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La forza-lavoro fra disciplina e biopolitica

4.2 La macchina governamentale

Siamo partiti da un’idea di società civile come luogo della circolazione e della produzione – quindi della costituzione di diverse soggettività all’interno di questi processi – per arrivare ad evidenziare i modi in cui le forze produttive si fanno corpo collettivo. Abbiamo anche messo in evidenza il fatto che per Marx questo processo di soggettivazione è di carattere storico, conflittuale e politico. La produzione sociale di diverse soggettività ha luogo in un campo di forze perimetrato da un altro dei luoghi essenziali della modernità, il politico. Abbiamo visto come per Marx la rivoluzione francese del 1789 incarni quel processo tramite il quale la sfera economica (in un’accezione larga) si separa da quella politica, apparentemente appannaggio dello Stato moderno. Statualità e società civile sembrano dunque due elementi che si costituiscono attraverso una mutua influenza. Quando abbiamo analizzato i metodi di accumulazione originaria è venuto fuori che Marx considera il potere statale una delle condizioni non-economiche della costituzione di un rapporto di produzione di stampo capitalistico. La violenza militare dello Stato e le tecniche governamentali sono considerate essenziali ai processi di spossessamento e alla costrizione alla messa a disposizione della forza-lavoro.

Proviamo a soffermarci ulteriormente sul ruolo che l’istituto statuale ha nei confronti delle forze soggettive che si producono all’interno della società moderna. Che rapporto si instaura tra statualità e forze sociali una volta che si è affermato un modo di produzione capitalistico? In che modo le diverse istanze soggettive trovano espressione politica? Se lo Stato definisce i margini dei soggetti e dello spazio della società civile ed è dunque ciò che ne garantisce lo stare insieme, cosa succede quando quello spazio va in frantumi, quando le forze sociali debordano e ed entrano in contrasto con i rapporti di produzione? Detto altrimenti, quello che proverò a fare in questa parte finale è cercare in Marx dei sentieri aperti rispetto ai movimenti eccentrici fra sociale e politico. Se il soggetto produttivo è definito nello spazio della società civile, cosa succede quando il politico investe il sociale o quando il sociale invade il campo

del politico? Ci muoveremo dunque su quella che ancora Tomasello (2012) chiama la frontiera fra politico e non-politico “che lo Stato moderno deve continuamente riprodurre per funzionare come strumento di comando della classe dominante” al fine di far mostrare sia che in Marx il potere statale si costituisce in quanto forza che mette in forma il sociale, sia come la classe operaia diventi soggetto politico grazie al suo debordare dal sociale, al suo esprimersi al di là dei linguaggi di mediazione giuridicamente codificati, alle sue agitazioni che mettono in questione le frontiere stesse del politico e le relazioni produttive.

Ribadiamolo. Per Marx esiste un parallelismo – un’analogia che non si fa riduzione dell’uno all’altro – tra società civile e politico, produzione e statualità, comando dispotico e sovranità, lavoro salariato e cittadinanza. La distinzione fra sociale e politico operata dalla modernità comporta una successiva divisione delle lavoro e un accentramento di alcune prerogative attorno all’affermazione dell’istituto statuale. Marx traccia uno sviluppo della sovranità che affonda le proprie radici nel medioevo. “Il potere statale centralizzato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito permanente, polizia, burocrazia, clero e magistratura – organi prodotti secondo il piano di divisione del lavoro sistematica e gerarchica – trae la sua origine dai giorni della monarchia assoluta, quando servì alla nascente società borghese come arma potente nella sua lotta contro il feudalesimo. Il suo sviluppo però fu intralciato da ogni sorta di macerie medievali, diritti signorili, privilegi locali, monopoli municipali e corporativi e costituzioni provinciali. La gigantesca scopa della Rivoluzione francese del secolo decimottavo spazzò tutti questi resti dei tempi passati, sbarazzando così in pari tempo il terreno sociale dagli ultimi ostacoli che si frapponevano alla costruzione su di esso dell’edificio dello Stato moderno, elevato sotto il Primo Impero” (GC, p. 68). Lo Stato dunque non è presentato da Marx come un’istituzione localizzata in un punto specifico o dalla forma statica; piuttosto come complesso di dispositivi che ricalcano la divisione del lavoro e che sono tra di loro in rapporto organico e gerarchico. Dispositivi di controllo ma anche di giudizio e produzione morale, di gestione amministrativa. L’origine di questo corpo polimorfo risale alla formazione delle monarchie moderne, quando ci fu un accentramento del potere rispetto alla pluralità di fonti del diritto medievale. Dietro questo processo di centralizzazione c’era la spinta sociale della nascente borghesia contro i privilegi e le corporazioni medievali. Il completamento di questo processo sociale è la rivoluzione francese del 1789, che permise la

costruzione dello Stato moderno come grande apparato amministrativo compiuta per la prima volta da Napoleone Bonaparte ed esportata su tutto il continente125.

Rispetto a questa prima fase – quella di esautorazione della pluralità di fonti di diritto/potere medievali attraverso il loro accentramento e la costituzione di una molteplicità di organi di governo – lo sviluppo delle forze produttive di stampo capitalistico comporta anche una trasformazione delle prerogative della statualità. “Anche il suo carattere politico cambiò di pari passo con le trasformazioni economiche della società. A misura che il progresso dell’industria moderna sviluppava, allargava, accentuava l’antagonismo di classe tra il capitale e il lavoro, il potere dello Stato assumeva sempre più il carattere di potere nazionale del capitale sul lavoro, di forza pubblica organizzata per l’asservimento sociale, di uno strumento di dispotismo di classe” (GC, p. 68). Il complesso dei dispositivi statali ha dunque una temporalità lunga126 che si è evoluta in base ai cambiamenti della società, dal sociale al

politico: con l’intensificazione dell’antagonismo capitale/lavoro, diventa uno spazio di mediazione (e scontro) fra forze produttive e rapporti di produzione. Nello specifico, la violenza/potere dello Stato, dopo essere stata centrale nella produzione di rapporti soggettivi di stampo capitalistico, serve a garantire i diritti di proprietà, la stabilità degli scambi, la gestione della forza-lavoro. La progressiva affermazione politica delle frazioni del capitale industriale equivale, d’altra parte, alla maggior inclusione del proletariato nella lotta per il potere.

125 “Questo potere esecutivo, con la sua enorme organizzazione burocratica e militare, col suo esteso e artificiale meccanismo statale, con un esercito di mezzo milione di impiegati accanto a un altro esercito di mezzo milione di soldati, questo spaventoso corpo parassitario che avvolge come un involucro il corpo della società francese […] sorse al tempo della monarchia assoluta. I privilegi signorili della proprietà fondiaria e della città si trasformarono in altrettanti attributi del potere dello Stato, i dignitari feudali si trasformarono in funzionari stipendiati, e il variopinto campionario dei poteri sovrani medievali in conflitto divenne il piano ben regolato di un potere dello Stato, il cui lavoro è suddiviso e centralizzato come in un’officina. […] La prima Rivoluzione francese, a cui si poneva il compito di spezzare tutti i poteri indipendenti di carattere locale […], dovette necessariamente sviluppare ciò che la monarchia assoluta aveva incominciato: l’accentramento; e nel contempo dovette sviluppare l’ampiezza, gli attributi e gli strumenti del potere governativo” (18B, p. 135).

126 Marx accenna anche a una terza fase, dopo quella dell’accentramento del potere/spoliazione dei privilegi sociali e quella dell’imposizione del capitale sul lavoro, quella della lotta per la supremazia fra capitali nazionali che chiama imperialismo. “L’imperialismo è la più prostituita e insieme l’ultima forma di quel potere statale che la nascente società borghese aveva incominciato ad elaborare come strumento della propria emancipazione dal feudalesimo, e che la società borghese in piena maturità aveva alla fine trasformato in uno strumento per l’asservimento del lavoro al capitale” (GC, p. 70). Questa lotta fra Stati che Marx vede poter sfociare in una guerra europea però riporta in luce le contraddizioni sociali su cui era stata costruita la macchina amministrativa: “la sua decomposizione e la decomposizione della società che esso aveva salvato vennero messe a nudo dalla baionetta prussiana” (GC, p. 70).

L’analisi del ‘48 francese e dei suoi effetti si concentra proprio sulla lotta per il potere politico in Francia condotta dalla rampante borghesia industriale e sull’irruzione problematica sulla scena pubblica del proletariato parigino. La forma politica della repubblica che viene fuori dalle barricate di febbraio, secondo Marx, ha il pregio di chiarire i rapporti sociali in quanto fa sì che le diverse forze soggettive si rappresentino senza intermediari, senza che ci sia un sovrano a intercedere per i loro interessi, diventando direttamente l’oggetto principale del discorso politico. Nella Repubblica si aprono spazi di protagonismo politico anche per i soggetti dominati perché il potere non è costruito più su un fondamento teologico/metafisico (cfr. Kantorowicz 1957). La Repubblica infatti è la forma politica del conflitto, politicizza la società tramite la creazione di una opinione pubblica che deve legittimare le posizioni dei diversi gruppi parlamentari e il governo. Marx lo chiama “regime dell’irrequietezza” (18B, p. 78). Negli scritti sulla Francia Marx analizza questa istituzione politica all’interno di una fase particolare, quella dell’interregno. In questa fase, come abbiamo visto, il potere politico non è più vincolato all’egemonia di una forza sociale ma, allo stesso tempo, non è ancora in grado di trasformare i rapporti di produzione. L’interregno è dunque un tempo sospeso fra la crisi e la rivoluzione. Allo stesso tempo, è un tempo storico accelerato nel quale i processi di soggettivazione attraverso i quali i diversi corpi collettivi elaborano strategie, alleanze, azioni si accelerano vorticosamente. Ed è così che Marx segue tutta l’evoluzione della cosiddetta Seconda Repubblica tramite le categorie interpretative della lotta di classe, dalla sconfitta del proletariato alle lotte fra piccola e grande borghesia, dalla spaccatura fra rappresentanti dei proprietari terrieri e degli industriali al colpo di stato di Luigi Bonaparte.

Nel 18 brumaio Marx si sofferma molti su quello che a suo dire si rivelerà il tallone d’Achille della costituzione repubblicana (18B, p. 42), ovvero il gioco dei poteri costituzionali, la dialettica fra potere esecutivo e potere legislativo. La divisione dei poteri crea un punto di tensione all’interno dell’istituzione, punto su cui è possibile far leva fino a forzare l’assetto istituzionale stesso (come farà Bonaparte). “In un paese come la Francia, in cui il potere esecutivo ha sotto di sé un esercito di mezzo milione di funzionari e dispone quindi continuamente, in modo assoluto, di una massa enorme di interessi e di esigenze; nella Francia, in cui lo Stato disciplina, controlla, regola, vigila e tutela la società dalle più alte manifestazioni ai suoi atti più insignificanti, dalle sue forme di vita più decisamente collettive

fino alla vita privata degli individui; nella Francia, in questo corpo di parassiti, grazie alla straordinaria centralizzazione, acquista una onnipresenza, una onniscienza, un’accelerata capacità di movimento e un’agilità che trova il suo corrispettivo solo nello stato di dipendenza e di impotenza e nell’incoerenza informe del vero corpo sociale – ebbene, si capisce chiaramente che in un paese simile l’Assemblea nazionale [… ] perderebbe ogni influenza reale se […] non avesse fatto in modo che la società civile e l’opinione pubblica si creassero i loro organi, indipendenti dal potere governativo” (18B, p. 74). Potremmo dire che Marx dunque descrive la “grande e ramificata macchina statale” – il termine rimanda immediatamente e significativamente al capitale costante e alla sua capacità di sussunzione del lavoro vivo – come macchina governamentale biopolitica, diffusa e pervasiva a livello microfisico proprio perché centralizzata a livello macrofisico; una macchina che controlla e disciplina la società e che solo in quest’ultima trova un limite, una forza talvolta opposta; e più si espande la società, i suoi rapporti di produzione e le sue forze produttive, più si accrescono i campi di intervento dello Stato (18B, p. 136). L’interesse materiale della macchina statale è dunque quello di creare una manodopera da essa dipendente ed utilizzabile, un esercito di funzionari. L’interesse politico invece è quello di “mutilare e paralizzare preventivamente gli organi autonomi del movimento sociale” (18B, p. 74) perché, come mostrano soprattutto gli scritti sulla Comune, è da quel movimento sociale che può nascere una forza che debordi nel politico e lo trasformi assieme ai rapporti di produzione. La società civile senza i propri organi indipendenti dal potere governativo, senza quelli che Hegel chiamava i corpi intermedi e che per Marx sono le forme della soggettivazione dei corpi collettivi, dipende totalmente dall’apparato burocratico. Il prete e il gendarme sono gli strumenti attraverso i quali passa l’assoggettamento di tutti (18B, p. 76), mezzi di oppressione di due epoche e modi di produzione diversi che si stratificano (18B, p. 76), a cui vanno aggiunti le imposte e la burocrazia (18B, pp. 142-143). L’esecutivo è identificato come il cuore della macchina statale, la sostanza che rimane a prescindere dalla forma politica (monarchia, repubblica). Il suo sviluppo arriva a un punto tale che “sotto il secondo Bonaparte lo Stato sembra essere diventato completamente autonomo” (18B, p. 136).

Fin dalla Questione ebraica, Marx presenta lo Stato come quella istituzione che ricompone la molteplicità della sfera sociale nell’universalità del diritto e nell’unicità del potere sovrano.

Una ricomposizione della totalità prodotta tramite il diritto e la forza. Nel 18 brumaio questa funzione del politico come margine che perimetra il sociale emerge in tutta la sua chiarezza laddove il sociale sembra frantumarsi in una lotta senza sosta fra corpi collettivi e si viene a determinare uno scarto incolmabile fra rappresentanti politici e classe sociale. Il colpo di stato di Bonaparte, dunque, non è semplicemente la trasformazione della forma politica dello Stato francese a favore della supremazia del potere esecutivo; è l’esercizio senza mediazioni della sua funzione principale, quella di perimetrazione della società civile, forza che tiene assieme la totalità delle forze sociali nonostante il carattere antagonistico della loro relazione – che emerge chiaramente con la lotta di classe.

Infatti, l’interregno aperto dai moti rivoluzionari di febbraio aveva portato le fazioni monarchiche127 – espressioni di diverse frazioni di capitale – a compattarsi128, mentre

successivamente “il loro istinto li avvertiva che, se era vero che la repubblica rendeva completo il loro dominio politico, essa minava però intanto la loro base sociale, perché ora erano costretti ad affrontare le classi oppresse e lottare contro di esse senza intermediari” (18B, p. 60). La repubblica rischiava quindi di diventare la forma politica del rovesciamento della società borghese piuttosto che quella della sua conservazione (18B, p. 35); in altre parole, la borghesia francese si rivela ancora impreparata a gestire il potere politico129, lo

sviluppo dei rapporti di produzione e l’esperienza storica di questa classe non sono tali da permetterle di reggere la Repubblica che le si rivolta contro come fattore di instabilità a danno dei propri interessi privati. Pertanto, afferma Marx, la conservazione dei rapporti di produzione richiede (alla borghesia) di tornare alla monarchia, ad una forma forte di

127 La contrapposizione fra orleanisti e legittimisti è presentata da Marx come la contrapposizione fra due forme di proprietà e di rapporti di produzione, la rendita fondiaria e il profitto industriale, campagna e città, vecchi potentati e nuovi borghesi. “se ognuna delle due frazioni voleva conseguire, contro l’altra, la restaurazione della propria casa reale, ciò non significa altro se non che i due grandi interessi che dividono la borghesia – la proprietà fondiaria e il capitale – cercavano, ognuno per conto suo, di restaurare la propria supremazia e la subordinazione dell’interesse opposto” (18B, p. 59).

128 “la repubblica parlamentare era più che il terreno neutrale su cui le due frazioni della borghesia francese, i legittimisti e gli orleanisti, la grande proprietà fondiaria e l’industria, potevano vivere l’una accanto all’altra a parità di diritti; essa era la condizione indispensabile del loro dominio comune, l’unica forma di Stato in cui il loro interesse generale di classe potesse subordinare a sé tanto le pretese delle sue frazioni singole, quanto quelle di tutte le altre classi della società” (18B, p. 109).

129 “Non soltanto il partito parlamentare si era diviso nelle sue due grandi fazioni […] ma il partito dell’ordine nel parlamento era in contrasto con il partito dell’ordine fuori dal parlamento. […] gli ideologi della borghesia e la borghesia stessa, i rappresentanti e i rappresentati erano diventati estranei gli uni agli altri” (18B, p. 116)

accentramento del potere esecutivo. Come scrive Tomba (2011, p. 121), “nella battaglia contro il socialismo e per salvare la società una volta per tutte, senza far ripetutamente ricorso allo stato d’assedio, la società borghese si liberò della preoccupazione di governarsi da sé”. Nel 18 Brumaio questa macchina politica che affonda le sue radici nelle trasformazioni sociali della modernità arriva a diventare talmente pervasiva e strutturata da potersi imporre sulle sue stesse fondamenta. Le frazioni di capitale “furono costrette però, non solo ad attribuire all’esecutivo poteri di repressione sempre più vasti, ma in pari tempo a spogliare la loro stessa fortezza parlamentare […] Il frutto naturale della repubblica del partito dell’ordine fu il Secondo Impero. L’Impero, con un colpo di stato per certificato di nascita, il suffragio universale per sanzione e la spada per scettro […] pretendeva di unire tutte le classi risuscitando per tutte la chimera della gloria nazionale” (GC, p. 69). Come evidenzia Tomba (2011), il suffragio universale della Repubblica introduce una diversa forma di rapporto metafisico tra l’Assemblea nazionale e il popolo-nazione. L’Assemblea infatti è espressione di una volontà popolare fittiziamente indivisa che si presenta solo frammentariamente nel singolo deputato. Il Presidente invece, cui spetta il potere esecutivo, è eletto in maniera diretta e individuale, dunque incarna pienamente quella volontà che è la nuova base su cui si fonda il potere statuale nella modernità. Dunque nella figura individuale e simbolica del Presidente, afferma Tomba (2011, p. 121), il principio di unità “si esprime nella sua massima concentrazione. […] tutto ciò che egli compie è giusto, poiché lo compie nel nome del popolo, del cui spirito è appunto l’incarnazione”. Superata la mediazione parlamentare, la società che rischiava di andare in frantumi viene ricompattata nella sottomissione all’esecutivo, cuore della macchina statale, che è, allo stesso tempo, un prodotto della finzione dell’unità del popolo e produttore di questa unità. Sotto questo dominio che assicura la pace interna e i rapporti produttivi, “la società borghese, libera da preoccupazioni politiche, raggiunse uno sviluppo che essa stessa non aveva mai sperato; la sua industria e il suo commercio assunsero proporzioni colossali; la truffa finanziaria celebrò orge cosmopolite; la miseria delle masse fu messa in rilievo da una ostentazione sfacciata di lusso” (GC, p. 70).

Il bonapartismo130 quindi viene letto da Marx all’interno di un paradigma hobbesiano della

statualità, come imposizione di una macchina amministrativa e di una ricomposizione forzata sulle forze sociali: dalla divisione dei poteri alla reductio ad unum sotto il potere esecutivo, dalla rappresentazione dei diversi corpi collettivi all’interno del Parlamento alla personificazione della sovranità131. Bonaparte è tutti e nessuno132 (significante vuoto),

difensore della borghesia contro il suo conflitto politico e difensore dei contadini contro la borghesia (18B, p. 145), “vorrebbe apparire come il patriarcale benefattore di tutte le classi. Ma non può dare nulla ad una di esse senza prenderlo all’altra” (18B, p. 147). Egli può congelare il conflitto politico perché impone la forza della macchina statale sulle forze produttive e ricompone la società tramite l’accentramento del potere politico nella sua persona come simbolo dell’unità del corpo sociale. Marx dunque mostra come, accanto alle classi e alla lotta di classe, esista una lotta alla lotta di classe: la definizione di uno spazio di

130 Nel 18 brumaio Marx si adopera molto nell’evidenziare la logica dell’evento per ricondurre – come afferma Engles – il “miracolo del 2 dicembre al risultato naturale, necessario di quello sviluppo logico” (18B, p. 23). Engels usa l’espressione logica, non dialettica per indicare il fatto che ci sono delle condizioni di causa ed effetto, delle relazioni consequenziali piuttosto che fatalità ineluttabili all’interno dei processi storici. Anche gli eventi inaspettati non avvengono in un vuoto pneumatico ma trovano le proprie condizioni di possibilità all’interno di una serie di necessità storiche. La storia del colpo di Stato di Luigi Bonaparte non è presentata come cronaca di un atto individuale ma come prodotto di un processo storico che vede al centro la lotta di