• Non ci sono risultati.

La loggia di villa Pellegrini

1.2. Per la prima volta a Venezia (1563-1565)

1.2.3. La loggia di villa Pellegrini

Il soggiorno veneziano di Federico Zuccari si stava rivelando talmente carico di suggestioni che egli non volle e non potè cedere alle suppliche di Taddeo che lo rivoleva a Roma per affiancarlo nei lavori di Caprarola196: infatti gli si era aperto davanti un nuovo universo artistico cui attingere nella formazione del suo stile e l‟allontanamento dal fratello gli stava concedendo la possibilità di rendersi da lui autonomo; ma soprattutto la sua fama si stava rafforzando in ambito veneto e ciò gli diede l‟opportunità, anche grazie al favore del Grimani, di essere interpellato per nuove commissioni, non solo nella capitale della Repubblica, ma anche in terraferma.

A detta di Giorgio Vasari si situerebbe immediatamente a seguito del completamento della pala Grimani, l‟incarico per la decorazione della loggia nella villa che la famiglia Pellegrini possedeva nell‟entroterra veneto: “Dopo [la realizzazione dell‟Adorazione dei

191 Inv. n. D 17. Cfr. L. Puppi, in Gabinetto Disegni e Stampe 2007, pp. 155-156, n. 50 (con bibliografia precedente).

192 Ivi, p. 156. Probabilmente l‟architetto propose due variante distinte per la collocazione delle tombe laterali a seconda dell‟altezza dello zoccolo.

193 Tafuri 1985, p. 30.

194 Mac Tavish in Andrea Palladio 1975, pp. 135-136, n. 245.

195 Puppi in Gabinetto Disegni e Stampe 2007, p. 156. Escluderei l‟ipotesi avanzata da Gere e Pouncey (1983, p. 182) di riferire l‟intero disegno a Federico. Acidini Luchinat in un primo momento (I, 1998, p. 260, nota 58) riconosce la mano di Federico nella sola figura della Fede, mentre si mantiene più cauta in seguito (Ead. 2001b, p. 236 e p. 239, nota 9).

55

Magi] fece fra Chioggia e Monselice, alla villa di Messer Gioambattista Pellegrini, dove

hanno lavorato molte cose Andrea Schiavone e Lamberto e Gualtieri fiaminghi, alcune pitture in una loggia che sono molto lodate”197. Raffaello Borghini, probabilmente informato da Federico stesso durante il suo soggiorno fiorentino nella seconda metà degli anni Settanta, specifica nel Riposo del 1584 il soggetto delle due scene rappresentate: “Dipinse etiandio in villa del clarissimo Giouanbatista Pellegrini entro vna loggia la historia d‟Oratio, quando tenne il ponte contra tutta Toscana: e l‟istoria di Curzio, quando si gitta nella Voragine del fuoco”198.

Perdute entrambe le opere zuccarine, esse hanno creato non poche difficoltà agli studiosi: da un lato la mancanza dell‟originale rende molto problematico il riconoscimento di disegni preparatori che consentirebbero almeno in parte di ricostruire le pitture in questione; dall‟altro le informazioni fornite dal Vasari sull‟ubicazione della villa di Giambattista Pellegrini sono piuttosto approssimative, tanto da dare adito ad alcuni fraintendimenti. Vasari non aveva diretta conoscenza della decorazione e si basava su informazioni trasmessegli da altri, forse in maniera imprecisa. Tuttavia, quando l‟edizione giuntina delle Vite passò al vaglio di Federico, questi non corresse le parole dello storiografo.

Perciò è difficile dare una spiegazione alle affermazioni di Acidini Luchinat, secondo la quale “il Vasari avrebbe sbagliato di grosso nell‟indicare l‟ubicazione”199. La studiosa inoltre, ignorando il precedente contributo di Vincenzo Mancini200, ha erroneamente identificato la famiglia committente con quella dei Pellegrini di Verona: quest‟ultima possedeva un palazzetto nella località di Isola della Scala (VR) – molto distante dal territorio segnalato da Vasari – che subì grossi interventi nel 1729, nonché una villa a Salvaterra presso Badia Polesine (RO), il cui piano nobile era strutturato in due corpi loggiati, di cui uno ora risulta chiuso201.

Vincenzo Mancini aveva invece dimostrato che i Pellegrini in questione non sarebbero né la famiglia veronese di cui parla Acidini Luchinat, né quella veneziana di San Severo presso Santa Maria Formosa202, quanto piuttosto quella padovana di origini dalmate: il Giambattista di cui parla Vasari sarebbe dunque figlio di Francesco, insegnante nella sua

197 Vasari 1968, ed. 2013, p. 1186.

198 Borghini 1584, pp. 571-572.

199 Acidini Luchinat 1998, I, p. 236.

200 Mancini 1991, pp. 173-196.

201 Acidini Luchinat 1998, I, p. 236; Ead. 2001b, p. 237; nel primo di questi contribuiti (Ead. 1998, I, p. 261, nota 72) la studiosa non sembra dare credito alla bibliografia di riferimento, per la quale l‟edificio viene fatto risalire al XVII secolo o, più genericamente, all‟epoca barocca.

56

dimora patavina in contrada San Pietro, e fratello del potente avvocato Vincenzo Pellegrini il quale, grazie alle sue abilità economiche e contrattuali, aveva risollevato la famiglia da pesanti penurie finanziarie e la face trasferire a Venezia, dove riuscì ad acquistare un appartamento nel 1565203.

Vincenzo Pellegrini, il 24 giugno del 1557, ottenne dai gerolamiti una cappella nella chiesa veneziana di San Sebastiano, per la cui pala d‟altare, di lì a poco, avrebbe affidato l‟incarico ad Andrea Meldolla detto lo Schiavone. Quest‟ultimo vi dipinse, con richiamo al cognome della famiglia, Gesù e i pellegrini sulla strada per Emmaus. Lo Schiavone viene menzionato anche da Vasari che lo dice coinvolto, prima di Federico, nella loggia della villa di Giambattista Pellegrini assieme a Lambert Sustris (“Lamberto”) e Gualtieri fiammingo204. Non stupisce che sia stato interpellato più volte il Meldolla, vicino ai Pellegrini per le comuni origini dalmate.

Dalle ricerche documentarie di Mancini205 si evince come, almeno a partire dal 1558, Vincenzo abbia acquistato alcune proprietà nel basso padovano, in particolare nella zona di San Siro (nella vicaria di Conselve), dove si occupò in prima persona, dal 1560, di seguire i lavori idraulici e di bonifica e dove, nel 1566, risultava possedere anche una “casa domenicale con orto, bruolo e adiacenze rustiche”206.

L‟abitazione, costruita certamente con la precipua funzione di facilitare la gestione delle attività agricole dei terreni di proprietà, era stata costruita già prima del 1560, come dimostrano vari atti ivi rogati: uno di essi, redatto nel luglio del 1562, indica Giambattista Pellegrini quale proprietario dell‟immobile207. Sempre dalle fonti si apprende infine che essa doveva avere un loggiato costruito sulla facciata208.

Tutte queste informazioni consentono di affermare che la villa dove lavorò Federico Zuccari si trovava appunto a San Siro, un luogo compreso entro l‟area geografica indicata da Vasari. Ne consegue che le informazioni da questi fornite debbano essere ritenute attendibili.

203 Ivi, pp. 177-178.

204 Mancini (Ivi, p. 189), ripreso da Linda Borean nella sua scheda su Pietro Pellegrini, in Il collezionismo d‟arte 2008, pp. 304-305, identifica quest‟ultimo artista come Gualtiero dall‟Arzere, pittore padovano, mentre Acidini Luchinat (I, 1998, p. 236 e 2001, p. 237) vi riconosce Gualtieri fiammingo pittore di vetri, forse Wouter Crabeth I, famoso proprio per essere specializzato nella pittura su vetro. Personalmente propendo per la prima ipotesi, sulla scorta del documentato sodalizio tra Gualtieri dall‟Arzere e Lambert Sustris, che li vide lavorare fianco a fianco in molte commissioni, anche per i Pellegrini (Mancini 1991, pp. 189-192).

205 Ivi, p. 179.

206 Ivi, p. 181.

207 Cfr. i vari atti citati ivi, p. 184.

57

Mancini, oltretutto, chiarisce che la decorazione della loggia avvenne a conclusione “di qualche operazione di ristrutturazione e ampliamento delle fabbriche esistenti”; a tali lavori si diede inizio poco prima della metà del settimo decennio209, ossia nel periodo immediatamente successivo al compimento dell‟incarico zuccariano a San Francesco della Vigna: dunque l‟intervento di Federico va datato tra l‟autunno del 1564 e l‟estate dell‟anno seguente, quando il pittore marchigiano ripartì da Venezia210.

Il coinvolgimento di Federico Zuccari nel cantiere di San Siro, le cui opere andavano ad aggiungersi a quelle di pittori accreditati quali Lambert Sustris e Andrea Schiavone, consente di inquadrare i committenti – e in particolare Vincenzo Pellegrini cui con ogni probabilità vanno ricondotte le scelte artistiche della famiglia – come mecenati di grande importanza e di gusto aggiornato211: “Con la scelta di un artista come lo Zuccari i Pellegrini si mettono in evidenza per la modernità e raffinatezza dei gusti estetici, dimostrando un particolare apprezzamento per la maniera decorativa „alla romana‟”212. Come premesso, le pitture di Zuccari sono andate perdute e ciò va ascritto ai passaggi di proprietà seguiti all‟estinzione della famiglia Pellegrini: gli Zaguri, che avevano ereditato l‟abitazione fin dal 1625, cedettero il complesso nel 1913 a Pietro Da Zara e fratelli, allora affittuari dello stabile; questi ultimi decisero di „ristrutturare‟ la villa per adeguarla al gusto del tempo, ossia di ricostruirla in forme neoclassiche; cosa che ha dunque fatto perdere le tracce dell‟originaria decorazione cinquecentesca213.

Ciò nonostante, un possibile indizio dell‟intervento di Federico nella villa dei Pellegrini è stato rintracciato da Acidini Luchinat214 in un disegno del Museo Horne di Firenze215 (fig. 48), nel quale, entro una cornice plurima facente parte di una partitura architettonica costituita da nicchie architravate e da un fregio decorato, è raffigurata una battaglia su un ponte: se il disegno fosse effettivamente collegato alla commissione Pellegrini, renderebbe testimonianza non solo delle scelte pittoriche operate da Federico nella realizzazione della

Storia di Orazio, ma anche dell‟apparato architettonico entro cui la scena doveva essere

inserita.

209 Ivi, p. 186.

210 Ivi, p. 187.

211 Cfr. Ibid. e la scheda di Linda Borean su Pietro Pellegrini, in Il collezionismo d‟arte 2008, pp. 304-305.

212 Mancini 1991, p. 187.

213 Sulle vicende proprietarie e sulla documentazione ad esse correlata, cfr. Ivi, pp. 184-185.

214 Acidini Luchinat 1998, I, p. 236.

58

Sempre Acidini Luchinat216 accenna a un altro foglio, realizzato a inchiostro bruno con lumeggiature a biacca offi alla National Gallery of Victoria di Melbourne217, in cui si può osservare un soldato romano su un cavallo imbizzarrito che sferra un attacco con la lancia a un altro uomo seminudo che precipita da un ponte (fig. 49).

Quest‟ultimo foglio può essere messo in relazione anche con i disegni eseguiti dai fratelli Zuccari per la credenza del duca d‟Urbino, in particolare il piatto con Cesare che fa

distruggere un ponte218, realizzato a partire da un disegno di Taddeo ora al Nationalmuseum di Stoccolma219 (fig. 50). Tuttavia la presenza del cavaliere e quella dell‟uomo che precipita dal ponte, non avendo alcuna attinenza con la scena raffigurata sul piatto, fanno sì che il foglio di Melbourne possa essere con buona probabilità uno schizzo preparatorio per l‟affresco della loggia di San Siro, dando ulteriore credito all‟attuale attribuzione a Federico.

Ciò non toglie che egli, come in altre occasioni, si sia servito di alcuni spunti fornitigli da idee precedentemente elaborate dal fratello. Contestualmente è possibile individuare alcune suggestioni tratte dalla pittura veneta: il disegno dimostra infatti affinità con la Battaglia di

Cadore di Tiziano, che Zuccari ebbe modo di studiare durante il suo soggiorno veneziano,

prima che l‟opera fosse distrutta nell‟incendio di palazzo Ducale del 1577. Sono infatti noti due disegni, di cui si parlerà più approfonditamente in seguito, conservati al Museo del Louvre, in cui l‟artista studiò l‟opera del cadorino, ossia il foglio n. 4623 verso (scheda n. 42) e il n. 4571 recto (scheda n. 23): in quest‟ultimo Zuccari si concentra, con pochi e rapidi tratti a matita nera e rossa220, sul moto convulso dei soldati in battaglia e non si può fare a meno di notare come la figura di cavaliere con lancia a sinistra sia molto vicina a quella che compare sul disegno di Melbourne. Ciò consente di concludere che Zuccari fece tesoro di quanto appreso a Venezia, traendone spunto nelle pitture di cui egli stesso era incaricato.

Anche Céline Damian221 pone in evidenza come lo studio dell‟opera tizianesca a palazzo Ducale sia stata punto di partenza per la commissione Pellegrini, ma mette in relazione i suddetti schizzi del Louvre con il solo disegno del Museo Horne, tralasciando quello di Melbourne, in cui – a mio avviso – le analogie risultano ancora più evidenti.

216 Acidini Luchinat 1998, I, p. 261, nota 68.

217 Inv. n. 1887/4.

218 Cfr. Acidini Luchinat 1998, I, fig. 19.

219 Inv. n. 479/1863, cfr. Bjurström, Magnusson 1998, n. 606.

220 Quest‟ultima è però limitata a pochi dettagli.

59

Personalmente trovo molto difficile individuare qualche attinenza tra i lavori per i Pellegrini e un altro disegno conservato al Kupferstichkabinett di Berlino222, come invece propone Acidini Luchinat223 (fig. 51). Per la studiosa il foglio, riproducente un giovane uomo vestito da pellegrino vicino a quello che compare nello stemma dei Pellegrini di Verona, potrebbe rappresentare uno studio preparatorio per un‟altra opera affidata all‟artista dagli stessi committenti. Si è già chiarito tuttavia come non si tratti della famiglia veronese, ma di quello di Padova, poi trasferitosi a Venezia. Benché l‟iconografia del pellegrino dovesse essere cara anche ai membri di quest‟ultima, come dimostra il soggetto della pala di Schiavone destinata a San Sebastiano, l‟interpretazione risulta in ogni caso un po‟ forzata, cosa peraltro già ammessa da Acidini Luchinat stessa, che propone in alternativa di leggere il soggetto del disegno berlinese come un San Rocco, ipotesi che ritengo più plausibile. La studiosa avanza la stessa proposta anche per un disegno della Galleria Boemer di Düsseldorf, rappresentante parimenti un pellegrino (fig. 52)224: in quest‟ultimo caso, tuttavia, l‟autografia zuccariana risulta a mio avviso discutibile e ritengo più probabile che si tratti di un‟opera di bottega, come nel caso di un ulteriore disegno, tematicamente affine e conservato alla Rosenbach Foundation di Philiadelphia, dato alla cerchia di Zuccari da Gere225.

Ad ogni modo le opere per i Pellegrini, qualunque fosse il loro aspetto, documentano l‟ascesa della carriera di Federico Zuccari nell‟ambiente veneto, dopo le opere per il Grimani, e del consolidarsi e diffondersi della sua fama.