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Parte II: Casi di studio – divinità assire e babilonesi nei corpora aramaici

4. La Triade di Hatra alla luce dei culti mesopotamici

4.1. Maren/ Šamš

4.1.2. Maren-Nešrā e ʿqbʾ, l’Aquila

Maren è ben noto a Hatra anche quale nšrʾ “Aquila”, suo animale sacro nonché manifestazione317. L’analisi più completa delle attestazioni di questo teonimo è anche in questo caso quella di Tubach (1986, 266-270), cui si rinvia per approfondimenti sulle singole iscrizioni. Come osserva Tubach (1986, 267), quasi tutte le attestazioni presentano il dio isolatamente e non offrono particolari elementi per un suo accostamento al capo del pantheon cittadino. Un’eccezione è rappresentata da H 232e, grazie alla quale si ha la menzione dell’Aquila nel cuore del santuario di Šamš nel

315 Per la caratterizzazione poli-interpretabile di Gad, a seconda che il dio rivesta un ruolo civico o sia più legato ai gruppi tribali, si veda Kaizer (1998, 58-62).

316 Si veda infra (4.1.2.). Considerando il carattere non ufficiale ma piuttosto estemporaneo dell’iscrizione, le modalità della sua esecuzione (probabilmente fu graffita da un fedele al momento dell’accesso al santuario), la presenza del diminutivo per Marten e la designazione di Barmaren quale “suo Figlio”, si potrebbe altresì ipotizzare che si tratti di un’espressione della devozione personale. Potrebbe trattarsi di riflessi della teologia hatrena sinora non testimoniati da iscrizioni di natura più ufficiale o meglio contestualizzabili.

317 Maren-Nešrā è attestato in: H 79:9, base di statua del re Sanaṭrūk, Tempio XI; H 88:2, iwan a sud dell’Iwan sud, Temenos; H 155:2, graffito nel tempio di Maren, Temenos; H 232e:1, stele nella cella quadrata del tempio di Šamš, Temenos; H 1021a:[3], attestazione ricostruita, su base di statua di Barmaren, Edificio A; H 1026:1, corte principale della porta urbica est. Nešrā-Maren è attestato in H 341:2, iscrizione di fondazione su un architrave nella porta urbica nord.

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Temenos, cui si accompagnano anche alcune raffigurazioni del rapace nel recinto sacro318. L’aquila è anche molto attestata nelle effigi reali quale diadema (ad es. Safar-Mustafa 1974 Figg. 6 e 12), sulla sommità degli stendardi cultuali, oltre che come elemento decorativo della veste che indossa il dio solare nel celebre rilievo dal Temenos che lo ritrae (Safar-Mustafa 1974 Fig. 88). La presenza di aquile in relazione a contesti funerari, inoltre, è stata sottolineata da Dirven (2005a, 74-75), che riprende lo studio classico sull’argomento (Cumont 1917). Cumont interpreta le numerose occorrenze di aquile in contesto funerario nella Siria romana come rappresentazioni delle anime dei defunti; concetti già radicati nel sostrato culturale vicino-orientale, quale il legame tra l’aquila e Šamaš esplicitato nel mito di Etana, sarebbero stati recepiti e rielaborati definendo l’aquila come animale psicopompo. Dirven interpreta anche le numerose attestazioni di aquile su tessere palmirene come un’influenza dettata dalla popolarità di cui godeva questa iconografia in ambito funerario. Inoltre, dalla teologia mesopotamica più antica è noto il legame tra Šamaš e l’oltretomba. Alcune tradizioni tramandano l’esistenza di un passaggio per l’oltretomba che sarebbe stato fruito dai defunti così come dal Sole per accedere alla sua dimora notturna al termine del suo viaggio giornaliero319. È possibile che tale connotazione funeraria fosse rimasta parte integrante della caratterizzazione del dio solare e che la presenza di queste aquile testimoni una rielaborazione anche di questo aspetto, per quanto le iscrizioni non forniscano informazioni in questo senso.

Tubach considera Šamš, Maren e Maren-Nešrā la stessa divinità, soprattutto sulla base dei rinvenimenti effettuati nel tempio di Šamš stesso. La sua ricostruzione si contrappone a quella di Drijvers (1977, 831; 1978, 163-165), che invece propone che i tre teonimi identifichino divinità distinte: Šamš sarebbe il dio solare in quanto tale; Maren si riferirebbe al dio in quanto membro della Triade; per Maren-Nešrā, invece, Drijvers non concorda con l’identificazione dell’aquila come animale sacro al dio solare ma, analogamente a quanto si sarebbe verificato a Palmira con l’associazione dell’aquila a Bēl e Baʿalšamīn, propone che sia Maren nel suo aspetto di dio celeste. Maren, in questa ricostruzione, sarebbe pertanto un’epiclesi riferita a due divinità distinte, Šamš e Nešrā. Sulla base di quanto presentato nel cap. 2.1.1.5., il fenomeno si riconduce al modello di “first name” e “second name” introdotto da Allen (2015): Maren e Maren-Nešrā sono quindi fortemente associati ma non perfettamente sovrapponibili, in quanto i diversi teonimi indicano una differente concezione tra i due, che dipende certamente da differenti ambiti d’azione. Il teonimo Maren-Nešrā potrebbe effettivamente implicare prerogative celesti o legate ai fenomeni atmosferici (Drijvers

318 Ad esempio, su un concio dalla porta nord del muro ovest del Temenos (Safar-Mustafa 1974 Fig. 128); aquile ad altorilievo all’esterno dell’Iwan sud (Safar-Mustafa 1974 Figg. 133 e 134), oggi almeno in parte distrutte; aquila a tutto tondo riccamente ingioiellata dal corridoio ovest del tempio di Šamš (Safar-Mustafa 1974 Fig. 135); altra aquila ingioiellata a tutto tondo, iwan 9, Temenos (Safar-Mustafa 1974 Fig. 136); aquile ingioiellate e complete, dalla zona retrostante il tempio di Šamš (Safar-Mustafa 1974 Figg. 137 e 138).

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1978, 164), anche se da Hatra non provengono testimonianze epigrafiche in tal senso. Tubach (1986, 268) sottolinea a buon diritto la difficoltà di istituire un paragone tra Hatra e Palmira, centri che danno prova di appartenere solo in parte a una stessa orbita culturale e i cui pantheon presentano diverse modalità di elaborazione. Pur dovendo tenere presente la necessità di considerare le specificità culturali locali, e non potendo determinare quanto nettamente fosse percepita la distinzione fra queste divinità, è chiaro che il vertice del pantheon hatreno testimonia il fenomeno dello ‘splintered divine’ nella definizione di Allen (2015) ed è improntato alla molteplicità. Il caso di Šamš, Maren e Maren-Nešrā fa constatare come il culto ufficiale, praticato nel Temenos, prevedesse la presenza di diverse divinità, ciascuna delle quali aveva le proprie prerogative ed era identificata dal relativo teonimo, ma anche come queste fossero in ultima analisi membri di una visione unitaria e non contraddittoria del pantheon.

Il dio Aquila è menzionato per la prima volta in iscrizioni sabee del VII sec. a.C. (Becking 1999). Le attestazioni di Nešrā a Hatra, però, sono state adeguatamente riconosciute e contestualizzate principalmente grazie al confronto con le numerose menzioni che di questo culto si ritrovano in fonti anche di molto successive al fiorire della città. Tra le più importanti si conta il passo della Doctrina Addai (Desreumaux 1993 §50) in cui l’apostolo si scaglia contro i culti pagani praticati a Edessa, tra cui “l’Aquila (nešrā) come gli Arabi” (Drijvers 1980, 41-42). Una peculiare esegesi dell’origine di questo culto si trova alla fine del V Memrā del Libro degli scoli di Teodoro Bar Kōnī (fine VIII sec.; Scher 1910, 370.1-12320; Hespel-Draguet 1981, 304 §27). Qui si dà una

versione “storico-critica”, per usare la definizione di Tubach, anziché evemeristica, dell’origine del culto di Nešrā a Kaškar321, la città della Mesopotamia centrale di cui Teodoro era originario (Furlani

1931; Tubach 1986, 231-232; Vattioni 1994, 29). Il culto avrebbe avuto la sua sede principale a Qinnešrīn (“nido delle aquile”), in Siria settentrionale, ma con la conquista della città da parte di Ḥaṭrū, re di Hatra, la grande effige del dio Aquila sarebbe stata trasferita322 a Kaškar, città di nuova

fondazione. Teodoro intende innanzitutto spiegare l’origine del culto dell’aquila nella sua città: Furlani (1931, 23) ipotizza che l’autore avesse effettivamente visto delle raffigurazioni di aquile risalenti anche a svariati secoli prima, ma in realtà potrebbe aver fatto confluire in questo paragrafo informazioni attinte da fonti differenti. Un chiaro parallelo si riscontra negli Atti di Mār Mārī, che riportano l’esistenza proprio a Kaškar del culto di un demone dalle fattezze di un’aquila e di un idolo di nome Nešrā (Harrak 2005, 69). Anche fonti non cristiane testimoniano l’esistenza di un

320 I riferimenti all’editio princeps del testo siriaco di Scher (1912) sono dati con numero di pagina e di riga.

321 Si veda anche il cap. 3.3. per l’importanza delle attestazioni di “Nešrā di Kaškar” nei testi magici mandaici e l’assenza, invece, di “Nešrā di Hatra”.

322 Il verbo usato, ʾḥth, letteralmente significa “la fece scendere”. Tubach (1986, 231) traduce “führte … weg”; Hespel- Draguet (1981, 304) “il abattit”.

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legame particolare tra Nešrā e Kaškar. Tra i demoni attestati negli incantesimi in mandaico, infatti, si ritrova nyšrʾ myn kʾškʾr, inizialmente interpretata come una grafia corrotta (Drower 1943, 168) ma poi riconosciuta come un riferimento al culto dell’Aquila proprio grazie alla sua descrizione da parte di Teodoro (Greenfield 1984, 81-82)323. È possibile che Teodoro si sia rapportato con entrambi

questi corpora al momento della stesura della sua versione dell’origine di questo culto: da una parte egli doveva conoscere approfonditamente la letteratura cristiana in siriaco, ma allo stesso tempo non si può escludere il contributo dato dalla conoscenza – presumibilmente diretta – della presenza di questo demone nel panorama magico della Mesopotamia centro-meridionale. Come già visto, anche il Talmud babilonese (Avodah Zarah 11b) indica il culto di Nešrā come particolarmente fiorente tra gli Arabi (Dalley 1995, 143)324. Non è nota la presenza di un santuario a Kaškar dedicato all’Aquila, ma non si può escludere che all’epoca di Teodoro (VIII-IX sec.) il culto potesse essere ancora praticato in zone rurali che resistevano alla cristianizzazione e alla recente islamizzazione (Hämeen- Anttila 2006, 51).

Pennacchietti (2007) si è concentrato sull’utilizzo della radice ʿQB, solitamente “proteggere”, nel lessico e nell’onomastica di Hatra, individuando in ʿqbʾ, o ʿqw/ybʾ in scriptio plena, un altro teonimo “Aquila”. Si pone pertanto il problema della compresenza, nell’orizzonte religioso di Hatra, di due designazioni per indicare quello che sembra lo stesso dio. Dal punto di vista linguistico, si osserva che il significato “aquila” per il termine ʿuqāb è attestato in arabo, dove si riscontra anche il diminutivo ʿuqqayb “albanella; falco di palude” (Pennacchietti 2007, 396). Anche i contesti delle attestazioni al di fuori dell’onomastica325 sembrano puntare a un milieu arabo: H 3,

discussa ampiamente da Pennacchietti (2007, 393-395), funge da didascalia a un rilievo rinvenuto nel Tempio I che raffigura un’aquila, che indossa una collana, e uno stendardo con effigie del dio solare (Safar-Mustafa 1974 Fig. 171); H 1015 invece è un graffito dal Tempio III, dedicato a Baʿalšamīn (Pennacchietti 2007, 395-396), di lettura molto difficile ma in cui vi potrebbero essere attestati tre epiteti di ʿqbʾ326.

È noto che nei Templi minori la presenza culturale araba è particolarmente forte, anche se non è possibile interpretare questi santuari come luoghi di culto fruiti esclusivamente da questa parte della popolazione. Il Tempio I, ad esempio, ha restituito un ricchissimo assemblaggio di effigi

323 Nell’omelia La caduta degli idoli di Giacomo di Sarūg, Nešrā è invece associato alla Persia (Martin 1875, righe 76- 77).

324 Si veda il cap. 3.2.1.

325 Il teonimo è nella forma ʿqbw: brʿqbw “Figlio dell’Aquila”; ʿqbw “Aquila” (Marcato 2018, 164).

326 Le varie soluzioni sono riassunte da Pennacchietti (2007, 395). Prendendo come riferimento la lettura di Vattioni (1994, 90), Pennacchietti propone per il primo epiteto mršmn “Signore dei cieli” e per il terzo dšḥʾ “guardiano”, epiteto comunemente attestato per Nergol (si veda il cap. 6.2.1.), qui con metatesi di <ḥ> e <š>. Il secondo epiteto è di lettura molto incerta.

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divine e di adoranti che non è possibile classificare come esclusivamente arabo (Safar-Mustafa 1974 Figg. 171-190). Tuttavia, la presenza di un rilievo così importante come quello di ʿqbʾ e il fatto che H 3, sul rilievo stesso, menzioni il “tempio di ʿqbʾ” possono provare che qui dovesse essere praticato anche il culto di questa manifestazione di Maren. Due rinvenimenti nel medesimo tempio possono supportare questa ipotesi. Il primo è un rilievo che era affisso alla parete in prossimità del rilievo di ʿqbʾ e raffigura il busto di Šamš o Maren quale giovane dio imberbe, cornuto327, con corona di raggi solari, ingioiellato e che emerge da una rappresentazione stilizzata di nuvole o montagne (Safar-Mustafa 1974 Fig. 172). Sulla veste del dio, in corrispondenza delle spalle, sono applicate due fibbie con aquile ad ali spiegate. L’altro è il celebre rilievo di Nergol con tre cani al guinzaglio328, dove il dio dell’oltretomba è accompagnato dalla dea Allāt in trono, affiancata da due leoni e col capo sormontato da un’aquila (Fig. 10; Safar-Mustafa 1974 Fig. 183). Dal medesimo tempio proviene un busto frammentario della stessa dea, Atargatis secondo Safar- Mustafa, alla cui sinistra è posata un’aquila ora acefala (Safar-Mustafa 1974 Fig. 175). La presenza dell’aquila in queste raffigurazioni non è un elemento di per sé inedito, poiché istituisce un legame col vertice del pantheon e con la componente più ufficiale del culto. Alla luce dell’attestazione del “tempio di ʿqbʾ” in H 3, si può avanzare l’ipotesi che nel Tempio I le aquile attestate non fossero intese come Nešrā quanto piuttosto come ʿqbʾ. Il legame dell’aquila ʿqbʾ con la dea Allāt, attestato due volte in questo santuario, potrebbe altresì segnalare il radicamento di questa divinità presso la componente araba della società hatrena, se non la sua stessa origine. Benché non sia possibile determinare se il Tempio I fosse effettivamente deputato in primo luogo al culto di ʿqbʾ, come ipotizza cautamente Pennacchietti (2007, 398), vi si può tuttavia riscontrare la presenza di una forte componente culturale di matrice araba, rappresentata da ʿqbʾ e Allāt, che dialogava agevolmente con tratti religiosi di origine mesopotamica e iranica.

L’importanza delle attestazioni di ʿqbʾ nei Templi minori può altresì suggerire che il culto del dio Aquila fosse connotato in almeno due maniere diverse, a seconda del gruppo sociale che vi partecipava. Quasi tutte le attestazioni di Nešrā provengono dal Temenos; anche quelle al suo esterno, ossia H 79:9, su base di statua del re Sanaṭrūk (Tempio XI) e H 341:2, su un architrave nella porta urbica nord, testimoniano il legame del culto con la casa reale e, di conseguenza, con l’aspetto più ufficiale della pratica cultuale. Le attestazioni di ʿqbʾ invece testimoniano di una particolare relazione coi culti praticati nei Templi minori, ma non vi si limitano: H 1007 e 1008, incise su campanelle in rame rinvenute nel Temenos, di fronte al tempio di Samya, recano smyʾ dy ʿqw/ybʾ “Stendardo di ʿqw/ybʾ”, e proprio uno stendardo cultuale è rappresentato sul rilievo del

327 Per le divinità cornute a Hatra si veda Dirven (2015). 328 Se ne veda l’analisi nel cap. 6.2.2.

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Tempio I con l’aquila e H 3. Il dio ʿqbʾ pertanto si sarebbe potuto configurare come un dio Aquila venerato in una forma meno legata alla religiosità ufficiale e alla casa reale: esso sarebbe stato accolto nel Temenos senza però che vi fosse dedicato un apposito santuario, e allo stesso tempo sarebbe stato dedicatario di un culto specialmente nel Tempio I.

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