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Parte II: Casi di studio – divinità assire e babilonesi nei corpora aramaici

4. La Triade di Hatra alla luce dei culti mesopotamici

4.2. Barmaren, Zaqīqu e Zaqīqā

4.2.3. Il sogno nelle iscrizioni hatrene

Il termine “sogno”, ḥlmʾ (DNWSI, 375), ha due attestazioni a Hatra (H 106b, 281) e una terza nell’iscrizione di Saʿdīya. Le edizioni sono generalmente concordi sulla traduzione; si veda la discussione di H 281 per la lettura ḥallāmā “interprete dei sogni” proposta in alcuni studi. Inoltre, data l’impossibilità di distinguere tra i suffissi dello stato det. m.s. e pl., l’espressione bḥlmʾ può essere tradotta “in sogno” o “in (più) sogni”. In questa sede si adotta convenzionalmente la traduzione al singolare. H 106b 1. [z]bydw wyhbšy 2. [bnʾ] brnny ʾrdklʾ 3. br yḥbšy ʾrdklʾ 4. dy ʾlhʾ bḥlmʾ 5. ʾlp hnw

“[Zu]baydu e Yhab-Šay, [figli] dell’architetto Bar-Nanaya, figlio dell’architetto Yhab-Šay, che il dio in sogno ha istruito.”

L’iscrizione si trova al di sotto di un rilievo, distrutto nel marzo 2015, unanimemente ritenuto una raffigurazione della Gorgone, in prossimità dell’ingresso dell’iwan 4 nel Temenos (Fig. 14). Essendo situato vicino all’accesso di un luogo sacro, è probabile che avesse funzione apotropaica. I dettagli iconografici sono stati oggetto di un’ampia discussione, per la quale si rimanda alla recente sintesi di Dijkstra (2013). Gli elementi che permettevano di riconoscere la Gorgone erano il serpente che si protendeva dal lato sinistro della chioma verso l’esterno, cui probabilmente corrispondeva un altro serpente sul lato destro, e la trascrizione aramaica del teonimo greco grgn in H 106a, incisa in alto a sinistra rispetto alla scultura. D’altro canto, però, la barba di foglie d’acanto era un particolare assai più problematico, che identificava piuttosto una figura maschile e quindi una raffigurazione abbastanza atipica della Gorgone. È stato proposto di recente che si trattasse di una reinterpretazione locale originale della testa di Medusa (Dirven 2013a, 18), che avrebbe potuto rifarsi alla concezione di una creatura androgina: nella maggioranza delle sue attestazioni, come nel

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celebre mito di Perseo, Medusa è chiaramente femminile, ma l’arte romana di età imperiale ne conosceva anche delle rappresentazioni in forma maschile (Dijkstra 2013, 178). Resterebbe in ogni caso ancora da chiarire il percorso compiuto dalla figura della Gorgone, o Medusa, fino a giungere alla sua assimilazione nell’arte e nella religione di Hatra368.

Il testo afferma che gli scultori o architetti citati ricevettero delle istruzioni in sogno da parte di un dio. Non si esplicita se queste indicazioni riguardassero la realizzazione del rilievo oppure la costruzione dell’intero iwan, ma considerando la posizione e il contenuto dell’iscrizione piuttosto inusuali per un’iscrizione di fondazione, in quanto il testo non si trova in un punto più prestigioso dell’edificio quale un architrave (H 214) o la soglia d’ingresso (H 463 e 464), né si menzionano con maggiore precisione le strutture edificate, è più probabile che il testo si riferisca alla realizzazione del rilievo stesso (Dijkstra 2013, 172-173). Il fatto che il dio che istruisce Zubaydu e Yhab-Šay non vi sia nominato esplicitamente fa supporre a Milik (1972, 394) che questi dovesse necessariamente essere Šamš, il cui ruolo di capo del pantheon avrebbe reso superflua l’aggiunta del nome; Tubach (1986, 272-276) invece sostiene che non possa trattarsi che di Barmaren, la cui peculiare connessione con l’attività edilizia e l’architettura emergerebbe da altre iscrizioni369.

H 281 1. bgn mrn wmrtn 2. wbrmryn ʿl mn dy 3. lnsb mšknʾ ʾw 4. ḥṭmʾ ʾw mrʾ 5. wnrgʾ wksyd/rʾ 6. wgblytʾ wmklʾ 7. wḥṣnʾ mn ʿbdʾ 8. dy brmryn wmn dy 9. lnsb ḥd mn dy grbʾ 10. hlyn370 mn dy brmryn 11. ḥwy ḥlmʾ dy 12. ʾrgmyt mrgym

“Invocazione di Maren, Marten e Barmaren contro chiunque rimuova tende o mazze o scalpelli, (e) asce, picconi, bacinelle, sbarre e asce piccole dal cantiere di Barmaren, e (contro) chi rimuova una di queste giare dalla proprietà di Barmaren. Ha mostrato il sogno/l’interprete dei sogni: Ho ordinato la pena capitale per lapidazione!371”

Al testo è stata dedicata un’accurata disamina da Kaizer (2006, 141-142), cui si rimanda per la

368 Si veda anche un rilievo con testa di Medusa tra due serpenti e tralci di vite, rinvenuto nel corridoio sud del cortile del Temenos (Safar-Mustafa 1974 Fig. 95).

369 H 107 e 281. 370 Kaizer (2006): hlwn.

371 L’interpretazione di Pennacchietti (1988a, 58-59) è “di certo tu sarai lapidato!”, per via dell’assenza di attestazioni del tema C del verbo rgm “lapidare” e della possibile identità dei suffissi di 1 e 2 m.s. del perfetto, che sarebbero stati distinti solo sulla base della pronuncia.

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discussione dei singoli lemmi. L’iscrizione, monumentale, è incisa su una stele calcarea posta all’ingresso degli Iwan gemelli, nel Temenos, e contiene disposizioni legali contro chi commetta un furto nel cantiere del tempio, decretando la pena capitale per lapidazione. Il contesto è quello di un grande cantiere edilizio nell’area sacra (Pennacchietti 1987-1988, 118-119; 1988a, 55-56), forse il tempio di Barmaren stesso, e la pena è stabilita dal dio mediante un’apparizione in sogno. Il termine ḥlmʾ in quest’iscrizione è generalmente tradotto “sogno”, possibilmente con l’elisione della preposizione strumentale b- “in”; alcuni lo ritengono invece il nome di professione ḥallāmā, interprete dei sogni che possibilmente faceva parte del personale templare (Pennacchietti 1988a, 59; Beyer 1998, 81; 176 “Traumdeuter (des Tempels?)”; Kaizer 2006, 146). Indipendentemente dalla traduzione scelta, è il sogno il medium che permette la manifestazione del dio, che reca un messaggio relativo alla sacralità del luogo ma allo stesso tempo detta anche una norma valida per tutta la comunità urbana.

Contrariamente a H 106b, in questa iscrizione è esplicitato il nome del dio che appare in sogno: Barmaren. Non vi sono elementi utili a capire se il messaggio provenisse direttamente da Barmaren o se questi non fungesse piuttosto da messaggero per conto di suo padre Šamš, come avveniva per lo Zaqīqu mesopotamico. Barmaren godeva certamente di un rango sufficientemente elevato da attribuirgli la facoltà di inviare dei messaggi autonomamente; allo stesso tempo, però, la collocazione del testo nel Temenos e il fatto che Hatra fosse sacra a Maren/Šamš può far altresì presumere che il decreto fosse stato originariamente emesso da Šamš e comunicato tramite il suo emissario Barmaren. Iscrizione di Saʿdīya 1. bnysn 4.100+ 2. 20+10+5+1 ʿrnʾ 3. wprkʾ dmrlhʾ 4. dqdqbš dšrʾ bḥṭṭ 5. dʿ˹b˺d znʾ br rḥny 5a. tryʾ 6. dḥzyh bḥlmh wʿbd 7. twb ʿrnʾ dnrgwl 8. dḥšp[ṭ]ʾ dšrʾ 9. bmlḥʾ ʿl ḥyʾ ʾbh

10. wʾḥyh wbnyhy wmn dr[ḥym lh] 11. dkyr lṭb hw ˹znʾ˺

“Nel Nisan 436, il piedistallo e l’altare di Māralāhē di Qarqabiš (?), che dimora a ḤṬṬ / nella terra fertile, che ha fatto Zēnā figlio di Rūḥ-Nay poiché l’ha visto in sogno due volte; e ha fatto anche il piedistallo di Nergol capo delle guardie, che dimora nella salina; per la vita di suo padre e dei suoi fratelli e dei suoi figli e chiunque [lo ama] sia ricordato in bene lui, Zēnā.”

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L’iscrizione in grafia hatrena proveniente da Saʿdīya, a circa 25 chilometri a est di Hatra, pone questioni linguistiche e di interpretazione storico-religiosa particolarmente stimolanti. La lettura e la traduzione seguono in massima parte quelle di Dijkstra (1995, 239-240), più recentemente riprese da Dirven (2009, 58-59). Il testo si può strutturare in tre sezioni, che nella traduzione sono separate dai punti e virgola.

La prima parte è relativa alla realizzazione delle installazioni cultuali per Māralāhē, il “Signore degli dei”, accompagnato da due epiteti. La traduzione del primo è particolarmente problematica e si rimanda all’Appendice (12.1.1.2.) per la sua discussione; il secondo, “che dimora a ḤṬṬ / nella terra fertile”, connota il dio in maniera positiva. La seconda parte del testo riguarda la costruzione di un altro luogo di culto per Nergol, la cui caratterizzazione è parallela a quella di Māralāhē: anche in questo caso il teonimo è seguito da due epiteti, “capo delle guardie372, che dimora nella salina”, il secondo dei quali ha una connotazione geografica. Dirven (2009, 59) suggerisce che l’associazione del dio con il terreno non fertile, unitamente al suo ruolo nell’amministrazione della giustizia e in particolare nella punizione di gravi crimini, come si desume da iscrizioni rinvenute nelle porte urbiche di Hatra, consenta di considerare Nergol un dio che operava ai limiti estremi della civiltà373. La sezione conclusiva riporta la dedica secondo la consueta formula “per la vita di …” (Dijkstra 1995) e commemora ulteriormente il promotore Zēnā. L’iscrizione attesta un duplice sogno in cui Māralāhē si manifesta a Zēnā. Anche in questo caso non vi sono dettagli precisi: è più probabile che il testo implichi che il dio apparve due volte, oppure che in ciascun sogno a Zēnā venga mostrato un oggetto cultuale diverso. Non sembra esserci una diretta associazione tra il sogno e il dio Nergol, attestato immediatamente dopo; il fatto che Zēnā però realizzi nella stessa occasione anche un piedistallo cultuale per questo dio fa supporre una correlazione.

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