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LEPTOSPIRA VEICOLATA CON GLI ALIMENTI D

2 LA LEPTOSPIROSI BOVINA

4. LEPTOSPIRA VEICOLATA CON GLI ALIMENTI D

ORIGINE ANIMALE

La leptospirosi può essere considerata il prototipo delle zoonosi, con serbatoi nelle popolazioni animali ed il coinvolgimento dell’uomo in particolari circostanze, alcune delle quali legate all’attività lavorativa.

L' acqua è un fattore di rischio di infezione assai rilevante.

Le leptospire possono sopravvivere per lunghi periodi di tempo in un gamma di condizioni ambientali, tra suolo ed acqua, aumentando così la probabilità di infettare un ospite suscettibile. Questo facilita la trasmissione indiretta di malattie dagli animali all'uomo tramite ingestione di acqua contaminata (Manahan et al., 2009).

Nel settore alimentare, una delle filiere maggiormente a rischio è quella suina, proprio per l’elevata diffusione delle leptospire in questa specie animale. Infatti, i dati epidemiologici dimostrano una elevata sieropositività negli allevamenti e il frequente riscontro di nefrite in suini normalmente macellati. Per cui, le categorie di lavoratori maggiormente esposte risultano: allevatori, addetti alla macellazione e veterinari ispettori delle carni, nonché addetti alla lavorazione delle carni stesse (Coin, 2004).

Il rischio è molto elevato per gli addetti agli impianti di macellazione nelle varie fasi di lavorazione: stalle di sosta, eviscerazione, asportazione dei reni e manipolazione dei visceri nelle tripperie. Del resto, in sede di ispezione post

mortem, nei suini, frequentemente si riscontrano quadri di nefrite interstiziale

riconducibili a Leptospira spp. Una correlazione altamente significativa è stata individuata tra la prevalenza sierologica per le serovar Pomona e Tarassovi e l’ispezione delle carni suine (Blackmore et al, 1979 ).

Un' altra categoria professionale esposta a rischio è quella degli allevatori di pesci di acqua dolce. Nel nord della Scozia, tra il 1934 e il 1948, l’86% di casi si riscontravano proprio in queste persone, con isolamento nella maggior parte dei casi di L. Icterohaemorragiae, riconducibile alla probabile infestazione da ratti (Levett, 2001).

Si sono verificati casi di leptospirosi anche in allevamenti di trote, come riportato da Robertson (1981). Un addetto in un allevamento di trote è morto per leptospirosi sierologicamente confermata. Quattro altri addetti presso l'allevamento hanno riportato una malattia simil-influenzale e nel quadro sintomatologico di uno di questi era presente ittero. I familiari e i vicini di casa non a contatto con l'allevamento non presentavano anticorpi rilevabili e, inoltre, non c'era evidenza di un'infestazione da ratti intorno agli stagni limitrofi e nel capannone nel quale erano conservati gli alimenti per le trote. Si pensa quindi che i responsabili del focolaio siano stati l'acqua dello stagno o le trote stesse contaminate con l'urina di ratti. Un altro caso ha coinvolto un allevatore di pesci e si pensa possa essere stato infettato attraverso acqua inquinata da ratti, a causa di stivali di gomma difettosi (Robertson, 1981).

Anche in Italia, dalla ASL di Bologna, è stato segnalato un caso di leptospirosi simile in un uomo che allevava pesci di acqua dolce. L’acqua delle vasche era infestata da roditori e l’uomo ometteva le normali misure di protezione individuale in tutte le operazioni che comportavano contatto con l’acqua o materiale umido potenzialmente infetto (Dalle Donne et al., 1999).

Nelle bovine in lattazione l’infezione da sierovariante Hardjo può avere più o meno profonde ripercussioni sulla mammella. In tal caso sono esposti a pericolo di contagio soprattutto gli addetti alla mungitura (Levett, 2001). La contaminazione del latte può verificarsi prima, durante e dopo la mungitura. Elevati standard igienico-sanitari, sia per quanto riguarda le vacche, che l'ambiente in quel particolare periodo di tempo, sono cruciali per evitare tale contaminazione. L'identificazione dei pericoli, pertanto, dovrebbe essere condotta in senso più ampio, mentre, l'identificazione e la gestione dei rischi possono aiutare a superare questi pericoli (Noordhuizen, 2005).

Può essere evidente una marcata diminuzione della secrezione lattea con interessamento della mammella in toto, che appare soffice e flaccida con latte denso, giallo, d’aspetto simil-colostrale. L’agalassia persiste da 2 a 10 giorni, dopodiché la produzione ritorna presto a valori normali. Questa forma di mastite, atipica, può costituire la forma dominante di infezione da L. Hardjo e comparire pertanto in assenza, o quasi, di altri fenomeni morbosi generali. L’eliminazione di L. Hardjo nel latte è altresì documentata in assenza di sintomatologia clinica (Ellis et al., 1976) e costituisce, pertanto, un maggior rischio di contagio per l’uomo (Levett, 2001). Il latte crudo destinato al consumo alimentare rappresenta un potenziale veicolo per la trasmissione di agenti patogeni considerati pericolosi per la salute dell’uomo. Per questo motivo l’Ordinanza emessa il 10 dicembre 2008 (proroga del 2 dicembre 2010) dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali “Misure

urgenti in materia di produzione, commercializzazione e vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana”, rende obbligatoria la bollitura di tale prodotto

prima del consumo al fine di garantirne la salubrità.

In bibliografia sono disponibili dati contrastanti e non recenti che riguardano la sopravvivenza di Leptospira Hardjo nel latte crudo: sono stati segnalati casi di vacche infette in grado eliminare leptospire vitali nel latte (Ellis et al., 1976), e il latte bovino è stato considerato come mezzo di trasmissione di Leptospira Hardjo in un caso umano (Bolin e Koellner, 1988); d’altro canto, secondo altri Autori, il latte bovino non diluito è in grado di inattivare rapidamente Leptospira Hardjo (Kirschner e Maguire, 1955).

Nel 2012 Natale et al hanno effettuato uno studio sulla persistenza del DNA e la sopravvivenza di Leptospira Hardjo nel latte crudo. Il batterio è sopravvissuto alla conservazione a 4±3°C per dieci giorni, nonostante la presenza di possibili inibenti nel latte (Kirshner e Maguire, 1955; Stalheim, 1965) e nonostante la temperatura non ottimale per la sua permanenza in vita. L’ambiente umido e i nutrienti presenti nel latte hanno evidentemente mantenuto vive le leptospire, seppure con una riduzione della loro capacità replicativa via via che aumentavano i giorni di conservazione. Tale riduzione di carica non ha comunque inibito la crescita delle leptospire una volta trasferite nel terreno di coltura; ciò non permette di escludere la patogenicità dell’agente per il consumatore nonostante la refrigerazione, qualora il latte crudo fosse proveniente da animale infetto e quindi contaminato da cariche massive di Leptospira Hardjo.

La leptospirosi bovina, essendo associata alla diminuzione della produzione di latte nei bovini, provoca ingenti perdite economiche. La gestione della mandria può influenzare la sieroprevalenza generale della malattia e la distribuzione dei sierotipi (Faine et al. 1999).

In conclusione si può affermare che al fine di scongiurare i rischi dovrebbero essere adottate delle misure preventive negli allevamenti, quali: periodiche visite veterinarie, isolamento degli animali con sintomi sospetti (aborti, emorragie, disturbi dell’apparato urinario), vaccinazione e chemio-profilassi negli allevamenti a rischio. Il letame e i liquami devono subire una buona maturazione prima di essere usati come fertilizzanti. Altra misura molto importante è la lotta ai roditori e agli animali selvatici. Per il personale di stalla e degli impianti di mungitura e di macellazione e lavorazione delle carni è fondamentale l’utilizzo di stivali, guanti impermeabili e mascherine per evitare di venire a contatto con deiezioni di animali infetti e/o materiale patologico (Montagna, 2004). In tali strutture, inoltre, si pone la necessità di prevedere piani di prevenzione e controllo, includendo la Leptospira tra i microrganismi target da monitorare nei prodotti in entrata, nonché la formulazione di linee guida circa l’identificazione dei fattori di rischio, le misure di prevenzione e la formazione del personale. Per quanto riguarda le misure di sanificazione degli impianti è opportuno ricordare che le leptospire sono sensibili ai comuni disinfettanti, tra cui il cloro (Colavita e Paoletti, 2007).

Anche se i casi di malattia sono piuttosto contenuti, l’elevata sieropositività nelle suddette categorie di lavoratori, fa della leptospirosi una infezione di grande attualità nel panorama delle zoonosi con particolare interesse rivolto al settore degli alimenti di origine animale (Colavita e Paoletti, 2007).