• Non ci sono risultati.

4.1. Interezza e complessità: tendenze unificanti e disgreganti sul territorio e nella scrittura

Nel 1829 la carriera di scrittore odeporico di Davide Bertolotti era ormai ultradecennale.

In maniera graduale ma rapida, dopo la pubblicazione nel 1817 del primo, breve scritto diaristico-descrittivo, La festa di Cinisello, il raggiungimento delle posizioni di direttore e proprietario dello «Spettatore, poi «Ricoglitore» e «Raccoglitore», gli aveva consentito di trovare una sicura collocazione editoriale per i suoi resoconti di viaggio e di dedicare ad essi sempre maggior tempo ed attenzione, fino alla raccolta in volume delle pagine dedicate al soggiorno sul lago di Como, che nel 1821 aveva colto un certo successo di pubblico ed era stata seguita l'anno dopo dai compositi tomi delle Peregrinazioni. Già nel 1825, però, nelle Lettere da Telgate si avvertiva l'intenzione da parte dell'autore di tracciare il bilancio di un'esperienza che sembrava forse destinata ad esaurirsi. Il timore di incorrere nelle ire della censura austriaca, che si era abbattuta in maniera violenta sui colleghi politicamente più esposti, lo aveva spinto a lasciare l'amata Milano, patria adottiva, per riparare in terra di Toscana; il suo giornale, della cui direzione era ormai incaricato in maniera meramente formale, era tornato nelle mani di Antonio Fortunato Stella; il progetto di comporre un'opera che abbracciasse tutta l'Italia settentrionale, riunendo ed ampliando le relazioni già date alle stampe, stava naufragando; e il fattore d'attrazione che, unitamente al desiderio di affrancarsi dal regime autoritario che gravava sul Lombardo-Veneto, lo aveva portato in riva all'Arno, ossia il desiderio di mettere alla prova le sue doti di narratore odeporico tra gli ameni colli del Granducato, non produceva i frutti sperati516. Così, nel resoconto in forma epistolare redatto sulle rive del lago d'Iseo e uscito a metà decennio, aveva messo in scena una sorta di gara tra le vedute più affascinanti, come a sancire un punto d'arrivo del suo girovagare, e aveva ribadito, o quasi malinconicamente rivendicato, le motivazioni che lo avevano indotto a lasciarsi alle spalle il tessuto urbano meneghino per battere dapprima le strade padane, poi i sentieri lacustri e montani - propositi coerenti con quelli collocati all'inizio della sua prima serie di diari, Milano e la Lombardia nel 1818: l'intenzione di sconfiggere l'ozio e la noia che ne consegue, causa di infausta scioperatezza, scuotendo le membra dal torpore; la voglia di

516 Come già ricordato, Bertolotti a un certo punto rinunciò alla stesura di scritti odeporici aventi come oggetto il territorio toscano, che aveva percorso e dal quale era stato favorevolmente colpito, parrebbe per motivi prevalentemente economici («deficiente crumena» è l'ablativo assoluto che, nelle sue pagine autobiografiche, motiva la scelta di non procedere nell'intento). Le tragedie composte durante il periodo toscano, invece, ebbero una buona accoglienza, o almeno tale da renderne l'autore soddisfatto. Ma fu Bertolotti stesso, stando alle sue dichiarazioni, a non curarsi troppo che il loro successo continuasse anche dopo la scomparsa delle attrici che lo avevano reso gradito al pubblico (cfr. A. Brofferio, I miei tempi, cit., pp. 234-238).

dedicarsi ad occupazioni utili e piacevoli, quali l'osservazione e la divulgazione delle conoscenze acquisite, a scopo didattico e pedagogico, non senza «poetiche e romanzesche emozioni»517.

Ma il cerchio non si era chiuso per sempre: all'apparente punto d'arrivo del 1825 era corrisposto l'anno seguente un nuovo inizio518, con l'assegnazione a Bertolotti da parte della corona sabauda dell'incarico di redigere una descrizione degli stati compresi nel Regno di Sardegna. Certo, a guidare i passi dell'ormai esperto traveller non sarebbero stati la semplice curiosità o l'estro artistico, ma le necessità della propaganda governativa. La più volte affermata volontà di dedicare le proprie relazioni ai territori più remoti, alle regioni più trascurate dai viaggiatori del recente passato, agli itinerari alternativi, avrebbe dovuto venire a patti con l'idea del ministro degli Interni piemontese di magnificare l'intero patrimonio paesaggistico e culturale del regno non tanto tra le impervie valli savoiarde, che in molti casi erano veramente tagliate fuori dai percorsi più utilizzati, quanto, ad esempio, al cospetto di una città come Genova, che era stata addirittura tra le tappe privilegiate del Grand Tour, sia come porto di accesso da Marsiglia, Tolone o Nizza, sia perché collocata sulla direttrice alla quale dovevano affidarsi i viaggiatori che, valicate le Alpi e visitata Torino, volessero proseguire verso Firenze e Roma non attraverso la via interna Torino-Milano-Bologna, ma seguendo appunto la strada costiera Genova-Pisa519. D'altro canto, accettare l'incarico avrebbe significato non solo tornare a pubblicare scritti odeporici, ma anche garantirsi ulteriori incarichi, protezione e future pensioni da parte dell'autorità. Bertolotti aveva tentennato per un anno, per poi decidersi a partire alla volta della regione dalla quale la casa regnante aveva preso il nome.

In quei particolarissimi anni Venti racchiusi tra il tentativo di riemersione dell'erudizione settecentesca dopo la pausa napoleonica che, bloccando lo sviluppo della tradizione del Grand Tour, ne aveva invalidato il principale mezzo di conoscenza e confronto, le rimembranze neoclassiche, l'esplosione delle pulsioni romantiche, già quasi pronte a farsi maniera, le prime istanze patriottico-risorgimentali e il sorgere del nuovo entusiasmo positivista, la vocazione di Bertolotti, uomo attento alle variazioni del gusto e intenzionato ad assecondare tutte le nuove tendenze attraverso la duttilità dei propri strumenti, era stata quella

517 Abbiamo analizzato i due passi citati nei parr. 2.4 e 3.5.

518 Dice Bertolotti, commentando il suo ritorno al nord dopo il soggiorno toscano: «A questo punto incomincia una nuova epoca della mia vita; epoca più seria quale s'addiceva agli anni omai fatti maturi» (A. Brofferio, I miei tempi, cit. p. 238).

519 Cfr. ad esempio C. de Seta, L'Italia nello specchio del Grand Tour, cit., p. 140. È opportuno comunque ricordare che, se è vero che Bertolotti manifestò a più riprese l'intenzione di tenersi lontano dalle tappe obbligate dei viaggi convenzionali, è vero altresì che spesso utilizzò proprio Genova, che possiamo sicuramente annoverare tra quelle, come termine di paragone principale per evocare nella mente dei lettori i tratti principali di svariate vedute panoramiche descritte nei suoi resoconti.

di provare a tenere insieme le molteplici esigenze del periodo sotto l'esteso ed estensibile manto del genere più adatto allo scopo, la polimorfa odeporica. Alla pluralità delle influenze doveva corrispondere una adeguata varietà degli stili: all'interno di uno spettro di registri che andava dalla nitida asciuttezza dell'intervento giornalistico alla drammatica letterarietà dell'intermezzo narrativo, l'eredità dell'enciclopedismo illuminista aveva conferito alle relazioni bertolottiane l'attitudine ad includere nel concetto di letteratura le istanze informative tipiche delle pubblicazioni scientifiche; i rimandi ai criteri estetici dell'antichità avevano accentuato l'armoniosità del registro pittorico; la tumultuosità romantica aveva fatto emergere il soggetto scrivente attraverso l'elemento diaristico.

Ora c'era da rimodulare la combinazione per esaudire le richieste della committenza: le opere destinate ad invitare i viaggiatori occasionali a prolungare il loro soggiorno negli stati del re avrebbero dovuto essere esaustive sia dal punto di vista della copertura territoriale, sia da quello dei contenuti, senza perdere in efficacia divulgativa. Ma non solo: già nella descrizione del ramo di Lecco inserita nella seconda edizione del Viaggio al lago di Como del 1824 e nei capitoli dedicati agli altri due laghi nel Viaggio ai tre laghi di Como, Lugano e Maggiore del 1825, il senso pratico e il fiuto commerciale di Bertolotti avevano fatto sì che emergessero sia l'«impostazione più agile e funzionale»520 tipica delle guide che avrebbero

520 Riportiamo per intero il passo da cui abbiamo tratto l'espressione, estrapolandolo da uno studio di Fabiana Fago che analizza le trasformazioni avvenute nella letteratura di viaggio nel periodo che stiamo prendendo in considerazione attraverso due scritti riferiti ad un'altra linea costiera, riguardanti l'uno il viaggio effettuato dal marchese Giuseppe Ceva Grimaldi sulla riva adriatica della Puglia nel 1818, l'altro l'itinerario seguito nella stessa area dallo scrittore Giuseppe Francioni Vespoli tra il 1828 e il 1830: «La scrittura di Giuseppe Francioni Vespoli si potrebbe definire di transizione nel panorama odeporico a cui ci stiamo riferendo, via dal modello del rigoroso resoconto di viaggio del funzionario Ceva Grimaldi e proiettato verso l’impostazione più agile e funzionale delle guide. È il viaggio ad assumere una nuova dimensione con lo sguardo a itinerari stimolanti ed educativi, che riescono a fare a meno di certe particolari finezze ottocentesche e che si possono definire senza errore quasi di consumo. Francioni Vespoli intuisce che il pubblico di lettori sta iniziando a cambiare, non solo e non più aristocratici o ricchi borghesi, ma nuovi clienti per l’editoria di viaggio, che si aspettano ragguagli sulla vita sociale e organizzativa del mondo ottocentesco» (Fabiana Fago, Viaggi e vagabondaggi in Terra di Bari e d’Otranto all’inizio del XIX secolo, in Giovanna Scianatico e Raffaele Ruggiero, a cura di, Questioni Odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, Bari, Palomar, 2007, pp. 503-514). Riguardo alle caratteristiche delle guide che sarebbero state commercializzate in maniera crescente negli anni successivi, riferiamo le parole di Attilio Brilli a proposito del volumetto A New Yorker in Rome dell'americano William M.

Gillespie pubblicato nel 1845: «È [...] dal suo statuto di guida che gli vengono in soccorso canoni e rubriche obbligate: l'approccio meditato e almeno in parte didascalico ai monumenti; il taglio delle scene secondo un gusto del “pittoresco” ben noto ai viaggiatori colti del secolo; l'esigenza tassonomica che stempera l'insorgere dei fantasmi; la necessità pratica di consigliare le ore e i modi più consoni per effettuare una visita (le rovine al chiaro di luna, le statue delle gallerie vaticane al lume delle torce...); canoni e rubriche insomma propri di una guida che investe di pathos l'oggetto e lo mantiene allo stesso tempo a distanza di sicurezza» (A. Brilli, Il viaggiatore immaginario, cit., p. 137). Lo stesso Brilli delinea con chiarezza uno degli aspetti che distinguono la guida dagli altri libri di viaggio: «È stato notato con acutezza che, a differenza di una guida, un libro di viaggio è un'opera a due livelli. Esso ha una superficie realistica pur essendo nel contempo una parabola. Vi si fondono dunque due modi di percezione all'apparenza diversificati fra loro: la cronaca descrittiva e la favola del viaggio, la registrazione obiettiva di un percorso, o della fisionomia di un luogo, e la narrazione di una parabola esemplare. In questa maniera viaggi e descrizioni di città si cangiano in percorsi interiori e parabole di uno specifico momento storico, senza naturalmente abdicare alla funzione illustrativa» (ivi, p. 83). Elvio Guagnini rende conto del problema metodologico rappresentato dalla scelta di includere o meno le guide nel perimetro che

acquisito una diffusione sempre maggiore soprattutto dopo la metà del secolo, sia la tendenza a separare le parti destinate a target di pubblico diversi per cultura e interessi, che nella seconda delle due opere citate aveva causato la bipartizione delle sezioni dedicate ai laghi Ceresio e Verbano in Cenni generali o Cenni statistici e Descrizione de' luoghi.

La «differenziazione dei modelli e dei livelli»521 e la «settorializzazione di forme, strutture e linguaggi»522 che stavano progressivamente caratterizzando la letteratura di viaggio del periodo si rifletterono anche sulla struttura delle opere redatte da Bertolotti a cavallo tra il terzo e il quarto decennio del secolo: se nel Viaggio in Savoia si ravvisa una differenza di stile tra la Prefazione, più letteraria, e il testo vero e proprio, variegato e aperto all'inclusione di elementi puramente informativi, nel Viaggio nella Liguria marittima l'intenzione di separare i registri viene resa esplicita attraverso la suddivisione dell'opera in tre parti e motivata in un Avvertimento iniziale. Una concessione, ma anche una forma di resistenza, alla specializzazione, nell'ottica della conservazione dell'unitarietà dell'opera e di una scrittura totalizzante - che in un certo senso anticipava la «ricerca di un codice erga omnes (come è stato detto per De Amicis), nel racconto di realtà meno note o per un pubblico che ancora non aveva mezzi e strumenti per accedere all’informazione di base su certe realtà»523 che sarà perseguita dalla nascita del reportage -, come confermato già nell'ampollosa dedica a Carlo Felice:

Con questi conforti, S. R. M., io vengo a profferire la mia descrizione della Liguria marittima dinanzi al vostro augusto soglio, nella cui base l'attico scalpello effigierebbe le Scienze, le Arti, le Lettere in atto di fratellevolmente abbracciarsi con l'Agricoltura, l'Industria, il Commercio524.

L'Avvertimento che apre l'opera sancisce quindi l'impossibilità di procedere con quello che nei passati resoconti era stato il metodo prediletto da Bertolotti, cioè «far de’ varj materiali un tutt'insieme nel quale primeggiasse il diletto, requisito superbissimamente

delimita la letteratura odeporica in un passo al quale rinviamo (E. Guagnini, op. cit., pp. 3-4). A questo punto è necessario precisare che Bertolotti, pur accogliendo alcuni elementi tipici delle guide, nella I lettera del II tomo del Viaggio nella Liguria marittima, quello dedicato interamente alla città di Genova, rifiuta esplicitamente la definizione: «Ma non vi venga nell'animo che le mie lettere abbiano ad essere ciò che si addimanda una Guida.

Sono a luce i libri che vi possono condurre in traccia d'ogni pittura nel laberinto de' suoi palagi. Il mio intendimento è di mostrarvi Genova da quell'altezza donde conobbi che la consideravano nel loro passaggio uomini che aveano condotto eserciti, governato provincie, scritto opere di rinomanza europea» (p. 19).

521 E. Guagnini, op. cit., p. 29.

522 Ibidem.

523 Ivi, p. 6.

524 D. Bertolotti, Viaggio nella Liguria marittima, cit., Tomo I, p. 6. D'ora in avanti tutte le note, tranne ove diversamente indicato, si riferiranno all'opera citata; si segnaleranno quindi solo il volume e il numero di pagina relativo alla citazione.

dimandato dal genio odierno»525: infatti «nel ridurre ad atto l'idea si levano le malagevolezze supreme»526, perché «l'immaginativa si mostra ritrosa ad accoppiare co' gravi argomenti di necessità e di utilità quelle parti di piacevolezza, di venustà, di decoro che più cara fanno la vita agli abitatori di un paese, ed invogliano gli stranieri a visitarlo ed a fermarvi il soggiorno»527. Il Viaggio vero e proprio sarà quindi seguito da un'Appendice contenente notizie e documenti e preceduto da un Ragionamento preliminare, un ritratto della regione redatto «alla guisa degli Statisti»528. Bertolotti si produce qui nella compilazione di un complesso albero tassonomico che scompone la Statistica nei tre aspetti fisico, morale ed economico, oggetto rispettivamente delle scienze, dell'azione delle istituzioni religiose e politiche e di discipline quali l'agricoltura, l'industria, il commercio. Lo stesso autore è perplesso rispetto alla possibilità di separare tre campi che si influenzano così fortemente a vicenda, ma accetta l'impostazione ideale secondo una logica d'intervento coerente con la committenza governativa dell'opera, considerando la Statistica come strumento necessario allo sviluppo dell'Economia politica.

Per comprendere meglio il milieu locale in cui compare il resoconto bertolottiano seguiamo una ricostruzione di Edoardo Grendi:

Il primo Ottocento è, in Liguria e altrove, un'epoca in cui l'osservazione della natura e della realtà sociale si dilata enormemente, frutto maturo di una sorta di onda lunga della «pressione dell'empirico» che è registrabile in ambito europeo. In fondo il segno più evidente dell'«alterità» dei processi conoscitivi della società territoriale è dato dal fatto che la forma generale di «lavoro sul campo» che corrisponde loro, è il viaggio: per definizione un muoversi in un ambiente non familiare. È significativo che lo stesso termine «statistica», che si universalizza nel primo Ottocento, abbia la sua origine nel revival esclusivamente tedesco dell'antica ars apodemica in pieno Settecento. Accanto al viaggio più tradizionale, interessato soprattutto alla città e ai costumi urbani, abbiamo forme precoci di specializzazione del viaggio, legate soprattutto alle scienze mediche e naturalistiche, ove l'osservatore, spesso avventuroso, poteva variare il fuoco del suo interesse, ampliando o riducendo il raggio di contestualizzazione dello specimen o del fenomeno specifico oggetto del suo interesse529.

Al contrario di quanto detto per l'eclettico Bertolotti, che aveva deciso di ridurre e segmentare i percorsi ma non i campi del sapere, qui l'allontanamento dall'itinerario classico,

525 Tomo I, p. 10.

526 Ivi,, p. 8.

527 Ivi, p. 10.

528 Ibidem.

529 Edoardo Grendi, «Storia di una storia locale: perché in Liguria (e in Italia) non abbiamo avuto una local history?», Quaderni storici, Bologna, il Mulino, Nuova Serie, Vol. 28, No. 82 (1), Storie di Storia: Erudizione e specialismi in Italia, 1993, pp. 141-197.

quello incentrato sull'insediamento urbano, aveva generato vari esempi di specializzazione. A partire dalla fine del Settecento troviamo quindi l'opera votata all'intrattenimento del geologo Paolo Spadoni, l'«osservazione topografica integrale»530 di Domenico Viviani, i viaggi degli agronomi Gallesio, Piccone531 e Bianchi, fino alla pubblicazione, avvenuta a Genova nel 1813, del manuale del conte Grädberg de Hemso, che proponeva un altro schema riguardante la classificazione della Statistica, simile a quello riportato da Bertolotti e ad altri «che costituirono un riferimento comune fino alla metà dell'Ottocento»532. Tra gli incaricati dell'amministrazione francese, che aveva acquisito il territorio nel 1805, spicca il conte Gilbert Chabrol de Volvic, autore di una Statistique relativa al Dipartimento di Montenotte, che da Savona e Oneglia si estendeva nell'entroterra fino ad Acqui e Ceva, scritto che «segna una grossa svolta nella conoscenza della società territoriale»533 e che stabilisce il paradigma basato sulla ricerca empirica di carattere politico-economico che ancora Grendi ritiene applicabile anche alla relazione di Bertolotti, contrapponendo l'approccio di queste due opere organiche a quello della successiva Descrizione di Genova e del genovesato, «summa di conoscenze di specialisti diversi»534 uscita in occasione dell'VIII Congresso degli Scienziati del 1846, simile a quella che Bertolotti stesso avrebbe redatto nel 1840 per Torino ma, appunto, costituita dal lavoro di un gruppo di autori. La contrapposizione tra visione globale, caratterizzata dal lavoro sul territorio, ed effetto disgregante dell'approccio specialistico sembra peraltro riguardare anche gli interrogativi di metodo sullo studio della storia locale:

Tutto parte dalla topografia. […] Tutto deve partire dalla definizione spazio-temporale del territorio […]. L’atto fondante di ogni storia locale è lo sguardo, la ricognizione (la “scarpinata” direbbe Francesco V. Lombardi conoscitore come pochi di luoghi e monumenti e documenti). Lo storico locale inizia il suo lavoro immedesimandosi nel luogo, nel territorio. Alla storia locale viene generalmente riconosciuto il carattere intrinseco della globalità. Altri la chiama totalità.

Phythian-Adams distingue utilmente l’approccio “integrativo”

(multidimensionale, interdisciplinare, à parte entière) proprio della storia locale (in senso lato, dunque anche regionale e nazionale), dall’approccio “disgregativo”

delle storie tematiche specialistiche […]. Non si vuol negare, naturalmente, la legittimità e il valore scientifico di ricerche che richiedono alti livelli di specializzazione, ricerche sofisticate e ingegnose, aggiornatissime anche perché

530 Ibidem.

531 Le opere di Viviani, Gallesio e Piccone, oltre naturalmente a quella di Chabrol che stiamo per menzionare, sono consultate e citate da Bertolotti.

532 Ibidem. Lo schema, così come riportato da Grendi, è il seguente: «STATISTICA FISICA = TOPOGRAFIA:

situazione-clima e suolo-prodotti naturali-abitazioni. STATISTICA MORALE = ETNOGRAFIA: popolazione, agricoltura, industria e costumi. STATISTICA POLITICA = NOMOGRAFIA: legislazione, amministrazione pubblica, economia, diplomazia».

533 Ibidem.

534 Ibidem.

parcelle (talvolta ancelle) degli interessi storiografici del momento: ma, insomma, pari legittimità e dignità scientifica sembra spettare allo studio di un territorio locale nella sua interezza e complessità535.

«Interezza e complessità» sono caratteristiche che nel caso della Liguria, oltre a richiamare quasi specularmente le tensioni tra unitarietà e frammentazione del testo odeporico bertolottiano che la racconta, delle quali ci siamo occupati fin qui, rivestono un significato particolare a causa delle peculiarità storiche e geografiche della regione. Il Ragionamento preliminare procede secondo una scansione tematica, non assecondando un itinerario di viaggio. Ma il primo paragrafo è dedicato alla topografia, quindi alla definizione del territorio all'interno del quale il viaggio avrà luogo. La Liguria qui descritta non corrisponde esattamente a quella delimitata dai confini attuali, che furono delineati solo nel 1859-1860, alla vigilia dell'unificazione nazionale. I confini della regione vengono tracciati dapprima in maniera generica e con stile forbito nell'Avvertimento, rispettando la sequenza già sperimentata nel Viaggio in Savoia, in cui il registro scelto per la Prefazione aveva consentito a Bertolotti di sfoggiare la propria inventiva letteraria. Presentando l'opera, l'autore precisa:

Essa è indirizzata a far alquanto particolarmente conoscere quel lembo dell'alta

Essa è indirizzata a far alquanto particolarmente conoscere quel lembo dell'alta