4. Emozioni e menzogna
4.2 Teorie sulle emozioni
Le emozioni, come visto nel paragrafo precedente, provocano cambiamenti a livelli diversi: cognitivo, fisiologico e comportamentale. Molti ricercatori negli anni hanno voluto studiare le emozioni per riuscire a rispondere alle domande più frequenti in questo campo. Cosa viene prima e cosa viene dopo? Viene prima l’emozione o la reazione fisiologica? Le emozioni sono innate o apprese? Perché proviamo le emozioni? Queste e altre domande hanno da sempre incuriosito gli scienziati che hanno elaborato diverse teorie e modelli. Di seguito vedremo gli autori che più hanno dibattuto su questo argomento descrivendo le principali teorie sulle emozioni.
4.2.1 La teoria periferica
La teoria periferica (Figura 4.1) è stata elaborata da James (1884) a cui si è aggiunto successivamente Lange e si basa sul concetto che un evento emotigeno provoca una serie di reazioni fisiologiche e viscerali che permettono al soggetto di provare un’emozione. Sono le reazioni fisiologiche e viscerali, secondo Lange, che attivano gli stati soggettivi capaci di far provare l’emozione. In questo caso, l’emozione sarebbe attivata dalla percezione cosciente che abbiamo delle risposte dell’organismo come l’accelerazione del battito cardiaco la sudorazione e così via. Il concetto è quindi: “siamo tristi perché piangiamo” e non “piangiamo perché siamo tristi”. A supportare
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questa visione c’è l’“ipotesi del feedback facciale” (Tompkins, 1962; Adelmann e Zajonc, 1989) che sostiene che sia l’espressione facciale ossia la contrazione dei muscoli facciali a causare l’emozione. A questo proposito, Strack e colleghi (1988) hanno condotto un esperimento che sembra confermare l’ipotesi. I partecipanti allo studio, divisi in due gruppi, dovevano giudicare la comicità di alcune immagini. Il primo gruppo doveva svolgere il compito tenendo una penna tra i denti e contraendo in questo modo i muscoli del sorriso. Il secondo gruppo invece, doveva tenere la penna tra le labbra e questo impediva la contrazione dei muscoli coinvolti nel sorriso. I risultati della ricerca indicano che il secondo gruppo riteneva meno divertenti le vignette rispetto al primo gruppo. Dai dati di questo studio sembrerebbe, quindi, che imporre la contrazione dei muscoli facciali del sorriso attivi maggiormente l’emozione della gioia. L’ipotesi del feedback facciale ha due versioni: una debole e una forte. La versione forte indica che le espressioni da sole sono in grado di generare un’emozione mentre quella debole indica che le espressioni facciali aumentino solamente l’intensità di un’emozione. L’esperimento visto in precedenza confermerebbe la versione debole dell’ipotesi.
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Figura 4.1 4.2.2 La teoria centrale
La teoria periferica venne criticata da Cannon che afferma che diverse emozioni possono avere le medesime attivazioni fisiologiche e che l’attivazione di stati fisici collegati a specifiche emozioni non sempre provoca stati emotivi. Cannon e Bard con la loro teoria centrale (Figura 4.2) ritengono che sia fondamentale l’interpretazione che diamo agli stati fisiologici in quanto quest’ultimi non sono in grado, da soli, di
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spiegare l’attivazione emotiva. Secondo questo modello, i centri di attivazione emozionale sono localizzati nelle regioni interne del cervello, nella cosiddetta regione talamica, che quando si attiva manda impulsi nervosi in grado di provocare determinati comportamenti e reazioni (es. fuga).
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Figure 4.2 4.2.3 La teoria cognitivo-attivazionale
Le teorie viste in precedenza anche se molto contrapposte si sono rivelate negli anni entrambe vere anche se molto incomplete. Schacter e Singer introducono la teoria cognitivo-attivazionale o teoria dei due fattori (Figura 4.3) e descrivono l’emozione come il risultato di due fattori: l’attivazione fisiologica (arousal) e la cognizione ossia la valutazione che si da all’attivazione. Per questi autori risulta quindi determinante la conoscenza delle circostanze in cui si prova una determinata emozione.
Per verificare la loro teoria, Schacter e Singer, hanno condotto un esperimento in cui hanno indotto tramite un farmaco uno stato di attivazione fisiologica in situazioni diverse. I partecipanti venivano informati che lo scopo dello studio era verificare l’efficacia di un farmaco per la vista (suproxin). In realtà il farmaco iniettato era l’adrenalina che provoca reazioni fisiologiche immediate come il battito accelerato e l’aumento della frequenza respiratoria. Al gruppo di controllo invece veniva iniettata una soluzione salina. I partecipanti erano divisi in quattro gruppi in base alla condizione sperimentale a cui appartenevano. Il gruppo 1 sapeva che la sostanza iniettata era innocua e poteva provocare dei cambiamenti fisiologici; il gruppo 2 sapeva solo che la sostanza era innocua; al gruppo 3 veniva data l’informazione che la
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sostanza provocava degli effetti collaterali diversi dagli effetti dell’adrenalina ed infine al gruppo 4 che era il gruppo di controllo veniva iniettata una soluzione salina dicendo che era innocua. Dopo l’iniezione i gruppi dovevano attendere venti minuti prima di effettuare il compito visivo. Durante l’attesa entrava in sala uno sperimentatore che aveva il compito di modificare la situazione, attraverso il suo comportamento, rendendola euforica (giocando e divertendosi all’interno della stanza) o rabbiosa (irritandosi per delle domande di un questionario che veniva dato da compilare). I risultati indicano che i partecipanti dei gruppi informati degli effetti del farmaco mostravano reazioni emotive minime mentre quelli non informati mostravano una forte reazione emotiva che era diversa per le due condizioni (euforia vs rabbia). Questi dati dimostrano che l’attivazione fisiologica non è correlata ad una emozione particolare ma viene interpretata come emotiva se il nostro sistema cognitivo considera la situazione in cui siamo inseriti. Questo esperimento sembra dimostrare che le emozioni dipendono dall’interpretazione che l’individuo dà ai suoi cambiamenti fisiologici. Secondo le teorie cognitiviste, quindi, l’emozione non si verifica senza l’intervento del sistema cognitivo che considera ed interpreta il contesto.
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Figure 4.3 4.2.4 Le teorie dell’appraisal
Le teorie cognitiviste hanno aperto un filone di studi che ha portato alla nascita delle teorie dell’appraisal di cui Lazarus (1991) è il massimo esponente. Secondo queste teorie i bisogni dell’individuo sono fondamentali per la valutazione degli stimoli che faranno in seguito nascere un’emozione. L’emozione è attivata, quindi, dal valore che
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si da ad una determinata situazione e questo spiega il perché, due individui, di fronte al medesimo stimolo possono provare emozioni molto diverse. La reazione emotiva dipende da moltissimi fattori legati ai bisogni, alla cultura, all’educazione e molto altro. Il modello di Lazarus detto anche “cognitivo-relazionale-motivazionale” prevede quindi che la valutazione che diamo agli stimoli abbia un’implicazione anche sul piano motivazionale ostacolando o agevolando il raggiungimento degli obiettivi degli individui. A mettere in discussione questa teoria è stato Zajonc che riportando una ricerca di Wilson (1979) sostiene che l’emozione può presentarsi anche senza elaborazione cognitiva. L’esperimento consisteva in un test basato sull’ascolto dicotomico in cui in un auricolare il partecipante ascoltava un racconto con il compito di individuare gli errori e correggere la bozza e nell’altro sentiva dei brani musicali. In una seconda parte dell’esperimento, i partecipanti, riascoltando i brani, dovevano indicare quali avevano già sentito. Le risposte erano date a caso, infatti, non raggiungevano una percentuale alta di riconoscimento. Questo significa che le persone non erano in grado di ricordare in modo conscio quali canzoni avevano ascoltato nell’altro auricolare perché erano troppo intente ad eseguire il compito di correzione della bozza. Le percentuali però cambiarono completamente quando ai soggetti invece di chiedere quale canzone avevano già ascoltato si chiedeva di dare un indice di gradimento dei vari brani. Le preferenze erano di lunga superiori per i brani già ascoltati attraverso l’ascolto dicotomico. Secondo Zajonc quindi la piacevolezza è qualcosa di inconscio che viene prima della valutazione cognitiva che in questo caso sarebbe stato il riconoscimento dei brani.
Lazarus risponde a questa critica indicando che Zajonc ha interpretato i processi cognitivi in maniera inesatta. Infatti, essi non sono solo pensieri razionali e consapevoli ma possono essere anche inconsci e rapidi. Per questo motivo, Lazarus divide i processi cognitivi in caldi e freddi. I processi cognitivi caldi sono quelli che mettiamo in atto quando vi è una valutazione cognitiva rapida e sono i precursori dell’emozione mentre quelli freddi sono quelli che facciamo razionalmente e che non fanno nascere alcuna emozione. Lazarus inoltre ritiene che la piacevolezza non sia un’emozione. Sicuramente Wilson, con il suo esperimento, è riuscito a verificare che
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esiste qualche processo inconscio ma non è possibile indicare come veritiera una teoria a discapito dell’altra basandosi solamente su questi dati.
4.2.5 Le teorie psico-evoluzionistiche
A partire dagli anni ’60 un gruppo di psicologi ha elaborato una teoria psico-evoluzionista delle emozioni secondo la quale le emozioni sono importantissime per la sopravvivenza della specie. Già Darwin (1872) con la sua teoria evoluzionista diceva che le espressioni facciali e le emozioni sono fondamentali per l’adattamento all’ambiente. In seguito, queste idee sono state sviluppate in particolare da due autori Ekman (1972) e Izard (1978) di cui abbiamo già parlato approfonditamente anche nei capitoli precedenti. Questi autori considerano le emozioni e le conseguenti espressioni facciali come qualcosa di innato e quindi biologicamente determinato e le dividono in primarie che sono innate e universalmente valide e secondarie che derivano da quelle primarie (vd. par. 3.2.2). Riassumendo, le teorie psico-evoluzionistiche si basano sul carattere adattivo delle emozioni primarie ritenendo che esse abbiano espressioni universali, meccanismi fisiologici precisi, stimoli di attivazione specifici e universali, un’insorgenza rapida e spontanea, una durata breve e una valutazione cognitiva automatica e inconsapevole.
4.2.6 Le teorie costruttivistiche
Le teorie costruttivistiche si oppongono a quelle innatiste in quanto ritengono che le emozioni hanno un’origine culturale e non sono biologicamente determinate. La loro funzione è quella di regolare le interazioni umane più che salvaguardare la specie e per questo motivo non sono universali ma variano da cultura a cultura. Secondo questo approccio le emozioni si apprendono attraverso la socializzazione e l’educazione che insegnano all’individuo come gestire le esperienze e soprattutto quale significato attribuire a specifiche situazioni a seconda dei valori dati dalla comunità. In questo caso, le espressioni facciali sono semplicemente un mezzo con cui trasmettere le informazioni emotive. È difficile oggi, dopo la serie di ricerche che ha verificato l’esistenza in più culture e anche in alcuni animali, delle stesse espressioni facciali,
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riuscire a validare questa teoria. Sicuramente ci sono delle diversità culturali ma anche personali che fanno si che non tutti provino le stesse emozioni per gli stessi stimoli ma questo è ben diverso dal considerare l’emozione come qualcosa di appreso. Non è ancora chiaro quale sia la teoria più corretta a cui far riferimento, ogni modello, infatti, ha delle evidenze a favore e alcune contro, sicuramente però è possibile dire che le emozioni creano dei cambiamenti comportamentali, fisiologici ed espressivi a cui dobbiamo prestare attenzione. Nel prossimo paragrafo vedremo più nel dettaglio come esprimiamo le emozioni.