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Una responsabilità convergente. Imprese e associazioni non profit per la co-creazione di valore locale

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Academic year: 2021

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T

RACK

IL

COMPORTAMENTO

MANAGERIALE

TRA

PRASSI

E

BEST

PRACTICE

Buone pratiche per supply chain sostenibili. Quale engagement? ALESSANDRA DE CHIARA,ROSA CEGLIA

L’istituzionalizzazione della multifunzionalità agricola. Una rilettura in chiave situazionista della filiera corta CLAUDIO NIGRO,ENRICA IANNUZZI

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Sinergie - Sima 2017 Conference Referred Electronic Conference Proceeding

Value co-creation: management challenges for business and society ISBN 97888907394-8-4

15-16 June 2017 - University of Napoli Federico II (Italy) DOI 10.7433/SRECP.FP.2017.29 465

Buone pratiche per supply chain sostenibili. Quale engagement?

ALESSANDRA DE CHIARA* ROSA CEGLIA

Abstract

Obiettivi. Il paper si propone di indagare il tema della sostenibilità nelle catene di fornitura, con l’obiettivo di

mettere in evidenza i contenuti delle “buone pratiche” ed, in particolare, analizzare il significato del concetto di engagement, ritenuto in letteratura uno dei requisiti essenziali per la sostenibilità nelle supply chain, di cui però non sempre vengono approfondite le motivazioni sottostanti.

Metodologia. La ricerca empirica è condotta su 38 imprese che adottano il modello di gestione sostenibile per la supply chain elaborato dal Global Compact (Global Compact Management Model) e che sono state valutate positivamente per le pratiche adottate.

Risultati. La ricerca evidenzia le caratteristiche delle imprese, le tematiche di sostenibilità affrontate nei riguardi

delle catene di fornitura, le attività effettuate per migliorare i comportamenti responsabili dei fornitori e gli strumenti utilizzati. In relazione all’engagement, il lavoro evidenzia modalità prevalenti di comportamento che potremmo definire “univoche”, dall’impresa multinazionale al fornitore, finalizzate all’attuazione delle politiche della prima.

Limiti della ricerca. Il paper indaga esclusivamente il comportamento delle imprese multinazionali, pur

consultando fonti diverse (database del Global Compact, siti web aziendali). Un interessante sviluppo della ricerca potrebbe risultare l’indagine “sul punto di vista” dei fornitori.

Implicazioni. Il paper offre indicazioni utili alle imprese sulle pratiche da adottare per gestire in maniera

sostenibile le catene di fornitura. Il lavoro propone alcune riflessioni sull’importanza di forme attive di collaborazione con i fornitori che possano far concretamente emergere il valore del loro capitale conoscitivo, relativamente ai contesti in cui operano, ed individua anche alcune implicazioni di policy.

Originalità del lavoro. Il paper effettua un’analisi puntuale delle buone pratiche per gestire in maniera

sostenibile le catene di fornitura ed indaga sul significato che l’approccio collaborativo acquista nella pratica manageriale, proponendo alcune riflessioni sulla natura stessa dell’engagement.

Parole chiave: sostenibilità, catene di fornitura, engagement, buone pratiche, Global Compact Management Model Objectives. This paper seeks to investigate corporates best practices in sustainable supply chain management

with an emphasis on the meaning of interactions, considered in the literature an essential element for sustainability in the supply chain, but its motivations are not always deepened.

Methodology. The empirical research has been conducted on 38 businesses, which, according to the UNGlobal

Compact have extended the sustainable management model into their supply chain and rank high in their best practices implementation.

Findings. The research highlights the characteristics of companies, the iusses in respect of supply chains, the

activities carried out to improve the responsible behavior of suppliers, the tools used to involve suppliers. More specifically, it focuses on what we call ‘unilateral’ forms of collaboration, from the multinational enterprise to the supplier, aimed at implementing the policies of the former.

Practical implications. The paper describes useful suggestions for companies in the management of a sustainable

supply chain (SSC) and underlines some best practices. The paper stresses the need to analyse on the other hand those active forms of cooperation, which will enable to transfer business understanding of their work environments and thus contribute to the success of SSC practices, and it identifies some policy implications.

Originality of the study. The paper highlights the best practices for managing sustainable supply chains and

investigates the meaning that the collaborative approach has in managerial practice, proposing some reflections on the nature of engagement.

Key words: sustainability, supply chain, engagement, best practices, Global Compact Management Model

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Associato di Economia e Gestione delle Imprese - Università di Napoli “L’Orientale” e-mail: adechiara@unior.it

Studente - Università di Napoli “L’Orientale”

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1. Introduzione

A partire dagli studi di Poist (1989), cui vengono fatte risalire le prime applicazioni della corporate

social responsibility (CSR) alla supply chain, molteplici contributi hanno approfondito diversi aspetti di

questa tematica: l’importanza dei valori aziendali (dell’impresa e del supplier) (Lim e Phillips, 2008), la necessità di elaborare precise strategie per sviluppare la sostenibilità all’interno delle supply chain (Carter e Jennings, 2002), l’importanza di un approccio collaborativo (Faisal, 2010) che includa anche le istituzioni politiche (Lillywhite, 2007), gli strumenti (codici di condotta etc.) (Oehmen et al., 2010) ed i processi di monitoraggio (Egels-ZandeneWahlqvist, 2007; Boyd et al., 2007) e di controllo delle prestazioni (Nadvi, 2008). Fino ad approfondire, in un recente filone di studi, problemi specifici su diritti umani e condizioni di lavoro nelle catene globali di fornitura che vedono coinvolti supplier dei paesi in via di sviluppo (Gereffi e Lee, 2016; Lund-Thomsen et al., 2016; Giuliani, 2016).

In questa progressione di studi è diventato sempre più evidente che integrazione, condivisione e partecipazione tra gli attori della supply chain non solo sono auspicabili per avere un impatto maggiore sullo sviluppo sostenibile, ma divengono un modello comportamentale necessario, laddove controllo ed elevati livelli di monitoraggio possono essere addirittura dannosi nelle relazioni impresa-fornitore (Wiemer e Plugge, 2007; Russo Spena e De Chiara, 2012).

Divengono quindi aspetti fondamentali nella gestione sostenibile della supply chain la scelta del partner

- con riferimento a personali attitudine, a precedenti esperienze di collaborazione (Wang e Fesenmaie, 2007),

alla morale, alla cultura e alla condivisione dei valori (Bowie, 2000)- e gli strumenti per comunicare e coinvolgere il partner nel percorso di sostenibilità.

In questo quadro, il paper vuole contribuire ad evidenziare le buone pratiche per la gestione sostenibile delle catene di fornitura ed, in particolare, contribuire al dibattito sulle modalità di collaborazione con i fornitori. Su questo aspetto, il dibattito, pur riconoscendone l’importanza per implementare la sostenibilità nelle catene di fornitura, non sempre approfondisce l’approccio e le motivazioni che guidano il comportamento delle imprese nelle scelte di coinvolgimento dei fornitori.

Occorre precisare che l’analisi di comportamenti sostenibili a livello di filiera risulta particolarmente rilevante in quanto, nell’ attuale configurazione dei processi produttivi, è diffusa, oramai in tutti i settori, la de-verticalizzazione delle attività della filiera tra gli operatori della subfornitura, dell’indotto, dei servizi. L’elevata frammentazione del processo di produzione rende quindi necessaria la partecipazione dei diversi attori della filiera per garantire un valore ecologico e/o sociale ai processi ed ai prodotti. Il processo partecipativo rappresenta un modello che consente di raccogliere le esperienze legate alle specificità di ogni attività della filiera, di ottenere il sostegno di risorse e di capacità degli attori, nonché di raccogliere il necessario sostegno e garantire la comprensione e la condivisione della strategia di sostenibilità (De Chiara, 2016).

Il paper si pone l’obiettivo di mettere in luce le best pratice per ottenere catene di fornitura sostenibili ed in particolare si focalizza sull’aspetto della partecipazione dei fornitori, attraverso un’analisi della letteratura sui temi indicati ed una ricerca empirica condotta su 38 aziende che hanno ottenuto, da parte del Global Compact, una valutazione positiva per la gestione sostenibile della supply chain.

2. Sustainable supply chain: review della letteratura

Istituzioni internazionali e mondo accademico hanno analizzato il fenomeno della CSR lungo tutta la

supply chain (SC).

In letteratura è possibile individuare almeno tre filoni di studio attorno ai temi dei valori, delle strategie e degli strumenti.

Nel primo filone di ricerca, il dibattito si è incentrato sulla forza dell’azienda madre nell’imporre il suo sistema di valori al resto della catena di fornitura (Lim e Phillips, 2008; Gonzalez-Padron et al., 2008). In alcuni studi, con riferimento alle global supply chain e alla localizzazione dei fornitori nei paesi in via di sviluppo, si è discusso dell’imperialismo culturale ed economico delle grandi imprese occidentali (Khan e Lund-Thomsen, 2011): «such as when Western brands insist on eradicating child labor from the process of

football stitching, without considering that such forms of labor might be a way for children to learn a new skill to help them support themselves and their families» (Lund-Thomsen et al., 2016, p. 17).

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BUONE PRATICHE PER SUPPLY CHAIN SOSTENIBILI.QUALE ENGAGEMENT?

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In una diversa prospettiva, alcuni autori hanno sottolineato che una delle sfide per lo sviluppo delle filiere etiche è legata invece alla distribuzione dei benefici tra i membri della filiera (Lim e, Phillips, 2008), quindi alla comprensione reciproca e alla ricerca di soluzioni condivise. Anche episodi concreti -come il caso della Mattel che nel 2007 si è trovata a dover ritirare dal mercato una linea di giocattoli, a seguito di una crisi dovuta alla sottovalutazione dei valori culturali della sua supply chain - hanno messo in luce l’importanza della comprensione delle differenze culturali del partner (Roloff e Aßländer, 2010) e la necessità di “lavorare” su soluzioni condivise piuttosto che sull’adozione di pratiche di controllo dell’operato dei fornitori rispetto a criteri ed indicatori stabiliti dalla casa madre (Russo Spena e De Chiara, 2012).

Un secondo filone di studi si è focalizzato sui programmi e sulle strategie per sviluppare la sostenibilità all’interno della supply chain. Da sottolineare i primi studi di Carter e Jennings (2002, 2004) che individuavano i fattori chiave, nella singola impresa, per la gestione responsabile della supply chain (cultura aziendale, la leadership del top management; iniziative dei dipendenti e pressioni dei clienti) e sottolineavano come le imprese, nel tentativo di proteggere la qualità della produzione e la loro reputazione, stimolando al contempo l’innovazione e la sostenibilità, stiano passando ad una gestione sistematica della filiera produttiva, ossia condivisa e partecipata.

Logistics social responsibility, purchasing social responsibility (Carter, Jennings, 2002, 2004), nonché sustainable supply chain management (Teuscher et al., 2006) sono alcuni tra i primi approcci che hanno

enfatizzato l’efficacia dell’adozione di pratiche di responsabilità sociale in una logica collaborativa, sottolineando il ruolo strategico svolto dal supplier (Maignan et al., 2002; Vurro et al., 2009; Andersen e Skjoett-Larsen, 2009). Questi studi tendono a convergere su una definizione di sustainable supply chain che pone enfasi sull’integrazione volontaria di politiche e strumenti volti al coinvolgimento ed alla responsabilizzazione dei fornitori e dei distributori sulle tematiche sociali, ambientali e di sicurezza, inoltre, sottolineano che l’engagement dei fornitori consente di passare ad una gestione sistematica della filiera produttiva, basata su fiducia, sicurezza, tracciabilità e solide partnership con tutti gli attori coinvolti (Perrini

et al., 2006; Russo e Tencati, 2009).

In questo filone si analizzano, inoltre, gli effetti del miglioramento delle capacità di interazione tra gli attori della filiera: si sottolinea il potenziale innovativo insito nella cooperazione, con la possibilità di incrementare il valore e la qualità dell’operatività e degli output di processo (Tencati e Zsolnai, 2008; Dallocchio et al., 2010); si evidenziano i benefici legati ad una corretta gestione e valorizzazione dei diritti umani lungo la filiera, garantendo sicurezza, rispetto della diversità e delle pari opportunità e producendo impatti positivi anche sulle comunità locali di riferimento (Emmelhainz e Adams, 1999; Mamic, 2005; Giuliani, 2016); si descrive la possibilità di sostenere modelli competitivi legati a vantaggi di differenziazione (Johnson, 2003; Burgess et al., 2006; Molteni e Todisco, 2008; Benit-Moreau e Parguel, 2011).

In questo filone possono farsi rientrare anche gli studi che hanno affrontato il tema del ruolo del governo e delle istituzioni politiche nel fornire un quadro istituzionale e le regole di responsabilità sociale delle imprese (Lawrence, 2007; Barrientos, 2008), anche con riferimento, in recenti studi, al ruolo delle istituzioni locali per la sostenibilità nei distretti e nelle filiere che coinvolgono fornitori dei paesi in via di sviluppo(Gereffi e Lee, 2016; Lund-Thomsen et al., 2016; Giuliani, 2016).

Nel terzo filone si possono racchiudere quegli studi che discutono delle procedure operative legate all’adozione di standard, spesso rappresentati dai codici di condotta (Oehmen et al., 2010), e dei problemi di attuazione, valutati anche in termini di monitoraggio e di controllo delle prestazioni (Nadvi, 2008; Mezzadri, 2012; Tran et al., 2013). In quest’ultimo filone possono farsi rientrare anche quei contributi che hanno approfondito la natura dei problemi etici che possono riguardare la supply chain: ad esempio, il rispetto delle diversità di genere e razziali (Ibarra, 1993; Grosser e Moon, 2005; Köllen, 2016), l’impatto sull’ecosistema (Shrivastava, 1995; Marcus e Fremeth, 2009; Hakkon et al., 2017), il contributo nelle comunità locali (Jennings e Entine, 1999; Ismail, 2009; Giuliani e Macchi, 2014).)

Sul piano più propriamente gestionale, occorre citare l’United Nations Global Compact che, sulla base delle esperienze analizzate in un’ampia serie di settori merceologici, suggerisce gli strumenti per ottenere

supply chain sostenibili, sottolineando l’importanza di un approccio strategico delle imprese per la scelta

degli strumenti più opportuni1 (Fig. 1).

1 Un’ampia rassegna di casi aziendali in merito a procedure e strumenti per regolare il rapporto con la supply chain si può trovare

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Fig. 1: Strumenti per l’engagement con i supplier

Fonte: United Nation Global Compact, 2015, p. 37

Sullo stesso piano, in alcuni contributi si sottolinea la necessità di effettuare un’analisi preliminare sul tipo di rapporto professionale, business to business, presente all’interno della filiera (Neville e Menguc, 2006; Vurro et al., 2009; Gereffi e Lee, 2016). Pertanto, struttura, densità delle relazioni e soprattutto posizione occupata dai soggetti, corrispondente al potere contrattuale e d’influenza di ciascun attore, rappresentano elementi di analisi necessari alla comprensione delle problematiche etiche della filiera stessa, all’implementazione di strategie di sostenibilità e alla progettazione di strumenti di management più idonei alle caratteristiche dei soggetti e delle attività che compongono la filiera.

Un altro aspetto importante è la scelta, ove possibile, del supplier. In letteratura si presenta tale scelta come risultante di un momento di analisi in cui occorre valutare alcune condizioni ritenute propedeutiche alla realizzazione di una collaborazione, quali la condivisione dei valori (Bowie, 2000) e degli obiettivi da perseguire, l’esistenza di precedenti esperienze di collaborazione (Wang e Fesenmaie, 2007), nonché la diversità culturale2, considerata un importante elemento di valutazione nella scelta del partner poiché potrebbe influire sulle relazioni di lungo termine tra imprese e fornitori (Zhao et al., 2006; Roloff e Aßländer 2010).

In merito alla gestione dell’engagement, la teoria affronta diverse questioni relativamente alle modalità di dialogo ed agli strumenti di comunicazione e di coordinamento. Ad esempio nel lavoro di Noland e Philliphs (2010) vengono sintetizzati i diversi approcci per organizzare il dialogo tra gli stakeholder, partendo dall’approccio degli habermasiani (dal nome del filosofo tedesco Habermas) che propongono un coinvolgimento libero da motivazioni strategiche in cui le parti comunicano per il solo scopo di raggiungere un accordo, trascurando ogni minimo interesse personale, per finire all’approccio degli strateghi dell’etica che richiamano una partecipazione dei portatori d’interesse non distaccata ma parte integrante del progetto strategico. Come pure in alcuni studi si sottolinea che il coinvolgimento dei portatori d’interesse non deve essere obbligatoriamente legato alla responsabilità sociale (Greenwood, 2007).

Sotto il profilo operativo, per gestire la comunicazione con il fornitore, da più parti si sottolinea l’importanza di adottare codici di condotta, che sintetizzano i principi che le imprese fanno propri nella gestione delle relazioni con la catena di fornitura, così come i principi che devono caratterizzare il comportamento dei fornitori. Un’utile guida sui contenuti principali che dovrebbero caratterizzare un codice di condotta per i fornitori è offerta dall’UN Global Compact (2015).

Occorre anche sottolineare che in alcuni studi si registra un approccio critico nei confronti dei numerosi contributi scientifici che si sono interessati della sostenibilità nelle catene di fornitura. Se, da una parte, si afferma che la letteratura ha contribuito, da un punto di vista teorico, alla maggiore comprensione del

2

La cultura rappresenta un insieme di valori, norme e abitudini collettive, che governano la vita quotidiana dei gruppi sociali (Pasquinelli e Mellino, 2010), è un sistema di valori condiviso da una categoria di persone (Hofstede, 2001).

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BUONE PRATICHE PER SUPPLY CHAIN SOSTENIBILI.QUALE ENGAGEMENT?

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problema, dall’altro, si sostiene che ciò non è ancora sufficiente a realizzare filiere sostenibili, e si propongono aree tematiche da indagare maggiormente (Pagell e Shevchenko, 2014) e sistemi manageriali da approfondire (Brandenburg e Rebs, 2015).

In definitiva l’elevata incidenza dell’outsourcing rende necessario che tutti i partner della catena di fornitura agiscano in modo socialmente responsabile, infatti il modo in cui gli operatori della filiera gestiscono le problematiche relative all’ambiente, alle condizioni di lavoro ed alla salute e sicurezza, incide (direttamente e/o indirettamente) sulle prestazioni delle imprese clienti, ma anche sulla concreta possibilità di perseguire modelli competitivi sostenibili (De Chiara, 2016). Allo stesso tempo si verifica però che spesso proprio le grandi imprese, leader globali nelle filiere produttive, esercitano pressioni per una riduzione dei costi di produzione, incentivando gli attori a monte della filiera, soprattutto quando localizzati nei paesi in via di sviluppo, ad un incessante compressione dei costi, con conseguenze note sulle condizioni di lavoro, sull’entità degli investimenti ambientali e delle spese sociali e con impatti considerevoli sulla riduzione della qualità e del valore delle produzioni (Lim e Phillips, 2008; Giuliani, 2016).

In conclusione gli studi fanno emergere la necessità di una gestione della supply chain finalizzata ad ottenere efficienti ed efficaci livelli di interazione per supportare modelli competitivi sostenibili, agendo soprattutto sulla trasparenza nelle comunicazioni e sulla fiducia nelle relazioni, laddove controllo e alti livelli di monitoraggio possono addirittura risultare dannosi (Wiemere Plugge, 2007; Russo Spena e De Chiara, 2012).

3. Obiettivi e metodologia della ricerca empirica

Strategie e strumenti messi in evidenza nella review della letteratura vengono indagati nelle pratiche aziendali attraverso l’analisi delle imprese che hanno ottenuto un riconoscimento per le best pratice adottate. A tal fine si è scelta la banca dati del Global Compact che riporta le informazioni sulle imprese che hanno implementato il “Global Compact Management Model” nella gestione della catena di fornitura. Tale modello evidenzia sei step per l’implementazione di un processo ottimale: commit, assess, define, implement,

measure, communicate. In particolare la ricerca si è focalizzata sulle fasi più operative del modello che

richiedono alle imprese, nell’ottica di applicare i 10 principi del GC nella gestione della catena di fornitura, di:

define, ossia stabilire obiettivi, strategie e politiche. La ricerca si è focalizzata sulle tematiche affrontate nella catena di fornitura;

implement, promuovere l’allineamento interno all’impresa ai dieci principi, evitando impatti negativi sulle performance dei fornitori. La ricerca ha analizzato le pratiche e gli strumenti che vengono adottati per conseguire il coinvolgimento dei fornitori.

La ricerca ha considerato, nell’arco temporale gennaio-luglio 2015, le 38 imprese che, applicato il modello, sono state valutate positivamente dal Global Compact per le pratiche adottate.

Le fasi della ricerca si sono così articolate:

1. consultazione del database del Global Compact (GC) (http:

//supply-chain.unglobalcompact.org/), nel quale sono disponibili le informazioni che ogni singola azienda invia annualmente al Global Compact con l’intento di informare gli stakeholder sui progressi ottenuti nell'attuazione dei dieci principi, con particolare riferimento alla supply

chain;

2. identificazione degli attori oggetto della ricerca, quindi, delle aziende segnalate nel sito del GC in merito alle pratiche ottimali di sostenibilità rivolte alle proprie catena di fornitura. Nella ricerca si sono considerate 38 aziende che hanno ottenuto una valutazione positiva e per le quali sono pubblicati sul sito del GC i relativi report di sostenibilità per le catene di fornitura; 3. analisi delle pratiche aziendali nei riguardi della supply chain, sulla base delle fasi del modello

di management suddetto. Le pratiche sono state osservate anche in relazione al contesto geografico e settoriale di appartenenza delle imprese;

4. consultazione dei siti internet delle singole aziende per risalire ai documenti completi di CSR e poter effettuare una comparazione con i report pubblicati dal Global Compact, al fine di una maggiore comprensione degli obiettivi dell’impresa in materia di sostenibilità nella catena di fornitura.

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 le caratteristiche delle imprese relativamente a nome legale, paese di origine, settore merceologico e regione di riferimento delle attività;

 le tematiche trattate, che fanno capo necessariamente ai dieci principi del Global Compact. Inoltre, si è considerato l’approccio che le aziende mettono in atto nell’implementazione del Global Compact Management Model;

 gli strumenti che le aziende utilizzano per implementare le attività socialmente responsabili nella propria supply chain e monitorare i risultati raggiunti.

Tab. 1: Elementi di analisi

Elementi Contenuti

Azienda Nome legale

Paese Paese in cui l’ azienda nasce e mantiene la sua sede legale Settore economico Settore merceologico prevalente

Regione di riferimento Regione in cui l’ azienda opera

Tematiche Problematiche di sostenibilità affrontate dalle aziende nei riguardi della SC

Pratiche aziendali Attività aziendali effettuate per migliorare i comportamenti socialmente responsabili dei fornitori Strumenti Strumenti utilizzati dalle imprese per coinvolgere i fornitori in attività socialmente responsabili

Fonte: elaborazione degli autori

4. I risultati della ricerca

4.1 Le caratteristiche delle imprese

Le 38 aziende che hanno ricevuto una valutazione positiva sono imprese multinazionali che hanno dislocato le attività produttive in varie parti del mondo. Questo dato induce a riflettere sulla portata delle azioni che esse devono mettere in campo per gestire in modo sostenibile le proprie catene di fornitura.

In considerazione del settore economico di appartenenza e del paese di origine, la ricerca evidenzia (Fig. 2) che si tratta perlopiù di imprese impegnate nel settore della tecnologia ed dell’elettronica (24%), alle quali seguono le aziende del settore delle telecomunicazioni (18%), del settore alimentare e delle bevande (16%), del settore automobilistico (10%). Dunque, si registra una concentrazione maggiore di aziende responsabili nei settori che necessitano di tecnologie particolarmente avanzate, o, detto in altri termini, che le aziende che appartengono ai settori che utilizzano tecnologie avanzate ottengono valutazioni positive in relazione allineamento ai dieci principi del GC nelle loro supply chain.

Incrociando i dati relativi ai settori, per quelli con un maggior numero di imprese, con i dati del paese/continente di origine delle aziende, si evidenzia (Fig. 2) che le migliori pratiche nei settori della tecnologia/elettronica e delle telecomunicazioni sono condotte da aziende con sede in Asia ed in Europa, con una netta prevalenza di aziende europee per il settore delle telecomunicazioni. Allo stesso modo nel settore alimentare prevalgono le imprese europee, seguite da quelle americane e da una sola impresa appartenente al continente africano. Diversamente nel settore automobilistico si evidenzia che sono per lo più le imprese americane che hanno ottenuto una valutazione positiva per le pratiche adottate.

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BUONE PRATICHE PER SUPPLY CHAIN SOSTENIBILI.QUALE ENGAGEMENT?

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Fig. 2: Caratteristiche delle imprese per settori e continenti di provenienza

Fonte: elaborazione degli autori

4.2 Tematiche di sostenibilità affrontate nelle catene di fornitura

In relazione alle aree tematiche (diritti umani, lavoro, ambiente e anti-corruzione), che includono i dieci principi del GC, la ricerca evidenzia che il 30% delle imprese si preoccupa nella catena di fornitura di problematiche di carattere ambientale. Pertanto le pratiche si traducono nel coinvolgimento dei fornitori verso una maggiore responsabilità ambientale nello svolgimento delle attività aziendali e nell’utilizzo di tecnologie pulite.

La tematica dei diritti umani richiama l’attenzione del 23% delle imprese, impegnate in particolare a garantire condizioni di lavoro dignitose (22%). In quest’ambito rientrano il diritto alla libertà di associazione, il diritto ad una paga equa rispetto al lavoro svolto, l’abolizione di trattamenti disumani e del lavoro infantile. Buona parte delle imprese affronta almeno due aspetti di queste tematiche, anche se non sempre viene specificato quale attività viene svolta.

Solo una azienda (2%) è interessata a rispondere al problema della corruzione nella catena di fornitura, nonostante questa tematica, negli ultimi anni, abbia acquisito una sempre maggiore importanza, in quanto afferisce ad aspetti, quali la frode sugli acquisti e la corruzione dei governi.

Incrociando i dati relativi alle tematiche affrontate con quelli inerenti i continenti delle rispettive imprese, la ricerca evidenzia comportamenti differenti (Fig. 3). Infatti, le imprese americane sembrano essere più attive nello stimolare atteggiamenti responsabili dei propri fornitori relativamente agli aspetti ambientali, mentre nelle imprese europee prevale un interesse verso tematiche più generali, seguite dall’ambiente e da una preoccupazione più forte per la tutela dei diritti umani, situazione che si ritrova anche nelle imprese asiatiche.

Con riferimento ai settori merceologici, la ricerca registra che le preoccupazioni ambientali sono, come prevedibile, una tematica che interessa le imprese che svolgono attività produttive maggiormente inquinanti (prodotti per la persona e l’alimentare), diversamente nei settori della tecnologia/elettronica e delle telecomunicazioni si evidenzia un maggiore interesse per la generalità delle tematiche della sostenibilità, con un’attenzione particolare alle condizioni di lavoro e alla tutela dei diritti umani (Fig. 3).

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Fig. 3: Tematiche di sostenibilità affrontate nelle catene di fornitura per continenti di appartenenza delle imprese e settori merceologici

Fonte: elaborazione degli autori

4.3 Le pratiche adottate per l’ implementazione della sostenibilità nelle catene di fornitura

L’analisi delle pratiche messe in atto dalle imprese nelle supply chain considera due aspetti: la tipologia di pratica adottata, sulla base del modello del GC, e gli strumenti utilizzati. Questi aspetti sono poi stati analizzati con riferimento alle caratteristiche delle imprese (settore e continente di provenienza), nonché si sono rilevate le problematiche che si generano negli specifici ambiti settoriali.

In definitiva si può affermare che la ricerca mette in evidenza che le aziende, rispetto al modello tracciato dal GC, adottano atteggiamenti specifici con riferimento alla fase del define, ossia alla definizione di obiettivi, che vogliono perseguire all’interno delle loro catene di fornitura, ed alle tematiche della sostenibilità affrontate. Nella fase dell’implement si registrano comportamenti simili, nella scelta delle pratiche, dettati dal modello stesso, che distingue tre approcci:

 “management of internal business”, in cui l’azienda gestisce l’allineamento interno ai dieci principi del Global Compact, cercando di delineare un quadro esemplare che la catena di fornitura prenderà come esempio durante l’esplicazione delle proprie attività;

 “engagement with suppliers”, in cui l’azienda coinvolge i fornitori nelle tematiche di sostenibilità per quanto concerne le attività che ha deciso di implementare nella catena di fornitura;

 “collaboration and partnerships”, in cui l’azienda implementa una collaborazione reale per rendere effettive le politiche di sostenibilità, stimolando il coinvolgimento anche tra più fornitori.

Ricordando che l'indagine è stata condotta sulle imprese “migliori”, si registra che la maggioranza delle aziende adotta la pratica dell’”engagement”, ma solo una bassa percentuale utilizza la pratica della “collaboration and partnerships” nell’intento di ottenere una collaborazione più estesa (Fig. 4). Alcune aziende presentano una combinazioni di due pratiche, mentre solo due imprese adottano una politica che prevede l’utilizzo di tutte le pratiche. Si tratta delle multinazionali Telefònica S.A. e Huawei Technologies Co Ltd. che operano nell’intero globo ed implementano, nelle rispettive catene di fornitura, tematiche che vanno dal rispetto dei diritti umani, alla definizione di condizioni lavorative dignitose, fino alla salvaguardia dell’ambiente.

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BUONE PRATICHE PER SUPPLY CHAIN SOSTENIBILI.QUALE ENGAGEMENT?

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Fig. 4: Utilizzo delle pratiche nelle imprese indagate

31% 57% 12% 0% 20% 40% 60% Management of Internal Business Engagement with Suppliers Collaboration and Partnerships

Fonte: elaborazione degli autori

L’analisi dei documenti presenti nei siti web consente di meglio specificare la natura del coinvolgimento promosso con i fornitori. Dalla ricerca sembra emergere un interesse delle imprese ad istaurare un approccio collaborativo in modo da poter meglio comunicare le politiche aziendali ed assicurarsi della loro applicazione. Infatti, nei documenti si legge che l’obiettivo principale è, ad esempio, «…to ensure that its suppliers comply with its expectations /requirements/standards as

well as with international regulations» (Huwaei); che la tracciabilità è un obiettivo primario in

quanto «…is viewed as the first step towards ensuring supply chain sustainability…to ensure that

each product is manufactured with maximum compliance with labour, environmental, and product health and safety legislation» (Indetex); che si ritiene importante applicare «…a holistic approach to sustainability is taken by all suppliers which will significantly minimise the supply chain risks»

(Unilever); ancora che «The promotion of CSR in the suppliers chains need to incorporate aspects

of compliance in conjunction with training and awareness» (Telefonica).

Incrociando i dati relativi alle pratiche utilizzate con le caratteristiche delle imprese (continente di provenienza e settore merceologico) e le tematiche di sostenibilità trattate, emerge quanto segue (Fig. 5):

 in relazione al continente di provenienza, le imprese europee e quelle asiatiche si distinguono prevalentemente per le pratiche di “engagement” dei fornitori, mentre le imprese americane e quelle africane presentano un utilizzo più omogeneo delle tre pratiche;

 in relazione al settore merceologico, le pratiche di “collaboration and partnerships” sono presenti solo nelle imprese dei settori delle bevande e delle telecomunicazioni, pur se in quest’ultimo è molto evidente l’uso di pratiche di “engagement” dei fornitori, mentre nel settore automobilistico si registra una presenza paritaria delle pratiche di “engagement” e di “management” interno;

 in relazione alle tematiche di sostenibilità trattate, la ricerca non registra particolari specificità. Infatti, “l’engagement” risulta una pratica utilizzata per rispondere in egual misura alle tematiche dei diritti umani, lavoro, ambiente e problematiche generiche. La situazione varia di poco per quanto riguarda le imprese che mettono in atto attività di “management of internal business”. Diversamente si registra che le imprese che applicano pratiche di “collaboration and partnerships” sono concentrate soprattutto su problematiche ambientali. Questo dato va letto in relazione al fatto che ad adottare queste pratiche sono soprattutto le imprese americane che risultano nella nostra analisi più attente a questi aspetti .

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Fig. 5: Pratiche adottate per caratteristiche delle imprese (continenti e settori) e tematiche trattate

Fonte: elaborazione degli autori

Per quanto concerne le politiche adottate rispetto a problematiche specifiche di settore, la ricerca rileva l’uso della politica del “non utilizzo” (promossa dalla OECD nel 2011 e divenuta legge negli Stati Uniti -Pub. L. No. 111-203, July 21, 2010, Section 1502) con riferimento ad alcuni minerali (tantalio, stagno, tungsteno e oro) provenienti da zone di conflitto o ad alto rischio di instabilità, zone in cui possono verificarsi gravissime lesioni dei diritti umani e minacce per l’ambiente. Questa pratica è stata riscontrata nelle imprese che si occupano di tecnologia/ elettronica e di telecomunicazioni, che fanno appunto un largo uso dei suddetti minerali.

In relazione agli strumenti utilizzati per rendere effettive le pratiche, la ricerca ha registrato l’utilizzo i diversi strumenti: il codice etico, gli incontri periodici, le autovalutazioni, i controlli effettuati da enti indipendenti e le certificazioni rilasciate in ambito ambientale e sociale.

Come si evince dalla figura n. 6 il codice etico dell’impresa (23%) ed i report per i fornitori (23%) sono gli strumenti più utilizzati. In molti casi (20%) le aziende hanno elaborato codici etici specifici per i fornitori, i quali molto spesso sono tenuti a firmare impegnandosi a rispettare principi e standard in esso contenuti, sia per continuare i rapporti commerciali con le multinazionali sia per iniziare un nuovo rapporto.

Tutte le imprese indagate utilizzano i report per comunicare. Nella maggior parte dei casi vengono resi pubblici sui siti web aziendali, con l’intento di informare i fornitori effettivi e potenziali, ma anche tutti gli stakeholder. Dall’analisi risulta che tali documenti sono presentati periodicamente e, spesso, contengono dati relativi ai miglioramenti registrati nell’ambito della sostenibilità.

Gli audit e le autovalutazioni delle attività dei fornitori sono ulteriori strumenti utilizzati (20%). I primi effettuano una valutazione del fornitore sulla base di diversi elementi, quali sistemi di gestione, salari, orari lavorativi. Generalmente gli audit sono elaborati da enti interni all’azienda,

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BUONE PRATICHE PER SUPPLY CHAIN SOSTENIBILI.QUALE ENGAGEMENT?

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ma sempre più spesso le imprese multinazionali scelgono di far riferimento ad ispettori esterni in modo da dare un’immagine più trasparente dell’azienda e della propria catena di fornitura. Le autovalutazioni, invece, sono effettuate dagli stessi fornitori che compilano questionari, spesso in forma anonima, forniti dall’impresa multinazionale, al fine di rilevare il livello di inclusione delle tematiche della sostenibilità nelle loro attività.

Buona parte delle aziende richiede ai propri fornitori certificazioni rilasciate da enti riconosciuti (12%). Per lo più si tratta di certificazioni specifiche ai settori di appartenenza e, nel caso in cui la stessa impresa multinazionale sia in possesso di queste certificazioni, diventa poi particolarmente esigente nei riguardi della propria catena di fornitura, chiedendo che questa risulti certificata allo stesso modo.

Le imprese analizzate organizzano anche incontri periodici con i propri fornitori (7%) al fine di condividere obiettivi, pratiche e strumenti. Poco utilizzata (2%) è, invece, la scorecard che rappresenta uno strumento di misurazione delle attività dei fornitori che considera diversi elementi, quali capacità di cooperazione e comunicazione, capacità dei sistemi informatici, capacità tecnologiche ed infrastrutturali. Ciò evidenzia la difficoltà per le imprese, seppur multinazionali, di utilizzare uno strumento così articolato che prevede l’inclusione di elementi differenti.

È bene tener presente che la maggior parte delle aziende utilizza contemporaneamente più strumenti, inoltre tutte sono accumunate dall’utilizzo di processi di risk management per l’individuazione dei rischi che potrebbero scaturire da attività economiche intraprese con i fornitori.

Fig. 6: Strumenti utilizzati

Fonte: elaborazione degli autori

I dati relativi all’incrocio tra gli strumenti utilizzati e le pratiche adottate (Fig. 7) evidenziano che le imprese impegnate nell’”engagement with suppliers” e nel “management of internal business” danno innanzitutto importanza alle certificazioni che vengono richieste ai propri fornitori. Diversamente le imprese che adottano la pratica della “collaboration and partnerships” evidenziano un utilizzo più completo degli strumenti individuati, con una presenza significativa degli incontri con i fornitori. Indagando sulla natura di questi meeting, attraverso l’analisi dei documenti di sostenibilità presenti sui siti web delle imprese, emerge che si tratta perlopiù di incontri che le imprese organizzano per ottenere il consenso sulle politiche che si andranno a sviluppare. Nei documenti si legge, ad esempio,: “…to validate the requirements” (Schneider Electric); to discuss

the new ..requirements” (De Beer Group). Solo in alcuni casi, la ricerca rileva l’utilizzo di approcci

che prevedono un maggiore coinvolgimento della catena di fornitura, laddove si legge, ad esempio, “…to promote policy and strategy sharing, as well as mutual understanding …” (Hitachi). Ed

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ancora, in un’ottica di interesse più esteso “…to use their central position in their communities to

become catalysts for development…we can use our value chain to improve the welfare and development of communities” (SABmiller).

Infine, l’utilizzo della scorecard, come detto, è molto basso, ma è interessante verificare che in relazione alla pratica del “management of internal business” esso è nullo, in quanto questa pratica non controlla direttamente le attività della supply chain, ma che si concentra sulla gestione interna all’impresa multinazionale delle pratiche di sostenibilità, da offrire come esempio.

Fig. 7: Strumenti utilizzati in relazione alle pratiche

Fonte: elaborazione degli autori

5. Discussioni e conclusioni

Una riflessione preliminare che emerge dalla ricerca concerne le caratteristiche delle imprese che hanno implementato il modello del Global Compact per la gestione sostenibile delle loro catene di fornitura (Global Compact Management Model) ed hanno ottenuto una valutazione positiva per le pratiche adottate. Come si evidenzia chiaramente dall’indagine si tratta esclusivamente di grandi imprese multinazionali. Questo dato può far riflettere, da un lato, sulla complessità del modello indagato, ma, dall’altro, evidenzia l’assenza di piccole e medie imprese come “titolari” di pratiche per la sostenibilità nelle filiere. Questa valutazione sembra essere avallata anche da un ulteriore dato che emerge dall’analisi relativamente alla tipologia di pratiche adottate. L’analisi ha messo in luce che le pratiche proposte dal modello del GC si differenziano per l’impegno richiesto all’impresa nel coinvolgimento della catena di fornitura ai progetti di sostenibilità ed i risultati dell’indagine evidenziano che le imprese, seppur premiate, sono “arenate” in pratiche in cui la partecipazione dei fornitori si contestualizza soprattutto alla fase di attuazione dei processi (implement), in ambito sociale ed ambientale. Ciò descritto in un sistema cartesiano - che definisce gli assi nella partecipazione del fornitore non solo all’attuazione delle pratiche (implement), ma anche alla definizione degli obiettivi (define)- consente di evidenziare che le imprese indagate si collocano in prossimità dell’origine in cui la partecipazione del fornitore è assente o molto bassa (Fig. 8). Detto in altri termini, le imprese indagate si posizionano in corrispondenza di pratiche che potremmo definire “elementari”, in quanto richiedono il coinvolgimento del fornitore solo per dare attuazione alle politiche di sostenibilità delineate dalle imprese multinazionali, nel caso dell’“engagement” (57%), o, in un approccio ancor più restrittivo, delineano meramente un quadro di comportamenti che deve essere replicato dalla catena di fornitura, come nel caso del “management of internal business” (31%). In queste pratiche il fornitore appare come un attore indispensabile per dare attuazione agli obiettivi ed alle iniziative previste dalla grande impresa, ma è relegato ad un ruolo di mero attuatore delle politiche dell’impresa multinazionale.

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Fig. 8: Modelli prevalenti di coinvolgimento del fornitore

Fonte: elaborazione degli autori

Anche i risultati sull’uso degli strumenti confermano questo ruolo, laddove la ricerca evidenzia il maggior ricorso a sistemi di valutazione dell’operato del fornitore, quali audit, autovalutazioni e certificazioni, rispetto, invece, all’utilizzo di incontri che potenzialmente rappresentano uno strumento che meglio consente di raccogliere il contributo del fornitore, anche rispetto all’individuazione degli obiettivi da perseguire, oltre che alla realizzazione delle attività già definite. Tali strumenti trovano, infatti, maggiore applicazione proprio nelle pratiche della “collaboration and partnerships”, ma l’analisi evidenzia che però è ancora molto bassa la percentuale di imprese che coinvolgono attivamente il fornitore (12%), richiedendo anche al partner di farsi promotore delle stesse politiche aziendali nei confronti dei suoi fornitori, al fine di coinvolgere l’intera supply chain. E’ evidente che queste forme di coinvolgimento richiedono un livello di collaborazione più evoluto che appare di complessa realizzazione probabilmente anche alle imprese più grandi, ma ai fini di un contributo al dibattito sulle implicazioni manageriali va sicuramente rimarcata la necessità di un approccio collaborativo più esteso, non solo relativamente alla questione della numerosità dei soggetti coinvolti al progetto di sostenibilità, ma anche all’aspetto del metodo di coinvolgimento che, si ritiene, dovrebbe riconoscere al fornitore un ruolo attivo e propositivo a partire proprio dalla fase di definizione degli obiettivi (define). Ed è proprio questo tipo di coinvolgimento della supply

chain che viene, tra l’altro, richiamato in tutte le principali linee guida internazionali in tema di

sostenibilità, al fine di assicurare la partecipazione dell’interna catena e la contribuzione dei suoi attori in termini di conoscenze e competenze specifiche, relativamente anche ai contesti geografici di provenienza.

La relazione “biunivoca” che si auspica nei rapporti di collaborazione tra impresa e fornitore, qualunque sia il modello che si voglia adottare, deve quindi prevedere alti livelli di coinvolgimento del fornitore nella definizione degli obiettivi e nell’implementazione dei processi (spostandosi verso l’alto nel grafico presentato), al fine di creare le condizioni affinché la catena di fornitura possa contribuire concretamente alla riuscita delle politiche di sostenibilità nelle filiere ed al raggiungimento di risultati migliori che possano davvero andare nella direzione di assicurare una maggiore competitività di tutte le parti in causa, nonché il benessere della collettività.

Le implicazioni di policy che da ciò derivano attengono alla necessità, in primo luogo degli organismi competenti (GC, OCSE, ecc.), di investire maggiori risorse per far comprendere l’importanza del perseguimento di progetti di sostenibilità a livello di filiere e di network, di sviluppare competenze nelle imprese verso forme di coinvolgimento più esteso del fornitore, di sviluppare modelli di gestione che possano essere replicati anche dalle imprese di minori

Pa rteci p az ion e a lla d ef in izio n e d egli o b ie tt iv i ( d ef ine )

Partecipazione all’implementazione (implement) Management of internal

business

Engagement with suppliers

Collaboration and partnerships

88% d ell e im p re se in d aga te

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dimensione. L’attenzione particolare agli attori di piccole dimensioni nasce dalla constatazione, come detto nella riflessione preliminare, che essi non sono titolari di pratiche di sostenibilità, ma rivestono molto spesso il ruolo di fornitori nelle filiere internazionali, pertanto occorre investire nella loro formazione, in particolare rafforzando la capacità di interazione con i leader globali, nella valorizzazione del loro capitale conoscitivo, relativamente non solo alle specificità delle attività produttive che presiedono, ma anche dei contesti culturali locali, ritenuti in letteratura fattori indispensabili al successo delle pratiche di sostenibilità nelle catene di fornitura. Ed è proprio in questa direzione, accogliendo la tesi di coloro che ritengono ancora insufficiente il lavoro fatto negli studi, che la ricerca dovrebbe ulteriormente investire per contribuire alla realizzazione di filiere sostenibili che possano davvero produrre risultati credibili.

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L’istituzionalizzazione della multifunzionalità agricola.

Una rilettura in chiave situazionista della filiera corta

CLAUDIO NIGRO*ENRICA IANNUZZI

Abstract

Obiettivi. Il contributo propone una lettura delle dinamiche relazionali che hanno condotto alla diffusione della

filiera corta in agricoltura, emergente dal concetto di ‘multifunzionalità agricola’. Tale lettura terrà conto della diffusione sul territorio nazionale delle pratiche di consumo e produzione critica; quest’ultime, infatti, si ritiene abbiano concorso a ridisegnare la composizione strutturale delle relazioni di canale, in virtù di processi di integrazione e co-creazione di valore fra attori chiave della filiera.

Metodologia. La ricostruzione delle dinamiche relazionali avverrà ricorrendo all’approccio metodologico

situazionista, caratterizzato dall’interazione di due macro-processi: azione e istituzionalizzazione. Il lavoro consente, così, di spostare il focus dalle dinamiche relazionali interne alla filiera a quelle interne al campo organizzativo.

Risultati. L’analisi consente di formulare ipotesi in merito al ruolo assolto dagli attori chiave nel processo di

istituzionalizzazione della multifunzionalità agricola e, quindi, della filiera corta, al contempo, non trascurando il ruolo giocato da attori minori.

Limiti della ricerca. Il lavoro formula delle ipotesi circa i comportamenti tenuti dai diversi attori, istituzionali e

non, che concorrono alla configurazione del campo organizzativo. Si auspica una successiva validazione delle ipotesi attraverso un secondo momento di indagine esplorativa.

Implicazioni pratiche. Le riflessioni proposte appaiono interessanti per Studiosi e per operatori del settore,

offrendo una descrizione, seppure parziale, del fenomeno.

Originalità del lavoro. Il ricorso alla matrice situazionista fornisce, tra gli altri aspetti, una lettura meno ingenua

del tema, sottolineando il peso specifico assunto da quegli attori che, nel contesto di riferimento, possono contribuire, a tratti orientandolo, al processo di regolamentazione.

Parole chiave: multifunzionalità agricola, filiera corta, associazionismo, campo organizzativo, istituzionalizzazione.

Objectives. The paper analyses the relational dynamics that have led to spread of short chain in agriculture, based

on the conceptualization of the ‘multifunctional agriculture’ and on the presence of sustainable production and consumption practices; in fact, it’s believed that these practices have contributed to shape the structural composition of channel relationships, due to integration and co-creation of value between key players of this sector.

Methodology. The research group adopts a situationist perspective, characterized by the interaction of two

processes: action and institutionalization. In this way the analysis focuses on the relational dynamics in the organizational field and on the role played by the actors involved in it.

Findings. The analysis allows to propose, at the same time, some considerations on the role played by key actors

in the process of institutionalization of the multifunctional agriculture and, therefore, of the short chain, not denying the role played by secondary actors.

Research limits. The paper proposes some considerations about the behaviors of different actors that contribute to

the organizational field configuration, but it did not provide a validation of these. The research group assumes a second step of the analysis.

Practical implication. The reflections of the work appear interesting for scholars, as well as for business operator,

offering a description, albeit partial, of the phenomenon.

Originality of the study. The adoption of the situationist perspective gives to the reader an interesting point of

view about the phenomenon, emphasizing the specific roles assumed by those actors who may contribute in the regulatory process.

Keywords: multifunctional agriculture; short chain; associationism; organizational field; institutionalization

* Professore Straordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Foggia

e-mail: claudio.nigro@unifg.it

Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Foggia

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