l’arte è conoscenza disinteressata. L’arte contempla e riproduce le essenze univer- sali (idee), le forme eterne che trascendono il tempo e lo spazio e che sono prodotte dalla volontà cosmica. Il suo unico fine è la comunicazione della conoscenza delle idee, è conoscenza di natura eccezionale, che poggia non sulla ragione ma sull’intuizione.
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La critica della ragioneNell’arte l’oggetto è disancorato da ogni determinazione spazio-temporale e da ogni condizionamento ed è concepito nella sua irriducibilità e purezza. Il soggetto che vive l’esperienza estetica non è più l’individuo condizionato dal principio di ragione, ma il puro soggetto conoscente, libero dalla volontà, libero dalle forme del princi- pio di ragione. Attraverso l’arte, l’essere umano si perde completamente nella con- templazione di un oggetto, non è asservito ai bisogni della volontà, al volere questa o quella cosa, ma diviene puro conoscere e contempla un oggetto nella sua essenza e assolutezza, appagato da questo contemplare, libero dai vincoli della propria indivi- dualità, dalla catena ferrea dei bisogni.
L’arte è opera del genio, è il frutto della sua enorme potenza intellettuale ritenuta un eccesso e un’anormalità, che spiega la sua attitudine a sprofondarsi nell’oggettività pura dell’idea, con l’oblio più totale della propria personalità. Così facendo, il genio libera la conoscenza dalla schiavitù della volontà a cui era originariamente legata e aiuta gli individui a essere come lui, un «limpido occhio del mondo», e a trovare in tale atteggiamento un senso di compiutezza e di pace. Schopenhauer contrappone l’ec- cezionalità del genio all’atteggiamento dell’essere umano ordinario, mosso da scopi esclusivamente utilitaristici.
Contemplando e comunicando, il genio produce negli esseri umani il piacere esteti- co, che libera dalla soggezione alla volontà, dal bisogno, dalla privazione e dal fiume senza fine dei desideri, di conseguenza dal dolore. Contemplando un’opera d’arte, l’uomo è pervaso da un senso di pace e di piena e serena felicità. L’arte, in qualche misura, è annullamento di sé, è pratica ascetica che conduce al sublime, quando lotta contro gli impulsi del volere, oppure al bello quando tale lotta appare superata. Come i romantici, e a differenza di molte teorie estetiche contemporanee, Schopenhau- er non approfondisce le questioni legate alla specificità dei diversi fenomeni artistici, anche se descrive le varie arti a seconda dei materiali che esse usano, distinguendole in arti figurative, poesia, musica.
Per Schopenhauer la musica costituisce la forma artistica per eccellenza. Egli le rico- nosce un posto a sé rispetto a tutte le altre arti, perché essa tocca i sentimenti più inti- mi degli uomini, è facile da comprendere ed è come una lingua universale. Mentre le altre arti esprimono le Idee platoniche, che sono l’oggettivazione della volontà, la mu- sica è la riproduzione della stessa volontà, è rivelazione della volontà a se stessa, ne racconta la storia più segreta, nei suoi moti più nascosti e oscuri. La musica non ci fa provare particolari stati d’animo, quanto piuttosto la gioia, il dolore, il turbamento, il terrore, la serenità in se stessi. Essa è perciò il linguaggio del sentimento e della passione, così come le parole sono la lingua della ragione: ci consente di afferrare l’essenza profonda della realtà, di liberarci dalle tensioni della volontà e di consolarci. L’arte comunque non garantisce una liberazione durevole, ma soltanto «una breve ora di ricreazione»; non libera dalla volontà di vivere, ma allevia, senza annullare, il peso e la tensione tremenda del vivere.
L’arte è contemplazione delle idee, che sono le oggettivazioni della vo- lontà. La contemplazione estetica permette all’uomo di liberarsi momenta- neamente da tutto il dolore della vita e di provare uno stato di appagamento
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e di piacere. Tra le arti, la musica è quella grazie alla quale la volontà si rive- la a se stessa e consente di afferrare l’essenza della realtà. L’arte però non è una liberazione durevole, ma solo provvisoria.
5.2 L’etica della giustizia e della compassione
Perché l’etica è una forma più compiuta di liberazione dell’individuo dalla volontà di vivere?
Se l’arte libera temporaneamente dalla volontà, è attraverso l’etica che è possibile trovare una forma più compiuta di liberazione. Contro i motivi della volontà, che as- sillano e spingono incessantemente l’individuo a volere questo o quello e che lo strin- gono nella tenaglia del dolore e della noia, l’etica coglie e propone all’essere umano delle ragioni che permettono di placare la voluntas, o perlomeno di allentarne il morso, anche se è difficile comprendere (e Schopenhauer per primo ne è consapevo- le) come possa l’individuo compiere un atto calmante della volontà: un atto che appa- re, esso stesso, come “volontario” e nel quale sembra quasi che la voluntas persegua qualcosa contro se stessa.
Secondo Schopenhauer è possibile pensare un atto simile se l’essere umano si orienta verso atteggiamenti e tipi di condotta volti al superamento dell’egoismo, che costi- tuisce una caratteristica del mondo umano.
Infatti, l’etica si afferma anzitutto come giustizia, ovvero come negazione della pra- tica della sopraffazione dell’uomo da parte dell’uomo e come riconoscimento della dignità di ogni individuo.
Con la bontà ci si eleva «al benvolere e al benfare attivi, all’amore del prossimo». Questo amore si fa perfetto nella compassione
■, un atteggiamento basato sul ri-
conoscimento in ogni essere di un comune destino di dolore. La compassione è il mo- mento più alto dell’etica perché questa non può basarsi su un comando, su un impe- rativo categorico come pensava Kant, ma soltanto su un sentimento, su un’esperienza con cui “com-patiamo”, cioè sentiamo come se fossero nostre, le sofferenze del pros- simo. In tal senso, l’etica è liberazione dall’egoismo, ovvero dall’illusione del primato dell’io e dell’individuo.L’etica consente di allentare il morso della voluntas perché si oppone a uno degli aspetti fondamentali del mondo umano: l’egoismo. Grazie alla giustizia e alla compassione, l’uomo riconosce la dignità di ogni individuo e il destino comune di dolore, superando quindi l’illusione del primato dell’io.
5.3 L’ascesi
Che cos’è l’ascesi e perché costituisce la forma suprema di liberazione?
I passi compiuti con l’arte e con l’etica non sono ancora sufficienti per giungere alla negazione della volontà in noi stessi. Occorre qualcosa di più e di diverso. Scho- penhauer fa ricorso alla filosofia e alle religioni del lontano Oriente per suggerire una via nuova di annientamento della voluntas attraverso l’ascesi
■, ossia l’annien-
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La critica della ragionetamento intenzionale della volontà mediante la rinuncia ai piaceri e la mortificazio- ne dei desideri.
L’ascesi è negazione dell’essere, rifiuto di attaccarsi a qualsiasi realtà, indifferenza o vero e proprio orrore per l’essere. Con essa, il mondo non è più mondo, ma si annulla, puramente e semplicemente, per l’individuo.
Il primo passo dell’ascesi è una libera e perfetta castità, la negazione totale dell’istin- to sessuale che è «la più precisa ed energica affermazione della volontà di vivere, il termine ultimo e il fine supremo della vita». Tale negazione, come mortificazione del- la voluntas, si estende a tutte le forme di godimento materiale della vita, conducendo a una povertà volontaria.
La morte, quando arriva, è salutata con gioia dall’asceta, accolta festosamente come una liberazione sospirata.
La negazione, che è sacrificio di sé, non giunge però al suicidio. Nel suicidio, infatti, chi si uccide non nega in sé la volontà di vivere, ma afferma soltanto, con il suo atto, la propria insoddisfazione per le condizioni in cui è stato costretto a vivere.
È la voluntas, inoltre, a beffarsi di colui che si suicida, presenziando a quella decisio- ne estrema, a quell’atto violento con cui ci si toglie la vita, ma che è, pur sempre, un atto di volontà.
La concezione dell’ascesi di Schopenhauer si distingue nettamente da quella tipica della mistica cristiana. Questa, infatti, pur operando attraverso un’analoga negazione degli aspetti materiali del mondo, si rivolge a Dio e cerca il ricongiungimento con una realtà trascendente e infinita attraverso l’estasi; per il filosofo tedesco, invece, l’ascesi intende conseguire lo svuotamento e l’annichilimento della volontà: è nolontà (no-
luntas invece che voluntas), ovvero puro nulla.
In altri termini, mentre chi è ancora sedotto dal mondo fenomenico, cioè dalla volun-
tas, avverte l’ascesi come un nulla spaventoso, l’asceta considera il nulla, in cui final-
mente s’immerge, come un oceano di pace, un’assoluta quiete, un riposo infinito e totale dell’anima.
L’ascesi è l’annullamento della volontà di vivere (noluntas) tramite la rinuncia a ogni sorta di piacere, fino al nulla, che rappresenta la pace tota- le dell’anima.
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La vita umana oscilla fra il dolore e la noia, in un perenne stato di insoddisfazione. L’uomo può liberarsi dalla volontà di vivere tramite l’arte, l’etica e l’ascesi.
L’arte è contemplazione disinteressata delle idee, che permette all’uomo una liberazione temporanea dal dolore.
L’etica si oppone all’egoismo, tratto fondamentale della vita umana, riconoscendo, soprattutto con la compassione, il destino comune del dolore dell’uomo.
L’ascesi porta all’annullamento della volontà (noluntas) e quindi al raggiungimento di un’assoluta quiete.
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Capitolo 1 - Schopenhauer
■ Arte: rappresenta la prima via di liberazione dalla volontà di vivere, in quanto è conoscenza disinteressata delle idee, ovvero delle forme eterne e universali prodotte dalla volontà cosmica; nell’arte, il cui unico fine è la comunicazione delle idee, l’oggetto è concepito nella sua irriducibile purezza, mentre il soggetto è un puro soggetto conoscente, libero dalla volontà.
■ Ascesi: l’ascesi è una pratica di purificazione, generalmente connessa all’esperienza religiosa. In Schopenhauer essa assume un significato diverso da quello tipico della tradizione religiosa occidentale: è noluntas, non voler vivere, tentativo di contrastare e mortificare la volontà di vivere, procedimento con cui estirpiamo da noi la forza delle pulsioni e dei desideri. In quanto tale, l’ascesi rappresenta la via per sottrarsi alla morsa della volontà, che è alla radice dell’infelicità e del dolore, e che costituisce l’esperienza di fondo della nostra vita, così come di quella di ogni essere umano.
■ Compassione: rappresenta l’atteggiamento basato sul riconoscimento del comune destino di dolore in ogni essere umano. Per Schopenhauer la compassione rappresenta il momento più elevato dell’etica, che quindi, contrariamente a quanto sostenuto da Kant, non può basarsi su un comando, su un imperativo, ma su un sentimento comune e una compartecipazione alle sofferenze del prossimo. L’etica, dunque, è liberazione dall’egoismo.
■ Dolore: poiché la vita umana si caratterizza come volontà, ciò significa che essa è dominata dal dolore. Volere, infatti, significa desiderare qualcosa che non si possiede; secondo Schopenhauer quindi si vive costantemente in uno stato di incessante
insoddisfazione. Anche quando il desiderio viene appagato e si prova piacere, questo è semplicemente una cessazione temporanea del dolore. Quest’ultimo tornerà presto, al sorgere di un nuovo desiderio. Se non sorge un nuovo desiderio, al soddisfacimento di un desiderio spesso segue la noia, che Schopenhauer ritiene addirittura peggiore però del dolore.
■ Rappresentazione: è essenzialmente la relazione tra soggetto e oggetto; tutto ciò che esiste per la conoscenza, quindi il mondo intero di cui abbiamo esperienza, è rappresentazione, ovvero oggetto per un soggetto, fenomeno, ed è pertanto sottoposto alle forme universali di spazio, tempo e causalità, che sono a priori nella coscienza.
Schopenhauer pone come principio di ogni indagine filosofica la consapevolezza che «il mondo è mia rappresentazione», intendendo con ciò che esso è illusione, trama delle apparenze fenomeniche, velo di Maya dietro il quale si cela la vera realtà, che è la volontà.
■ Volontà: è il concetto portante del pensiero di Schopenhauer. La voluntas è l’essenza nascosta delle cose, la loro realtà autentica. Se per Hegel la realtà era razionale, per Schopenhauer la realtà in sé, il noumeno, è irrazionale.
In Schopenhauer la volontà non è la dimensione pratica della ragione, come era stata intesa nel pensiero filosofico precedente, non è, cioè, volontà cosciente. Essa è forza e pulsione cieca, pura e semplice volontà di vivere. Dietro il velo delle apparenze la avvertiamo, anzitutto, in noi, nel nostro corpo, nel desiderio o brama di vivere che lo percorre e, al di là di noi stessi, in ogni essere dell’universo, come la sua vera essenza noumenica.