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Parte II: Casi di studio – divinità assire e babilonesi nei corpora aramaici

4. La Triade di Hatra alla luce dei culti mesopotamici

4.2. Barmaren, Zaqīqu e Zaqīqā

4.2.2. Zaqīqu e Zaqīqā

4.2.2.2. Zaqīqā a Hatra: attestazioni del teonimo

H 13

1. […] lʾ […]

2. dkyr gdyhb br nšry br ʿgʾ wʿbsʾ br ʿbdnrgwl 3. kṣrʾ rḥmh lṭb qdm zqyqʾ wkwl dldk[r] 4. hnw dkyr lṭb

“[…] Sia ricordato Gad-yhab figlio di Nešray figlio di ʿOga e ʿAbsā figlio di ʿAbed-Nergol il follatore suo amico, in bene, dinanzi a Zaqīqā; e chiunque li ricorderà sia ricordato in bene.”

La dedica è incisa su una faccia laterale di un altare marmoreo, rinvenuto nel Tempio II, sulla cui faccia frontale è raffigurato un dio barbuto, dai capelli arruffati, abbigliato alla partica con tunica al ginocchio e calzoni, e che impugna un’ascia nella mano destra e due serpenti nella sinistra (Fig. 11; Safar-Mustafa 1974 Fig. 191; Dirven 2015, 245 nota 17-§20)344. L’iconografia è quella del Nergol

“mesopotamico”345 e conferma la vicinanza tra queste due divinità ctonie. Questa è l’unica

attestazione epigrafica di un teonimo proveniente da questo santuario346. Ciò non è sufficiente per

sostenere che il santuario fosse dedicato al culto di Zaqīqā; come già sottolineato da Milik (1967, 299), però, che Zaqīqā sia il dedicatario di un’iscrizione è certamente coerente con la celebrazione in questi ambienti di pasti rituali commemorativi (Dirven 2005a; 2014, 221). Gli individui ricordati nel testo sono probabilmente antenati.

344 Forse l’altare si trovava nella sala larga del santuario (Bertolino 1995, 50 e Tav. X). 345 Si veda il cap. 6.2.2.

346 Cf. invece Jakubiak (2013, 93): “No divine names are mentioned in the two texts from Temple II”. In un contributo successivo (Jakubiak 2016, 269), l’autore sostiene che Zaqīqā sarebbe attestato solo nel Tempio XIII.

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H 410

1. hdyrt gnytʾ ʾprṭn zqyqʾ

2. ʿdry zqyqʾ ʾkyn rḥmny br slwk347

“Hdīrat il genio (f.); Afrūṭīn-Zaqīqā; ʿEdrī-Zaqīqā; ha eretto Rḥam-Nay figlio di Seleuk.”

L’iscrizione si trova al di sotto di un rilievo (Fig. 12) che raffigura tre personaggi (al-Salihi 1985- 1986, 103): una figura femminile identificata come hdyrt gnytʾ e due personaggi maschili, ʾprṭn zqyqʾ e ʿdry zqyqʾ. Il rilievo proviene dalla sala larga del Tempio XIII, fatto edificare dai Bani Dimgu348 e dedicato al loro Gad, “Fortuna” o nume tutelare (Kaizer 2000, 244; Jakubiak 2013, 102- 103; 2016, 269).

La figura femminile è stata interpretata come Tyche (Aggoula 1990a, 413). Se Gad è solitamente attestato quale nume tutelare di un singolo individuo o di un gruppo familiare, Tyche assolve le stesse funzioni per un’intera comunità cittadina. A favore dell’identificazione con Tyche gioca certamente il fatto che sia stato rinvenuto in un Tempio minore dedicato al Gad di un gruppo tribale che doveva occupare una posizione di primo piano nel panorama sociale di Hatra e che inoltre doveva avere contatti con Palmira o la Palmirena, dato il rinvenimento nel medesimo santuario di una stele proveniente da quest’area (al-Salihi 1987, 55-58). Il Tempio XIII doveva essere frequentato regolarmente e ha restituito cinque attestazioni epigrafiche del “(grande) Gad di Dimgu” (Kaizer 2000, 244). In questo contesto, in cui la devozione religiosa si intreccia al ruolo rivestito dai dedicanti nella sfera civica, l’attestazione di gnytʾ, femminile di gny “genio” (DNWSI, 229-230), potrebbe avvalorare ulteriormente questa conclusione. Oltre a ciò, il nome Hdīrat potrebbe in realtà essere un epiteto di gnytʾ per via del suo significato “la splendente” (Aggoula 1990a, 412). Tuttavia, come si evince dagli studi di T. Kaizer (1997; 1998), questa associazione è giustificata solo nel caso in cui si disponga di sicure corrispondenze fra teonimi349 o dettagli

iconografici ricorrenti350. Il rilievo hatreno in questione, invece, non fornisce nessun elemento di

questo genere. Innanzitutto, non vi sono dettagli iconografici che permettano di identificare Hdīrat e Tyche: Hdīrat non sembra presentare particolari tratti distintivi nella veste, nell’acconciatura o negli accessori (ad esempio gioielli) che permettano di distinguerla da altre raffigurazioni hatrene di personaggi femminili. Inoltre, non vi sono paralleli che giustifichino una lettura di gnytʾ come resa aramaica del teonimo Tyche: l’altra attestazione del termine, gnytʾ dšmš in H 479:1-2, potrebbe fornire una prova della presenza di Tyche per via del suo legame col massimo dio cittadino

347 Letto slwq da Aggoula (1990a, 412) e Vattioni (1994, 85).

348 Il nome è letto Ramgu in quasi tutte le pubblicazioni, eccetto Beyer (1998 e 2013). Per Dimgu, si veda l’arabo dimğ “compagno” (Marcato 2018, 50-51).

349 Si veda Kaizer (1998, 47) per l’equivalenza fra l’aramaico Gad e la greca Tyche nella bilingue palmirena PAT 0273. 350 Si veda Kaizer (1998, 48-50) per l’analisi della corona muralis indossata da Tyche.

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(Lipiński 2016, 241), ma poiché la statua femminile sulla cui parte retrostante è inciso il testo è acefala, non si possono avanzare considerazioni in merito.

Il rilievo raffigura anche due personaggi maschili, Afrūṭīn-Zaqīqā e ʿEdrī-Zaqīqā. Non vi sono dettagli iconografici che permettano di distinguerli l’uno dall’altro: entrambi indossano il tradizionale abito partico composto di una tunica al ginocchio e calzoni; hanno la tipica capigliatura partica riccia e voluminosa, e portano barba e baffi; nella mano sinistra impugnano una spada, nella destra un’asta che poggia a terra e raggiunge l’altezza degli occhi, mentre tra il fianco e la spalla sinistri spunta un elemento circolare che può essere identificato con uno scudo351. Apparentemente simili ad altre figure maschili a tutto tondo o a rilievo rinvenute nel sito, Afrūṭīn- e ʿEdrī-Zaqīqā hanno invece attributi iconografici divini: principalmente l’asta e, in misura minore, la spada. L’asta ricorre in numerose raffigurazioni di divinità; la spada, pur caratterizzando le effigi di sovrani e principi, è anche tipicamente associata a divinità ctonie come Nergol. L’iconografia ha anche molti tratti in comune con lo Zaqīqā raffigurato sull’altare del Tempio II con H 13: anche se il carattere di quest’ultimo è ben più aggressivo di quelli di H 410, si tratta del medesimo modello.

Il dato iconografico consente pertanto di identificare le due figure maschili come divinità, il che conferma le informazioni date dall’iscrizione sottostante. Si tratta infatti di due diversi Zaqīqā, accomunati dal teonimo e dai tratti iconografici, ma anche distinti in virtù dei loro nomi. Questi, Afrūṭīn e ʿEdrī, sono nomi di persona a tutti gli effetti. Il primo è probabilmente l’iranico Afrūdhīn (Justi 1895, 6; Marcato 2018, 31-32), mentre il secondo è un ipocoristico aramaico “(DN è) il mio aiuto” attestato anche in H 132, 279a e 1020a (Marcato 2018, 102). Trattandosi di comuni antroponimi, ne consegue che ai personaggi maschili raffigurati su questo rilievo furono attribuiti caratteri divini per mezzo dell’epiteto Zaqīqā e degli elementi iconografici discussi in precedenza. Detto altrimenti, si tratta con grande probabilità di antenati defunti e venerati come spiriti (Dirven 2013c, 53), forse membri del medesimo gruppo dei Bani Dimgu. Allo stesso modo, per Hdīrat si potrebbe supporre che, coerentemente con Afrūṭīn e ʿEdrī, anch’essa fosse un’antenata defunta e onorata nella medesima occasione; è altresì possibile che in questo caso con gnytʾ si indicasse il corrispettivo femminile di Zaqīqā, non essendo attestata una forma femminile *zqyqtʾ.

Un altro elemento interessante è la connessione con Gad352. I due Zaqīqā mostrano elementi iconografici condivisi con la raffigurazione di Eracle/Gad353, sempre vestito anziché nudo come l’Eracle classico; sono accompagnati da una gnytʾ, la quale, pur non potendo essere identificata con sicurezza con Tyche, è probabilmente associata a Gad; inoltre, il rilievo proviene da un santuario

351 Identificazione suggerita da L. Dirven (comunicazione personale, 20-06-2018). Si veda anche il giovane imberbe del rilievo da Istanbul (Dirven 2013b Fig. 5) per lo stesso elemento iconografico; si veda il cap. 6.2.2.

352 Come suggerito da L. Dirven (comunicazione personale, 20-06-2018). 353 Si veda il cap. 6.2.2.

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dedicato proprio al Gad di un gruppo tribale. È quindi plausibile che i tre fossero onorati non solo in qualità di antenati divinizzati, ma anche perché rivestivano in una certa misura il ruolo di protettori dei Bani Dimgu.

H 1044a

1. šmʿny zqyqʾ

“Ascoltami, o Zaqīqā! / Zaqīqā mi ha ascoltato.”

H 1044a è incisa sulla base di una statua a tutto tondo raffigurante Zaqīqā, rinvenuta nella cella del Tempio XIII (Fig. 13). Altre due iscrizioni sono incise sulle altre facce della base354; la statua fu rinvenuta assieme a un’altra, raffigurante Eracle in abito partico, su un podio cui si accede grazie a due gradini ricavati da un ulteriore podio sottostante (al-Salihi 1996, 105). Il testo può essere interpretato in due modi. La forma šmʿny, infatti, può essere sia un imperativo m.s. G con suffisso pronominale di 1 persona s., sia una 3 persona m.s. del perfetto G con suffisso pronominale355; l’iscrizione quindi può essere intesa rispettivamente come un’invocazione oppure come un ex-voto di ringraziamento in seguito all’ascolto della preghiera da parte del dio.

Il posizionamento della statua nella cella del santuario indica il particolare valore della dedica. Non si conosce il nome dell’offerente, non esplicitato nelle altre iscrizioni, H 1044b e 1044c; è tuttavia plausibile che il suo nome fosse fra questi e che tutti fossero membri di quei Bani Dimgu che fondarono il santuario. Il posizionamento nella cella può essere interpretato sia come un’offerta fatta per invocare il dio, coerentemente con la prima interpretazione dell’iscrizione, sia con la possibilità di un ex voto di ringraziamento. In particolare, un forte elemento a sostegno della possibilità che si tratti di un’invocazione è la natura di messaggero del mesopotamico Zaqīqu. Questo ruolo di messaggero potrebbe essere stato percepito in senso bidirezionale, per cui anche i fedeli avrebbero potuto affidare messaggi, preghiere o richieste allo spirito dei sogni per farli successivamente recapitare alle divinità. Come nel caso di H 410 e del relativo rilievo, inoltre, la connessione tra Zaqīqā e l’oltretomba risalta particolarmente. Oltre alla statua in questione, nella cella del Tempio XIII fu rinvenuta un’altra statua a tutto tondo di dimensioni contenute, che, pur essendo acefala e parzialmente danneggiata, rappresenta certamente Nergol/Eracle abbigliato alla partica e ornato di vistosi gioielli (al-Salihi 1996, 105-106). Riguardo alla scultura, si è discusso

354 H 1044b: [dkyr] nbwb[nʾ br] ʿwydšr dkyr ʿbsʾ dkyr nšryhb br ʿbdlhʾ “[Sia ricordato] Nabū-b[nā figlio di] ʿAwīd- Iššar; sia ricordato ʿAbsa; sia ricordato Nešrā-yhab figlio di ʿAbed-alāha”; H 1044c: dkrnyn ṭbyn lšlmʾ “Buoni memoriali per Šalmā”. Si segue la lettura di Beyer (2013, 40).

355 L’ordine VOS è attestato anche in altre iscrizioni hatrene, come H 4:1-3 glp nny gdyh[b] “Gad-yhab ha scolpito Nanaya”, e l’iscrizione recentemente edita da Shaked (2016), per la quale si rinvia alla discussione infra.

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soprattutto se si tratti della raffigurazione del Gad dei Bani Dimgu (al-Salihi 1996, 106)356, ma è altresì interessante ricordare la valenza ctonia di questo dio: è assai significativo che nel luogo più sacro del santuario siano state rinvenute le statue di due divinità ctonie, di cui una era di gran lunga la più importante – Nergol/Eracle – mentre l’altra era una divinità di rango inferiore che fungeva da messaggero e consentiva un contatto tra la sfera dei viventi e quella dei defunti. In riferimento alla celebrazione del ricordo degli antenati, si potrebbe anche ipotizzare che Zaqīqā avesse la facoltà di mettere in contatto gli uomini, oltre che con Šamš, anche con Nergol.

Importanti elementi che si discostano dalla caratterizzazione di Zaqīqā vista finora, invece, si desumono dai dati iconografici. Molti caratteri rendono questa statua simile allo Zaqīqā dell’altare di H 13 e ai due del rilievo con H 410: la capigliatura riccia, l’abbigliamento con tunica e calzoni, la spada brandita nella mano sinistra e l’asta tenuta nella mano destra, la cui altezza raggiunge gli occhi; non da ultimo, il serpente che sporge al di sopra della spalla destra. Tuttavia, come osservato da al-Salihi (1996, 108), alcuni particolari della statua che reca H 1044a avvicinano di molto questa raffigurazione a quelle di Barmaren. Lo Zaqīqā di H 1044a, infatti, non è barbuto ma imberbe; dalla sua testa, corredata da due piccole corna, si diparte una corona di raggi solari; la forma arcuata assunta dal serpente ricorda il crescente lunare tipico di Barmaren; inoltre, l’abito che indossa è simile a quello solitamente portato da Barmaren357. Si riscontra quindi in questa raffigurazione la tipica iconografia di Barmaren: un giovane dio con corna, corona di raggi e crescente lunare. L’assimilazione tra Barmaren e Zaqīqā operata a livello iconografico ha corrispondenze anche in ambito epigrafico, specialmente per quanto riguarda le attestazioni del termine ḥlmʾ “sogno”. Infatti, nonostante il corpus di Hatra non fornisca prove che identifichino direttamente Zaqīqā come dio del sogno, è invece attestato un legame di Barmaren con l’attività onirica358.

T 5 (Shaked 2016)

1. byrḥ ʾlwl šnt 5.100+5+1 ʿbd wbnʾ mṭlʿtʾ nqdrʾ br ʿbsmyʾ šlyṭʾ hdyn ʿbdʾ lzqyqʾ rbʾ ʿl ḥyyhy 2. wʿl ḥyʾ dy ʾnšyhy wʿl ḥyʾ dy rḥmyhy ṭbʾ klhwn dkrnyn ṭbyn lmṭlʿtʾn qrdʾ br ʿbsmyʾ šlyṭʾ

3. ʾw/yd/rzky kmr˹ʾ˺? d/rw/yšw/y ʿbnʾ (caratteri molto più piccoli e illeggibili dalla fotografia; seguono

altri segni parzialmente rotti, ductus coerente con il resto dell’iscrizione) 4. (caratteri piccoli e non ben leggibili)

356 Si veda anche il cap. 6.2.2.

357 Si vedano la sintesi di Tubach (1986, 300-319); la stele pubblicata in al-Salihi (1989); l’altorilievo in Venco Ricciardi (1988, 41) e Pennacchietti (1988a, 43) per la relativa iscrizione. Raffigurazioni analoghe si riscontrano dietro al cortile del tempio di Šamš, Temenos (Safar-Mustafa 1974 Fig. 75); nell’accesso sud del muro sud-ovest, Temenos (Safar-Mustafa 1974 Fig. 81); nel Tempio V (Safar-Mustafa 1974 Fig. 233); nel Tempio VIII (Safar- Mustafa 1974 Fig. 288).

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“Nel mese di Elul dell’anno 506 (195 d.C.), ha fatto e costruito il portico Nēqūdrā figlio di ʿAb-Samya il governatore. Quest’opera (è) per il grande Zaqīqā. Per la sua vita, per la vita dei suoi uomini, per la vita di tutti coloro che amano il bene. Buoni memoriali per il portico; Nēqūdrā figlio di ʿAb-Samya il governatore. … il sacerdote … ʿAbnā (?) …”

L’iscrizione, monumentale e in grafia nord-mesopotamica, proviene dal mercato antiquario e non si possiede alcun dato relativo al suo contesto di rinvenimento. Il testo è inciso su otto lastre alte in media 86,5 cm e di larghezza variabile tra i 36 e i 72 cm, per una lunghezza totale di 394 cm. Due fori quadrangolari nella parte inferiore dimostrano che l’iscrizione doveva essere affissa al portico di cui commemora la costruzione, o in ogni caso all’edificio religioso di cui questo faceva parte.

Il formulario usato, l’onomastica e i relativi dati culturali, oltre alla grafia utilizzata, indicano che il testo fu prodotto da una comunità che gravitava attorno a Hatra e ne dipendeva per modelli culturali, pur mantenendo alcune specificità ortografiche e paleografiche. Poiché la traduzione e l’interpretazione del testo presentate in questa sede si discostano da quelle dell’editio princeps, si riportano la traduzione, a sua volta tradotta dall’ebraico, e l’interpretazione di Shaked (2016, 192):

“(1) Nel mese di Elul, anno 5x100+6, ha fatto e costruito il nostro riparo (sukkah) a Qarda Bar-ʿAb-Samya il governatore. Ha fatto questa costruzione per il grande Zaqīqā, per la sua vita,

(2) per la vita dei suoi uomini, per la vita di (coloro) che lo amano (in) bene, tutti. Buone memorie del nostro

riparo (sukkah) a Qarda Bar-ʿAb-Samya il governatore.

(3) ʾyd-zky il sacerdote, Rišia (?) il costruttore. [A distanza considerevole:] Costruttori (?)

(4) [a distanza considerevole, in caratteri più piccoli] Šila Bar Šalman [a distanza considerevole: segni di

significato incerto]”

L’iscrizione è datata al mese di Elul del 506, ossia il 195 d.C. L’anno si situa nel periodo di regno del re ʿAb(ed)-Samya (circa 180-199 d.C.), figlio di Sanaṭrūk I (circa 140-177 d.C.) e padre di Sanaṭrūk II, ultimo sovrano di Hatra (circa 200-240 d.C.; Sommer 2003, 390). Shaked (2016, 191- 192) ritiene che l’edificio religioso sia stato costruito da un certo Bar-ʿAb-Samya, il cui nome “figlio di ʿAb-Samya” indicherebbe immediatamente che questi sarebbe stato figlio del re ʿAb- Samya. Bar-ʿAb-Samya avrebbe rivestito la carica di governatore, šlyṭʾ, sinora non attestata in aramaico hatreno359. Il termine che precede il nome del governatore, qrdʾ, invece, sarebbe il toponimo Qarda, ossia Gordiene, ben attestato in fonti ellenistiche360 e corrispondente all’odierno Kurdistan. Shaked (2016, 194) riporta anche un passo del geografo arabo Yāqūt (IV, 56; XIII sec.) che nomina qrdʾ e bʾzbdʾ: Bāqardā e Bāzabdā sono i nomi di due distretti adiacenti, rispettivamente a est e a ovest del Tigri, a nord di Mosul (Oppenheimer 1983, 375 e nota 14 per altre notizie di geografi arabi). Shaked corrobora l’identificazione dell’area citando anche il villaggio tuttora

359 Cf. invece šlyṭʾ dʿrb nelle iscrizioni antico-siriache di Sumatar Harabesi (OSI, 37).

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esistente di Bī-Zabdi nel Ṭūr ʿAbdīn, area che del resto fa parte della Gordiene (Shaked 2016, 194). L’intreccio di questi dati topografici punta pertanto alla regione nord-mesopotamica lungo il corso dell’alto Tigri. Facendo ricorso anche ad altre fonti ebraiche e arabe, Shaked identifica qrdʾ come un toponimo dell’area di Ṭūr ʿAbdīn, che nella sua ricostruzione sarebbe stata assoggettata a Hatra e retta da un governatore figlio del sovrano. Occorre però sottolineare anche come Shaked (194 nota 16) interpreti erroneamente la menzione di Fīrūz-Sābūr nel passo di Yāqūt come la stessa Fīrūz- Sābūr nota col nome arabo di al-Anbār e identificata da molti con Pumbedita, sede di una prestigiosa accademia talmudica in età sasanide (Oppenheimer 1983, 351-368). Questa Fīrūz-Sābūr è situata lungo l’Eufrate, in Babilonia, mentre Yāqūt descrive l’area dell’alto Tigri, per cui deve trattarsi necessariamente di un caso di omonimia361.

Per determinare almeno approssimativamente l’area di provenienza dell’iscrizione, Shaked (2016, 195) utilizza anche i dati paleografici. L’autore segnala che <h>, <z>, <k> e <š> presentano forme che si discostano da quelle usualmente attestate a Hatra; inoltre <w> e <y> non sono mai distinguibili, mentre a Hatra talvolta sono differenziate. La tavola a p. 193 mette a confronto alcuni grafemi del testo in esame con altri di iscrizioni nord-mesopotamiche coeve, dimostrando che quella che ne condivide il maggior numero di caratteristiche paleografiche è l’iscrizione di Sari (Beyer 1998 T 1). La forma di <ṭ> invece è peculiare, in quanto presenta un occhiello molto pronunciato, e può essere confrontata con le forme che lo stesso grafema assume in H 82 e nell’iscrizione di Hassankef (Bertolino 1995, 28, Beyer 1998 T 2)362. Anche i dati paleografici, quindi, indicano una provenienza dell’iscrizione dall’area del Ṭūr ʿAbdīn: un’area in cui si utilizzava una grafia nord- mesopotamica molto simile a quelle di Hatra e Assur, ma contraddistinta da tratti locali.

Nonostante l’identificazione dell’area di provenienza dell’iscrizione localizzata da Shaked sia condivisibile, non lo è altrettanto il procedimento adottato dallo studioso. Alla lettura ʿbd wbnʾ mṭlʿtʾn qrdʾ brʿbsmyʾ (“ha fatto e costruito il nostro riparo (sukkah) a Qarda Bar-ʿAb-Samya”; riga 1 e 2) è infatti preferibile ʿbd wbnʾ mṭlʿtʾ nqdrʾ br ʿbsmyʾ “ha fatto e costruito il portico Nēqūdrā figlio di ʿAb-Samya”. Nella rilettura si elimina il presunto suffisso pronominale di 1 persona pl. e si considera nqdrʾ la forma aramaica di un nome iranico del tipo Nēkūdar. Sulla base del tradizionale formulario delle iscrizioni hatrene, al nome del fondatore Nēqūdrā segue l’espressione del patronimico, “figlio di ʿAb-Samya”. Più incerta è l’attribuzione del titolo di šlyṭʾ “governatore”, che nel testo segue ʿAb-Samya ma che si potrebbe riferire anche a Nēqūdrā. Due sembrano gli scenari possibili: se il governatore coincidesse con ʿAb-Samya, re di Hatra, ciò potrebbe significare che il

361 Le implicazioni della presenza di questo toponimo nel passo di Yāqūt verranno discusse infra.

362 Non sembra invece pertinente il confronto con la bilingue greco-aramaica di Armazi, operato sempre per <ṭ>, nonostante questa dati probabilmente alla metà del II sec. d.C. (Metzger 1956, 25) e quindi preceda al massimo di un cinquantennio l’iscrizione in oggetto.

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sovrano avrebbe potuto presentarsi come una figura dall’autorità meno nettamente pronunciata; altrimenti, se il titolo si riferisse a Nēqūdrā, potrebbe implicare che il principe fosse effettivamente governatore dell’area e che rispondesse al padre che regnava a Hatra. Il fatto che šlyṭʾ sia un hapax in hatreno non consente di avanzare ulteriori considerazioni, ma è chiaro che il testo dà conto di un’influenza hatrena nel Ṭūr ʿAbdīn a livello non solo culturale ma anche politico.

La dipendenza del testo da modelli ben noti a Hatra si evince anche dal formulario usato. All’indicazione della data seguono il corpo principale dell’iscrizione, che consiste nell’enunciazione della costruzione del portico e del nome del fondatore363, seguiti dalla dedica al

“grande Zaqīqā”; a questa sezione seguono tre dediche “per la vita di …” (Dijkstra 1995) e una sorta di riepilogo che ribadisce il valore commemorativo dell’iscrizione e ripete nome, patronimico e carica del fondatore. La riga 3 forse include due nomi di persona con le relative cariche; vi sono inoltre, tra le righe 3 e 4, altri segni di dimensioni molto più ridotte e certamente incisi in un secondo momento, non leggibili dalla fotografia pubblicata da Shaked.

La menzione del “grande Zaqīqā” in questa iscrizione monumentale è di grande rilievo. Pur non possedendo dati relativi al contesto archeologico e sul genere di edificio che fu dedicato al dio, se non che doveva prevedere un portico, è certo che si trattasse di una costruzione di notevole importanza. Il patrocinio dato dalla famiglia reale all’edificazione, assieme all’epiteto “grande” attribuito al dio, potrebbero indicare che il santuario fosse connesso al culto degli antenati della famiglia reale stessa.

Le attestazioni di Zaqīqā a Hatra sono quindi caratterizzate da un forte legame con il culto degli antenati defunti: il rinvenimento di H 13 e 410 rispettivamente nella sala larga del Tempio II e nel Tempio XIII, e il rinvenimento di H 1044a nella cella del Tempio XIII insieme a una statua di

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