narrare = lat. NARRARE contratto dall’antiquato GNARIGARE (come Purgare = lat. purigare), che trova suo fondamento nella sua rad. GNA – conscere, render noto, onde il sscr. gnanam cognizione, caduta la G come nel lat. noscere = gnoscere (v. Conoscere); e IGARE per AGERE fare, che indica azione.
Far conoscere raccontando; Esporre partitamente alcuna cosa, a fine di dar notizia altrui.
In psicologia, sociologia e storiografia il termine narrazione indica come le persone usano un linguaggio parlato o scritto per dare significati vivi al trascorrere degli eventi storici, pratica fortemente identitaria della cultura.
Nell’arte e nell’architettura del paesaggio la narrazione è un mezzo di interpretazione di eventi e circostanze attraverso l’osservazione empirica.
Nel libro ‘Landscape narrative: design practices for telling stories’ Matthew Potteiger e Jamie Purinton (1998) asseriscono che molti progetti tendono ad interpretare la narrazione attraverso lo storytelling, ma, come la narrazione può essere implicita nei materiali, nelle esperienze e nei processi del paesaggio? Quali gradi di controllo ha il progettista nel leggere un paesaggio? Qual è il ruolo del lettore/interprete nel costruire il significato della narrazione?
I due autori arrivano a considerare che gli sviluppi contemporanei nella teoria hanno aperto a nuovi modi di raccontare, leggere e capire il paesaggio. Landscape narratives sono narrazioni che crescono e si sviluppano contestualmente al processo che trasforma quel particolare paesaggio. Narrazione-luoghi-persone sono entità fortemente connesse e implicite nel paesaggio, realtà trascritte da processi naturali e pratiche culturali.
“I paesaggi diventano così luoghi del tempo, territori di addensamento dei diversi racconti che si trovano impressi nel paesaggio, quella che Marcello Venturi Ferriolo definisce la temporalità, l’insieme dei racconti, la narrazione”70.
Dagli anni ’80 la narrazione diventa tema centrale nell’attività di molti paesaggisti.
Narrazione si riferisce sia alle storie che al mezzo utilizzato per raccontarle, contemplando così una stretta unione tra prodotto e processo, forma e formazione, struttura e strutturazione (Poitteiger, Purinton, 1998).
La narrazione è diventata un metodo fondamentale per pensare e conoscere. Molte discipline scientifiche, sociali e artistiche hanno utilizzato questo metodo non solo per raccontare storie, ma soprattutto come mezzo di conoscenza e rappresentazione del mondo.
Le narrazioni sono ovunque nel paesaggio: connettono i siti, si ritrovano nei materiali e nei processi del paesaggio. Ogni narrazione, anche la più astratta e allegorica gioca un ruolo critico nel costruire lo spazio, ed è attraverso la narrazione che interpretiamo i processi e gli eventi che interessano quel luogo.
Esiste una tendenza che vede la narrazione come arte temporale e il paesaggio come qualcosa di spaziale e visivo, sfondo immutato e quindi non narrativo. Tuttavia, attraverso il paesaggio la dimensione temporale della narrazione diventa visibile. Esistono importanti distinzioni tra il leggere le narrazioni del paesaggio e narrare il paesaggio con parole e testi. I paesaggi narrati lasciano libero il lettore di iniziare a leggere da destra o sinistra, moderare la velocità e concedersi le pause necessarie nella lettura. Autore, testo e lettore cambiano così ruolo e rapporti.
70 In ‘Le vie del Paesaggio. Appunti di progetto per i parchi antropici della provincia di Reggio Calabria’ Testo pubblicato in Michelangelo Pugliese, a cura di, Parchi Antropici, pp. 59-63, 2010, Melfi, Libria.
89 I paesaggi narrati sono più di quello che si percepisce ad occhio nudo, sono sintesi di tempo e spazio, esperienza e luogo, finzione e reale, attraversano i confini dell’espressione e della rappresentazione.
Poitteiger e Purinton (1998, p.11) declinano i tipi di narrazione che sono in grado di definire una cornice di approcci progettuali. Il paesaggio narrato può rappresentare l’esperienza di rituali o itinerari legati alla cultura e tradizione della comunità, può lavorare per associazioni e riferimenti con elementi spaziali connessi allegoricamente alla storia, può riguardare la memoria di un luogo più in generale o di un particolare evento, può narrare miti antichi, leggende o i processi naturali che lo hanno in qualche modo segnato, può interpretare quello che accade in un luogo o raccontare il processo progettuale che lo ha modificato, infine il paesaggio narrato può essere il luogo dove viene messa in scena la rappresentazione di una nuova storia attraverso lo storytelling del progetto.
Michael Conan nel saggio Landscape Metaphors and Metamorphosis of Time (2003) si sofferma sull’importanza della memoria in qualsiasi esperienza percettiva verificando come molti elementi strutturali del giardino si sedimentano nella mente del visitatore stabilendo un forte parallelo tra ricordi e specifiche narrazioni nascoste e associate al giardino. Queste figure del paesaggio possono essere interpretate infinite volte a seconda dei differenti contesti culturali che le percepiscono. Conan chiama landscape metaphors queste particolari figure o suggestioni del paesaggio.
Queste metafore invitano i visitatori a indagare i differenti significati del paesaggio e l’esperienza non solo è trasformativa rispetto alla narrazione del paesaggio ma è anche mutazione della visione dello stesso spettatore.
Quindi le landscape metaphors forniscono al progettista potenti strumenti per far familiarizzare i visitatori con la trasformazione ontologica del tempo. L’utilizzo delle landscape metaphors produce di conseguenza metafore temporali nel giardino.
Per Michel Péna rivelare è creare un significato (Révéler/créer du sens) (Péna, 2016, p.285) è raccontare una storia. Il lavoro del paesaggista consiste soprattutto nello svelare il significato, rivelare quello che esiste già e non viene percepito o viene percepito erroneamente. La rivelazione del racconto trasposta sul terreno arricchisce di significato il progetto del paesaggio e assicura coerenza tra forme e idee. Questo atteggiamento permette di controllare costantemente le associazioni tra immagini reali e scene immaginarie. Péna chiama questo fenomeno imagification. Questo processo si concretizza attraverso la tematizzazione, che permette di costruire un complesso filo emozionale, l’uso della toponomastica, che da un lato rivela la storia del luogo e dall’altro nutre il progetto futuro di confermati valori identitari. Creare una linea di continuità rende più facile la lettura e l’attraversamento delle parti eterogenee. Progetti che parlano del paesaggio e fanno parlare il paesaggio, creano contrasti per generare accenti che facilitano l’attenzione su elementi specifici (Péna, 2016).
Bernard Lassus pone una domanda: “What is the time of a garden?”, intendendo per tempo non quello stagionale ma il tempo storico del giardino. Chiamato a realizzare più giardini terrazzati per l’azienda francese COLAS HQ a Parigi, Lassus interviene in una struttura dove non esistono reminiscenze storiche e così narra di forme e usi tradizionali disegnando piante metalliche in un giardino contemporaneo che è il racconto inventato della storia reale dell’arte dei giardini.
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Figura 40 - COLAS HQ, Parigi, B. Lassus
La narrazione del paesaggio come quella di un testo letterario è caratterizzata da figure retoriche come metafore, sineddochi e metonimie (Poitteiger e Purinton, 1998).
Ann Whiston Spirn (1998) trova che non esiste alcuna differenza tra forma, struttura, materia e funzione nel paesaggio e queste categorie equivalgono a parole sconnesse di un racconto finché il paesaggio non conferisce la forma della narrazione.
Progettare il paesaggio diventa così una pratica ipertestuale che vede lettore e testo interagire in modo creativo (Calvino, 2000; Eco, 1979) in una scrittura e lettura che richiede una interpretazione critica della realtà osservata.
Capire e leggere i paesaggi narrati implica così la scoperta di potenzialità nascoste nelle storie narrate, nei luoghi raccontati e nei paesaggi trasformati.
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actions
Figura 41 - Richard Serra. Verb List. 1967–68. Graphite on paper, 2 sheets, each 10 x 8" (25.4 x 20.3 cm). The Museum of Modern Art, New York.
“When I first started, what was very, very important to me was dealing with the nature of process,” he said. “So, what I had done is I’d written a verb list: to roll, to fold, to cut, to dangle, to twist…and I really just worked out pieces in relation to the verb list physically in a space.” A sort of linguistic laying out of possible artistic options, this work on paper functioned for the artist “as a way of applying various activities to unspecified materials.” 71
Richard Serra
A metà degli anni ’60 Richard Serra scrive una lista di verbi che dichiara essere una lista di azioni riferite a sé stesse, al materiale, al luogo e al processo creativo. L’elenco degli 84 verbi scritti a matita su due fogli di carta è ora esposto al MOMA di New York e rappresenta una sorta di manifesto della sua poetica e del suo processo progettuale.
Il capitolo ha lo scopo di mettere in luce la natura del processo nel progetto di paesaggio attraverso l’individuazione di pratiche, o verbi come suggerisce Richard Serra, comuni nell’attività progettuale dell’architetto del paesaggio.
Vengono qui elencate e descritte alcune chiavi di lettura, azioni e pratiche condivise che scandiscono come ricerca e progetto dialogano costruttivamente prima, durante e dopo la progettazione.
Le pratiche che più caratterizzano le fasi comuni del processo progettuale vengono utilizzate come pattern72di riferimento per la narrazione sperimentale della lettura inversa.
71 https://www.moma.org/explore/inside_out/2011/10/20/to-collect/
“Drawing is a verb,” the artist Richard Serra once said. An important new acquisition for MoMA’s Department of Drawings, Serra’s Verb List (1967–68) serves as a kind of manifesto for this pronouncement. In pencil on two sheets of paper, the artist lists the infinitives of 84 verbs—to roll, to crease, to fold, to store, etc.—and 24 possible contexts—of gravity, of entropy, of nature, etc.—in four columns of script. Serra described the list as a series of “actions to relate to oneself, material, place, and process,” and employed it as a kind of guide for his subsequent practice in multiple mediums.
72 Pattern intesi come entità atemporali che entrano in relazione per definire un ‘pattern language ‘ progettuale. Questa idea è stata sviluppata nel saggio di architettura e urbanistica pubblicato nel 1977 da Christopher Alexander: A Pattern Language: Towns, Buildings, Construction. Come loro scrivono a pagina xxxv dell'introduzione: "Tutti i 253 pattern insieme formano un linguaggio". I pattern descrivono un problema e poi offrono una soluzione. In questo modo gli autori intendono dare alle persone comuni, non solo ai professionisti, un modo di lavorare
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La premessa di questa tassonomia di azioni è la natura trasformativa del progetto del paesaggio. Infatti nell’arte dei giardini, il giardino è costruzione, il progetto nel paesaggio è invece uno strumento per innescare e attivare azioni che generano paesaggi.
Il paesaggio, come la città, non può essere né pianificato né progettato, ma ha bisogno che ogni singola trasformazione e ogni pratica venga pensata come un processo bottom-up.
Joao Nunes afferma che progettare le trasformazioni è quello che ci distingue come umani “Landscapes are not just the objects of different kinds of plants but an active object too”. Tilman Latz73 sostiene che lavorare con il processo è piuttosto impegnativo e in generale più
impegnativo rispetto alla classica progettazione. Il compito diventa ancora più gravoso quando la complessità e le dimensioni di un sito diventano più grandi. Pertanto, un processo ben sviluppato è la chiave di successo di un buon progetto. Se si concepisce il processo come un modo per rispondere in modo flessibile ai fenomeni del sito, sviluppare soluzioni in risposta agli utenti attuali e futuri, prevedere cambiamenti nel tempo e funzionalità in evoluzione, rispetto a processi naturali (ovviamente) e sfide riconducibili a desideri pubblici, klisches e pregiudizi, questo implica anche che ci sono progetti che richiedono molta più cura del processo rispetto ad altri.
Nel suo saggio74 Michel Corajoud suggerisce alcune pratiche utili per il mestiere del paesaggista:
1. Mettersi in uno stato di effervescenza 2. Esplorare i limiti, oltrepassarli 3. Viaggiare in tutte le direzioni 4. Lasciare per ritornare
5. Attraversare le scale 6. Anticipare
7. Difendere lo spazio aperto
8. Lasciare aperto il progetto in corso 9. Mantenere il controllo del progetto
Sulla traccia di questi suggerimenti, osservare, immaginare, disegnare, sperimentare, negoziare, coinvolgere, prevedere, programmare e monitorare sono alcune chiavi di lettura, azioni e pratiche individuate dalla ricerca per leggere il processo a partire dall’opera, ovvero il risultato progettuale.
con i loro vicini per migliorare una città o un quartiere, progettare una casa per sé o lavorare con colleghi per progettare un ufficio, un'officina o un edificio pubblico come una scuola.
73 Vedi intervista a Tilman Latz in FIEDNOTES, appendice della ricerca.
74 Michel Corajoud scrive i nove compiti necessari per una propedeutica all’apprendimento del progetto del paesaggio, in Jean-Luc Brisson (a cura di) Le Jardinier, l'Artiste et l'Ingénieur, Parigi 2000
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separate
osservare = lat. OBSERVARE, da OB che ha il senso di avanti, sopra, attorno e SERVARE custodire, salvare, guardare, anche nel senso di tenere gli occhi addosso (v. Servare). Considerare, Guardare diligentemente, tanto con gli occhi fisici, che con quelli della mente; d’onde il senso secondario di Mantenere la promessa, Eseguire, Obbedire, parlandosi di leggi, costituzioni, precetti o simili: Adempiere (un obbligo).
Parlando di ricezione del visivo, John Dixon Hunt afferma che “il pittoresco ha molte risposte da dare più di quanto di solito è lecito aspettarsi” (Morabito, 2012, p. 146).
Una delle conquiste del movimento pittoresco è stata quella di incoraggiare l’autocoscienza del vedere, imparare e capire come guardare e spiegare quello che si vede.
John Ruskin è stato una figura chiave perché sempre impegnato a registrare il paesaggio come esperienza tradotta con il disegno e la parola.
La pratica del pittoresco introduceva una nuova educazione all’osservazione, insegnava la comprensione del mondo visibile come se lo si stesse guardando per la prima volta.
Osservare il paesaggio è una pratica che ha bisogno di un cambiamento del comune punto di vista, è come guardare a testa in giù, “con la testa sotto le gambe”, come scrive Benedetto Croce. Questa visione distorta aiuta ad esplorare strade non comuni e mette il progettista nella condizione di poter affrontare il problema sotto un altro punto di vista.
Francesco Careri suggerisce che “perdersi camminando produce automaticamente un racconto. È il racconto condiviso dei corpi del gruppo che esplorano e percepiscono uno spazio fisico e mentale sconosciuto”75.
Il processo di esplorazione del paesaggio avviene in una sorta di inversione dei paradigmi e codici tipici dell’osservazione.
Inoltre, osservare il paesaggio è anche “osservare i meccanismi naturali”, come sollecita Michel Desvigne76 ricordando l’insegnamento di Michel Corajoud che invitava gli studenti a completare
cronologicamente un quaderno personale con schizzi, immagini e ritagli; una sorta di album- privato delle personali osservazioni.
Il paesaggista contemporaneo è esploratore e non esportatore (M. Desvigne). Secondo la scuola francese il processo di paesaggio è trasformazione, pertanto risulta fondamentale esplorare e osservare per vedere. Esplorare, viaggiare, leggere sono solo alcuni mezzi personali che facilitano l’osservazione.
“Le diagnostic de Paysage a-t-il un sens?”
Michel Péna (2016, p.187) si domanda se la ‘diagnosi’ del paesaggio ha un senso. L’osservazione del paesaggio mira a misurare il divario che esiste tra lo stato presente e quello ideale, a comprendere le ragioni che giustificano tale distacco e di conseguenza sapere verso quale stato dovrebbe tendere. Questa analisi è da un lato quantitativa, dall’altro qualitativa. Il paesaggista viene definito da Péna con il neologismo diagnostiqueur che indica proprio l’attitudine all’osservazione. L’approccio del paesaggista implica dunque una grande interazione tra analisi e creazione al fine di dar vita all’immaginario del «paysage idéal possible» (Péna, 2016, p.187). Péna afferma che nella fase diagnostica si inizia a immaginare, si visualizza una sorta di dimensione onirica del progetto di paesaggio, e questo significa che è il progetto a precedere
75 Francesco Careri in un’intervista su: < http://articiviche.blogspot.it/2011/03/lezione-intoduttiva-arte-civica-2010.html>
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l’analisi e non il contrario. Ma presto specifica come questa visione è la forza che ci permette di agire, di prendere le misure per costruire un'analisi e un programma finalizzati alla formulazione di proposte concrete d’ intervento.
“Le travail du paysagiste part toujours d’un existant complexe, qu’il s’agisse de l’infléchir afin de le faire correspondre à des exigences et des usages nouveaux ou de changer des éléments et/ou des relations. On parle ainsi de «creation impure» car elle ne provient pas de l’unique terreau intérieur du créateur, mais se compose à partir d’un milieu extérieur auquel s’ajoutent des éléments hétérogènes et parfois fortuits.” “C’est devant l’espace assaini que peut alors se formuler une réponse synthétique, encore légère, génétrale, généreuse: la vision” (M. Péna, 2016, p.187). Questa nozione della visione è difficile da apprendere poiché ha in sé implicazioni tecniche e sensibilità creative strettamente legate all’esperienza e alla pratica individuale. Il lavoro del paesaggista è diagnosticare, creare e immaginare programmi di trasformazione. Pertanto l’osservazione si basa su un apprendimento, un sentimento, una proposizione ancora embrionale ma globale. (Péna, 2016)
mix
immaginare = lat. IMAGINARI da IMAGO – acc. IMAGINEM – immagine. Configurare immagini nella propria mente; Ideare, Fingere, Supporre.
Tutto è condizionato dalla nostra immaginazione e conoscenza. Proiettiamo visioni immaginarie di avvenimenti accaduti in passato grazie alla capacità di immaginare e connettere nella mente figure e trame registrate nel nostro hard disk di conoscenza e saperi (Fabiani Giannetto, 2009).
Conoscenza e immaginazione sono due componenti essenziali della progettazione.
Per Gianfranco Caniggia “progettare vuol dire ‘ideare e studiare in rapporto alle possibilità e ai modi di attuazione e di esecuzione’ il prefisso pro implica il significato di ‘anteriorità’. Progettare vuol dire dunque intendere un operare, sviluppando una previsione di un futuro probabile, al fine di approntare un insieme di strumenti correlati che servono a prefigurare un ‘fare’ successivo e consequenziale”.
Questa capacità di previsione è fortemente condizionata dalla capacità di immaginare, di spingersi oltre l’orizzonte del visibile per capire cosa si nasconde dietro.
“I think that there must be something beyond the horizon, beyond what we actually see” Paolo Burgi (Fabiani Giannetto, 2009, p.35).
Il potere dell’immaginazione è legato al concetto di creatività. Spingendosi oltre il limite della conoscenza, utilizzando tutti i sensi e i mezzi a disposizione, si ha accesso alla sfera dell’immaginazione. L’artista e funambulo francese Philippe Petit afferma:
"Non possiamo vivere con le spalle curve e gli occhi bassi, rassegnandoci a una vita monotona. Abbiamo bisogno di guardare il cielo e le stelle, di sognare, inventare, improvvisare. La creatività quindi ci è necessaria come l'aria. E per essere creativi occorre innanzitutto sfruttare a fondo i propri sensi, evitando che si atrofizzino in questa nostra vita quotidiana dominata dalla ripetizione e dalle tecnologie".
95 Ma a differenza dell’artista, l’architetto del paesaggio non inizia a creare da un foglio bianco, infatti:
“The place to be designed already exists as a complex of exquisitely interrelated physical, biological, and chemical processes. Just as biophysical processes interact to shape the natural environment, they also affect the built landscape. […] When design ideas focus solely on the creation of objects, systems will be affected but not necessarily as intended. When ideas are expanded to integrate the consideration of environmental and social contexts, they can shape landscapes as whole systems in ways that are useful and sustainable for all system levels and components” (Murphy, 2005).
Per Bernard Lassus l’analisi inventiva è essa stessa una prima forma progettuale:
“L’analisi inventiva rivela l’esistente ed è l’abbozzo del progetto, il punto di partenza della demarche. Presuppone un paesaggista ben informato […] La raccolta d’informazioni manifesta così l’esistente in vista di nuovi apporti, conservando la potenzialità dei singoli luoghi” (Venturi Ferriolo M., 2006, p. 21).
drizzle
disegnare = lat. DESIGNARE, prop. notare con segni, composto della particella DE di e SIGNUM segno, immagine, effigie (v. Segno). – Ritrarre per via di segni con matita, penna o altro simile istrumento, la forma di un oggetto: fig. Descrivere con parole, e nel metafisico Tracciare nella mente le linee principali di un lavoro; Ideare; ed anche Prefiggersi col pensiero, Determinare.
Quale significato ricopre l’azione del disegnare all’interno del processo creativo? Quali innovazioni e tradizioni si nascondono dietro una delle primordiali azioni utilizzate dall’uomo per comunicare?
Diana Balmori, in Drawing and Reinventing Landscape (2014) ci invita ad entrare in una delle dimensioni creative del processo progettuale: l’arte del disegnare.
L’architettura del paesaggio è attualmente impegnata a sensibilizzare il pubblico alla non fissità dei processi naturali e la rappresentazione è uno degli strumenti di comunicazione dal linguaggio più universale. Come Diana Balmori sottolinea nelle conclusioni del suo libro (2014, p.187), oggi abbiamo bisogno di immagini poetiche che possano catturare i cambiamenti naturali e non rappresentazioni statiche di paradisi impossibili. Anche per questo motivo l’architettura del paesaggio sembra essere tra le discipline più all’avanguardia nel descrivere e raccontare il nostro