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Capitolo II: La giurisprudenza della Corte Costituzionale

3) Le reazioni alla sentenza n 55/

3a. Lo scorporo dello jus aedificandi dal diritto di proprietà Di fatto, attraverso questa sentenza, il giudice delle leggi fornisce la sua visione con riguardo al problema del cosiddetto contenuto minimo o essenziale del diritto di

44Peraltro, con la coeva sentenza n. 56, la Corte chiarisce e integra il suo

pensiero in tema di legittimità normativa di imposizione di vincoli: a differenza di quelli inseriti nello strumento urbanistico, esistono altre limitazioni al diritto di proprietà che nascono e sono inerenti direttamente al bene privato sia per le specifiche caratteristiche (ad esempio i beni paesaggistici, monumentali, archeologici) sia per obiettive condizioni che rapportano i beni privati con altri beni pubblici (ad esempio strade, cimiteri, postazioni militari), che impongono fasce di rispetto di assoluta e perpetua inedificabilità. Di fatto la sentenza n. 56 specifica meglio il concetto di vincoli conformativi escludendone l’indennizzabilità. “Nel merito la Corte rileva che i beni immobili

qualificati di bellezza naturale hanno valore paesistico per una circostanza che dipende dalla loro localizzazione e dalla loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge. Costituiscono cioè una categoria che originariamente è di interesse pubblico, e l’amministrazione, operando nei modi descritti dalla legge rispetto ai beni che la compongono, non ne modifica la situazione preesistente, ma acclara la corrispondenza delle concrete sue qualità alla prescrizione normativa. Individua il bene che essenzialmente è soggetto al controllo amministrativo del suo uso, in modo che si fissi in esso il contrassegno giuridico espresso della sua natura e il bene assuma l’indice che ne rivela all’esterno le qualità; e in modo che sia specificata la maniera di incidenza di tali qualità sull’uso del bene medesimo. L’atto amministrativo svolge, vale a dire, una funzione che è correlativa ai caratteri proprio dei beni naturalmente paesistici e perciò non è accostabile ad un atto espropriativo”. Perciò, sulla base di questa

decisione, vincoli conformativi non sono solo quelli di carattere più strettamente urbanistico indicati dalla sentenza n. 55, ma anche quelli connaturati alla struttura ed all’essenza del bene, che nasce già con la caratterizzazione che viene poi sancita dall’atto amministrativo.

39 proprietà; in particolare, assimilando la disposizione

precettiva relativa al vincolo di inedificabilità contenuta nei piani regolatori a garanzia degli standard urbanistici ad un procedimento ablatorio, elabora il principio dell’inerenza dello jus aedificandi al diritto di proprietà, considerandosi esso come contenuto essenziale del diritto di proprietà e come tale soggetto ad indennizzo.45

A questo punto il legislatore si trova di fronte ad un’alternativa: inserire una previsione espressa di indennizzo nella legge urbanistica, oppure inserire il fattore tempo con riguardo ai vincoli di natura espropriativa, ovvero stabilire il termine entro il quale le espropriazioni vanno eseguite. La legge 19 novembre 1968, n. 118746 precorre la seconda alternativa, stabilendo all’art. 2 che le previsioni di piano regolatore che assoggettano beni determinati a vincoli preordinati all’espropriazione o comportanti comunque inedificabilità hanno una durata quinquennale.47 Qualora entro cinque anni dall’approvazione del piano regolatore generale, non si giunga a quella dei piani particolareggiati di esecuzione, i vincoli in esame perdono efficacia.

45 Sull’inerenza dello jus aedificandi al diritto di proprietà si veda A.

TRAINA, Lo jus aedificandi è ancora connaturato al diritto di proprietà? In Riv. Giur. Ed., n. 5, 2013, p. 257

46 Chiamata “Legge tappo” in quanto aveva il compito di tappare le falle

lasciate aperte dalla sentenza della Corte Costit. n. 55, 1968

47L. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2: “Le indicazioni di piano regolatore

generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilita', perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L'efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione.

Per i piani regolatori generali approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge, il termine di cinque anni di cui al precedente comma decorre dalla predetta data”.

40 La legge fu emanata per superare il blocco della

pianificazione derivante dalla sentenza n. 55; data l’impraticabilità economica di un ricorso generalizzato all’indennizzo, si salvarono, con una soluzione che si pensava temporanea, i vincoli indicati nei piani regolatori generali attraverso la previsione della loro temporaneità, in attesa di una soluzione definitiva.

Dopo una serie di proroghe48, si pensò di aver risolto il problema attraverso la legge 28 gennaio 1977 n. 10, la quale trasformava la licenza edilizia in concessione, cioè subordinava l’autorizzazione a costruire al pagamento di due cospicui contributi, che avrebbero dovuto rappresentare il corrispettivo per il trasferimento, dal Comune al richiedente, della facoltà di edificare.

Per comprendere l’importanza che la dottrina del tempo conferì a questa legge, bisogna ricordare che le due sentenze della Corte Costituzionale n. 55 e n. 56 del 1968, sollevarono critiche accese e diffuse, e non poteva essere altrimenti data l'intrinseca opinabilità delle tesi sandulliane e l'impatto sociale ed economico che provocavano: in particolare, l'indebolimento del sistema di pianificazione del territorio in un momento in cui la speculazione edilizia raggiungeva, con il boom economico, il massimo livello di diffusione e di aggressività.

In particolare la Consulta abbraccia la tesi secondo cui il ripetuto impiego, nella Costituzione, dell’espressione

48 Legge 30 novembre 1973, n. 756. Attraverso essa il termine

quinquennale è prorogato fino alla nuova disciplina dei suoli e comunque per non più di due anni;

Legge 22 dicembre 1975, n. 696. Il termine di cui alla legge 1187/68, prorogato dalla legge 756/73, è ulteriormente prorogato di un anno fino alla nuova regolamentazione dei suoli;

Legge 24 gennaio 1977, n. 6. Ulteriore proroga di due mesi al termine previsto dalla legge 696/75.

41 “proprietà privata”, fa apparire illogico voler negare un

qualche significato sostanziale all’espressione stessa; da un siffatto punto di vista consegue che qualunque interpretazione che si intenda proporre dell’art. 42 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce che “la proprietà è pubblica o privata... la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge”, non potrebbe prescindere dal riconoscimento che ciò che la Costituzione vuole riconosciuto e garantito dalla legge ordinaria deve già avere, prima di questa, una sua identità e consistenza e non è quindi un entità assolutamente indeterminata nel suo contenuto, tale da poter essere conosciuta e definita solo a seguito della legge che se ne occupi.49 Un simile approccio ha trovato numerosi e validi sostenitori da parte di autori di quella che può essere considerata la “scuola napoletana” di cui Aldo Sandulli è da considerarsi l’esponente più insigne.50 Il portato fondamentale della richiamata dottrina sta non tanto nell’affermazione che, secondo la Costituzione, anche nel vigente ordinamento il diritto di proprietà deve trovare riconoscimento e garanzia,51 quanto in quella che ciò che la Costituzione vuole riconosciuto e garantito è un diritto

49 In questo senso A. SANDULLI, Profili costituzionali della proprietà

privata, Relazione tenuta a Verona al I convegno sulla proprietà fondiaria

nei Paesi del MEC, riprodotta in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975, p.27 ss.

50 Tra gli altri si veda G. D’ANGELO, Limitazioni autoritative della facoltà

di edificare e diritto all’indennizzo, Napoli, 1963; G. PALMA, Beni di interesse pubblico e contenuto della proprietà, Napoli, 1971; E.

GUICCIARDI, L’art. 42 della Costituzione e la svalorizzazione della

proprietà privata, in Riv. Giur. Edil., 1968, II, p. 93 ss.; F. BARTOLOMEI, L’espropriazione nel diritto pubblico, parte generale, I, Milano, 1965

51 Ciò infatti è generalmente riconosciuto: ma con la precisazione, da

parte di chi segue un orientamento opposto, che al legislatore ordinario deve ritenersi affidato un potere generale in ordine alla regolamentazione delle situazioni di appartenenza dei beni, non essendo rinvenibile nella Carta costituzionale un modello al quale il legislatore debba riferirsi (in tal senso D. IANNELLI, La proprietà costituzionale, Napoli, 1980).

42 avente un nucleo concettuale non eludibile, che può essere

identificato nell’appartenenza di un bene a un soggetto e nell’utilizzabilità del bene stesso da parte di colui cui appartiene; o, più sinteticamente, “nell’appartenenza di un bene a un soggetto ai fini dell’utilizzazione da parte di questo”52

Di contro, prendendo avvio da un articolo scritto da Motzo e Piras53, si era diffusa una concezione secondo la quale deve essere escluso ogni significato contenutistico dal richiamo costituzionale alla proprietà privata: affidando alla legge il riconoscimento di questa, la Costituzione attribuirebbe, relativamente ai tipi di cose considerabili quali oggetto di appropriazione da parte dei singoli, libertà piena al legislatore di stabilirne la disciplina positiva.54

Tale teoria ha alla base la configurazione della proprietà come pluralità di istituti anche grandemente diversi, richiamando in tal senso la tesi di Salvatore Pugliatti55, ma, in qualche modo, assolutizzandola. 56 Secondo questo orientamento, il diritto designato con l’espressione “proprietà privata” sarebbe solo un’astrazione, mentre positivamente esisterebbero solo le proprietà; di

52 Cfr. A. SANDULLI, opera cit.

53 G. MOTZO e A. PIRAS, Espropriazione e pubblica utilità, in Giur. Cost.,

1959, p. 151 ss.

54 Sul tema della contrapposizione degli orientamenti relativi alla

proprietà privata all’interno della Costituzione, si veda L. MAZZAROLLI,

Riconoscimento e garanzia della proprietà privata tra leggi di eversione e sentenze di salvaguardia, in Proprietà immobiliare. Pianificazione territoriale. Attività edilizia – Scritti vari di diritto urbanistico, Padova,

1999, p. 251 ss.

55 S. PUGLIATTI, La proprietà e le proprietà, con riguardo particolare alla

proprietà terriera, in Atti del terzo congresso nazionale di diritto agrario

(Milano 19-23 ottobre 1952), Milano, 1954, p. 46 ss.

56 Si veda L. CARIOTA FERRARA, Crisi della proprietà privata?, in Riv. Giur.

Edil. 1961, II, pp. 231 ss., il quale, nel criticare la soluzione pluralistica,

rimarca come lo stesso Pugliatti “nella sua illuminata prudenza” non si sia affatto pronunciato in modo netto in favore di quella

43 conseguenza la proprietà privata – relativamente a questa o

quella categoria di beni – è quale risulta “conformata” dalle norme per essa dettate: dal che discende l’irrilevanza di qualunque concetto di proprietà privata che non sia quello che è dato desumere dalle leggi in materia. Sulla base di ciò non è neppure prospettabile un giudizio di costituzionalità nei confronti di tali leggi, non potendo esse violare alcuna norma di rango costituzionale in tema di proprietà privata. Attesa la mancanza nella Carta costituzionale di qualsivoglia principio cui la legge dovrebbe ispirarsi, “il legislatore ordinario è libero di disciplinare riconoscimento e garanzia della proprietà come meglio crede, e cioè arbitro nel riconoscere in quali casi e come debba esistere in diritto positivo la proprietà privata, col solo limite di non poterla sopprimere totalmente”.57

Più concisamente si può dire che l’essenza di questa dottrina sta nella negazione che il riconoscimento costituzionale del diritto di proprietà privata implichi quello di una qualche norma costituzionale sul contenuto di tale diritto; o, con altre parole, nella negazione che l’enunciazione costituzionale sul riconoscimento della proprietà privata sia idonea ad implicare una seconda enunciazione costituzionale avente ad oggetto il contenuto del diritto di proprietà.58

Sulla linea di pensiero di Motzo e Piras, si colloca la maggior parte della dottrina giuridica del tempo orientata a ridurre entro confini sempre più angusti i poteri proprietari.59

57 Così M.S. GIANNINI, Basi costituzionali della proprietà privata, in

Politica del diritto, 1971, p. 461

58 M.S. GIANNINI, Basi costituzionali cit., p. 468-69

59 Si veda tra gli altri S. CASSESE, I beni pubblici, circolazione e tutela,

44 In breve tempo furono raggiunti toni polemici di livello così

elevato da indurre lo stesso Sandulli a intervenire dall’alto del ruolo di Presidente della Corte costituzionale che allora occupava, e a rilasciare, in una nota intervista a L'Astrolabio, dichiarazioni a difesa dell'operato della Corte, in cui però indicava anche le possibili soluzioni che il legislatore poteva adottare per "assicurare uno sviluppo urbanistico sano e non incompatibile con le condizioni della finanza locale, e per evitare a un tempo ingiuste disparità tra i proprietari delle aree". Tra queste la possibilità di innovare la legge urbanistica in modo radicale onde configurare "la facoltà di costruire non più come connaturata al diritto di proprietà...".60

Ben si comprende, allora, come la dottrina dominante ebbe a salutare la legge 10 del 1977 come volta ad attuare la separazione dello jus aedificandi dalla proprietà, secondo quanto indicato come soluzione "finale" dallo stesso Sandulli.

In tal senso fu interpretata la sottoposizione di ogni intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia a concessione edilizia, l'interruzione della sequela di proroghe della durata dei vincoli di inedificabilità che si erano succedute dal 1973 in poi (a quel punto, con lo scorporo, non più necessarie), e la voluntas legis come desumibile dalla relazione governativa al progetto, in cui si poteva leggere che "il sistema proposto appare in grado di superare le conseguenze della decisione della Corte: l'attività edificatoria viene infatti subordinata alla concessione

dell’indennizzo, Milano, 1974; P. MAZZONI, La proprietà procedimento: pianificazione del territorio e disciplina della proprietà, Milano, 1975

60 E. CAPOCELATRO, Intervista con il Presidente della Corte

45 rilasciata dall'autorità pubblica e quindi non può parlarsi di

vincoli che la colpiscono prima del formale provvedimento di concessione".

Si pensava che in tal modo i vincoli urbanistici di inedificabilità assoluta avessero nuovamente una durata a tempo indeterminato senza obbligo di indennizzo.

Senonché l’attuazione pratica della nuova norma si ripercuoteva negativamente sui cittadini, causando una netta sperequazione tra i proprietari delle aree, assoggettate ad una diversa disciplina dai piani urbanistici, sulla base di una scelta discrezionale dell’amministrazione. Sperequazione che risulta chiara nel caso in cui non vi sia dichiarazione di pubblica utilità e quindi esproprio dell’area inedificabile, in quanto in quel caso non sarà mai dovuto alcun indennizzo al proprietario di quel terreno, ma che viene ampliata anche nel caso in cui si giunga all’effettiva espropriazione: infatti se prima era previsto che l’indennità di esproprio consistesse “nel giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l’immobile in una libera contrattazione di compravendita”61, con l’entrata in vigore della legge 22 ottobre 1971, n. 865 il legislatore previde che le aree espropriande avrebbero dovuto essere indennizzate sulla scorta di un criterio non collegato al valore del bene stesso, ma all’astratto valore agricolo medio, “corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare”.62 Pertanto, ancorché l’area da espropriare fosse compresa in un centro urbano, fosse dotata di tutte le infrastrutture e fosse edificabile sia di fatto, sia, secondo lo strumento urbanistico, di diritto, al proprietario avrebbe dovuto essere corrisposto un indennizzo correlato alle colture rinvenute sul fondo; con

61 Legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 62 Legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16

46 il rischio che, se il terreno non fosse coltivato, l’indennità

prevista si sarebbe ridotta ad un prezzo irrisorio dal momento che quel suolo sarebbe stato considerato alla stregua di un incolto sterile.

3b. La minimizzazione giurisprudenziale della nuova normativa

Proprio in una sentenza avente ad oggetto la misura dell’indennità di espropriazione, la Corte Costituzionale torna ad occuparsi del tema relativo all’inerenza dello jus aedificandi al diritto di proprietà.63

La Corte, nel denunciare l’illegittimità costituzionale del nuovo metodo di calcolo dell’indennizzo64, afferma in via incidentale, ma inequivocabilmente, che, malgrado le innovazioni della l. 10 del 1977, "...il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà...", e che la "...concessione ad edificare non è attributiva di diritti nuovi ma presuppone facoltà preesistenti, sicché sotto questo profilo non adempie

63 Corte Costit., 30 gennaio 1980, n. 5

64 La Corte in particolare motiva la dichiarazione di incostituzionalità

delle norme censurate stabilendo che “perché l'indennità di

espropriazione possa ritenersi conforme al precetto costituzionale, è necessario che la misura di essa sia riferita al valore del bene, determinato dalle sue caratteristiche essenziali e dalla destinazione economica perché solo in tal modo l'indennità stessa può costituire un serio ristoro per l'espropriato. E' palese la violazione di tale principio ove, per la determinazione dell'indennità, non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso. E proprio quanto avviene nella materia in disamina perché il criterio del valore agricolo medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nella regione agraria interessata, adottato per la determinazione dell'indennità di esproprio dall'art. 16 della legge n. 865 del 1971 come modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977, non facendo specifico riferimento al bene da espropriare ed al valore di esso secondo la sua destinazione economica, introduce un elemento di valutazione del tutto astratto, che porta inevitabilmente, per i terreni destinati ad insediamenti edilizi che non hanno alcuna relazione con le colture praticate nella zona, alla liquidazione di indennizzi sperequati rispetto al valore dell'area da espropriare, con palese violazione del diritto a quell'adeguato ristoro che la norma costituzionale assicura all'espropriato” .

47 a funzione sostanzialmente diversa da quella dell'antica

licenza".

Pochi anni dopo, viene presentata al vaglio del giudice delle leggi la questione di legittimità costituzionale del quadro legislativo vigente, dal momento che apparentemente la legge 10 del 1977 si pone in contrasto con quanto affermato nella sentenza n. 55 del 1968. La sentenza cui ci si riferisce è la n. 92 del 1982.

Nel caso di specie, i proprietari di un terreno impugnavano davanti al Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria il regolamento edilizio, con annesso programma di fabbricazione, limitatamente alla classificazione a verde pubblico di un'area di loro proprietà, lamentando, fra l'altro, che il vincolo, in contrasto con le leggi 19 novembre 1968 n. 1187 e 30 novembre 1973 n. 756, fosse stato disposto senza indennizzo né limitazione temporale di validità. Il Tribunale, sospese il giudizio e sollevò questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7 (nn. 2, 3, 4), 34, 36 e 40 l. n. 1150 del 1942, 21 n. 1187 del 1968, 1 l.30 novembre 1973 n. 756 e successive proroghe, l. 28 gennaio 1977 n. 10, nella parte in cui esso consente di imporre, mediante i vari strumenti urbanistici, vincoli di natura espropriativa senza la previsione di indennizzo né termine di durata improrogabile, per contrasto con gli artt. 3, 41, 42,47, 97 Cost.

Come si può leggere nella sentenza, secondo l’interpretazione del T.A.R Umbria, “L'attuale stato della legislazione è perciò il seguente: a) i suoli di proprietà privata sono soggetti alla possibile imposizione, per mezzo di strumenti urbanistici, di vincoli di inedificabilità assoluta, ovvero di vincoli comportanti la successiva espropriazione, senza che ciò comporti indennizzo (artt. 7, n. 2, 3, 4, e 40 l.

48 n. 1150 del 1942); b) i termini di efficacia dei vincoli disposti

dai provvedimenti legislativi n. 1187 del 1968, n. 756 del 1973, n. 562 del 1975 e n. 781 del 1976 sono scaduti; c) gli artt. 1, 3, 4, 6, 11, 12, 13 della legge n. 10 del 1977 consentono ancora l'imposizione di vincoli non indennizzabili, ma senza un termine preciso di durata, in contrasto con quanto stabilito da C. cost. n. 55 del 1968” La Consulta ricorda lo sviluppo normativo conseguente alle sentenze gemelle del 1968, a partire dall’approvazione della legge 1187 del 1968, passando per le varie proroghe, fino ad arrivare alla legge Bucalossi n. 10 del 1977, nella quale peraltro non vi è alcun riferimento ai vincoli urbanistici. “In tale realtà normativa, l'ordinanza di rimessione pone alternativamente le seguenti questioni di costituzionalità: o della materia dei vincoli urbanistici si è occupata sia pure implicitamente la cit. legge n. 10 del 1977 ed allora la relativa disciplina, non prevedendo alcun termine di efficacia per detti vincoli e ripristinando quindi la situazione anteriore alla sentenza n. 55 del 1968 di questa Corte, sarebbe incostituzionale; ovvero, se è rimasta in vigore la normativa precedente nella parte in cui può esserle riconosciuta natura permanente (cioè limitatamente alla legge n. 1187 del 1968), deve ritenersi che questa è egualmente incostituzionale perché in essa manca una norma che faccia divieto di prorogare il suindicato termine di cinque anni”. Secondo l’interpretazione della Corte “al riguardo, va escluso anzitutto che la legge n. 10 del 1977 abbia regolato la materia dei vincoli urbanistici. A dimostrazione di ciò, si rileva che nessuna norma fa riferimento esplicito o implicito a detta materia e che, per di più, espressamente nei lavori preparatori (vedasi la Rel. governativa al disegno di legge) è precisato che dei vincoli urbanistici la nuova normativa non

49 ha inteso occuparsi”. Preso atto che la nuova legge non

disciplina l’istituto dei vincoli, “occorre pertanto far riferimento alla normativa vigente prima dell'entrata in vigore di detta legge, nell'ambito della quale normativa sembra alla Corte, pur con le innegabili difficoltà ermeneutiche create da una legislazione disorganica e