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La (il)legittimità costituzionale della legge urbanistica fondamentale – Vincoli conformativi e vincoli espropriat

Capitolo II: La giurisprudenza della Corte Costituzionale

2) La (il)legittimità costituzionale della legge urbanistica fondamentale – Vincoli conformativi e vincoli espropriat

La Corte, a seguito di questa sentenza, si trova ben presto a fare i conti con il sollevamento di questioni di costituzionalità riguardanti l’art. 7 della legge urbanistica del 1942 con riferimento ai punti 2, 3 e 4 i quali consentono al piano regolatore comunale di porre diversi tipi di vincoli alla proprietà. Spesso essi pongono infatti veri e propri vincoli di inedificabilità sui terreni, sulla base di scelte apparentemente arbitrarie dell’amministrazione che pianifica, e per di più senza la previsione di indennizzo a favore dei proprietari, creando profonda disuguaglianza tra essi.

31 In un primo momento la Corte difende i vincoli posti negli

strumenti urbanistici in quanto posti in base ad una legge che “è stata emanata per dare disciplina unitaria, su scala nazionale, ad una materia che, in precedenza e in tempi diversi, aveva formato oggetto di una legislazione differenziata, riguardante i maggiori centri abitati, con gli inconvenienti rilevati dalla dottrina e dalla pratica”41 e perciò nell’ottica di un’armonizzazione dello sviluppo del territorio. In definitiva questi vincoli inizialmente vengono fatti rientrare nell’art. 42, secondo comma della Costituzione (conformazione della proprietà) e non nel terzo comma.

La svolta nell’orientamento della Corte Costituzionale si ha con la sentenza 55 del 1968, tacciata dalla dottrina dell’epoca come del tutto rivoluzionaria, fatta eccezione per il professor Sandulli, Presidente di quella Corte, il quale in un’intervista affermò che “solo chi non sia bene informato

41 Corte Costit. 14 maggio 1966, n. 38. Nella stessa sentenza viene anche

ritenuta infondata la questione relativa alla violazione, con riguardo all’art. 7, punto 2 della legge urbanistica del ’42, della riserva di legge posta dall’art 42, II, della Costituzione. “l'art. 42. concernente il

godimento e l'utilizzazione dei beni, demanda al legislatore ordinario, al pari dell'art. 41, la normazione relativa a posizioni subiettive ritenute costituzionalmente rilevanti, con la possibilità che la disciplina concreta delle medesime sia attribuita alla pubblica Amministrazione.

Ora, é noto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, formatasi specialmente in riferimento all'art. 23 ed al citato art. 41, tale attribuzione di potere é da ritenere legittima, qualora, nella legge ordinaria, siano contenuti elementi e criteri idonei a delimitare chiaramente la discrezionalità dell'Amministrazione”. La Corte prosegue

il suo ragionamento affermando, in riferimento alla discrezionalità lasciata all’amministrazione comunale dalla legge urbanistica, che “non

si tratta di discrezionalità indiscriminata ed incontrollabile - come si assume nelle ordinanze e si sostiene dalle parti private - bensì di discrezionalità tecnica. La quale, secondo il concetto espresso da questa Corte con le sentenze n. 122 del 1957 e n. 48 del 1961, essendo condizionata da elementi di valutazione di carattere tecnico, importa che l'attività normativa devoluta all'Amministrazione (nella specie ai Comuni), si deve svolgere entro determinati confini di carattere obbiettivo, e che, per ciò stesso, rimane, sotto questo aspetto, delimitata nella libertà dell'apprezzamento”. Pertanto la riserva di legge non risulta

32 può parlare, a proposito della recente sentenza 55, di

fulmine a ciel sereno e di sentenza bomba. Essa rappresenta infatti (e la parte più attenta di quella stessa stampa che se ne è mostrata allarmata non ha mancato di rilevarlo) nient'altro che la applicazione e lo svolgimento di principi già affermati da anni dalla Corte”42.

Il caso di specie riguardava il piano regolatore di Palermo, il quale conteneva ai sensi dell’art. 7 della legge urbanistica, “l'indicazione del caratteri e dei vincoli di zona da osservare nell'edificazione nonché l'indicazione delle aree destinate a formare spazi di uso pubblico e di quelle riservate a verde pubblico, a verde privato, a verde agricolo o ad edificazione di interesse pubblico (edilizia scolastica, conservazione di edifici storico - monumentali, eccetera)”. Come primo motivo di incostituzionalità, il pretore di Palermo adduce l'indeterminatezza dei criteri e delle modalità della disciplina urbanistica di cui all'art. 7, per cui non potrebbe ritenersi osservato l'art. 42, commi secondo e terzo, della Costituzione, che riserva alla legge di regolare compiutamente l'esercizio di detto potere di disciplina. Tale questione, legata al rispetto del principio della riserva di legge posto dall’art. 42 della Costituzione, viene liquidata rapidamente dalla corte richiamando la precedente sentenza 38 del 1966, secondo la quale la riserva di legge è rispettata in quanto all’Amministrazione che pianifica non residua una discrezionalità incontrollata e incontrollabile, ma solo una discrezionalità tecnica.

Entrambe le ordinanze devolvono alla Corte altra questione così puntualizzata: “se la mancanza di previsione nella legge

42 E. CAPOCELATRO, Intervista con il Presidente della Corte

Costituzionale, in “L’astrolabio”, n. 27, luglio 1968, ora in “Urbanistica”

33 urbanistica, di un termine finale di effettiva operatività del

vincoli riconducibili nell'ambito delle disposizioni di un piano regolatore generale e, nello stesso tempo, l'operatività immediata, senza il riconoscimento di alcun compenso, dei vincoli imposti dal piano stesso - taluni ordinati al mantenimento obbligatorio dell'attuale utilizzazione privata o alla realizzazione obbligatoria di una diversa utilizzazione privata, altri ordinati a future destinazioni concrete, da realizzare attraverso interventi pubblici incerti an e quando - siano conformi all'art. 42, terzo comma, della Costituzione che condiziona l'assoggettamento a espropriazione della proprietà privata, per motivi d'interesse generale, all'attribuzione di un corrispondente indennizzo”.

La situazione censurata era la seguente: i piani regolatori, secondo la legge urbanistica del 1942, pongono vincoli preordinati all’esproprio, la cui attuazione è cioè demandata a un momento successivo – piano esecutivo, dichiarazione di pubblica utilità – nel quale si inquadreranno effettivamente le aree e si procederà all’effettiva espropriazione. Tali vincoli sono efficaci fin dal momento dell’approvazione del piano regolatore generale perché è da quel momento che l’area risulta inedificabile da parte del privato; nondimeno l’indennizzo è garantito solo al momento dell’effettiva espropriazione, con la conseguenza che, se per una qualsiasi ragione, non si arrivi al piano particolareggiato, i proprietari si troveranno a possedere terreni sottoposti ad inedificabilità a tempo indeterminato e senza previsione di indennizzo.

La situazione appena descritta, se si aggiunge il fatto che, per motivi essenzialmente economici, l’istituto del piano particolareggiato non ha avuto che poche applicazioni in

34 Italia, si trova in palese contrasto con l’art. 42 della

Costituzione.

E infatti, “premesso che l'istituto della proprietà privata è garantito dalla Costituzione e regolato dalla legge nei modi di acquisto, di godimento e nei limiti, la Corte ha osservato che tale garanzia è menomata qualcosa singoli diritti, che all'istituto si ricollegano (naturalmente secondo il regime di appartenenza dei beni configurato dalle norme in vigore), vengano compressi o soppressi senza indennizzo, mediante atti di imposizione che, indipendentemente dalla loro forma, conducano tanto ad una traslazione totale o parziale del diritto, quanto ad uno svuotamento di rilevante entità ed incisività del suo contenuto, pur rimanendo intatta l'appartenenza del diritto e la sottoposizione a tutti gli oneri, anche fiscali, riguardanti la proprietà fondiaria. Anche tali atti vanno considerati di natura espropriativa.

La Corte ha, peraltro ritenuto che il principio della necessità dell'indennizzo non opera nel caso di disposizioni le quali si riferiscano a intere categorie di beni (e perciò interessino la generalità dei soggetti), sottoponendo in tal modo tutti i beni della categoria senza distinzione ad un particolare regime di appartenenza.” Tuttavia, la Consulta precisa che il diritto di proprietà non può essere inteso in modo assoluto, nel senso che al suo titolare è consentito esercitarlo non tenendo conto degli interessi della collettività. Infatti “secondo i concetti, sempre più progredenti, di solidarietà sociale, resta escluso che il diritto di proprietà possa venire inteso come dominio assoluto ed illimitato sui beni propri, dovendosi invece ritenerlo caratterizzato dall'attitudine di essere sottoposto nel suo contenuto, ad un regime che la Costituzione lascia al legislatore di determinare. Nel determinare tale regime, il legislatore può persino escludere

35 la proprietà privata di certe categorie di beni, come pure può

imporre, sempre per categorie di beni, talune limitazioni in via generale, ovvero autorizzare imposizioni a titolo particolare, con diversa gradazione e più o meno accentuata restrizione delle facoltà di godimento e di disposizione. Ma tali imposizioni a titolo particolare non possono mai eccedere, senza indennizzo, quella portata, al di là della quale il sacrificio imposto venga a incidere sul bene, oltre ciò che è connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell'attuale momento storico. Al di là di tale confine, essa assume carattere espropriativo”.

La Corte si preoccupa di esemplificare alcune limitazioni del diritto di proprietà alle quali non deve corrispondere indennizzo, inserendo in detta categoria quelle che possono esser considerati connessi e connaturali a detta proprietà, in quanto hanno per scopo una disciplina dell'edilizia urbana nei suoi molteplici aspetti (inerenti all'intensità estensiva e volumetrica, alla localizzazione, al decoro e simili), ma anche “l'assoggettamento a vincolo di immodificabilità per la limitata durata (purché ragionevole) del piani particolareggiati, di quelle aree che i piani stessi destinano al trasferimento in vista delle programmate trasformazioni o diverse utilizzazioni”.

Peraltro la Consulta si trova ad affrontare una questione di diverso tenore: se siano legittime le limitazioni preclusive di edificabilità poste al momento dell’approvazione del piano, ma in funzione di una attuazione futura ad opera di strumenti esecutivi, in mancanza della previsione di un indennizzo. “Se, come si è più sopra ricordato, la legge urbanistica prevede l'indennizzo secondo il valore venale per gli immobili dei quali viene imposto il trasferimento per finalità urbanistica - con ciò stesso dando una certa

36 configurazione alla proprietà urbana del singoli - , è evidente

il contrasto di ciò col mancato indennizzo delle diminuzioni imposte per la medesima finalità alla proprietà privata senza operare un trasferimento, ovvero in attesa di operare un trasferimento incerto nel se e nel quando".

Una volta ammessa l’indennizzabilità di tali vincoli, la problematica da risolvere è quella legata al tempo dell’indennizzo; richiamando un proprio precedente43, la Corte afferma che i tempi delle espropriazioni e realizzazioni rappresentano, nel sistema, una garanzia essenziale e pertanto l’indennizzo “dev'essere razionalmente riferito a punti cronologici di operatività, senza creare vuoti che disgiungano illimitatamente la sottomissione immediata del bene dal compenso per la sua perdita”.

Una volta enunciati i vari principi di diritto, la Corte si preoccupa della loro applicazione al caso concreto e quindi della legittimità dell’art. 7, punti 2, 3 e 4 della legge urbanistica.

I giudici costituzionali rilevano che “l'art. 7 contempla, nella sua articolata formulazione, un complesso di imposizioni, immediatamente operative, tutte collegate dal fine della legge (art. 1) di dare assetto ai centri abitati: tra le quali imposizioni sono sicuramente comprese, sia ipotesi di vincoli temporanei (ma di durata illimitata), preordinati al successivo (ma incerto) trasferimento del bene per ragioni di interesse generale, sia ipotesi di vincoli che, pur consentendo la conservazione della titolarità del bene, sono tuttavia destinati a operare immediatamente una definitiva incisione profonda, al di là del limiti connaturali, sulla facoltà di utilizzabilità sussistenti al momento dell'imposizione.

37 Tutto ciò senza la previsione di indennizzo, ed anzi, nel senso

che si è detto, con una previsione del contrario (art. 40), tanto nel caso di vincoli di durata, predisposti in correlazione a trasferimenti di proprietà differiti (ma incerti an e quando), quanto nel caso di vincoli immediatamente definitivi inerenti a proprietà non destinate a esser trasferite”.

In sostanza, mentre i numeri 3 e 4 dell’art. 7 riguardano ben determinate indicazioni che devono essere contenute nel piano regolatore generale, il numero 2 mantiene una certa latitudine di contorni per quanto concerne la categoria dei vincoli di zona da osservare nell’edificazione. Se da una parte si ha la certezza che i vincoli di cui ai numeri 3 e 4 abbiano natura espropriativa, e di conseguenza non siano ponibili a tempo indeterminato e senza indennizzo, quelli di cui al numero 2 possono avere tale natura oppure no. Sono ad esempio ammesse senza indennizzo le limitazioni “che fissano gli indici di fabbricabilità delle singole proprietà immobiliari, anche quando tali indici possono assumere valori particolarmente bassi (come nel caso di edilizia urbana estensiva e persino rada, del tipo di costruzioni circondate da ampi e predominanti spazi verdi). Pur essendo imposte nei confronti di singoli beni, tali limitazioni sono da considerare, infatti, operate sulla base di quel carattere tradizionale e connaturale delle aree urbane, basato su quelle esigenze di ordine ed euritmia nell'edilizia di cui si è detto”. La Consulta però si spoglia correttamente, del compito di interpretare quale vincolo sia coessenziale al bene e quale preordinato all’esproprio; infatti spetta ai giudici ordinari, sulla base dei casi concreti, stabilire se un determinato vincolo rientri nella categoria dei vincoli di

38 zona, ovvero in una delle altre categorie previste dall’art. 7.44

Sulla base di questa lunga motivazione, la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale del numeri 2, 3, 4 dell'art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e dell'art. 40 stessa legge, nella parte in cui non prevedono un indennizzo per l'imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti del diritti reali, quando le limitazioni stesse abbiano contenuto espropriativo.