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6. Lo studio

6.9 Limiti

Tutti gli studi sia sperimentali che sul campo in ambito di menzogna hanno diversi limiti dati dalla difficoltà di controllare tutte le variabili o dalla poca validità ecologica. Ho scelto uno studio di laboratorio, consapevole del fatto che per problemi di controllo delle variabili e per lunghezza delle procedure di intervista e di risoluzione dei casi investigativi non sia possibile effettuare uno studio di campo se non su un bassissimo

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numero di partecipanti che renderebbe i dati poco generalizzabili a tutta la popolazione. Nello studio di laboratorio effettuato si è cercato di controllare tutte le variabili attraverso domande standard e uguali per tutti, utilizzando lo stesso intervistatore, modificando l’ordine di racconto della menzogna e della verità e utilizzando un ambiente neutro. Chiaramente, se da un lato il controllo delle variabili rende lo studio meno incline a problemi di validità dei dati, dall’altro vi è una perdita di validità ecologica perché i contesti di intervista reali non sono così controllati e hanno al loro interno moltissime variabili che non possono essere riprodotte in laboratorio. Una delle variabili di difficile riproduzione in laboratorio è la posta in gioco ossia il rischio percepito dall’intervistato nel venir scoperto a mentire. Sebbene in questo studio si sia inserito un premio per il miglior mentitore e per la persona che meglio avrà riprodotto la storia reale in tutti i suoi dettagli, nessun premio o punizione potrà mai creare una situazione uguale ai veri contesti in cui vi è un rischio di pena ad esempio. Gli studi scientifici, infatti, devono stare entro regole etiche che non permettono di costruire contesti che possano provocare forti disagi ai partecipanti. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti esistono diverse tipologie di menzogna che si possono classificare in base al contenuto o in base al fatto che vengano effettuate delle omissioni o delle falsificazioni. In questo studio si sono considerate solo le falsificazioni che hanno permesso di calcolare il numero di elementi falsi del racconto e metterlo in relazione con altri dati. Sicuramente il fatto di non considerare le omissioni è un limite dello studio. Le omissioni sono di difficile determinazione in quanto possono essere involontarie o possono essere delle semplici dimenticanze e differenziarle dalle omissioni volontarie non è immediato. Abbiamo visto il ruolo importante della memoria in questo campo e quindi considerare anche le omissioni all’interno dello studio avrebbe reso molto soggettiva l’interpretazione. Una possibilità per studi futuri è quella di confrontare la versione della verità con quella della menzogna ma soprattutto effettuare delle domande aggiuntive che verifichino la volontarietà di omettere alcune informazioni. La voce è un elemento che subisce delle variazioni quando si mente e anche se le variazioni, come ogni comportamento non verbale, non sono universali è un interessante parametro da studiare. In questo studio

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non sono stati analizzati i parametri vocali in quanto volevamo stilare una lista di comportamenti facilmente individuabili anche senza l’utilizzo di strumenti particolari e la variazione della voce non è semplicissima da individuare ad “orecchio nudo”. Un altro limite di questo studio è non aver effettuato un’analisi verbale con l’applicazione di strumenti come la CBCA (vd. par. 3.1). Innanzitutto, perché ad oggi, non esiste ancora uno strumento di analisi verbale affidabile che permetta di dirci con sicurezza che la persona di fronte a noi sta mentendo e quindi l’analisi verbale non può essere utilizzata come confronto per verificare se l’analisi non verbale è valida. Inoltre, non è stato possibile effettuare un’analisi verbale in quanto le domande non permettevano risposte troppo lunghe e per esigenze di controllo delle variabili, non si potevano fare quelle domande aggiuntive che avrebbero permesso di avere maggiori informazioni con la possibilità di analizzare il verbale. L’effettuazione di domande aggiuntive avrebbe causato una difficoltà di confronto del comportamento non verbale nelle due condizioni e quindi avrebbe causato problemi nel raggiungimento dell’obiettivo primario dello studio. Abbiamo parlato più volte nel corso di questa tesi del fatto che è più semplice individuare la menzogna considerando la baseline della persona che abbiamo di fronte. In questo studio, avendo tutti i partecipanti raccontato sia la verità che la menzogna, la condizione di verità è stata considerata una condizione di baseline ossia il comportamento di base della persona. Il confronto delle due situazioni, quindi, ha permesso di individuare delle differenze nella condizione di menzogna che sono attribuibili ad una deviazione rispetto ad una baseline dei partecipanti. È da considerare però che si tratta sempre di un contesto di laboratorio e quindi è possibile che anche nella situazione di verità il partecipante non abbia mostrato il suo comportamento di base reale. Una situazione sconosciuta, infatti, può creare sempre delle emozioni di sottofondo come un lieve stress, ad esempio, che può portare a dei comportamenti che deviano dalla situazione di baseline. Rimanendo in tema di emozioni, alcuni autori associano il comportamento della menzogna alle emozioni del senso di colpa, della paura, della piacevole beffa (Ekman, 1985/2001, 1989) o più in generale all’eccitazione (Zuckerman et al., 1981). In questo studio, probabilmente perché il racconto non coinvolgeva direttamente il partecipante ma era più un racconto

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di qualcosa che aveva visto, non sono state rilevate emozioni particolari nella condizione di menzogna. L’unico dato riconducibile alle emozioni è l’aumento dei movimenti manipolatori, visibili però in tutte e due le condizioni. Un altro limite è quindi quello di non aver creato un contesto abbastanza emotivo da verificare la presenza di emozioni particolari nella menzogna. Individuare una menzogna che è stata preparata e studiata a tavolino è molto più complesso rispetto ad una menzogna che la persona deve raccontare sul momento, in questo studio, è possibile che gli indici di menzogna siano stati meno visibili perché il partecipante aveva un paio di minuti prima che l’intervistatore entri a fare le domande, minuti che poteva utilizzare per preparare la versione da dare. Bisogna comunque dire che il tempo era molto breve e che in ogni caso la preparazione della menzogna può essere un elemento che rende più ecologico lo studio. È difficile, infatti, che in un contesto di intervista investigativa la persona non prepari la versione da dare. Nonostante i molti limiti presenti reputo che questo studio aggiunga alla letteratura dei dati molto importanti per molteplici motivi. In primo luogo perché l’analisi effettuata si è basata su tecniche che permettono un’analisi oggettiva dei comportamenti. Ogni movimento effettuato dal corpo e dal volto è stato classificato attraverso tabelle di analisi presenti nei diversi sistemi di codifica e quindi la possibilità di interpretare in maniera soggettiva il comportamento è molto bassa. Negli altri studi presenti in letteratura non è sempre chiaro infatti come questi comportamenti vengano classificati rendendo quindi l’analisi più soggettiva e incline ad errori. In secondo luogo, in questo studio sono state individuate le incongruenze, confrontando le informazioni derivanti dal canale non verbale con quelle del canale verbale. Questo è stato un concetto che fino ad ora si leggeva come caratteristica del bugiardo ossia “il bugiardo mostra più incertezze” o “il bugiardo è più incongruente” ma non è mai stato specificato chiaramente come si individuano le incongruenze e quindi cosa vedo sul volto e sul corpo quando esse si presentano.

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