccolta e registrazione di dati. Infine, altro principio cardine è quello riguardante la “proporzionalità”, che pervade anche molti altri testi normativi. Allo stesso comma 3 dell’art. 3, si precisa, infatti, che gli strumenti utilizzati per il contrasto al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo devono essere proporzionati al rischio risultante dalla tipologia di cliente, dal tipo di operazione-prestazione e dal tipo di rapporto continuativo118.

Gli artt. 5 e ss. riguardano il nuovo assetto delle autorità preposte alla lotta del riciclaggio; in questa sede basti ricordare che se fino al 2007 l’autorità centrale preposta a livello nazionale era l’Ufficio Italiano dei Cambi (UIC), con l’avvento del nuovo decreto 231/2007, questo è stato soppresso e sostituito dall’Unità di Informazione Finanziaria (UIF)119.

Prima di passare alla disciplina vera e propria del Titolo II, un’ultima nota meritano gli artt. 10 ss, che costituiscono la lista dei soggetti destinatari della disciplina. Nonostante la platea degli stessi fosse via via già stata allargata fin dal

                                                                                                               

118 Stiamo trattando quindi del risk based approach, che vedremo meglio infra, cap. 2, par. 2.3.3.

119 La UIF è incorporata all’interno della Banca d’Italia, ma gode di una totale autonomia e indipendenza; recita

così, infatti, l’art. 6, c. 2 del d. lgs. 231/2007: «La UIF esercita le proprie funzioni in piena autonomia e

indipendenza. In attuazione di tali principi la Banca d'Italia disciplina con regolamento l'organizzazione e il