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Limiti all’appello

Nel documento Il giudizio abbreviato (pagine 164-174)

Per quanto concerne le impugnazioni, il codice pone alcuni limiti

all’appellabilità della sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato

450

.

La disciplina, dettata all’art. 443 c.p.p., è stata oggetto di varie

riscritture e aggiustamenti, anche ad opera della Corte costituzionale

451

.

448 In tal senso, Cass., sez. un., 6.12.2007, Studium Iuris, 2008, 879; in Dir. pen. proc., 2008, 1405, con nota di A. CONZ, Il concorso applicativo delle norme penali e processuali; in Giur. it., 2008, 1219, con nota di V. DUGHERA. Nella pronuncia in parola la Cassazione ha chiarito che l’art. 78 c.p., segnando il limite della potestà punitiva dello Stato nell’irrogazione delle pene detentive temporanee, appartiene all’area delle regole di natura sostanziale del codice penale sul concorso dei reati e delle pene e conseguentemente deve operare prima dell’applicazione di eventuali riduzioni di pena di natura processuale. Nello stesso senso, Cass., sez. I, 10.03.2004, n. 15027, Pasinelli, in Cass. pen., 2005, 2287, con nota di F. NUZZO, Ancora sul calcolo della diminuente prevista dall‟art. 442 c.p.p.

449 E’ stato chiarito, inoltre, in giurisprudenza che ai fini dell’applicazione e della durata della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici il giudice debba fare riferimento alla pena inflitta in concreto, dopo la riduzione per la diminuente del rito. In tal senso, Cass, sez. un., 27.05.1998, in Foro it., 1998, II, 20, con nota di G. CANZIO, Alcune riflessioni sul giudizio abbreviato dopo un decennio di applicazione dell‟istituto.

450

P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano, 2009, 694. La ratio della scelta operata dal legislatore è quella di non frustrare le esigenze di celerità processuale sottese al rito alternativo. Così, F. ZACCHE’, Il giudizio abbreviato…cit.,185; Relazione prog. prel. c.p.p., in G. CONSO-V. GREVI-G.NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale. Dalle leggi delega ai decreti delegati, IV, Il progetto preliminare del 1988…cit., 1023.

451

Nella sua formulazione originaria, la disposizione richiamata delimitava in modo netto gli ambiti di operatività del gravame: né l’imputato, né il pubblico ministero potevano appellare le sentenze di proscioglimento, al fine di ottenere una formula diversa, e neppure le sentenze con le quali fosse stata applicata una sanzione sostitutiva (art. 443, comma 1 c.p.p.). Per quanto concerne invece le pronunce di condanna, all’imputato non era consentito sottoporre ad impugnazione le sentenze con le quali fosse stata applicata una pena che comunque non dovesse essere eseguita ovvero la sola pena pecuniaria (art. 443, comma 2 c.p.p.); il pubblico ministero, per parte sua, non poteva impugnare le sentenze di condanna, salvo che si trattasse di decisioni che avessero modificato il titolo del reato (art. 443, comma 3 c.p.p.). Una prima

Preme pertanto fornire, in primo luogo, il quadro di riferimento attuale.

Per sistematicità, merita distinguere a seconda che all’esito del giudizio

sia pronunciata una sentenza di condanna o di proscioglimento. Ebbene, il

comma 3 dell’art. 443 c.p.p. - rimasto inalterato – stabilisce che il pubblico

ministero non può proporre appello avverso la sentenza di condanna, salvo

che si tratti di sentenza che abbia modificato il titolo di reato

452

. Negli altri

casi, dinanzi all’accoglimento della propria tesi accusatoria, la pubblica

accusa deve deporre le armi.

Giova osservare che sin dalle origini tale preclusione non è stata

concepita come lesiva del principio di parità fra accusa e difesa, in quanto

giustificata, anzitutto, dall’obiettivo primario di una rapida e completa

definizione dei processi svoltisi in primo grado secondo il rito abbreviato; in

secondo luogo, dalla circostanza che le sentenze sottratte all’appello

segnavano comunque la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere con

l’azione intrapresa

453

.

modifica all’assetto originario è stata apportata ad opera della L. n. 479 del 1999, che aveva eliminato sia per l’imputato che per il pubblico ministero il limite al gravame in caso di sentenze di condanna ad una sanzione sostitutiva, nonché abrogato il comma 2 dell’art. 443 c.p.p., così liberalizzando la facoltà per l’imputato di proporre appello avverso le sentenze di condanna. All’indomani della novella, quindi, rimaneva in vita il limite – rivolto ad entrambe le parti - concernente l’inammissibilità dell’appello avverso le sentenze di proscioglimento, ove il gravame fosse diretto ad ottenere una formula diversa; nonché il disposto del comma 3 dell’art. 443 c.p.p., che aveva riguardo al solo pubblico ministero. Su questo impianto normativo interveniva la L. n. 46 del 2006.

452 G. VARRASO, In tema di impugnazione del pubblico ministero avverso le sentenze di condanna all‟esito di giudizio abbreviato, in Cass. pen., 2007, 1134, osserva che la deroga contenuta nell’inciso finale dell’art. 443, comma 3 c.p.p. era da ricollegare all’originario accordo, fra imputato e pubblico ministero, vertente non solo sul rito, ma anche sull’imputazione, per cui la modifica da parte del giudice all’esito del rito speciale del titolo del reato finiva per incidere su tale accordo, così giustificando il diritto all’impugnativa della sentenza della parte pubblica. Ora, «venuta meno sia la necessità del consenso della parte requirente, sia la fissità della res iudicanda la disposizione di cui di discute risulta prima di qualsiasi ratio. Di certo, un intervento meno frettoloso del legislatore del 2006 avrebbe imposto una complessiva ridefinizione dei poteri di gravame del pubblico ministero in sede di giudizio abbreviato».

453 Ciò detto, fin dalle prime censure rivolte alla necessità del consenso del pubblico ministero alla richiesta di giudizio abbreviato - poi sfociate nelle sentenze C. cost. n. 81 del 1991, n. 183 del 1991 e n. 66 del 1990, cit., ad opera delle quali veniva introdotto un obbligo per la stessa parte pubblica, di enunciare le ragioni del proprio dissenso e il controllo del giudice sulla fondatezza di tali ragioni - fu subito chiaro che l’eventuale eliminazione di tale requisito avrebbe reso necessaria, ai fini di un riequilibrio interno dell’istituto, tanto una nuova disciplina sul diritto alla prova del pubblico ministero, quanto una revisione dei limiti all’appello della stessa parte pubblica, essendo tali limiti razionalmente giustificabili, in linea di principio, solo se collegati al

Peraltro, in origine il codice del 1988 poneva limiti precisi anche alla

facoltà di appello dell’imputato avverso la sentenza di condanna. In

particolare, il comma 2 dell’art. 443 c.p.p. stabiliva l’inappellabilità, per

quest’ultimo, delle sentenze di condanna «a una pena che comunque non

[dovesse] essere eseguita ovvero alla sola pena pecuniaria».

Ora, la disposizione in parola è stata interessata, prima, da una

sentenza della Corte costituzionale che ne dichiarava l’illegittimità, con

riferimento soltanto alla posizione dell’imputato, determinando così la

rimozione dei limiti all’impugnazione relativamente alla sola parte privata

454

;

successivamente, dalla riforma apportata con la L. n. 479 del 1999, che ne

disponeva l’abrogazione.

Il legislatore del 1999, infatti, eliminando le preclusioni all’appello per

l’imputato, perseguiva l’intento di valorizzare il diritto di difesa dello

stesso

455

.

Caduti i limiti stabiliti al comma 2 dell’art. 443 c.p.p., pertanto, si

poteva ritenere che all’imputato fosse riconosciuta una facoltà assoluta di

impugnazione avverso qualsiasi pronuncia affermativa della propria

responsabilità

456

.

consenso della parte che li subiva. In tal senso, si veda C. cost. n. 442 del 1994, in Cass. pen., 1995, 813, e C. cost., 33 del 1998, in Cass. pen., 1998, 1589.

454 Si veda C. cost., 23.07.1991, n. 363, in Cass. pen., 1992, n. 598, con nota di F. LATTANZI, I limiti all‟appello nel giudizio abbreviato. La pronuncia riteneva invece non fondata, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 443 comma 3 c.p.p., sollevata con riferimento alla posizione del pubblico ministero, nella parte in cui non consente allo stesso di proporre impugnazione avverso la sentenza di condanna emessa al termine del giudizio abbreviato. Infatti, la Corte riteneva che la preclusione dell’appello alla parte pubblica contro le sentenze di condanna non modificative del titolo di reato non fosse lesiva del principio di parità fra accusa e difesa in quanto giustificata, per un verso, dall’obiettivo primario di una rapida e completa definizione dei processi svoltisi in primo grado secondo il rito abbreviato; e, per un altro verso, dalla circostanza che le sentenze sottratte all’appello segnavano comunque la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere con l’azione intrapresa.

455 F. ZACCHE’, Il giudizio abbreviato…cit.,186. 456

Tuttavia, mette conto ricordare che giusta la regola generale stabilita all’art. 593, comma 3 c.p.p., le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda – anche se emesse all’esito del giudizio abbreviato – non possono formare oggetto di appello.

Viceversa, il nuovo impianto normativo sembrava essersi posto in

termini lievemente peggiorativi nei confronti della parte pubblica la quale, in

prima battuta, si vedeva estromessa dalla decisione circa l’instaurazione del

rito; e, all’esito dello stesso, non era legittimata a proporre appello avverso la

sentenza di condanna. Ora, trattandosi di un limite alla impugnabilità di una

pronuncia comunque favorevole all’accusa e affermativa della pretesa

punitiva rappresentata dalla stessa, si confermava anche a seguito della

novella del 1999 la posizione assunta dalla Consulta circa la perfetta

conciliabilità della disciplina dettata all’art. 443 c.p.p. con il principio della

parità delle parti

457

.

Orbene, su tale assetto si venivano, tuttavia, ad innestare le modifiche

introdotte dalla c.d. Legge Pecorella, incidenti sulla facoltà di proporre

appello avverso le sentenze di proscioglimento, sia per l’imputato, sia – e

soprattutto - per il pubblico ministero.

In particolare, sino all’entrata in vigore della legge da ultimo

rammentata, il primo comma dell’art. 443 c.p.p. stabiliva, tanto nella dizione

originaria, quanto nella versione riformata dalla L. n. 479 del 1999,

l’inappellabilità per l’imputato e per il pubblico ministero delle sentenze di

proscioglimento, «quando l’appello tende a ottenere una diversa formula»

458

.

Tale ultimo inciso è stato poi abrogato ad opera della L. n. 46 del 2006, con

l’effetto di rendere ancor più categorica l’inammissibilità dell’appello, per

entrambe le parti, avverso le sentenze di proscioglimento.

Come appare chiaro da quanto anticipato, gli equilibri fra i poteri delle

parti risultavano non poco sconvolti per effetto delle modifiche del 2006.

Non è chi non veda, infatti, come la parte pubblica, già privata della facoltà

457 Si vedano C. cost., 9.05.2003, n. 165, in Giur. cost., 2003, 3; C. cost., 16.07.2002, n. 347, in Giur. cost., 2002, 2627; C. cost., 21.12.2001, n. 421, in Giur. cost., 2001, 6.).

458

Le parole citate si leggevano alla lett. a) del comma 1 dell’art. 443 c.p.p. del 1988 ed al comma 1 della stessa disposizione a seguito della L. n. 479 del 1999.

di prendere parola sull’opportunità di definire il processo allo stato degli atti

– e obbligata a contenere la propria pretesa punitiva nei limiti di quanto

riconosciutole nella sentenza di condanna di primo grado, per lei non

impugnabile -, si vedeva priva altresì della facoltà di sottoporre a gravame le

sentenze che disattendevano completamente le proprie istanze

459

.

Come noto, tuttavia, il Giudice delle leggi non ha tardato a porre

rimedio alla distonia

460

: in coerenza con la posizione assunta nell’ambito del

procedimento ordinario

461

, è intervenuto sulla novella del 2006 dichiarandone

l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, «nella parte in cui, modificando l'art.

443, comma 1, del codice di procedura penale, esclude[va] che il pubblico

ministero [potesse] appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse a

seguito di giudizio abbreviato»

462

.

Le modifiche apportate con la c.d. Legge “Pecorella” sono state

ritenute contrastanti con il principio della parità delle parti nel processo,

459

E’ stata criticata in dottrina la scelta, operata dal Giudice delle leggi in occasione della sentenza n. 26 del 2007, cit., e non ripetuta nella pronuncia in esame (n. 329 del 2007, cit.), di ricorrere al concetto di«soccombenza», di matrice processulcivilistica, o di stigmatizzare la sentenza di proscioglimento come «sentenza completamente sfavorevole» per il pubblico ministero, il quale, «almeno nell’attuale situazione ordina mentale e processuale, […] deve evitare l’adozione di una sentenza che non sia il frutto della corretta applicazione della legge penale sostanziale e processuale da parte del giudice, l’unica che può essere classificata come “sfavorevole” rispetto agli interessi costituzionalmente perseguiti dall’accusa». Così, E. MARZADURI, La parità delle armi nel processo penale, in Quad. cost., 2007, 378; A. MATTEUCCI, La declaratoria di illegittimità costituzionale per i limiti all‟appellabilità delle sentenze di proscioglimento nel giudizio abbreviato, in L‟indice pen., 2008, 625 e ss.; A. MARANDOLA, Restituita al pubblico ministero la legittimazione all‟appello nell‟abbreviato (C. cost. n. 320 del 2007), in Studium iu., 2007, 1419.

460 A. MATTEUCCI, La declaratoria di illegittimità costituzionale…cit., rileva come la Consulta si sia fatta «interprete dell’urgenza di ripristino di un equilibrio nel contesto complessivo della disciplina delle impugnazioni».

461 «Poteva non difficilmente intuirsi, scorrendo la trama argomentativa di Corte cost. 6 febbraio 2007, n. 26 (Foro it., 2007, I, 641, con osservazioni di DI CHIARA), che la deflagrante declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1 l. 20 febbraio 2006, n. 46 (c.d. “legge Pecorella”), e, dunque, gli effetti “de costruttivi” della novella del 2006 che ne erano conseguiti (la terminologia è mutuata da P. FERRUA, La sentenza costituzionale sull‟inappellabilità del proscioglimento e il diritto al “riesame” dell‟imputato, in Dir. pen. e proc., 2007, 616), avrebbero fatalmente condotto a successivi sviluppi: cui si giunge, adesso, per il tramite di un ulteriore intervento ablativo di impatto cospicuo, che incide sulla sagoma della legittimazione ad impugnandum del pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento emessa in esito al rito abbreviato» (G. DI CHIARA, In tema di giudizio abbreviato, in Foro it., 2007, 2970).

462 Così, C. cost. 20.07.2007 n. 320, in Giur. cost. 2007, 3096; in Cass. pen., 2007, 4428, con nota di D. VICOLI, Parità delle parti e giudizio abbreviato: cade per il pubblico ministero il divieto d‟appello delle sentenze di proscioglimento. Si tralasciano in questa sede quelle pronunce della Consulta che hanno riguardato la disciplina transitoria, dettata dall’art. 10.

enunciato al secondo comma dell’art. 111 Cost., in quanto all’origine di «una

dissimmetria radicale».

Invero, a differenza dell’imputato – il quale poteva impugnare la

propria soccombenza -, il pubblico ministero veniva privato quasi

completamente del potere di proporre appello avverso le sentenze a sé

sfavorevoli, pronunciate a conclusione del rito abbreviato

463

. In tal modo, il

valore della celerità processuale finiva per essere perseguito a discapito di

una sola delle parti

464

.

La Consulta coglieva l’occasione per rilevare, peraltro, come

l’incompatibilità della disciplina riformata con la Carta fondamentale fosse

tanto più valida a fronte della fisionomia che aveva assunto l’istituto del

giudizio abbreviato, con conseguente significativa attenuazione della valenza

del sacrificio insito nella rinuncia al contraddittorio nella formazione della

prova ad opera dell’imputato.

Torneremo nel prosieguo ad occuparci della pronuncia in parola, sotto

il profilo accennato. Per il momento basti osservare che la declaratoria di

illegittimità costituzionale dell’art. 443, comma 1 c.p.p., così come

modificato dall’art. 2 della L. n. 46 del 2006, lungi dal produrre la

reviviscenza delle norme abrogate, produceva effetti additivi inediti,

investendo il pubblico ministero di un potere di impugnativa illimitato

avverso le sentenze di proscioglimento, che dunque ad oggi possono essere

463

In tal senso si erano espressi i giudici remittenti: Corte militare d’appello, sezione distaccata di Verona, ord. 21.03.2006 e Corte d’appello di Milano, ord. 6.04.2006 e 28.04.2006, rispettivamente iscritte ai n. 275 e 589 del reg. ord. del 2006 ed al n. 115 reg. ord. 2007, in G.U. n. 36, prima serie speciale dell’anno 2006 e n. 1 e 12, prima serie speciale dell’anno 2007.

464 E. APRILE, E‟ illegittima la esclusione del potere del p.m. di appellare le sentenze di proscioglimento anche se emesse all‟esito di un giudizio abbreviato, in Il nuovo dir., 2008, 174, osserva come la Consulta non sia entrata in contraddizione con le proprie precedenti decisioni, relative alla disciplina previgente, nelle quali era stata ritenuta giustificata la regola dell’inappellabilità delle sentenze di condanna per il pubblico ministero in virtù dell’obiettivo primario della rapida e completa definizione dei processi svoltisi in primo grado con rito abbreviato. Valutazione, questa, che tuttavia non poteva riproporsi a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006.

appellate dall’accusa anche al solo fine di ottenere una diversa, e

peggiorativa, formula di proscioglimento.

Suscita allora qualche perplessità la scelta, operata dal giudice delle

leggi, di non accordare - a mezzo di una sentenza additiva dal tenore analogo

a quella adottata nella sede del rito ordinario

465

– all’imputato il potere di

coltivare pretese migliorative in ordine al proscioglimento

466

.

Vero è che in tal caso verrebbe sacrificato non poco l’effetto deflattivo

del rito speciale, ma certo non in misura maggiore rispetto al sacrificio

comunque arrecato allo stesso interesse dall’appello esperibile da parte del

pubblico ministero, tendente (soltanto) a vedere accolto un proscioglimento

meno liberatorio. Per vero, una volta aperta la via alla facoltà di contestare il

proscioglimento, nel “dettaglio” della graduazione delle formule terminative,

è difficile giustificare differenti poteri di intervento.

In ogni caso, ad oggi, l’imputato ha facoltà di impugnare le sole

sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di

mente. A tal riguardo, infatti, C. cost. 29 ottobre 2009, n. 274 ha dichiarato

l'illegittimità costituzionale del comma 1 dell'art. 443 c.p.p. «nella parte in

465 Il riferimento è a C. cost., 4.04.2008, n. 85, in Cass. pen., 2008, 3579.

466 F. CAPRIOLI, Limiti all‟appello del pubblico ministero e parità delle parti nel giudizio abbreviato, in Giur. cost., 2007, 3112, il quale ha rilevato: «si potrebbe pensare che l’art. 443 comma 1 c.p.p. sostanzialmente vietasse anche prima dell’intervento riformatore qualunque appello dell’imputato contro le sentenze di proscioglimento abbreviate», dal momento che «sembrerebbe difficile immaginare un appello dell’imputato rivolto a una sentenza di proscioglimento ma non diretto a una modifica della formula terminativa (in senso, naturalmente, più favorevole)». Secondo lo stesso autore, in realtà, la regola originariamente contenuta nell’art. 443, comma 1 c.p.p., era da intendere nel senso che l’imputato potesse appellare quanto meno le sentenze di proscioglimento applicative di una misura di sicurezza, mentre ad analoghe conclusioni non è più possibile addivenire all’esito della riforma. Altra parte della dottrina aveva criticato, anche in passato, la norma contenuta all’art. 443, comma 1 c.p.p., rilevando come il limite all’appello avverso le sentenze di proscioglimento impedirebbe all’imputato di far valere il proprio diritto ad ottenere una pronuncia a lui più favorevole. Si veda M. CHIAVARIO, Processo e garanzie della persona, II, Le garanzie fondamentali, Milano, 1984, 260; O. DOMINIONI, La presunzione d‟innocenza, in ID., Le parti nel processo penale. Profili sistematici e problemi, Milano, 1985, 259; G. ILLUMINATI, La presunzione di innocenza dell‟imputato, Bologna, 1979, 150; A. MAZZARA, Aspetti problematici del giudizio abbreviato: i controlli del giudice in appello, in I giudizio semplificati, a cura di A. Gaito, Padova, 1989, 102; G. PAOLOZZI, Il giudizio abbreviato nel passaggio dal modello «tipo» al modello pretorile, Padova, 1991, 159. Peraltro, la validità della tesi è stata più volte riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale: da ultimo si veda C. cost., 4.04.2008, n. 85, in Cass. pen., 2008, 3579. Cfr. anche C. cost., 18.07.1986, n. 200, in Giur. cost., 1986, I, 1570; C. cost., 14.07.1971, n. 175, ivi, 1971, 2109.

cui esclude che l'imputato possa proporre appello contro le sentenze di

assoluzione per difetto di imputabilità, derivante da vizio totale di mente»

467

.

Restano da esaminare i poteri di impugnazione riconosciuti alla parte

civile. La norma di riferimento è contenuta nell’art. 576 c.p.p., che nella sua

dizione originaria stabiliva una generica facoltà di «proporre impugnazione,

con il mezzo previsto per il pubblico ministero, contro i capi della sentenza di

condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità

civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio» e a

norma dell’art. 442 c.p.p., quando la parte civile «ha acconsentito alla

abbreviazione del rito» (art. 576, ultimo periodo, c.p.p.).

Ebbene, su questo impianto normativo la L. “Pecorella” ha operato un

intervento, tanto chirurgico quanto incauto, che è stato all’origine di non

pochi dubbi interpretativi, sia in dottrina che in giurisprudenza. In particolare,

la L. n. 46 del 2006 aveva abrogato dalla disposizione sopra citata l’inciso:

«con il mezzo previsto per il pubblico ministero».

Ora, la vigenza del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione,

di cui all’art. 568, comma 1 c.p.p., e la genericità dell’enunciazione che

risultava dalla modifica hanno indotto buona parte della dottrina a ritenere

che all’esito della riforma, complessivamente considerata, la parte civile

dovesse ritenersi legittimata al solo ricorso per cassazione

468

.

A dipanare la questione – pure non sfociata in un contrasto

giurisprudenziale, ma comunque al centro di un vivace dibattito in dottrina -

467 C. cost. 29.10.2009, n. 274, in Arch. n. proc. pen., 2010, 31. 468

Sul punto si veda G. DEAN, Il nuovo regime delle impugnazioni della parte civile e la nuova fisionomia dei motivi di ricorso per cassazione, in Dir. pen. proc., 2006, 815;P. FERRUA, Riforma disorganica: era meglio rinviare. Ma non avremo il terzo giudizio di merito, in Dir. e giust., 2006, 81; G. SPANGHER, Legge Pecorella, l'appello si sdoppia. Tra l'eccezionale e il fisiologico, in Dir. e giust., 2006, 71; G. SPANGHER, La parte civile nella legge Pecorella. Potrà ricorrere, non appellare, ivi, 2006, 39; P. TONINI, L'inappellabilità lascia alla parte civile solo la Suprema corte, in Il Sole 24 Ore, 3.03.2006, p. 27.

Nel documento Il giudizio abbreviato (pagine 164-174)