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Il Manifesto della razza

3 La vicenda del Manifesto e il dopoguerra di Pende

3.1 Il Manifesto della razza

C’è un argomento che ricorre in tutta la letteratura su Pende, un controverso episodio cui viene attribuita un’ importanza particolare, la pubblicazione cioè del Manifesto degli scienziati razzisti, dove egli appare tra i firmatari. La comparsa del Manifesto, uscito il 14 luglio 1938 in prima battuta anonimo sul “Giornale d’Italia”, con il titolo Il

fascismo e i problemi della razza, e poi su tutti gli altri giornali italiani

con il titolo Il manifesto degli scienziati razzisti, facendo seguito alle leggi del 1937 sulle relazioni fra italiani e sudditi coloniali, sanciva di fatto l’inizio ufficiale di una politica razziale fascista. I tempi erano cambiati da quando l’immagine della “faccetta nera, bella abissina”, quasi un’icona della conquista, era servita ad allettare i giovani legionari. Come riferisce Maiocchi, “nell’ordinamento organico per l’Eritrea e la Somalia, legge 6 luglio 1933 n.999, era consentito ai mulatti figli di genitori ignoti di ottenere la cittadinanza italiana”, ma questa possibilità non compare più nel r.d.l. 1 giugno 1936 n.1019 “Ordinamento e amministrazione dell’Africa Orientale Italiana”. Nel gennaio del 1937 era stata presentata al Consiglio dei ministri dal capo del dicastero coloniale, Alessandro Lessona, la “legge sul madamato” che puniva con la prigione da uno a cinque anni il cittadino italiano che avesse intrattenuto un rapporto coniugale con un suddito delle colonie. Il 19 aprile del 1937 venne emanato un

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decreto che proibiva le relazioni coniugali dei cittadini italiani con sudditi coloniali o con uno “straniero appartenente ad un popolo con tradizioni, costumi e norme giuridiche analoghe a quelle dei sudditi dell’Africa Orientale Italiana”131

. Il 12 giugno dello stesso anno un proclama del governatore dell’Eritrea istituiva la segregazione razziale per “ragioni di ordine pubblico e igiene, e per evitare ogni promiscuità fra italiani e indigeni”132

. Un successivo decreto del 30 dicembre estendeva il divieto di relazioni coniugali tra italiani e indigeni comprendendovi anche le persone ad essi “assimilate”. Una raffica di provvedimenti, accompagnati da un grande numero di articoli sui giornali che ne sottolineavano i meriti e l’opportunità, quando il razzismo nei confronti dei neri non aveva alcun bisogno di essere sostenuto.

La segregazione razziale era uno stato di fatto vigente da tempo e non si avvertiva una particolare necessità di regolamentare la situazione; quanto alle relazioni tra i soldati italiani e le donne di colore, i casi di matrimonio erano davvero rari. In questo senso tutto il dispiegamento di proclami e decreti, nonché il risalto con cui veniva ripetutamente proclamata la necessità di salvaguardare la razza bianca tenendola separata dalla razza nera, avevano probabilmente lo scopo di introdurre il discorso del razzismo in funzione anti-ebraica. Elaborato da un giovane antropologo, Guido Landra, su indicazione

131 Bollettino ufficiale del governo dell’Eritrea, XLVI, 1937, p. 743. 132

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di Mussolini, il Manifesto aveva un’impostazione razzista di stampo germanico, basata su concetti, come il razzismo biologico e la superiorità della razza ariana, che molti razzisti italiani non condividevano affatto. Suddiviso in dieci punti, il Manifesto affermava innanzitutto che “le razze umane esistono”, che si tratta non di un concetto ma di una realtà concreta, materiale. Il secondo punto, - “esistono grandi razze e piccole razze” - non è particolarmente importante, il terzo - “il concetto di razza è concetto puramente biologico” - contiene tutta l’impostazione germanica come anche il successivo - “La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana”. Il punto cinque - “E’ una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici” - appare come un tentativo poco convincente di contrastare le più ovvie obiezioni al punto

quattro, come anche il successivo punto sei - “Esiste ormai una pura

razza italiana” - dove non si capisce il senso di quell’ “ormai” mentre si afferma che esiste da millenni. Il punto sette - “E’ tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti” - è notevole per il testo esplicativo che lo accompagna, dove si legge: “La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano nordico. Questo non vuol dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che Italiani e Scandinavi sono la stessa cosa”. Argomentazioni incerte che, mostrano come Landra non fosse riuscito a produrre qualcosa di coerente nell’elaborazione del suo pasticciato decalogo. I punti otto,

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nove e dieci sono quelli in cui si riassume la sostanza del documento: “8. E’ necessario fare una netta distinzione fra i mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall’altra. 9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana.

10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo”.

La necessità di ribadire, nel punto 8, la distinzione della razza italica da quella africana non è, per l’antropologo Landra, cosa di poco

conto. Già Lombroso, nel suo L’uomo bianco e l’uomo di colore aveva

espresso la convinzione che:

Al Negro dovea somigliarsi dunque l’uomo primitivo, e se è vero che le specie zoologiche superiori si formano dal perfezionamento delle inferiori, dal Negro dovettero derivare il Giallo e il Bianco.133

Con l’imbarazzante conseguenza che gli ariani derivavano dagli africani. Anche i grandi paleoantropologi del primo Novecento, Giuseppe Sergi e Luigi Pigorini, avevano ipotizzato, sia pur con dinamiche diverse, un’origine africana delle genti italiche. Per Sergi si trattava di una razza originatasi in Abissinia e diffusasi fino alla Scandinavia, che aveva dovuto contrastare più volte gli arii, selvaggi provenienti dall’Asia. Per Pigorini una popolazione genericamente giunta dall’Africa aveva invece avuto fin dal Neolitico l’apporto determinante di popolazioni del nord Europa, cui si erano poi aggiunti

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sia gli Arii sia popolazioni provenienti dalla Svizzera. Due teorie entrambe inaccettabili per il regime, l’una per l’origine decisamente africana, l’altra per l’antica soggezione alle genti del nord. Le ricerche paleontologiche di Ugo Rellini, scopritore dell’“uomo della Maiella”, e di Sergio Sergi, figlio di Giuseppe Sergi, autore di ritrovamenti di resti neandertaliani a Saccopastore e a Monte Circeo, avevano permesso di affermare un’origine autoctona della stirpe italica. Ovvio che Landra ci tenesse a sottolinearlo.

A commento del punto dieci si afferma che “l’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze Europee, nel qual caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo”, come sarebbe con “l’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani”. In buona sostanza ciò a cui mirava il Manifesto era soprattutto il contenuto dell’articolo nove, preludendo alle disposizioni di legge che presto colpiranno i cittadini italiani di origine israelitica.

Secondo la ricostruzione storiografica di De Felice134, a partire da questo momento si assiste ad una svolta della politica fascista a proposito della razza. Se fino a questo momento il razzismo fascista era stato legato a teorie spiritualiste e nazionaliste autoctone, diveniva adesso un’appendice di quello biologista tedesco. In tale prospettiva, razzismo e antisemitismo sarebbero qualcosa di estraneo alla cultura italiana e l’adesione da parte di Mussolini al

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razzismo di stampo germanico andrebbe considerata come una scelta dettata da necessità politiche e da opportunismo, vissuta cercando di temperarne le aberrazioni. In ogni caso, secondo De Felice, il razzismo mussoliniano non può essere paragonato al vero razzismo biologico nazista. In seguito, soprattutto dopo il 1994, anno della mostra La menzogna della razza e di un saggio di Mauro Raspanti sui Razzismi del Fascismo, e successivamente con la pubblicazione di altri importanti contributi (di Giorgio Israel e Pietro Nastasi, Roberto Maiocchi, Francesco Cassata, Claudia Mantovani), il ruolo e l’importanza di scienziati ed intellettuali nell’elaborazione di un peculiare razzismo italiano sono divenuti finalmente oggetto di studio. La teoria della “svolta” formulata da De Felice è andata quindi incontro a confutazioni o correzioni, e gli autori citati hanno concorso a delineare un’immagine decisamente più complessa e articolata.

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3.2 Il razzismo germanico e il razzismo romano-italico

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