• Non ci sono risultati.

Volevo intervenire su due punti. Innanzitutto è una cosa assurda che noi dob- biamo pagare per certificare (es. DOP, DOC, ecc.). Quando andavo a scuola ti da- vano la borsa di studio se eri bravo, invece qua bisogna pagare per certificare che

facciamo un prodotto di qualità. Dunque, anziché dare un contributo sulla produ- zione biologica, potremmo provare a usare quei soldi per farci certificare dallo Stato (che può poi demandare a enti certificatori). In secondo luogo, occorre chiarire al consumatore cosa significhi “produzione biologica”. Prima è stato detto che tutti conoscono il biologico, ma penso che se si chiedesse a 100 persone il significato di biologico, biodinamico, vino da uve biologiche ecc., nessuno saprebbe rispondere correttamente. E noi produttori ci scontriamo giornalmente con questa realtà. Per fare il protocollo di vinificazione biologico europeo abbiamo impiegato 25-30 anni ed è una mediazione al basso, perché accontenta un po’ tutti, ma è comunque un piccolo passo in avanti. Ora speriamo che non ci si metta altri 30 anni per definire cosa sia una produzione sostenibile e dare delle linee guida. Per quanto riguarda quando detto da Capri, non sono molto d’accordo, perché le aziende che iniziano da poco hanno tutto da migliorare e risulterebbero così virtuose e sostenibili, mentre una azienda che è già arrivata a livelli molto alti può fare solo piccoli progressi. Dunque come si fa a discriminare le due tipologie di aziende?

Io credo che in questo convegno stiano emergendo tutte le problematiche dell’armonizzazione del concetto di sostenibilità e della standardizzazione della sua misura. Trovare gli strumenti per dare una misura chiara della sostenibilità è fondamentale per poter indirizzare poi le politiche di sostegno allo sviluppo soste- nibile. Oltre ad una misurazione accurata, però, bisogna studiare una comunicazio- ne efficace per far comprendere al consumatore in maniera semplice ed immediata la sostenibilità di una produzione. Altro tema importante è la validità del concetto di vino “naturale” o vino “vero”, e la confusione che si crea con il vino biologico certificato. Per la nostra azienda questo è un tema fondamentale poiché nella con- fusione di queste definizioni chi se ne avvantaggia sono sicuramente i produttori non sensibili a tale tematiche a discapito dell’ambiente e della salute umana. Il mio parere è che la certificazione biologica sia perfettibile, ma ancora uno strumento valido per dare una comunicazione esatta e veritiera al consumatore, poiché basata su un approccio scientifico e regolamentato a livello comunitario. Gli altri approcci sono interessanti ma si basano solo sulla fiducia nelle dichiarazioni volontarie del produttore.

Filippo Carletti - Caprai

Noi di certificazioni ne abbiamo diverse, tra cui quella ambientale e la car- bon footprint. Il nostro progetto tre anni fa nasceva da questo problema: a cosa

ci sta portando tutto questo? Siamo bravi, paghiamo un ente certificatore e pro- viamo a gestire al meglio, ma è il passaggio in più che va fatto. Il nostro progetto, che si chiama Montefalco 2015, è un progetto di territorio, perché vogliamo unirci ad aziende relativamente più piccole. Come può quest’ultima definirsi sostenibi- le? Sicuramente i 3.000 € per pagare il certificatore preferirebbe investirli altrove. Sull’ambiente ci sono miliardi di certificazioni e sistemi che ti aiutano a gestirlo, ma è sufficiente che un piccolo produttore con 5 ettari installi un contatore sul rubinetto dell’acqua e inizi a prendere coscienza del proprio consumo per essere più sostenibile. Il progetto, che nasce a livello di territorio, vuole unire il grande e il piccolo attraverso qualcosa di virtuoso e misurabile. In ogni caso, invito tutti a non entrare nella logica che la chimica è brutta. La chimica è chimica; se uno può, prende una spremuta per il raffreddore, ma se uno sta tanto male, c’è bisogno di qualcos’altro. Io auspico che da tutte le parti si possa fare a meno della chimica, sebbene attualmente abbia delle riserve a riguardo. Facciamo però una chimica buona, che sia ragionata.

Giampiero Bea – Consorzio Viniveri

Trovo interessante un’iniziativa di territorio e anche io ci credo sia come azienda sia come socio del Consorzio, all’interno del quale cerchiamo di esprimere l’unicità dei territori. Ma insieme vorremmo evitare di fare trattamenti chimici e co- municare all’esterno per promuovere l’enoturismo. Quanto sarebbe bello se il Sin- daco di Montefalco potesse dire che nel nostro territorio non si fa uso di trattamenti sistemici! Dunque lancio la sfida al mio collega e compaesano che ha appena preso la parola, perché il turismo che viene non goda solo di olio buono e vino buono, ma dorma in un ambiente dove non si usa la chimica. Io capisco che questo sia difficile da comprendere e realizzare, però iniziamo magari a fare il primo passo.

Ettore Capri - Università Cattolica del Sacro Cuore

Fermo restando l’aspetto economico-commerciale, che deve essere presen- te per rimanere competitivi, non esiste il virtuosismo e la competitività nell’aspetto ambientale, ma solo una consapevolezza del riconoscimento dell’importanza del valore delle proprie azioni e delle risorse. Questo comporta che si riparta da zero e si valutino sempre esternalità positive e negative in ogni azione e oggetto che viene

utilizzato. Nel momento in cui si parla di chimica, non è che uno è più virtuoso se non fa il diserbo. Uno è più virtuoso se è in grado di riconoscere il significato del diserbo e riconoscerne le esternalità. Se uso correttamente la chimica in campa- gna ho più biodiversità. Se uso del biologico necessariamente raggiungo lo stesso risultato, perché anche nel biologico c’è chimica. Di conseguenza, il virtuosismo è anche di colui che ha messo il contatore al rubinetto dell’acqua. L’importante non è una classifica di buoni o cattivi, ma ripartire da zero e comunicarlo ai consumatori.

Eugenio Pomarici - Università degli Studi di Napoli Federico II

Grazie mille. Questa discussione conferma la complessità di questo tema che sfugge a ogni semplificazione. Provare a fare una sintesi di un campo così complesso può destare degli equivoci, ma sicuramente abbiamo capito su cosa bisogna lavorare. Ringrazio i partecipanti della tavola rotonda e passo finalmente la parola a Pierfrancesco Lisi di Federbio, il quale avvierà la sessione di interventi programmati.