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Metodologia e limiti delle ricerche

2. Le ricerche scientifiche sulla menzogna

2.1 Metodologia e limiti delle ricerche

In letteratura, gli studi sulla menzogna indagano principalmente bugie che coinvolgono i sentimenti personali, fatti o atteggiamenti. I partecipanti agli studi possono quindi mentire sulle loro opinioni oppure a volte vengono suscitate delle emozioni con dei videoclip che essi devono nascondere o simulare.

Gli studi sulla menzogna sono molto complessi per una serie di motivazioni. Innanzitutto, abbiamo il problema della definizione di cos’è una menzogna; riuscire a definirla è importante per sapere cosa cercare. In secondo luogo, vi sono tantissime variabili che influenzano il comportamento delle persone e non è così semplice isolare gli indici di menzogna da altri indici. Nelle ricerche in cui vengono esaminati i segnali non verbali dell’inganno di solito viene richiesto a dei valutatori di guardare dei filmati e dare la propria opinione di veridicità sulla persona che stanno ascoltando e/o guardando. Tutto questo tramite l’utilizzo di sistemi di codifica e decodifica in grado di determinare i comportamenti non verbali presenti nelle persone mentre raccontano un evento. Un’alternativa a questi tipi di studi sono le ricerche sul campo in cui vengono analizzate bugie gravi come quelle raccontate in indagini penali o trasmesse dai media (Koper & Sahlman, 2001). In questo studio di Koper & Sahlman sono stati valutati i correlati verbali e non verbali della comunicazione in una condizione ad alta

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motivazione. I soggetti analizzati sono 23 individui (come Richard Nixon, Pete Rose, Susan Smith) che avevano fatto delle dichiarazioni pubbliche che si sono rivelate, grazie a prove o confessioni, successivamente delle menzogne.

Anche se questi ultimi studi sono molto più interessanti perché le persone vogliono sapere se quella persona ha veramente tradito la moglie o il marito oppure ha commesso realmente quell’omicidio, essi presentano numerosi limiti come l’assenza di riprese video di buona qualità, la difficoltà a stabilire la verità e a selezionare le verità per riuscire a confrontare i comportamenti. Infatti, nei contesti di laboratorio, il più delle volte, le persone vengono istruite a mentire oppure a dire la verità quindi il confronto tra i due video è semplice, nella vita reale non è così perché potenzialmente la persona potrebbe mentire anche sulle cose più banali rendendoci difficile o quasi possibile il confronto tra le due situazioni.

Da non sottovalutare poi le differenze di comportamento in base al contesto, si è visto infatti che le persone reagiscono in modo diverso: 1) in contesti informali rispetto a contesti formali come un colloquio di selezione; 2) se vengono accusati di un fatto criminoso oppure no (Vrij, 2006); 3) in base alla persona che li intervista (Vrij & Winkel, 1991). Il comportamento può cambiare anche in base all’argomento e a quali emozioni evoca un determinato discorso, o a quanto coinvolgimento emotivo c’è da parte dell’interlocutore (Davis & Hadiks, 1995; Matarazzo, Wiens, Jackson, & Manaugh, 1970). Infine, la variazione del comportamento può verificarsi anche durante la stessa intervista perché possono variare le emozioni evocate da argomenti diversi (Buller & Burgoon, 1996) oppure può cambiare da un’intervista all’altra nel caso in cui vengano intervistati in più di un’occasione (Granhag & Stromwall, 2002). Vedremo, infatti, nei capitoli successivi, che la memoria in questo caso avrà un ruolo fondamentale (vd. cap. 5).

Gli studi di laboratorio, rispetto alle ricerche sul campo, sono sicuramente in grado di dare dati più affidabili in quanto le variabili sono più controllate. Nella maggior parte delle ricerche in laboratorio, infatti, si riesce: a controllare l’argomento, che è uguale per tutti; a creare lo stesso contesto e quindi a scegliere sempre lo stesso intervistatore che faccia le domande per evitare che il comportamento cambi a causa della persona

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che abbiamo di fronte; a confrontare il comportamento istruendo la persona a mentire e poi ad essere sincera e così via. Nelle ricerche sul campo tutto questo non è possibile e l’affidabilità dei dati ne risente. Anche gli studi di laboratorio hanno però dei limiti come ad esempio il fatto che la menzogna non è mai spontanea perché la persona viene istruita dallo sperimentatore a mentire. La conseguenza di questo è che ovviamente non è detto che si presentino quelle emozioni che ci aspettiamo in una menzogna volontaria, come ad esempio il senso di colpa. È anche vero che l’argomento delle emozioni è molto complesso e non è in realtà possibile determinare a priori (anche se alcune ricerche hanno cercato di farlo) quali emozioni saranno presenti nella menzogna. Le emozioni che si provano mentre si mente sono molto individuali, dipendono dai valori della persona e da molti altri fattori come il rischio percepito nel venir scoperti e la motivazione che porta a mentire. Dobbiamo essere quindi cauti ad interpretare gli indizi emotivi perché indicano semplicemente che una persona sta provando un’emozione. Un’espressione di rabbia che possiamo vedere sul volto è di un bugiardo arrabbiato perché lo stiamo scoprendo o di una persona sincera che prova rabbia nell’essere incolpata di qualcosa che non ha fatto? Questo viene chiamato da Ekman (2001) “Errore di Otello” che consiste nel fatto di non considerare che molte persone, anche se sincere, possono provare emozioni negative quando sono incolpate di qualcosa che non hanno fatto.

Nella meta-analisi di DePaulo e colleghi (2003) è stato riportato che su 116 studi, 101 hanno utilizzato studenti universitari come partecipanti e la maggior parte degli studi sono studi di laboratorio. La scarsa validità ecologica della maggior parte degli studi sulla menzogna e i loro limiti sono stati riconosciuti da molto studiosi che sostengono che vi sono differenze comportamentali sostanziali tra le situazioni di posta in gioco bassa e quelle di posta in gioco alta (DePaulo & Morris, 2004; Frank & Svetieva, 2012; Granhag & Stromwall, 2004; Porter & ten Brinke, 2008; Shuy, 1998; Vrij, 2004). I risultati di questi studi, quindi, non possono essere applicati a situazioni in cui il rischio è alto come i contesti investigativi, ad esempio. Al fine di aumentare la posta in gioco negli esperimenti di laboratorio sono state utilizzate varie metodologie, in alcuni studi sono stati offerti dei soldi in caso di successo nel racconto della bugia (Vrij, Akehurst

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et al., 2002; Vrij, Edward, & Bull, 2001); in altri, ai partecipanti veniva detto che verranno osservati da un valutatore che giudicherà la loro sincerità (DePaulo, Stone, & Lassiter, 1985); in uno studio che aveva come partecipanti degli studenti di infermieristica è stato detto loro che essere un buon mentitore era necessario per riuscire bene nel proprio lavoro (DePaulo, Lanier, & Davis, 1983).

Come abbiamo già detto, in contesti reali, la posta in gioco è molto alta, così alcuni studi hanno cercato di rendere ancora più alto il rischio di venir scoperti. In uno studio di Frank & Ekman (1997) i partecipanti avevano la possibilità di rubare 50$. Se essi riuscivano a convincere l’intervistatore di non essere un ladro potevano tenersi i soldi, in caso contrario, avrebbero dovuto restituire i soldi e rinunciare anche a 10$ l’ora per la partecipazione allo studio. Inoltre, ad alcuni dei partecipanti è stato detto che nel caso venissero scoperti a mentire dovevano subire una punizione che li portava a stare in una stanza angusta in cui c’era una sedia fredda di metallo e in cui avrebbero dovuto sopportare qualsiasi cosa.

Sarebbe possibile creare situazioni in cui la posta in gioco è ancora più alta ma il problema in questo caso sarebbe etico e quindi di impossibile applicazione. Oltre al fatto che, sebbene vengano riferite delle punizioni esemplari, essendo il contesto sempre quello del laboratorio, esse potrebbero non essere credibili. Immaginate infatti di trovarvi coinvolti in un reato e quindi vedere nella stanza una persona che sottrae il portafoglio ad un’altra persona, il fatto di essere consapevoli di essere i partecipanti di un esperimento e di non venire interrogati da vere forze dell’ordine già rende il contesto meno reale e credibile.

DePaulo e colleghi (2003) sono riusciti a differenziare la posta in gioco dalla motivazione ipotizzando che se la motivazione è alta e le conseguenze sono gravi si possono trovare indizi molto più affidabili di inganno. Si è visto, infatti, nella loro meta-analisi che una forte motivazione è collegata alle bugie che toccano l’identità o le trasgressioni e che esse producono degli indici comportamentali evidenti anche in caso di posta in gioco bassa. Le bugie sull’identità hanno lo scopo di proteggere la propria immagine mentre quelle sulla trasgressione di evitare una punizione oppure la disapprovazione degli altri.

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Un altro problema sulla metodologia utilizzata per rilevare l’inganno è il fatto che nella maggior parte delle ricerche vengono studiati indici singoli e non la combinazione di essi. Diversi ricercatori però hanno suggerito che più indici di menzogna la persona mostra, più è probabile che stia mentendo (Brinke & Porter, 2012; Vrij & Mann, 2004). In linea con questa teoria, studi che hanno analizzato più indici assieme sono riusciti a raggiungere un tasso di accuratezza di rilevazione molto più alto, pari all’86% (Ekman, O'Sullivan, Friesen & Scherer, 1991) e al 79% (Leal, Vrij, Mann & Fisher, 2010). In questi casi sono state valutate le singole persone come bugiarde o veritiere in base alla frequenza di diversi segnali piuttosto che l’effettuazione di un confronto tra gruppi verificando se erano o no presenti alcuni indici. Questa tipologia di studi però sono molto rari e hanno anche alcuni limiti come l’impossibilità di generalizzare i risultati a tutta la popolazione essendo gli indici presenti in maniera diversa tra i vari individui.