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MARGARET WILSON E LE NOZIONI COMUNI COME PRINCIPIO ORDINATORE DELLE PERCEZION

A proposito di studi più recenti in lingua inglese, merita ulteriore attenzione un saggio di Margaret Wilson50; si tratta di un saggio didascalico, volto perlopiù a chiarire i nessi sistematici e speculativi, dove però incidentalmente vengono evidenziate implicazioni problematiche per noi significative. In particolare, la studiosa è attenta tanto alle connessioni dimostrative quanto alla loro assenza, allorché si tratta di stabilire il significato complessivo di una proposizione o di un gruppo di proposizioni.

Per esempio, quelle che stabiliscono l’inadeguatezza della conoscenza immaginativa non applicano in nessun caso la definizione dell’idea adeguata fornita all’inizio della seconda parte (già Bennett, come si è visto, si era soffermato su questo particolare). Da questo dato testuale si può ottenere un elemento per qualificare l’approccio di fondo del filosofo di Amsterdam: se questa definizione non viene chiamata in causa, significa che il punto discriminante del problema si trova altrove, e cioè nel fatto che le cause che determinano l’idea del corpo proprio o del corpo esterno, ovvero la stessa coscienza (l’idea che una data mente forma di sé) hanno tutte in

50

M. D. Wilson, «Spinoza’s Theory of Knowledge», in Don Garrett (ed. by), The Cambridge Companion

comune la prerogativa di cadere fuori dalla mente umana e dalla sua propria potenza di agire.

Tali oggetti, in altri termini, possono soltanto rispecchiare l’ordine comune della natura senza venir mai compresi dalla mente in quanto le loro cause si trovano al di là o al di qua della sua sfera d’azione. Questo stato di cose comporta uno scarto ‘ontologico’ tra il modo in cui queste idee si danno nella nostra mente e il modo in cui sono conseguono nell’intelletto infinito. Da un punto di vista empirico, se non logico- formale, esso risulta prioritario rispetto alle ragioni che pongono in essere l’inadeguatezza (E 2P11C).

In modo pertinente viene poi rilevata l’affermazione esplicita di una concordanza necessaria delle idee con i loro ideati in Dio (E 2P32D), fondata sulla tesi del parallelismo tra il conseguire dei modi nei rispettivi attributi; va detto che ciò permetterebbe di argomentare che la nozione di convenientia, che stabilisce – ricordiamolo – un nesso non circostanziale tra teoria dei corpi (E 2P13SLem. 2) e la comunanza che è oggetto delle nostre idee adeguate più generali, implica sistematicamente quella identità di ordine, per cui – conseguenza non trascurabile – si può sostenere a buon diritto che così come abbiamo idee delle concordanze nell’ordine corporeo, allo stesso modo ci saranno date idee di concordanze nell’ordine cogitativo.

Da Wilson viene messo a fuoco il rimando reciproco tra finitezza della mente umana, condizionamento da parte delle cause esterne e inaccessibilità dell’ordine secondo cui si concatenano, nell’intelletto infinito, le rappresentaziooni che a noi sono date come inadeguate:

[...] all ideas without exception must have their place in the infinite ideational order constituting God’s true and adequate knowledge. An idea is only inadequate, or cut off from this intellectual order, insofar as it is “considered in relation to” a finite mind which possesses the idea as a “conclusion without premises”51.

Ora, con la tematizzazione dei fondamenti della ragione, ci si può rendere conto che lo status di questa «conclusione senza premesse» consiste in quelle rappresentazioni che coincidono con gli effetti dispiegati dalle cause esterne sui nostri corpi. Le nozioni comuni sarebbero idee “perfette” cioè tali da non richiedere il sussidio o l’applicazione di quelle idee che possiamo percepire soltanto in modo confuso. Lasciando da parte la

fisionomia di questo segmento deduttivo, Wilson spiega quanto l’Ethica stabilisce sulle nozioni comuni come combinazione di tre condizioni distinte52:

1) se la mente è esclusivamente idea del corpo, tutto ciò che è integralmente contenuto in questo deve poter essere pensato adeguatamente,

2) ci sono tratti o determinazioni fondamentali della materia che in effetti sono integralmente dati in ogni corpo, e di conseguenza in ogni affezione corporea, 3) procedendo dalle nozioni comuni, la mente è in grado di formare per via

deduttiva idee di cose in generale, senza riferirsi esclusivamente al piano fisico della realtà.

Il fatto che, rispetto alle proprietà comuni, le nostre idee e le idee “di Dio” (cioè le affezioni interne all’intelletto infinito) coincidano sotto un certo riguardo stigmatizza secondo Wilson il fatto che le limitazioni dei sensi e dell’immaginazione (qualificate nel passo citato più sopra) sono semplicemente irrilevanti, per cui il problema dell’omogeneità o della connessione tra i primi due generi di conoscenza non dovrebbe porsi. Tramite la percezione di ciò che è comune la mente avrebbe accesso diretto a ciò che dispone originariamente il corpo ad affettare e ad essere affetto.

Per quanto attiene alla differenza tra gli ultimi due generi di conoscenza, poi, si tratterebbe di una differenza di procedure piuttosto che di oggetti: anzi, secondo Wilson si può andare oltre e sostenere che la differenziazione di ragione e intuizione mediante i rispettivi oggetti – schematicamente, le proprietà e le essenze – risulta più dall’esigenza di descrivere sommariamente queste modalità della conoscenza adeguata piuttosto che dalle articolazioni del sistema53.

Ci s’imbatte così in una delicata e difficoltosa questione, che chiama in causa alcuni celebri passaggi del Tractatus de intellectus emendatione: la studiosa anglosassone è infatti molto attenta alla questione dell’«ordine» di consecuzione e di concatenamento delle idee, perché è a partire da questa che si può stabilire lo statuto ontologico, e non solo epistemologico, di «ciò che è comune», riconducendolo a quelle «cose fisse ed eterne», quei generi delle essenze di cose singolari che definiscono gli ordini di legalità del loro concatenarsi. In breve, il problema viene così riformulato: «Because these [fundamental principles that cause things to be what they essentially are] are implicit in the essence of the human body, which the human mind “explicates”,

52

Ibid. p. 112 ss.

they are directly accessible to the human mind»54. Se anche si potesse accogliere l’ipotesi che la diversificazione di essenza/proprietà ha una portata e un significato relativi, nondimeno in questo argomento essa risulta erronea, poiché se «ciò che è comune a tutte le cose» fosse identico con le «cose fisse ed eterne» le quali, a loro volta, sarebbero da intendersi quali «principi fondamentali che fanno essere le cose ciò che sono essenzialmente», allora sarebbe contraddetta la clausola posta al principio della deduzione delle nozioni comuni: «ciò che è comune… non costituisce l’essenza di alcuna cosa singolare» (E 2P37).

Queste conclusioni vanno perciò rifiutate, mentre si può dubitare che nel formulare quest’ultima proposizione Spinoza intendesse riferirsi esclusivamente ed univocamente a “proprietà”. Va ricordata a questo proposito l’ipotesi ricostruttiva di Deleuze, per il quale la teoria delle nozioni comuni si colloca nello spazio che separa l’interruzione del Tractatus dalla stesura dell’Ethica. Per quanto infondata e generica dal punto di vista filologico-critico, questa ipotesi coglie nel segno allorché rileva un rapporto tra le oscillazioni e le difficoltà che connotano gli ultimi paragrafi dello scritto incompiuto e la teoria delle nozioni comuni nell’Ethica.55.

Insomma, il confronto di Wilson risulta schematico e semplificativo, in quanto si accontenta di sovrapporre i due ordini di questioni senza contestualizzare il merito dell’elaborazione del Tractatus, pretendendo di sfruttare le confusioni teoriche che vi si trovano per dare intelligibilità ai testi dell’Ethica. Malgrado ciò, le difficoltà che s’impongono allorché si voglia stabilire in modo definitivo la differente pertinenza degli ultimi due generi di conoscenza non escludono che la teorizzazione delle «cose fisse ed eterne» possa rendere conto della ‘preistoria’ delle nozioni comuni in Spinoza.

54 Ibid., p. 115

55 Riferendosi alle parti finali del Tractatus (in part. §100), Deleuze annota: «le cose fisse ed eterne, che

svolgono la funzione di universali, hanno potuto trovare posto soltanto a livello del genere o del modo più alto, tanto da essere confuse col principio di conoscenza delle essenze» (G. Deleuze, Spinoza e il

problema dell’espressione, cit., p. 230). Ancora: «Spinoza dice in effetti che le “cose fisse ed eterne”

devono fornirci la conoscenza dell’“essenza intima” delle cose; ci troviamo qui nell’ultimo genere di conoscenza. Ma, d’altro canto, le cose fisse devono anche fungere da “universali” rispetto ai modi esistenti mutevoli: siamo allora nel secondo genere, nel campo della composizione dei rapporti e non più in quello della produzione delle essenze. I due ordini sono quindi compresi l’uno nell’altro» (ibidem, nota 11). Bisogna rilevare che il problema di una sorta di “terra di mezzo” tra il secondo e terzo genere di conoscenza si presenta anche nel capolavoro del 1677; in effetti le nozioni comuni definirebbero da sole la necessità della conoscenza adeguata in noi, mentre di quest’ultima viene data successivamente una definizione che è perfettamente funzionale alla scienza intuitiva (E2PP44-46).

1.9 LE NOZIONI COMUNI COME “ASTRAZIONI DETERMINATE” NEL COMMENTARIO DI