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Capitolo II: La giurisprudenza della Corte Costituzionale

4) La reiterazione dei vincoli espropriat

Al di là di questa questione, il problema che dovevano affrontare le Amministrazioni comunali era quello di salvare i piani regolatori -vigenti ormai su tutto il territorio dello Stato- ed i vincoli in essi previsti, alla luce della sentenza n. 92 che di fatto ripristinava la situazione esistente al momento dell’emanazione della legge 1187 del 1968 con la differenza che ormai il limite quinquennale di efficacia dei vincoli posti dai piani era ormai stato superato.

65 Per un approfondimento sulla questione della disciplina applicabile in

caso di caducazione o di annullamento dei vincoli preordinati ad esproprio, si veda G. LAVITOLA, Urbanistica e tutela della proprietà tra

Corte Costituzionale, Consiglio di Stato e Testo Unico sull’espropriazione,

in Riv. Giur. Edilizia, 2002, III, p. 59 ss.

66 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380

67 Si veda, tra le altre Cons. St., Ad. Plen., 2 aprile 1984, n. 7 e Cons. St.,

Ad. Plen., 19 marzo 1985, n. 7

68 Si fa riferimento all’art. 9, comma 3, del Testo Unico sulle

espropriazioni (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) il quale dispone che “Se non

è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 9 del Testo Unico in materia edilizia approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 24 maggio del 2001”

52 Pertanto molti Comuni, trovatisi ad affrontare la scadenza

del termine quinquennale, e quindi il pericolo che le aree sottoposte a vincoli scaduti fossero utilizzate dai proprietari in conformità dello strumento urbanistico vigente (o al limite come zone bianche secondo l’orientamento del giudice amministrativo), hanno deliberato la reiterazione dei detti vincoli per salvaguardare l’interesse pubblico alla base di questi.69

Il rimedio di adottare di nuovo (anche più volte) il medesimo vincolo superando il contenuto dell’art. 2 della legge n. 1187 del 1968, trovò il conforto della giurisprudenza amministrativa, che subordinò però la reiterazione a due condizioni: a) una congrua motivazione non solo circa la generale finalità di pubblico interesse da soddisfare, ma anche in relazione alla persistenza della specifica esigenza

69 Peraltro P. STELLA RICHTER in M.A. SANDULLI, Trent’anni dopo.

L’impatto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 55 e n. 56 del 1968 sull’evoluzione successiva dell’ordinamento giuridico e dell’urbanistica,

in Riv. Giur. Edil., 1998, rileva come la reiterazione dei vincoli scaduti sia una conseguenza quasi fisiologica della situazione paradossale venutasi a creare nell’ordinamento italiano: qui tutto il territorio non soggetto a una qualche tutela particolare (paesaggistica, ambientale, storica, culturale ecc.) deve essere oggetto di una specifica conformazione o destinazione d’uso ad opera dello strumento urbanistico, che ne determini la sorte finale, privata o pubblica che sia. “È peraltro sin troppo

evidente che nessuno può prevedere quali saranno le esigenze di un futuro anche non prossimo e che, se anche ciò fosse possibile, non sarebbe conveniente realizzare infrastrutture od opere pubbliche non rispondenti ad una domanda attuale. Di qui la necessità di rinviare nel tempo alcune scelte o comunque la loro materiale attuazione”. La

situazione paradossale, secondo l’opinione dell’autore, sta nel fatto “che

l’attuale sistema di salvaguardia del territorio non pianificato, i cosiddetti standard ope legis… è nel complesso abbastanza efficace. Ma tale normativa cessa di rappresentare una tranquillizzante copertura a tempo indeterminato proprio a seguito dell’approvazione del piano regolatore per l’assurdo presupposto che con il piano si possa – e per la conseguente regola giuridica che quindi si debba – prevedere tutto, cioè il presente ed anche il futuro. Il principio della doverosità della scelta per ogni porzione di territorio e della limitazione temporale dei cosiddetti vincoli preordinati all’espropriazione, la mancanza di uno strumento giuridico atto a soddisfare l’esigenza della pianificazione futura o anche solamente a lungo termine, fanno sì che l’unica possibile forma di tutela dell’interesse generale sia nell’illegittima reiterazione di vincoli decaduti o in una arbitraria inerzia da parte del Comune”

53 pubblica cui le aree sono destinate con il vincolo; b) obbligo

di procedere ad un’approfondita valutazione di eventuali soluzioni alternative per la composizione degli interessi confliggenti. Inoltre il Comune dovrà evidenziare le ragioni del ritardo e le iniziative in base alle quali l’ablazione sostanziale del diritto di proprietà non si protrarrà a tempo indeterminato. 70

In realtà la giurisprudenza si è sempre espressa favorevolmente circa la reiterabilità dei vincoli scaduti. Ciò ha contribuito a creare una vera e propria prassi di “scontata reiterazione sine die”71 con pregiudizio per la proprietà, senza un’indicazione precisa del limite di tollerabilità del vincolo che, ad un certo punto, non può che integrare una vera e propria fattispecie espropriativa con connesso obbligo di indennizzo.72

La Corte Costituzionale venne ben presto investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n. 1187 del 1968 nella parte in cui consente alla pubblica amministrazione di reiterare, senza la corresponsione di indennizzo, il vincolo urbanistico di natura espropriativa su di un bene determinato, decaduto per l'inutile decorso del termine di efficacia. L'ordinanza di rinvio considera tale eventualità in contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto sottoporrebbe singoli beni, cosi

70 Cons. St., sez. IV, 5 giugno 1995, n. 411; Cons St., sez. II, 25 gennaio

1989, n.1412; T.A.R. Toscana, sez. II, 17 luglio 1989, n. 719; Cons. St., sez. IV, 3 maggio 1990, n. 330; Cons St., sez. IV, 17 gennaio 1994, n. 26

71 Espressione utilizzata da S. ANTONIAZZI in Le conseguenze della

reiterazione di vincoli espropriativi e di inedificabilità, secondo la più recente giurisprudenza amministrativa e gli obblighi di motivazione e di indennizzo nonché di nuova pianificazione dell’area priva di destinazione urbanistica, in Riv. Giur. Edil., 2004, n. 6, p. 1975

72 L’Adunanza plenaria con la sentenza n. 10 del 1984, stabilì che la

pubblica amministrazione può riproporre il vincolo decaduto, anche attraverso il ricorso alla procedura abbreviata di variante, di cui all’art. 1, comma 5, legge 3 gennaio 1978, n. 1

54 discriminandone l'utilizzabilità rispetto ad altri beni aventi le

stesse caratteristiche, ad un regime vincolistico indeterminato nel tempo, tale da risolversi in una limitazione della proprietà sostanzialmente espropriativa senza indennizzo.

Il giudice delle leggi inizialmente, ritiene non fondata la questione, dal momento che “è propria della potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare illimitatamente nel tempo i vincoli su beni individuati, purché, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche. Tale possibilità, tuttavia, darebbe luogo ad un sistema non conforme ai principi affermati nella richiamata sentenza n. 55 del 1968, qualora il vincolo venga protratto a tempo indeterminato senza la previsione di indennizzo.

Come si evince dalla stessa sentenza e come è stato ribadito più di recente (sent. n. 82 del 1982), i due requisiti della temporaneità e della indennizzabilità sono difatti tra loro alternativi, per cui l'indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli indefinitamente nel tempo anche se con diversa destinazione o con altri mezzi, è costituzionalmente legittima a condizione che l'esercizio di detta potestà non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968”73.

In questo modo la Corte Costituzionale conferma senza riserve la legittimità della prassi reiterativa venutasi a creare nella maggior parte dei Comuni del Paese, con buona pace dei proprietari che di essa subivano le conseguenze, soprattutto economiche.

55 Il giudice delle leggi confermò tale orientamento74 fino alla

storica sentenza 20 maggio 1999, n. 179. Il caso rimesso alla

74 Si veda tra le altre, Corte Costit., 23 aprile 1993, n. 186 in cui viene

affermato che “i vincoli derivanti dai vari tipi di piani previsti dalla

legislazione in materia, preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità delle aree, assumono carattere sostanzialmente espropriativo, se non sono adeguatamente delimitati nel tempo: pertanto, le norme che li prevedono, ove non ne dispongano l'indennizzabilità, debbono circoscriverne la durata entro limiti ragionevoli, ponendosi, altrimenti, in contrasto con gli artt. 42 e 3 della Costituzione. Inoltre, la determinazione di tale durata appartiene alla discrezionalità del legislatore (statale o regionale), così come vi rientra la loro eventuale proroga, la cui necessità può insorgere in relazione a particolari esigenze che emergono dalla realtà sociale (sentenza n.92 del 1982).

Nel caso di specie il legislatore regionale, con l'adozione della normativa impugnata ha operato una valutazione non censurabile da questa Corte, in quanto fondata su una scelta discrezionale non irragionevole: infatti, il contemperamento dell'interesse generale alla conservazione dei vincoli, al fine dell'ordinato sviluppo del territorio, e l'interesse dei proprietari dei suoli alla loro cessazione, è avvenuto attraverso una "proroga" di durata limitata e in correlazione con una serie di obblighi imposti ai comuni (art. 3), riguardanti la revisione dei piani regolatori e l'adozione di altre misure volte all'aggiornamento e al miglioramento della pianificazione urbanistica ed alla esecuzione (art.4) di opere di urbanizzazione”.

Con la successiva sentenza n. 344 del 1995, la Corte si trovò ad affrontare il problema relativo ad una nuova proroga, predisposta dallo stesso legislatore regionale, dell’efficacia dei vincoli previsti dagli strumenti urbanistici generali, in assenza di sopravvenute esigenze sociali di rilievo. Anche in questo caso la Consulta ha precisato che ”la determinazione

della durata dei vincoli urbanistici spetta al legislatore, mentre a questa Corte è rimessa la verifica della ragionevolezza della scelta legislativa… Al riguardo, questa Corte non ritiene di doversi discostare dai risultati cui è pervenuta attraverso le decisioni sopra riportate, che hanno individuato i predetti limiti con riferimento alla ragionevolezza e non arbitrarietà delle stesse scelte del legislatore. Ragionevolezza e non arbitrarietà da valutare, s'intende, con rigore, al fine di impedire che si realizzi il risultato della proroga sine die attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle altre.

Nella specie, non risulta, a prescindere dalla delimitazione temporale dell'ulteriore efficacia dei vincoli, che la discrezionalità del legislatore sia stata esercitata in modo arbitrario. Essa, al contrario, trova fondamento nella esigenza di portare a compimento il disegno di pianificazione urbanistica… Decisivo è, poi, il rilievo che, successivamente alla scadenza del 31 dicembre 1993, nessuna altra proroga è stata disposta, così da assicurare al limite temporale il pieno requisito di essere certo, preciso e sicuro (e perciò anche contenuto in termini di ragionevolezza), come ha confermato anche la difesa della regione… Una eventuale ulteriore proroga di questi ultimi avrebbe, invece, comportato un giudizio di ragionevolezza più arduo e ben diverso nei presupposti; e assai problematica sarebbe stata la valutazione finale di compatibilità della indeterminatezza temporale dei vincoli -- perdurante con proroga ancora reiterata e in corso -- con la garanzia costituzionale della proprietà, in

56 Consulta con ordinanza dell’Adunanza plenaria del Consiglio

di Stato, prende le mosse da una delibera della Giunta municipale di Roma con la quale erano stati reiterati vincoli urbanistici divenuti inefficaci per scadenza del quinquennio di legge. Il giudice a quo si pose il problema relativo al trattamento della reiterazione di vincoli temporanei: reiterazione che sarebbe stata ammissibile senza indennizzo a condizione di non superare la soglia massima di temporaneità del vincolo, al di là della quale la reiterazione avrebbe integrato gli estremi della fattispecie espropriativa e determinato la corresponsione dell'indennizzo.

Tale problema non trovava soluzione nella normativa vigente, la quale non conteneva la previsione di una fattispecie espropriativa "tassativa"; il che, ad avviso del Consiglio di Stato, avrebbe potuto costituire un primo profilo di illegittimità costituzionale del sistema, in relazione alla riserva di legge di cui all'articolo 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto l'accertamento degli estremi della fattispecie espropriativa sarebbe rimesso all'apprezzamento discrezionale dell'amministrazione e del giudice, con compromissione della certezza del diritto in una materia che esige uniformità di soluzioni.

Altro profilo di illegittimità costituzionale, sempre in relazione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, veniva ravvisato dal giudice a quo nella mancanza, nella legge, di criteri di determinazione dell'indennizzo per i casi di espropriazione di valore, determinazione che sarebbe stata

assenza di previsione alternativa dell'indennizzo. Tale indennizzo è stato ritenuto, invece, non necessario quando i vincoli, ancorché incidenti profondamente sulle facoltà di utilizzabilità, siano a tempo determinato, cioè con un preciso e sicuro limite di efficacia temporale, purché ragionevole (sentenza n. 55 del 1968)”.

57 necessaria sia per la concreta attuabilità del diritto

all'indennizzo che per la copertura della spesa.

Dunque le questioni sottoposte all'esame della Corte avevano per oggetto gli artt. 7, numeri 2, 3, e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (come risultante rispettivamente a seguito degli artt. 1 e 5 della legge 19 novembre 1968, n. 1187) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sotto il profilo della violazione dell’art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto consentivano all’Amministrazione di reiterare il vincolo scaduto indefinitamente nel tempo, ponendo in essere una fattispecie sostanzialmente espropriativa senza la previsione di indennizzo e, comunque, senza la previsione di criteri per la determinazione dello stesso.

Il giudice costituzionale, nella lunga motivazione della sentenza, non si limita a decidere sulle questioni sollevate, ovvero legittimità della reiterazione dei vincoli in assenza di indennizzo e mancanza nella legge di previsioni riguardanti i criteri di determinazione dell’indennizzo stesso, ma torna anche a fare chiarezza sulla distinzione tra vincoli indennizzabili e non:

“Occorre premettere che il problema di un indennizzo a seguito di vincoli urbanistici - come alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell’efficacia del vincolo - si può porre sul piano costituzionale quando si tratta di vincoli che:

- siano preordinati all’espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa,

58 di vincoli a titolo particolare su beni determinati 75 ,

comportanti inedificabilità assoluta, qualora non siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore dello Stato o delle Regioni

- superino la durata che dal legislatore sia stata determinata come limite, non irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo urbanistico da parte del singolo soggetto titolare del bene determinato colpito dal vincolo, ove non intervenga l’espropriazione, ovvero non si inizi la procedura attuativa (preordinata all’esproprio) attraverso l’approvazione di piani particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta termini massimi di attuazione fissati dalla legge;

- superino sotto un profilo quantitativo la normale tollerabilità,76 secondo una concezione della proprietà, che resta regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale (art. 42, secondo comma, della Costituzione)”. Viceversa – continua la Corte – “la legge può non disporre indennizzi quando i modi ed i limiti imposti - previsti dalla legge direttamente o con il completamento attraverso un particolare procedimento amministrativo - attengano, con carattere di generalità per tutti i consociati e quindi in modo obiettivo, ad intere categorie di beni, e per ciò interessino la generalità dei soggetti con una sottoposizione indifferenziata di essi - anche per zone territoriali - ad un particolare regime secondo le caratteristiche intrinseche del bene stesso. Non si può porre un problema di indennizzo se il vincolo, previsto in base a

75 Sentenza n. 6 del 1966, sviluppata nella successiva n. 55 del 1968, e,

tra le più recenti, le sentenze n. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n. 186 e n. 185 del 1993; n. 141 del 1992

76 "Per la maggiore o minore incidenza che il sacrificio imposto ha sul

59 legge, abbia riguardo ai modi di godimento dei beni in

generale o di intere categorie di beni, ovvero quando la legge stessa regoli la relazione che i beni abbiano rispetto ad altri beni o interessi pubblici preminenti.77

Devono di conseguenza essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili”.

Inoltre, in risposta all’aumento esponenziale delle fattispecie giuridiche ricondotte da dottrina e giurisprudenza alla categoria dei vincoli sostanzialmente espropriativi, la Corte precisa, introducendo una novità rispetto al passato, “che sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene… Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o

60 industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative

suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato”.

Il rilievo attribuito alla possibilità (anche solo parziale) di intervento realizzativo privato, che si desume dal regime di libera economia di mercato sussistente in via astratta e generale per quel tipo di destinazione pubblica, induce a ritenere che la Corte, pur affermando che il diritto di proprietà immobiliare conservi in sé un quid di potestà edificatoria, abbia al contempo chiarito che il contenuto “normale” di tale diritto non si identifica con la massimizzazione della rendita traibile dal bene, e quindi, con riferimento alla proprietà edilizia, con il potere di realizzare edifici destinati ad usi abitativi o genericamente commerciali.

Bisogna ricordare infatti che secondo la sentenza n. 55 del 1968, i vincoli sostanzialmente espropriativi sono quelli comportanti limitazioni tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno o una penetrante diminuzione del valore di scambio. Tuttavia, il principio generale così enunciato, è stato oggetto – anche per la mancanza di dati normativi idonei a costituire un ausilio per l’individuazione del limite di tollerabilità della conformazione in senso restrittivo della proprietà edilizia - di varie interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali volte ad individuare il grado tollerabile della limitazione facoltà di utilizzazione del bene e quindi dell’incisione della situazione giuridica soggettiva del proprietario. In esito a dette interpretazioni, le fattispecie giuridiche riconducibili alla categoria dei vincoli

61 sostanzialmente espropriativi sono diventate estremamente

più numerose rispetto a quelle individuate originariamente dalla Corte Costituzionale.

Particolarmente rilevanti ed esemplari sono gli orientamenti giurisprudenziali formatisi a proposito delle zone territoriali omogenee F, destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale che, ontologicamente, consentono alle Amministrazioni comunali di programmare e specificare la quantità e la qualità delle urbanizzazioni necessarie al soddisfacimento delle esigenze della collettività. 78 Al riguardo, proprio con riferimento a dette zone, per le quali la pianificazione abbia rilevato attitudine ad usi di pubblico interesse, viene in rilievo in primo luogo quella giurisprudenza che qualificava alla stregua di un vincolo espropriativo, la destinazione di piano regolatore a “servizi collettivi”, che, in quanto tale, “comprime il diritto del proprietario inciso”.79 In sostanza le prescrizioni di piano relative alle zone territoriali omogenee F, venivano equiparate a localizzazioni vere e proprie;80 di conseguenza

78 Per un approfondimento sull’argomento si veda G. IACOVONE,

Interesse proprietario e interesse pubblico alla trasformazione del territorio in Riv. Giur. Edil., 2002, II, p. 231

79 Cons. St., Sez. IV, 7 luglio 1988, n. 573; Cons. St., 4 novembre 1994, n.

1257: “quando un’area è destinata dallo strumento urbanistico a verde

pubblico di quartiere” se “l’area è di proprietà di un privato, su di essa è apposto un vincolo che decade con l’inutile decorso del quinquennio”;

T.A.R. Lombardia, Milano, II, 2 maggio 1994 n. 281, secondo cui: "Il

vincolo ad attrezzature pubbliche e collettive costituisce un vincolo preordinato all'esproprio, soggetto alla decadenza per decorso del quinquennio, ai sensi dell'art. 2, comma 1, l. 19 novembre 1968 n. 1187";

e ancora, lo stesso convincimento è stato espresso dal T.A.R. Puglia, Lecce, 21 giugno 1993 n. 530 secondo cui: "la destinazione di un'area a

servizi pubblici costituisce il presupposto per l'avvio della procedura ablatoria e per la valutazione di conformità dell'opera stessa allo strumento urbanistico e come tale non può avere una vita superiore al quinquennio se, prima della scadenza del vincolo, non intervengano atti dichiarativi della pubblica utilità dell'opera"

80 Con riferimento alla identificazione strutturale tra localizzazioni e

zonizzazioni in quanto esito di un procedimento conformativo di cose si rammenta la tesi di M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo,