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Cultura digitale e co-creazione di valore un modello d’integrazione M ARIA V INCENZA C IASULLO * L OREDANA G AUDINO 

3. Literature review

3.1 Le ICTs per la valorizzazione digitale della cultura

Per il loro impatto travolgente in ogni branca del pensiero e dell’attività umana, ICTs e connessa digitalizzazione sono considerati elementi strutturali di crescita della società nonchè indicatori nelle valutazioni del capitale culturale tanto di singoli quanto di gruppi, organizzazioni e territori. Le nuove tecnologie, infatti, non si sostanziano semplicemente nell’assemblaggio di componenti hardware e software ma incarnano una innovativa forma di pensiero che orienta l’individuo nel suo approccio con il mondo (Okan, 2003). Non si tratta, pertanto, di un semplice cambiamento nello stile della comunicazione ma di una rivoluzione nella centralità che l’architettura dell’informazione ha assunto nella società e, di conseguenza, nella trasformazione delle modalità di interazione sia sul piano individuale che a livello di sistema nel suo complesso. È possibile suddividere l’anzidetta rivoluzione in diverse macro-fasi:

1) Durante la fase 1.0 il web ha svolto la funzione di mediatore passivo, statico e orientato in maniera uni-direzionale verso l’utente presentandosi, in sostanza, come un mediatore di tipo “push” (Kozinets, 2010) caratterizzato dalla discriminazione di ruoli e funzioni tra chi sviluppa e pubblica informazioni e chi passivamente ne fruisce.

2) Con la fase 2.0 il web si è trasformato in una piattaforma maggiormente partecipativa, fluida e personalizzata, aprendosi anche ai contributi diretti degli utenti. Lo stesso sistema informativo e cognitivo ha subito un importantissimo cambiamento, mutando da sistema top-down, one-to- one/one-to-many e orientato ai contenuti a sistema bottom-up, many-to-many e orientato agli utenti (Bonacini et al., 2014).

3) L’implementazione del suddetto sistema ha poi condotto alla fase web 3.0 caratterizzata da nuovi strumenti di ricerca, soprattutto semantica (i.e. il tagging), finalizzati al pieno sfruttamento delle potenzialità del web come piattaforma per la comunicazione, l’apprendimento e la condivisione di contenuti (Garrigos-Simon et al., 2012) attraverso l’integrazione delle risorse disponibili in rete, sempre in ottica utente-centrica (Kollmann et al., 2016; Rahaman, 2011).

Emerge come il processo di digitalizzazione sia inarrestabile1, alimentato dalla multimedialità, dai digital tools di comunicazione sociale-partecipativa (social networks), da strumenti di condivisione di contenuti e informazioni (piattaforme di content sharing, blog, wiki, newsletter,

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Non a caso, si inizia a parlare di una nuova fase web 4.0 orientata principalmente all’integrazione delle relazioni

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feed RSS) e dal rapido processo di ubiquità informazionale legato alla diffusione dei dispositivi

mobili (Tedre et al., 2006) e alla loro facilità di utilizzo. Dal lato del design ingegneristico/informatico sono stati via via adottati sistemi di progettazione e di sviluppo informatico flessibili e adattabili, ossia user-oriented piuttosto che consumer-oriented (Bonacini, 2012), consentendo un approccio con l’utenza sempre più fluido e dinamico. Si è registrato, pertanto, un mutamento radicale delle forme di consumo (domanda) che ha trainato anche il cambiamento delle forme di produzione (offerta), favorendo lo sviluppo di un’utenza digitale caratterizzata non solo dal bisogno di “consumare” informazioni in rete ma anche dalla opportunità di “interagire” profondamente e liberamente con il web (Bakhshi and Throsby, 2012).

Ad essersi evoluta, adattandosi alla realtà digitale, è anche la cultura (Manovich, 2010; Finnis, 2008) che spinge al rinnovamento tutte le istituzioni e i soggetti culturali, sociali ed economici che intorno ad essa operano. D’altra parte, l’evidenza che le organizzazioni culturali stiano vivendo una nuova era basata sulla rivoluzione digitale (Economou, 2016) si collega anche alle definizioni ad esse assegnate: Musei interattivi, Archivi virtuali, Biblioteche digitali (Mechant, 2007). Nelle biblioteche digitali, ad esempio LibraryThing e The Open Library, si utilizzano spesso i tag clouds come sistema di catalogazione collaborativa delle opere attraverso parole-chiave inserite dagli utenti che, in tal modo, contribuiscono a migliorare la qualità delle loro ricerche. I musei invece, come il National Museum of Scotland e il Grant Museum of Zoology di Londra, hanno iniziato ad utilizzare i cosiddetti QR codes per consentire ai visitatori in possesso di un mobile device di trovare rapidamente informazioni su un determinato oggetto d’arte e hanno promosso dei sistemi di geo-localizzazione che permettono ai visitatori di essere aggiornati sui punti di interesse nelle loro vicinanze (Thomas, 2015). A Simon (2010) va poi attribuita la diffusione globale della definizione e del concetto di Participatory Museum ovvero un museo abilitato da una piattaforma open access alla libera consultazione, discussione e confronto. L’obiettivo è incoraggiare la partecipazione in termini tanto educativi quanto creativi e ri-creativi dell’utenza, attraverso una forte personalizzazione dell’offerta culturale capace di attivare continui e nuovi meccanismi di interazione e confronto. Attingendo dagli studi condotti in pedagogia (Shirazi e Behzadan, 2013) viene infatti rilevato che la fruizione del patrimonio culturale non può mai essere classificata come attività di puro intrattenimento in quanto le organizzazioni culturali, anche quando predispongono attività di tipo ricreativo on-line o off-line, non interrompono il processo di trasmissione della conoscenza e della realtà storica, culturale e artistica che, illustrata nel modo più critico possibile, deve essere comunque compresa, valutata e vissuta dall’utente (Melotti, 2014).

La rivoluzione indotta dalle tecnologie digitali dunque, affermando un processo di socializzazione della cultura, implica un cambiamento paradigmatico nelle pratiche di gestione di tali tecnologie da parte delle organizzazioni culturali per non cadere in una banalizzazione dei contenuti del sapere. Le nuove modalità interattive e le forme di partecipazione creativa dell’utenza, infatti, fanno emergere il contributo che le nuove tecnologie potrebbero apportare non solo alla creazione di valore culturale (Chiabai et al., 2013; Bakhshi and Throsby, 2012) ma anche al concetto stesso di prodotto culturale (Barrett, 2015). In particolare, in una prospettiva olistica, il prodotto culturale va considerato come qualcosa in più della semplice somma dei suoi aspetti fisici e dei singoli servizi ad esso collegati.

3.2 E-cultural value co-creation

Il nuovo significato di prodotto culturale si sostanzia, in un primo momento, nel passaggio da valore intrinseco a valore d’uso inteso quale valore realizzato e determinato dall’individuo e, in un secondo momento, da value in use a value in context ovvero valore co-creato all’interno di una fitta costellazione relazionale (Vargo and Lusch, 2008; Chandler and Vargo, 2011). Applicando queste due declinazioni di valore al settore culturale possiamo affermare che il value in use risiede nell’interazione duale provider e user: quest’ultimo rappresenta il reale value creator e al provider spetta il ruolo di facilitatore ovvero value facilitator. L’utente, infatti, utilizza le dotazioni tecnologiche che gli consentono di fruire dell’offerta culturale e il valore è co-creato nel corso

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dell’interazione, seppur di tipo virtuale, utente-organizzazione culturale (Grönroos and Strandvik, 2008).

Il value in context invece, come riconosciuto nella logica S-D (Vargo et al., 2008), a differenza del più noto value in use sottende una concettualizzazione esperienziale di valore ed evidenzia l’importanza delle reti relazionali come variabili chiave nella sua creazione e determinazione. Il value in context è il valore che deriva dalle interazioni di numerosi attori in un dato luogo e tempo ed è fenomenologicamente determinato sulla base delle risorse esistenti e dell’accessibilità ad altre risorse integrabili. Tale valore, dunque, se applicato al settore culturale, va oltre la fruizione individuale del patrimonio artistico e oltre l’ottica duale provider-user (value in use) mentre attiene al rapporto della cultural organization con tutti i soggetti dell’offerta (Gilmore e Rentschler, 2002) siano essi altre organizzazioni culturali o, in generale, altri attori territoriali che, grazie alle tecnologie digitali, possono interagire tra di loro e con la culture organization. Il concetto di valore, dunque, si amplia in ottica di network (Bocconcelli, 2005) e, affinché possa addivenirsi ad una valorizzazione della cultura olisticamente intesa, occorre considerare il prodotto culturale in una dimensione multi-dimensionale e multi-attore. In questa dimensione, infatti, il valore non è più generato da catene sequenziali di azioni bensì da complesse costellazioni relazionali (passaggio da prospettiva one-to-one/one-to-many a many-to-many) composte da diversi attori che, grazie alla leva digitale, possono operare all’interno della costellazione e co-produrre valore attraverso la condivisione di risorse (Tommasetti et al., 2016) nella forma di conoscenze. In linea con questo trend, anche le organizzazioni culturali diventano multi-value e multi-service providers (Scott, 2007; 2009) e sono coinvolte in un processo di rapida trasformazione delle loro attività, giacché le diverse tecnologie possono fungere da conduttori di valore per tutti gli attori: progettisti/consulenti di software/hardware, consumatori, critici d’arte ed esperti in generale, collaboratori, utenti. Si alimentano e si moltiplicano, così, i processi co-creativi di valore culturale.

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