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Parte II: Casi di studio – divinità assire e babilonesi nei corpora aramaici

4. La Triade di Hatra alla luce dei culti mesopotamici

4.3. Marten, Allatum e Allāt

Marten è la divinità della Triade più difficile da definire per via della scarsità di attestazioni e dell’assenza di una sua particolare caratterizzazione (recentemente Dirven 2013a, 19; Tubach 2013, 203).

Tubach (2013, 203) postula il carattere astrale della paredra del dio Sole: considerando l’aspetto solare di Maren e quello lunare di Barmaren, è plausibile che anche il membro femminile della Triade fosse connotato in questo senso. Nei secoli precedenti, per Šamaš sono attestate diverse paredre: Aja, Nin-kara, Šer(i)da, Sudag e Sudgan/m. Queste avevano probabilmente aspetti solari ed erano identificate con divinità della luce mattutina; tuttavia esse non sembrano avere avuto una caratterizzazione articolata né aver goduto di culti specifici (Krebernik 2009-2011, 602). Tubach fa riferimento a un rilievo proveniente dal Temenos, forse dall’area retrostante il tempio della Triade, che raffigura una dea che emerge da un motivo di foglie d’acanto. Il carattere divino della figura femminile è indicato dai due serpenti che emergono da dietro le spalle; il suo abbigliamento, che consiste in un peplo, permetterebbe inoltre di assimilarla alle raffigurazioni classiche di Afrodite (Safar-Mustafa 1974 Fig. 89)374. L’identificazione di questa figura con Marten è proposta da Safar e Mustafa sulla base della forma assunta dalle foglie d’acanto, che ricorda un crescente lunare, e dell’associazione con altri due rilievi che proverrebbero dal medesimo luogo375 e che raffigurano

374 L’accostamento ad Afrodite potrebbe anche implicare che Marten fosse identificata anche con Nanaya. L’iscrizione H 463, che celebra la fondazione del Tempio XIV, attesta il culto di “Nanaya la somma Signora della corona di Hatra” (si veda il cap. 8.2.). Per via della presenza del titolo “Signora” in questo epiteto articolato, Moriggi (2010, 125) suggerisce “as a working hypothesis” che Nanaya possa essere Marten. La proposta riprende Beyer (1998, 152), che osserva che a Nanaya è attribuito l’epiteto “Nostra Signora” nelle iscrizioni di Assur. Si vedano anche Schmitt (2004, 59), Gzella (2006b, 36-37), che però non argomentano ulteriormente, e Invernizzi (2015, 60). La tesi è stata recentemente ribadita da Lipiński (2016, 239-240).

375 È noto con certezza solo il luogo di rinvenimento del rilievo di Maren, ossia la parte retrostante del tempio della Triade, nel Temenos (Safar-Mustafa 1974, 113). Per gli altri due rilievi, la proposta del medesimo findspot è cauta. al-Salihi (1975a, 76) invece sostiene, basandosi su Safar-Mustafa (1974), che siano stati rinvenuti l’uno accanto

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Maren e Barmaren (Safar-Mustafa 1974 Figg. 88 e 90 rispettivamente; si vedano H 289a-b sul rilievo di Barmaren). L’ipotesi è contestata da al-Salihi (1975a, 77), che sottolinea come un vero e proprio crescente lunare sia assente e venga invece sostituito con delle foglie d’acanto per ragioni non chiare; Tubach (2013, 203 nota 20) inoltre osserva che, dato che i tre rilievi hanno dimensioni diverse e non è certo se siano stati rinvenuti insieme, è preferibile non considerarli un gruppo unitario. Entrambi gli studiosi, inoltre, notano che la raffigurazione in questione è piuttosto diversa dall’unica raffigurazione certa di Marten di cui siamo a conoscenza, ossia un altro rilievo proveniente dalla porta urbica settentrionale che mostra un fedele al cospetto della dea, identificata dal suo nome inciso accanto alla sua testa (mrtn, H 1004a; al-Salihi 1975a, 78; Tubach 1986, 448- 449). La dea, seduta su un trono, è vestita con una tunica e una sopraveste, indossa una collana con medaglione e un alto copricapo cui è fissato un velo. Questo viene discostato dal volto con un morbido gesto della mano sinistra.

Questi dettagli iconografici sono stati paragonati ai tratti caratteristici delle raffigurazioni della dea Allāt rinvenute nella porta urbica nord, oltre che nel tempio della dea situato nel Temenos (Dirven 2013b, 148 nota 14.1 con bibliografia; 152-153). Allāt è la dea araba per eccellenza, dea guerriera e protettrice ma anche dea della fertilità e dal carattere fortemente astrale, ampiamente attestata non solo nella penisola arabica e presso i Nabatei ma anche a Palmira, Dura Europos ed Edessa (Krone 1992, 336-370). A Hatra è generalmente raffigurata seduta su un trono oppure a dorso di animale (Invernizzi 1989); su due architravi del suo tempio (Dirven 2013b, 148 nota 14.2 e 14.3 con bibliografia) la dea è assisa in trono, porta un abito e dei gioielli molto simili a quelli del rilievo della porta nord, e nel primo dei due rilievi indossa anche il medesimo copricapo con velo, allontanato dal volto con lo stesso gesto (nota 14.2 in Dirven)376.

Per definire il carattere di Marten assumerebbe particolare valore l’associazione di Allāt con Nergol, il quale, come visto in precedenza, presenta a sua volta un forte legame con Barmaren. La più celebre attestazione iconografica di questo legame consisterebbe nel già menzionato rilievo di Nergol con i tre cani rinvenuto nel Tempio I (Fig. 10; Safar-Mustafa 1974, 190-193). Nel rilievo, infatti, compare anche una dea in trono, abbigliata alla stessa maniera delle dee menzionate in precedenza. Questa raffigurazione, però, differisce parzialmente dalle altre per varie ragioni: un’aquila è posata sulla sommità del copricapo, che indica l’associazione di questa dea con Maren/Šamš; la dea non si toglie il velo ma regge un ramo di palma nella mano sinistra; inoltre, ai

all’altro. La discussione di Tubach (1986, 448) si basa su Safar-Mustafa (1974).

376 Per le raffigurazioni di divinità femminili in trono, su animali e stanti, si veda Dirven (2013b, 148-149 note 14 e 15 con bibliografia).

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lati del trono si trovano due leoni, mentre sulla sua base si riconosce un motivo decorativo con dei pesci377. Tutti questi attributi sono riconducibili alla dea siriana Atargatis, la Dea Syria delle fonti

classiche (al-Salihi 1975a, 78; Invernizzi 1989, 129-130; recentemente Lightfoot 2003). A Hatra Atargatis è attestata epigraficamente378 ma non sembra aver ricoperto un ruolo di particolare rilievo

nel pantheon. Sembrerebbe dimostrato che a Hatra e in molti contesti culturali coevi Atargatis fosse assimilata alla stessa Allāt; è altresì evidente che il culto di Allāt godesse di una vitalità assai maggiore, che a Hatra è testimoniata dai rinvenimenti archeologici e soprattutto dalla presenza del suo tempio nel Temenos (Krone 1992, 37; Dirven 2013b, 150)379. Dirven propone pertanto non solo che la dea raffigurata insieme a Nergol sul rilievo sia certamente Allāt, ma che fosse proprio la dea Allāt a essere contraddistinta dall’epiteto Marten. La condivisione dei tratti iconografici che si osserva tra il rilievo di Marten della porta urbica nord e le raffigurazioni di Allāt, unitamente all’associazione tra Allāt e Šamš, esplicitata grazie alla presenza dell’aquila, portano la studiosa a sostenere che i legami attestati tra Allāt e Nergol siano così forti proprio perché si tratta delle divinità che si celano dietro gli epiteti Marten e Barmaren. Si sottolinea però che ciò non comporta che Allāt fosse intesa in senso letterale come la madre di Nergol (Dirven 2013b, 152); le fonti inoltre non forniscono dati utili ad approfondire numerosi aspetti relativi a queste due divinità, soprattutto riguardo alla relazione che intercorreva tra di loro e al modo in cui questa fosse percepita. Come sarà esaminato più in dettaglio nel capitolo su Nergol a Hatra (6.2.), però, non tutte le prove epigrafiche e iconografiche addotte a sostegno di questa ipotesi possono essere accolte. Il legame tra Nergol e Allāt, alla luce di una revisione del dato epigrafico e iconografico, sembra infatti meno attestato, pertanto un’identificazione di Marten con questa dea sulla base del legame con Nergol e Barmaren dovrebbe essere valutata diversamente.

A ogni modo, Allāt era una figura divina di primo piano nel pantheon hatreno e l’ipotesi che fosse associata a Marten non va scartata a priori. In questo frangente, è altresì necessario chiedersi se la Allāt hatrena sia la dea araba Allāt attestata in numerosi contesti culturali coevi, oppure se la sua presenza nel pantheon di Hatra non dipenda piuttosto dalla continuità del culto di Allatum.

In Mesopotamia la dea Allatum è attestata sin dalla fine del III mill. a.C., ma non sembra avere avuto un ruolo di grande rilevanza nel pantheon. Il suo culto era diffuso principalmente nella Mesopotamia meridionale e nella Babilonia, in città come Ur e Nippur durante la Terza dinastia di Ur oppure Sippar e Kutha in età paleo-babilonese. L’aspetto della dea che emerge con maggior

377 Sul motivo iconografico dei pesci si veda Kaizer (2013a). 378 H 5:3, 29:4, 30:7.

379 Nella recensione a Krone (1992) di Drijvers (1995, 95) si considera invece errata l’identificazione con Allāt, a favore di Atargatis.

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vigore dalle fonti è quello di divinità ctonia, e in quanto tale era spesso assimilata a Ereškigal. L’associazione con Nergal divenne sempre più labile dalla seconda metà del II mill., parallelamente alla progressiva ascesa della dea Laṣ quale paredra del signore dell’aldilà. Con il I mill. le attestazioni della dea divengono ancora più sporadiche, limitandosi alla sua presenza nel rituale neo-assiro del tākultu e in un testo rituale kalû neo- o tardo-babilonese, ancora come signora dell’oltretomba (Krone 1992, 21-25). Fonti molto importanti per la conoscenza del culto di Allatum sono anche i trattati ittiti: questi prevedono nella loro parte finale una lista di divinità al cui cospetto viene compiuto un giuramento che suggella il trattato stesso, e in cui Allatum è regolarmente presente (Krone 1992, 26-27). L’analisi della struttura di queste liste dimostra che Allatum godeva di una posizione abbastanza elevata nel pantheon ittita ed era costantemente menzionata in prossimità di Ea e Marduk. La dea veniva inoltre identificata con la signora ittita dell’aldilà, Lelwani (Krone 1992, 28).

L’origine della dea Allatum è stata ricondotta ad ambiti culturali diversi e ugualmente problematici. L’ipotesi secondo cui questa andrebbe ricercata nel pantheon hurrita del II mill., ossia nella dea Allani “la Signora” con un suffisso femminile accadico -tum (Laroche 1961, 84), è contraddetta dal fatto che le prime attestazioni di Allatum in Mesopotamia datano alla fine del III mill. e sono pertanto precedenti all’affermazione della cultura hurrita, a partire dal XVIII sec. (Krone 1992, 34). Diversamente, è stato anche proposto che Allatum sia la forma femminile del teonimo Alla, dio dell’aldilà attestato principalmente in testi della III Dinastia di Ur e venerato soprattutto nella città sud-mesopotamica di Esagi (Lambert 1980, 63-64; Krone 1992, 35). Questa ipotesi è preferita da S. Krone dal punto di vista linguistico, cronologico e storico-culturale.

Una proposta per cercare un punto di contatto tra il culto della mesopotamica Allatum e quello dell’araba Allāt è stata avanzata a partire dal rilievo hatreno del Tempio I con Nergol a capo di tre cani e la dea. Krone (1992, 37) mette in evidenza il carattere ctonio della rappresentazione, rimarcato anche dalla presenza di serpenti e scorpioni, e lo connette alla funzione di dea dell’oltretomba e consorte di Nergal rivestita da Allatum per quasi un millennio. Un ulteriore tratto in comune è identificato da Krone (1992, 38) nel ruolo assunto dalle dee Allatum e Allāt, rispettivamente nel contesto ittita e arabo pre-islamico, in relazione alla stipula di giuramenti ufficiali. Significative testimonianze sul ruolo di Allāt in rapporto ai giuramenti vengono fornite da fonti islamiche che trattano le divinità dell’età pre-islamica (Krone 1992, 187-207, specialmente 203). Sempre da fonti arabe si può dedurre che Allāt non sarebbe stata una divinità locale araba ma il suo ingresso nella penisola arabica sarebbe stato dovuto al contatto con altre culture e da un fenomeno di progressiva assimilazione. Krone sottolinea anche che la frequente assimilazione tra Allāt e la greca Atena attestata a partire dall’età ellenistica potrebbe costituire un’ulteriore prova

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dell’origine non araba della dea, dato che i fenomeni di identificazione tra una divinità vicino- orientale e una greca sarebbero attestati solo in relazione a divinità mesopotamiche e mai per divinità originarie della penisola arabica (Krone 1992, 38-39).

Questi punti di contatto fra la Allāt hatrena e Allatum devono però tenere presente di alcune constatazioni di ordine generale, come nota la stessa Krone (1992, 40-41). Innanzitutto, la rarefazione delle attestazioni di Allatum nei testi accadici del I mill. dimostra un progressivo indebolimento del suo culto; inoltre, poiché il teonimo non è attestato in fonti aramaiche coeve, sarebbe difficilmente giustificabile ipotizzare una sua comparsa a Hatra sulla base di una continuità ininterrotta. Poiché non si conosce continuità di insediamento fino alla Hatra monumentale che si sviluppò dal I sec. d.C., risulta ancora più problematico postulare la continuità di un culto ufficiale di così grande importanza dal I mill. a.C. fino ai primi secoli d.C. Il secondo problema sollevato da Krone riguarda invece la personalità delle dee: Allatum è fondamentalmente una dea dell’aldilà, mentre Allāt ha una natura spiccatamente astrale o altresì guerriera, ma non connessa chiaramente all’oltretomba o al culto dei defunti. È altresì interessante l’osservazione di Tubach (1986, 59) secondo cui la dea Allāt attestata a Hatra non sarebbe stata la stessa che era venerata dai gruppi tribali genericamente definiti arabi. Le dee quindi condividono apparentemente solo il nome, “la Dea”, e per i motivi esposti sopra è preferibile considerarle divinità diverse. Allatum è una dea di origine mesopotamica, il cui culto si affievolì progressivamente nel I mill. a.C.; Allāt invece divenne a partire dal V e ancora di più dal IV-III sec. a.C. la dea araba per antonomasia, venerata in un’area molto ampia che comprende il Levante e la penisola arabica, e assimilata a seconda dei contesti ad Atena, Atargatis o Nemesis (Invernizzi 1989; Krone 1992, 303-330), come anche, benché meno frequentemente, ad Artemide, Tyche o Ištar a Palmira380 (Krone 1992, 330-332).

Alla luce dei dati disponibili, non è quindi possibile stabilire univocamente un legame tra Marten e Allāt. La connessione tra Marten e Allatum è poco probabile per via del notevole gap cronologico che intercorre tra le rispettive attestazioni; va anche notato che Allatum nei testi accadici non è mai attestata quale paredra di Šamaš e non condivide alcun aspetto astrale con le altre divinità che invece rivestono questa funzione. Si può invece presumere che, in quanto paredra di Maren/Šamš, Marten avesse un carattere astrale, probabilmente ancora riferito alla luce mattutina. Nel pantheon hatreno è presente un altro dio della luce mattutina, il dio di origine araba Šaḥiru, ma non è testimoniata una sua associazione specifica con la dea. Allāt presenta invece un forte carattere astrale e un importante aspetto di dea lunare attestato anche a Hatra (Tubach 1986, 449-458; Krone

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1992, 361-362). Alla luce della connotazione astrale della Triade hatrena, questo aspetto potrebbe già di per sé permettere la sua identificazione con Marten. Tuttavia non vi sono dati che consentano di riconoscere in questa Allāt la stessa dea venerata da altri gruppi tribali del Vicino Oriente nella medesima epoca: l’osservazione di Tubach (1986, 59) citata in precedenza impone di interrogarsi non solo sul necessario bilanciamento tra elementi cultuali improntati alla continuità e tratti innovativi, ma anche sulla variabilità che doveva sussistere tra diversi gruppi tribali, o diverse aree geografiche, relativamente alla caratterizzazione di una divinità così importante e ai risvolti che tale caratterizzazione doveva avere anche per la definizione dell’identità del gruppo stesso.

Vi è anche la possibilità che l’inclusione della dea nella Triade fosse dovuta al desiderio da parte dell’élite di porre a capo del pantheon hatreno divinità che potessero essere rappresentative della composizione sociale della città e del suo territorio. Allāt potrebbe quindi essere stata progressivamente inserita tra i culti ufficiali della città per dare voce alla componente araba, organizzata su base tribale e parzialmente inurbata, della società hatrena. Forse però l’identità così sfuggente di Marten potrebbe dipendere semplicemente dalla sua natura di paredra del dio solare, che anche nei secoli precedenti era affiancato da dee prive di una specifica connotazione e prerogative definite. Il quadro prospettato da questa eventualità sarebbe completamente diverso, in quanto comporterebbe una derivazione della coppia Maren-Marten dal modello mesopotamico della coppia del dio solare con la sua paredra e non l’aggiunta della dea quale completamento della triade.

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