1. Vita ed opere
1.2. Tra Torino e Milano: gli alfieriani-foscoliani, le polemiche letterarie, le poesie
Bertolotti pubblicò alcune parti della sua traduzione del Paradiso Perduto sullo
«Spettatore» quando già ne era redattore, dopo essersi trasferito a Milano. Già prima della pubblicazione Foscolo aveva avuto modo di rivelare le speranze che riponeva in una degna riuscita dell'operazione, scrivendo a proposito di una temporanea malattia di Bertolotti: «Io temo per lui, per Milton, per noi; ed il paradiso sarebbe veramente perduto, da che io reputo
68 Davide Bertolotti, Viaggio al lago di Como di Davide Bertolotti. Si aggiunge: La Descrizione di una gita da Milano a Cassano lungo il naviglio, e da Cassano a Lecco lungo l’Adda; non che Alcuni Cenni intorno Varese ed i suoi Dintorni, Como, Ostinelli, 1821, p. 267.
69 Ivi, p. 270.
70 Davide Bertolotti, Serie di vite e ritratti de' famosi personaggi degli ultimi tempi, Milano, Batelli e Fanfani, 1818, p. 181.
71 Traduzione di Bertolotti consultata in Davide Bertolotti et al., Poemi di Tommaso Gray tradotti da varii, Venezia, Antonelli, 1847.
72 D. Bertolotti, Serie di vite e ritratti, op.cit., p. 181.
73 Su Foscolo e Milton cfr. Francesco Brenna, «Foscolo e Milton: la circolazione di Lycidas in Italia e i possibili rapporti con i Sepolcri», Seicento e Settecento: rivista di letteratura italiana, Pisa, Fabrizio Serra Editore, XIII, 2018, pp. 185-203.
che, ove egli attenda totis viribus alle lettere, emergerà dalla turba»74. Alcune altre traduzioni di Bertolotti erano uscite sul «Poligrafo», periodico milanese, codiretto da Vincenzo Monti, decisamente schierato sul versante anti-foscoliano. La frequentazione tra Bertolotti e Foscolo, però, fu amichevole. Altre traduzioni di Bertolotti erano presenti nella collezione milanese di Foscolo, e sono provate disquisizioni miltoniane tra i due75. In una lettera ad un gruppo di amici, cui Bertolotti apparteneva, Foscolo si professa certo di una futura brillante carriera d'autore per il nostro. In un'altra lo inserisce al primo posto tra quelli a cui la missiva di saluti è indirizzata. In coda alle citate preoccupazioni per la salute di Bertolotti, e quindi per le sorti della sua impresa letteraria, aggiunge: «Senza che io l'amo più per simpatia, che per conoscerlo intimamente; poiché egli ha volto liberale, e modi schietti ed affettuosi»76. I destinatari delle lettere non erano un semplice circolo di amici, ma i cosiddetti alfieriani-foscoliani, comunità di letterati piemontesi uniti dalla passione per i due autori, passione insieme letteraria e civile. La lista dei membri del gruppo, così come compilata da Vittorio Cian, basterebbe per farsi un'idea del movimento di pensiero che rappresentarono:
[...] i due fratelli Pellico, Luigi e Silvio, Santorre Santarosa, Lodovico di Breme, Luigi Ornato, Luigi Provana del Sabbione, Cesare Balbo, Carlo Vidua, Giuseppe Grassi, Alberto Nota, Stanislao Marchisio, Carlo Marenco, David Bertolotti, Lodovico Sauli d'Igliano e Buonincontro Ranza, architetto vercellese77.
L'intento di questi giovani intellettuali. spesso manifestato nei carteggi privati, era di
«preservare la cultura piemontese-italiana dall’ingerenza della cultura francese»78. In linea di continuità ideale con il misogallismo alfieriano, l'impegno patriottico del cenacolo culturale costituiva una di quelle avvisaglie del primo Risorgimento che avrebbero condotto ai moti insurrezionali del 1821. Impegno in funzione antifrancese che sarebbe stato trasfuso in una posizione antiaustriaca nella Milano post Congresso di Vienna, dove alcuni alfieriani-foscoliani si sarebbero gettati nell'avventura del periodico militante «Il Conciliatore». La loro attività si svolse quindi tra Piemonte e Lombardia, lungo la stessa traiettoria seguita da Bertolotti, che si trasferì a Milano nel 1812. A un certo punto tra Bertolotti ed alcuni di essi si
74 Ugo Foscolo, Epistolario (1809-1811), a cura di Plinio Carli, Firenze, Le Monnier, 1953, n. 1117.
75 Si veda Chiara Piola Caselli, op.cit.
76 Vittorio Cian, Gli alfieriani-foscoliani piemontesi e il Romanticismo lombardo-piemontese del primo Risorgimento, Roma, Biblioteca scientifica, 1934, p. 9.
77 Ivi, pp. 6-7.
78 Chiara Tavella, Le traduzioni dei classici europei nella biblioteca di un intellettuale ‘anfibio’: Santorre di Santa Rosa, in Silvia Tatti, Stefano Verdino (a cura di), Rivoluzioni, Restaurazione, Risorgimento. Letteratura italiana, 1789-1870: Lettere, memorie e viaggi tra Italia ed Europa. Letteratura italiana e traduzioni, Napoli, Associazione culturale Viaggiatori, 2019, pp. 96-104.
consumò una rottura. L'azione dei “romantici militanti” verteva su questioni letterarie e politiche e su come le une potessero influire sulle altre. I punti di vista non erano perfettamente congruenti: i romantici più ardenti, come Ludovico di Breme, e i più moderati
“manzoniani” rappresentavano tendenze differenti, da tenere insieme con l'atteggiamento cui alludeva il nome del periodico che fondarono. Ma Bertolotti si poneva su un piano tutt'affatto diverso: le divergenze, negli anni lombardi, emersero in maniera evidente.
Nel 1810 la baronessa Germaine de Staël, assumendo il ruolo di mediatrice tra il romanticismo tedesco e quello latino, pubblicò il saggio De l'Allemagne, in cui riassumeva i capisaldi della nuova cultura che si stava diffondendo nella Germania dello Sturm und Drang.
Nel 1814 Bertolotti ne stese una traduzione che, una volta accesasi la mischia, sarebbe stata duramente riprovata. La deflagrazione si ebbe con l'articolo di Staël pubblicato dalla
«Biblioteca Italiana», Sulla maniera e utilità delle traduzioni, in cui l'autrice esortava gli italiani a conoscere e tradurre le letterature straniere contemporanee per rinnovare la stanca tradizione della penisola. A sostegno di questa posizione gli ormai ex sodali di Bertolotti reagirono redigendo le prime testimonianze accreditate e consapevoli del romanticismo italiano, affiancati dai loro nuovi compagni di schieramento: Ludovico di Breme con Intorno all'ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani, Giovanni Berchet con la Lettera semiseria di Grisostomo al suo figlio. Nella critica alla pigrizia della letteratura italiana mossa da Staël colsero l'occasione per impegnarsi nella ricerca di un antico spirito civile della nostra tradizione, che ritennero di trovare in un'eroica storia patria piuttosto che in una mitologia artificiosa. Al contrario Bertolotti, sul foglio di cui era responsabile, rispose all'intellettuale svizzero-francese con un infuocato articolo vergato all'insegna di un nazionalismo esasperato, fin dal titolo, ma tutto letterario: La gloria italiana vendicata dalle imputazioni della Signora Baronessa di Staël-Holstein79. I commenti coinvolsero entrambi gli episodi in cui il nostro aveva affrontato gli scritti staëliani, come riassume Gino Tellini a proposito dell'uscita dell'articolo di Bertolotti:
Il che non solo aveva fatto arrabbiare di Breme, ma aveva dato anche il destro al Borsieri delle Avventure letterarie per deridere (nel cap. II) la cattiva traduzione di De l'Allemagne allestita dallo stesso Bertolotti a Milano nel 1814 presso Silvestri (di Breme nel saggio Intorno all'ingiustizia di alcuni giudizj letterarj italiani
79 Pubblicato su «Lo Spettatore» di Milano, parte italiana, tomo VI, quaderno LV, luglio-agosto 1816, 150-158;
vedi William Spaggiari, Milano 1816: la polemica classico-romantica e un «jeune libéral, rempli d’esprit», in Massimo Prada, Giuseppe Sergio (a cura di), Italiani di Milano. Studi in onore di Silvia Morgana, Milano, Ledizioni, 2017, pp. 371-380; Paolo Bartesaghi, Antonio Fortunato Stella: libraio, tipografo, editore (27 ottobre 1757 - 21 maggio 1833), in William Spaggiari, Alberto Cadioli (a cura di), Milano nell’età della restaurazione (1814-1848). Cultura letteraria e studi linguistici e filologici, Milano, Bulzoni, 2015, pp. 171-238.
consigliava nientemeno di «distradurla») e per mettere alla berlina, seduta stante (nel cap. VIII), l'altezzoso articoletto dello «Spettatore» («Non sai che ora si usano i titoloni grandi, e le opere piccoline?»), ridotto a «dramma sentimentale» e ridicolizzato nella gustosa sceneggiatura di una «Farsa in tre scene»80.
Il fronte dei classicisti comprendeva anche atteggiamenti moderati come quelli del liberale Pietro Giordani, che evidenziava il rischio che una riscoperta del medioevo rivalutasse anche pregiudizi e superstizioni di quell'epoca, ma Bertolotti si appiattì su una posizione chiusa e radicalmente conservatrice.
Le relazioni con il cenacolo di origine torinese si erano già guastate. Ci furono forse anche motivi personali: Vittorio Cian attribuisce la rottura con Ludovico di Breme, che fu tra i più aspri nell'emettere giudizi sul nostro nelle lettere agli amici, anche al carattere focoso del personaggio, il quale in effetti aveva intrapreso la lotta civile e letteraria combattuta dal
«Conciliatore» mostrando il temperamento più acceso e le idee più estreme, in senso staëliano. Va detto che anche a Giuseppe Grassi, con il quale Di Breme si lasciò andare ai giudizi più sfavorevoli nei confronti di Bertolotti, successivamente toccò di uscire dalle grazie dello stesso; e Grassi, tra gli alfieriani-foscoliani, spiccava per alcune valutazioni linguistiche non estranee a un certo conservatorismo, seppur distinte dal purismo più angusto81. Insomma, anche alla base delle tensioni personali sembra ci fossero le scelte di vita operate da ciascuno, i posizionamenti. E tra le ragioni di Bertolotti, nel giro d'orizzonte con cui stava cercando una propria collocazione nel mondo letterario, non risultava quella di un appassionato impegno civile sull'altare del quale immolare le proprie fatiche di scrittore. È la prima cosa che si premurò di precisare nei Cenni biografici e letterari scritti da lui stesso, le pagine con le quali inviò a Brofferio le proprie memorie. Il testo inizia così: «Caro Angelo, ti mando alcuni Ricordi della mia vita letteraria. Vita politica non ebbi mai»82.
Non si trattava di inconsapevolezza o superficialità: Bertolotti conosceva le correnti di pensiero che nel corso del Settecento e di quel primo Ottocento stavano trasformando non solo il gusto, ma la società intera. Gli autori tradotti non erano semplici occasioni d'esercizio:
di Addison Bertolotti afferma di conoscere anche I piaceri dell'Immaginazione, quindi l'approccio critico-filosofico oltre a quello artistico-creativo83. Ma lo sperimentare un punto di osservazione non diventa mai per lui scelta personale e definitiva, come avviene per il viaggiatore che trova nello spostamento qualcosa che «risolve una logica della contraddizione
80 G. Tellini, op. cit., p. 85.
81 Cfr. Claudio Marazzini, Grassi, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 58, Roma, Treccani, 2002: <https://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-grassi_(Dizionario-Biografico)/>.
82 A. Brofferio, op. cit. p. 215.
83 D. Bertolotti, Serie di vite e ritratti, op. cit., p.181.
in una logica della sequenza»84:
I viaggi richiedono sia la capacità di creare legami che quella di romperli, e il viaggiatore impara a stringere quei rapporti del momento, contingenti, transitori, a termine, che non sono perciò necessariamente superficiali85.
La stessa Staël, fieramente avversata sullo «Spettatore», è citata nelle Peregrinazioni bertolottiane, allorché l'autore, dopo la morte della scrittrice, ne visita la residenza di Coppet.
Qui Madame de Staël non rappresenta un campo culturale avverso, è un'anima compianta attraverso ricordi convenzionali e con l'accordo sentimentale di un paesaggio idillico, privo delle tempestose passioni che caratterizzano il romanzo di cui lo si vorrebbe ispiratore:
Con religioso raccoglimento io m'aggirai per quelle stanze che mandare ancor parevano il suon de' suoi passi. Entrai nel gabinetto ov' ella scriveva; ;e chi può senza lagrime mirare il luogo ove scriveva Corinna! Per distrarmi dal turbamento, mi affacciai alla finestra, e vidi qual superbo prospetto ispirasse i suoi sublimi pensieri: fertili campi e vigneti si schieran d'intorno, ed increspasi l'azzurro lago di sotto, mentre nel fondo le maestose Alpi co' canuti lor gioghi pajono confinare colla turchina volta del cielo86.
In Corinne ou l'Italie, «esempio inconfutabile di come le relazioni di viaggio possono trasmigrare nelle pagine dei romanzi»87, lo scenario che fa da contrappunto al contrastato amore dei protagonisti è semmai quello italiano, conosciuto da Staël durante un lungo soggiorno nel Belpaese. Non si tratta di un dettaglio, visto l'impegno profuso dall'autrice attraverso le sue pagine critiche nel propagare la teoria del Volksgeist, lo spirito dei popoli che determina il destino delle nazioni. Ma l'obiettivo di Bertolotti non è approfondire le ragioni del conflitto. C'è anche una sorta di ripensamento della propria opposizione alla baronessa, che però è solo apparente:
Con profondo rammarico io mi rimembrava che maligni consigli dapprima e
84 Eric J. Leed, La mente del viaggiatore. Dall'odissea al turismo globale, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 37
85 Ivi, p. 297.
86 Davide Bertolotti, Viaggio da Milano a Ginevra pel Sempione e ritorno da Ginevra a Milano pel Gran San Bernardo. Lettere, in Peregrinazioni di Davide Bertolotti Autore del Viaggio al Lago di Como – Scorsa al Lago d’Orta, a Varallo, nelle Valli di Fobello e d’Anzasca, ai Ghiacciaj del Monte Rosa – Viaggio da Milano a Ginevra pel Sempione e ritorno pel Gran San Bernardo – La Certosa di Pavia – Pavia – Belgiojoso – Il Naviglio – Bergamo e la Fiera di S. Alessandro – La Festa di Cinisello – Il Ballo delle Fanciulle – Visita d’un Cimitero – L’Albergo in Lodi – Il Castello di Concesa, Milano, Società tipografica dei Classici italiani, 1822, I, p. 41.
87 A. Brilli, Il Viaggiatore immaginario, op. cit., p. 103.
soverchio zelo d' imprudenti suoi amici dappoi, tratto mi avevano a vestir l'usbergo contro di essa. Io dimenticava che la giustizia forse mi era stata compagna nel giostrare, e non vedeva che il torto di aver abbassata la lancia contro l'Ippolita delle lettere e dell'incivilimento. L'idea dell'eterno silenzio in cui ella era affondata, destava in me più viva l'ammirazione delle sue virtù, e parziale mi rendeva in disfavor di me stesso88.
Proprio questa volatilità fece Bertolotti oggetto di strali simili a quelli che colpirono Vincenzo Monti, universalmente apprezzato, anche da Staël, ma espulso dal canone letterario risorgimentale dagli intellettuali politicizzati per l'incapacità di seguire l'accelerazione del tempo storico e per la tendenza ad adattarsi troppo facilmente alle esigenze del potente di turno89. Come ricorda Vittorio Cian, disegnando la parabola discendente di Bertolotti nella considerazione degli alfieriani-foscoliani: «[...] gli nocque l'ambiziosa irrequietezza degli atteggiamenti politici, ispirati ad un opportunismo farfallino, che lo assomiglia in ciò assai più al Monti che non al suo Foscolo»90.
In effetti Bertolotti si era prodigato nel celebrare Bonaparte imperatore con alcune odi, composte e pubblicate tra nella Torino annessa alla Francia e la Milano capitale del napoleonico Regno d'Italia. La prima occasione si era verificata nel 1811 e Bertolotti la considera il suo «primo ingresso nella carriera lirica»91. Si tratta di un componimento dedicato alla nascita del figlio avuto da Napoleone con la Maria Luisa d'Asburgo. Dopo aver annesso lo stato pontificio e deportato il papa, spodestato il re di Spagna in favore del fratello Giuseppe e assegnato la corona di re di Napoli al cognato Gioacchino Murat, Napoleone aveva fronteggiato l'ennesima coalizione antifrancese e l'aveva sconfitta duramente a Wagram, occupando poi Vienna. Il matrimonio con la figlia dell'imperatore Francesco rientrava tre le aspre condizioni della pace a cui l'Austria fu costretta, e la nascita di Napoleone Francesco, re di Roma, aveva lo scopo di rafforzare la strategia di dominio assicurando all'impero un erede di sangue reale92. Bertolotti celebrava quindi l'evento simbolo di quello strapotere che da un lato causava il divampare in tutto il continente di diversi focolai di resistenza, incluso quello alimentato dai sodali alfieriani-foscoliani, dall'altro forniva loro un dispositivo teorico per legittimarsi, lo stesso importato in Italia dalla Germania attraverso scritti come quelli di Madame de Staël e qui descritto da Francesco Benigno:
88 D. Bertolotti, Viaggio da Milano a Ginevra in Peregrinazioni, op. cit., I, pp. 40-41.
89 Cfr. A. Beniscelli, op. cit., p. 194-195.
90 V. Cian, op. cit., p. 9.
91 A. Brofferio, op. cit., p. 220.
92 Cfr. Francesco Benigno, L'età moderna. Dalla scoperta dell'America alla Restaurazione, Bari, Laterza, 2005, p. 337.
Lo stesso nuovo concetto di patria basato sull'autonoma capacità di determinarsi da parte del popolo-nazione, propagandato dalle truppe francesi, offre un potentissimo strumento ideale, atto a essere usato da tutti coloro che ritengono l'occupazione o l'influenza francese sulla propria terra come un inaccettabile sopruso e una violazione delle proprie leggi e consuetudini tradizionali93.
Bertolotti, nei Brevi ricordi, si dimostra ben conscio che quell'episodio rappresentava il colmo della fortuna di Napoleone, «perché d'allora in poi ella prese a scendere e quindi a precipitare. Chi ne avrebbe fatto il presagio in mezzo alle meravigliose feste che celebravano l'avvenimento?»94. Non ravvisa alcun limite nel suo intento celebrativo, al quale si era dedicato «rapito dall'universale entusiasmo»95, semmai lo individua nel fatto che la lode era destinata a essere superata dagli eventi.
Altre odi avevano avuto come soggetto la vaccinazione di Napoleone Francesco;
l'onomastico di Paolina Bonaparte; il ritorno a Milano di Eugenio di Beauharnais, figlio di Giuseppina adottato dall'imperatore, che nel 1813 rientrava dopo aver guidato i resti della Grande Armée in ritirata dall'infausta campagna di Russia; elogi a Camillo Borghese, cognato di Napoleone in quanto marito di Paolina96. Il vento, poi, era cambiato definitivamente, con le pesanti sconfitte che avevano costretto Napoleone ad abdicare. Anche in questo caso Bertolotti narra con una certa naturalezza la sua immediata retromarcia: «L'argomento di que' Versi ne divenne ben presto lo scoglio, e dalle attitudini liriche mi ritrasse alle piane regioni della prosa»97. Non prima, però, di aver pubblicato un'altra ode, l'anno seguente, Alla Maestà di Alessandro I° Imperatore di tutte le Russie, incensando, con tanto di riferimento all'omonimo Macedone nella dedica98, proprio quel nemico per affrontare il quale Napoleone aveva dato inizio al crollo del proprio impero. Successivamente sullo «Spettatore» firmò addirittura un'ode a Francesco I d'Austria e un sonetto dedicato all'imperatrice99. Scoglio aggirato con un cambio di rotta, come al solito. Ma il passaggio alla prosa era avvenuto veramente.
Muovere dalla poesia alla prosa aveva significato per Bertolotti anche spostarsi dai riferimenti espliciti alla situazione politica presenti nelle odi, come si è visto orientati sempre
93 Ibidem.
94 A. Brofferio, op.cit., 220.
95 Ibidem.
96 Cfr., oltre ai Brevi ricordi, V. Cian, op. cit., pp. 10-11; dell'ode Ritorno del principe Eugenio, vicerè d'Italia, Bertolotti cita, nelle pagine autobiografiche, i versi dedicati a Torino, città natale della quale si sarebbe trovato a dare alle stampe una Descrizione in prosa ventisette anni dopo.
97 A. Brofferio, op. cit., p. 227.
98 Milano, De Stefani, 1814.
99 A Sua Maestà l'Imperatrice d'Austria, «Lo Spettatore, ovvero mescolanze di viaggi, di storia, di statistica, di politica, di letteratura e di filosofia», Tomo V, parte italiana, Milano, Stella, 1816, p. 37; Pel faustissimo giorno natalizio di S. M. I. e R. A. Francesco I, ivi, pp. 130-132.
nella stessa direzione del potere, a quelli più marcatamente letterari delle missive aperte con cui avrebbe cavalcato l'onda della polemica classico-romantica. Il passaggio si era compiuto nel 1814, stesso anno di uscita della citata traduzione bertolottiana della Germania di Staël.
Bertolotti aveva attaccato René Chateaubriand per il contenuto di un suo pamphlet, De Buonaparte et des Bourbons, in cui il visconte bretone si rendeva colpevole di un'azione non così diversa da quella attuata da Bertolotti stesso nelle ultime sue odi: la celebrazione di una tra le corone che si erano opposte a Napoleone e che ora sarebbero tornate a prendere il sopravvento, spartendosi l'Europa. Tra i due rami dello schema elaborato da Alberto Asor Rosa per sintetizzare le diverse modalità con cui parte del pensiero europeo si oppose al dominio napoleonico, quello di stampo liberale e quello “tecnicamente” reazionario, Chateaubriand trova posto nel secondo. Non sul versante demaistriano, che arrivava ad aggredire i principi del libero pensiero e del libero arbitrio precedenti alla Rivoluzione, ma su quello che esaltava il rapporto tra religione e natura: condannando, ma insieme anche rappresentando, «quel “vago delle passioni”, che faceva parte dell'incipiente credo romantico, e forniva una tipologia esistenziale ampiamente imitata in tutta Europa dai giovani scrittori desiderosi di liberarsi dalle pesanti bardature classiciste»100. Ma a scatenare la querelle con Bertolotti erano stati molto più semplicemente i ripetuti riferimenti alle origini italiane e ai caratteri tipicamente italici della personalità del corso, in cui Chateaubriand ravvisava evidenti sintomi della sua inclinazione al male: nella Lettera di un italiano al visconte di Chateaubriand il nostro aveva cavalcato lo sdegno per l'affronto, inaugurando gli strumentali attacchi contro stranieri illustri che, come abbiamo visto, gli sarebbero costati l'accusa di
“falsa italianità”101 da parte degli alfieriani-foscoliani.
Grazie a questo exploit, però, si erano finalmente spalancate per Davide Bertolotti le porte dell'agognata professione di letterato, in quella Milano che si apprestava a lasciare la condizione di capitale di un regno napoleonico per diventare fulcro del Regno Lombardo-Veneto, sotto l'egida dell'Austria, nell'epoca della Restaurazione:
Le laute offerte fattemi dai librai milanesi, a ciò mossi dall'indicibile fortuna della
Le laute offerte fattemi dai librai milanesi, a ciò mossi dall'indicibile fortuna della